sabato 8 giugno 2013

“…E SE AVESSIMO TROVATO LA «CASA» DI DIO?”



Prima di tutto, c’è la fede, ossia la capacità degli uomini di relazionarsi a Dio.
In secondo luogo, c’è la scienza, che ricerca fatti dimostrabili.
Fede e scienza, spesso, sono considerate antagoniste.
Se chiedessimo a uno scienziato ateo e poi a un credente convinto di dimostrare, rispettivamente, l’assenza e l’esistenza di Dio, è probabile che nessuna delle due posizioni porterebbe a suo favore fatti naturali incontrovertibili.
Almeno, fino a oggi.
Il CERN (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare) l’ha confermato: con un margine di incertezza minuscolo (una probabilità del 99,999972%) possiamo finalmente dire che il Bosone di Higgs esiste.
Di cosa si tratta? Il bosone di Higgs è una particella subatomica e, se la sua esistenza venisse effettivamente confermata, potrebbe aiutare a spiegare perché la materia ha una massa.
Insomma, si tratterebbe della particella che crea le altre: una forza creatrice da cui ogni parte della materia trarrebbe origine.
Viene da sé che parlare di “creatore” e riferire questa parola a un risultato scientifico, pone immediatamente il problema del rapporto tra la religione (intesa nel suo significato più ampio) e, appunto, la scienza.
Il Bosone di Higgs sarebbe, in sostanza, l’impronta di Dio.
La Scienza, quindi, rivelerebbe l’esistenza di un Dio effettivo, tangibile.
Un Dio che, allora, dimorerebbe nell’infinitamente piccolo, nelle regioni sub atomiche della materia.
Scienza e religione sarebbero dunque a un passo dall’incontrarsi.
Questa rivelazione non sarebbe neppure in antagonismo con le basi dogmatiche del cristianesimo.
Si legge, infatti, nel Vangelo di Luca: “Il regno di Dio non viene in maniera che si possa osservare: né si dirà: ‘Eccolo qui’, o ‘eccolo là’: poiché, ecco, il regno di Dio è dentro di voi" (Lu. 17:21).
Una conferma di questa interessante coincidenza la si ritrova anche nei testi dei papiri di Nag Hammadi, ossia antichi vangeli apocrifi scoperti in Egitto e, più precisamente, nel Vangelo di Tommaso.
Un passaggio, in particolare, di questa opera, recita così: “3. Gesù disse, «Se i vostri capi vi diranno, 'Vedete, il Regno è nei cieli', allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno, 'È nei mari', allora i pesci vi precederanno. Invece, il Regno è dentro di voi…»”.
Sarebbe sconcertante dover ammettere che l’insanabile disputa che per millenni ha contrapposto ispirati uomini di fede a scettici scienziati, possa essere risolta proprio ricorrendo all’empirismo, alla fisica quantistica.
Che, cioè, finalmente, l’uomo abbia trovato la “casa” di Dio.
E che le pareti di questa casa altro non siano che le molecole, gli atomi e le particelle infinitamente piccole.
Tutto questo confermerebbe la validità di un altro postulato scientifico: la cosiddetta progressione di Fibonacci.
Una sequenza di numeri, cioè, rispettata in natura per determinare la forma di ogni cosa:





Gli atomi, le molecole, la forma di una conchiglia o di una galassia, perfino di una nuvola in cielo non sfuggono a questa regola matematica.
Perciò Dio, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, agirebbe come un matematico, ordinando il creato secondo ferree regole aritmetiche e geometriche.
Il grande neuro-scienziato statunitense Michael Persinger ha certamente contribuito, con i suoi studi sul cervello umano, ad alimentare la teoria secondo cui la “casa” di Dio sarebbe da cercare dentro l’uomo.
Egli, infatti, ha sperimentato con successo, su un campione significativo di volontari, un casco transcranico elettromagnetico capace di provocare in chi lo indossa delle vere e proprie visioni mistiche.
L’ottanta per cento delle persone sottoposte all’esperimento hanno infatti affermato di aver avuto delle esperienze sovrannaturali, di aver “avvertito” la presenza di “entità” attorno a loro e, in molti casi, di aver addirittura visto Dio.
Alcuni metafisici suggeriscono che Dio sarebbe “caduto dal cielo” e che si stia risvegliando in ogni individuo per testimoniare se stesso mediante le proprie creature.
Come immaginare, allora, un futuro in cui la materia “divina” possa essere controllata dall’uomo, indirizzata, a livello subatomico, per rigenerare le cellule, curare malattie, sconfiggere l’invecchiamento?

venerdì 24 maggio 2013

Perceval, Re e Sacerdote


In Perceval è ravvisabile l’eterna figura del Re Pontefice, guida politica e spirituale dalla cui salute dipende il benessere del regno

di Vito Foschi

Introduzione


Nel Perceval, il romanzo di Chétien de Troyes, si racconta di come il giovane Perceval da selvaggio ed incolto si trasformi in un perfetto cavaliere affrontando varie avventure, tra cui alcune di natura fantastica. Ma dietro questo percorso è possibile scorgere una vera e propria iniziazione. Ad esempio l’avventura nel castello del Graal non trova facilmente spiegazione come semplice favola e molti autori hanno rilevato i riferimenti mitici sia celtici sia alla tradizione dei Re Taumaturghi. Come abbiamo scritto in altri lavori Perceval riceve due iniziazioni, la prima alla cavalleria profana o terrena ricevuta dal gentiluomo Gorneman di Gorhaut, e la seconda alla cavalleria spirituale o celeste dallo Zio Eremita che gli trasmette una preghiera segreta. Questo particolare non è facilmente riconducibile a un contesto cristiano o semplicemente favolistico. Rappresenta la trasmissione di un sapere iniziatico, segreto, che si trasmette da maestro ad allievo.
L’opera di Chrétien manca della fine, non si capisce se per volontà dell’artista o meno ed il suo successo è in parte dovuto alle diverse continuazioni scritte da altri autori. Il romanzo ha, inoltre, la particolarità si essere quasi diviso in due parti di cui una dedicata ad un altro protagonista: Galvano. Si può ben dire che si tratti di una opera molto particolare e nonostante o forse proprio per questo di ampia diffusione.

Il Castello del Graal


Perceval raggiunge il castello del Graal ma non ponendo la domanda su cosa sia ciò che vede fallisce la prova e si allontana non riuscendo a capire cosa sia successo. Il tutto gli viene spiegato da una sua cugina con una specie di interrogatorio. Anche qui le tracce di un rituale con delle domande prefissate e le risposte dell’adepto che non sa. E d’altronde cosa potrebbe sapere Perceval se è ancora un semplice cavaliere? Quando raggiunge il castello del Graal è stato appena iniziato cavaliere da Gorneman ed ha liberato Biancofiore dai suoi nemici. Quindi ha fatto solo esperienza di guerra e di cortesia e questa non è sufficiente a conquistare il Graal.
Nel racconto di Chrétien bisogna rivelare la presenza di uno schema: tentativo, fallimento, nuovo tentativo, successo. La prima volta che Perceval incontra una donna, la dama dell’Orgoglioso della Landa, segue i consigli della madre e combina un guaio. Non era ancora pronto. Incontra Gorneman che oltre ad insegnargli le regole della cavalleria gli insegna le regole della cortesia. E così la seconda volta con Biancofiore, essendo ormai un uomo e un gentiluomo riesce a conquistarla. Si noti lo schema: tentativo e fallimento con la dama dell’Orgoglioso, nuovo tentativo e successo con Biancofiore. Così succede con le donne, ma così appare lo schema della ricerca del Graal, solo che lo schema non si completa, perché il romanzo si interrompe. Il primo tentativo col Graal fallisce, perché l'eroe ha avuto solo l'iniziazione alla cavalleria terrestre e ciò non è sufficiente per recuperare il Graal. Sono i primi due passi dello schema. Verso la fine del romanzo, come accennato prima, riceve l'iniziazione Spirituale ed è pronto per ritentare l'impresa. Purtroppo il racconto si interrompe, ma si può ipotizzare con una certa sicurezza una conclusione positiva.

Un romanzo di formazione?


Alcuni autori hanno considerato l’opera solo come un romanzo di formazione con intenti didascalici senza vederne gli aspetti mitologici, ma anche questa interpretazione non fa che rafforzare l’ipotesi della conquista del Graal da parte di Perceval. Se il protagonista deve imparare certe cose per poter superare le prove della vita, si intuisce che alla fine del racconto dopo aver imparato ciò che serve ritroverà il castello del Graal e porrà la domanda e libererà il Re Magagnato dal suo dolore.
Quando Perceval raggiunge il castello del Graal la prima volta, è cavaliere ed ha appena lasciato il castello di Biancofiore, ha ricevuto l’iniziazione alla cavalleria terrena ed è ancora un semplice guerriero. È anche maturato da adolescente a uomo conoscendo l’amore terreno. Qui finirebbe il romanzo se si trattasse solo di un romanzo di formazione, come se in una società tradizionale possa aver senso parlare di formazione, o di passaggio dall’adolescenza all’età adulta senza un cerimonia iniziatica. Gli insegnamenti terreni non sono sufficienti a conquistare il Graal.

L’investitura del re sacerdote


Nella visita al castello del Graal, il Re Pescatore dona a Perceval una spada dicendogli che è fatta per lui. Ora il simbolo della spada è molto chiaro, oltre a simboleggiare le virtù guerriere rappresenta la Giustizia e la Regalità.  In Matteo 10, 34 “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada”. La spada è simbolo della giustizia e Gesù vuole intendere di essere venuto a portare la Giustizia, tra gli altri significati. Nel momento in cui riceve la spada viene riconosciuta a Perceval la sua qualità di guerriero e riceve l’investitura di re. Naturalmente il Graal è un dono spirituale e non può essere posseduto da un semplice re guerriero. Dopo questo episodio Perceval affronta varie avventure, ma si tiene lontano dalla chiesa: è un cavaliere in cerca di avventure. Un venerdì santo incontra una processione e viene rimproverato da uno degli astanti di andare in giro armato in tale giorno. Perceval non sa di che giorni si tratti, lo chiede e quando lo apprende sente la necessità di fare penitenza e saputo della presenza lì vicino di un eremita ci si avvia. Qui apprende che l’eremita è suo zio da parte di madre e i misteri del Graal. Il Graal serve l’ostia al padre del Re Pescatore che da 12 anni si nutre solo di quella. Infine l’Eremita gli insegna una preghiera segreta che «conteneva molti nomi del signore Iddio, i più potenti, che nessuna bocca umana deve pronunciare se non per paura della morte»; preghiera segreta, che rappresenta il filo ininterrotto della tradizione che lega i rappresentati nelle varie generazioni: riceve una definitiva iniziazione. In quest’ultima si può scorgere una iniziazione sacerdotale, e non a caso a impartire l’insegnamento è lo zio materno di Perceval. Ci piace ricordare la tradizione ebraica per cui la discendenza è da parte di madre ed erano i membri della tribù dei leviti a poter accedere alle cariche sacerdotali.

Il costruttore di ponti


Perceval è re sacerdote o per meglio dire re pontefice. Il Pontifex è letteralmente un «costruttore di ponti», qui inteso simbolicamente quale mediatore fra il nostro mondo e i mondi superiori. In effetti quando Perceval incontra la prima volta il Re Pescatore è alla ricerca di un guado dove attraversare un fiume; il Re è in barca intento a pescare e gli indica la strada, funzione di pontefice, per raggiungere il Castello del Graal dove avrebbe alloggiato quella notte per poi ripartire. Il Castello è un regno non terreno ed il Re Pescatore funge da intermediario fra il mondo terreno e il mondo superiore. Infatti il Castello appare a Perceval ad un tratto, quando disperava di trovarlo pensando di essere stato burlato dal pescatore, e nonostante lo abbia visitato, non sarà più in grado di ritornarvi a dimostrazione che la sua ubicazione non è di questo mondo.
Ricevuta l’iniziazione spirituale o sacerdotale, Perceval è in grado di liberare il Re Magagnato dal suo male o meglio di succedergli al trono e di essere lui il nuovo Re Pescatore che farà rifiorire la terra. Qui si intravede l’ombra di antichi rituali legati ai culti di fertilità e alla successione di un sovrano o di un capo che svolge funzioni sia guerriere che religiose.
La funzione di Perceval è restauratrice, ovvero di riportare ordine in una situazione degenerata. In Perceval riconosciamo la figura dell’eroe nel senso tradizionale del termine come spiegato da Julius Evola nel suo “Il mistero del Graal”. L’eroe a differenza dell’uomo primordiale completo in sé, deve riconquistare la sua pienezza perché non è per “natura” completo. Da “Il Mistero del Graal”: “Secondo Esiodo la «generazione degli eroi» fu creata da Zeus, cioè dal principio olimpico, con la possibilità di riconquistare lo stato primordiale e dar quindi vita a un nuovo ciclo «aureo»”.



Compito dell’«eroe» è quindi quella di far rinascere una nuova età dell’oro. In effetti nell’avventura di Perceval, osserviamo una situazione di disordine in cui è caduta la società umana a causa dell’infermità del Re Pescatore. Possiamo pensare che la malattia del Re Pescatore si ripercuota sul mondo perché come è raccontato da altri testi del ciclo arturiano, sia Merlino che Artù sono traditi da una donna, da intendersi anche qui in senso simbolico, generando il caos nel regno.
Accenniamo al fatto che nelle tre figure del re Pescatore, di Merlino e d’Artù possiamo vedere le “tre funzioni supreme” indicate da Guénon nel Re del mondo: “…il capo supremo dell’Agarttha porta il titolo Brahâtmâ (sarebbe più corretto scrivere Brahmâtmâ), «supporto delle anime nello spirito di Dio»; i suoi coadiutori sono il Mahâtmâ, «rappresentante dell’Anima universale» e il Mahângâ, «simbolo di tutta l’organizzazione materiale del Cosmo»: questa è la divisione gerarchica che le dottrine occidentali rappresentato mediante il ternario «spirito, anima e corpo»”.
Ora, Perceval secondo lo schema da noi individuato, guarisce il Re Pescatore e gli succede instaurando un nuovo regno e quindi una nuova era di pace e prosperità che potrebbe essere considerata come il ritorno all’età dell’oro primordiale.


Re Pescatore


L’aggettivo pescatore associato a re non è casuale e non riguarda semplicemente il passatempo del re malato ma ha un chiaro significato simbolico. Il Re Pescatore per eccellenza è Gesù, re perché discendente dalla stirpe davidica e pescatore perché pescatore d’anime. Nel vangelo sono ben noti i passi in cui dice a Pietro di gettare le reti (Luca 5, 4) e quando gli dice di lasciare le reti che lo avrebbe fatto pescatore di uomini (Luca 5, 10). Qui, è da citare il cosiddetto anello piscatorio indossato dal Papa che ha l’effige di Pietro che pesca con la rete. In questo oggetto è racchiusa una doppia simbologia regale e sacerdotale. L’anello sta spesso a denotare la nobiltà di chi lo indossa, mentre l’effige di S. Pietro che getta le reti è un esplicito simbolo della funzione sacerdotale della chiesa. Dobbiamo qui citare la diffusione nel medioevo di una leggenda di origine araba che racconta di come Re Salomone possedesse un anello magico capace di scacciare i demoni e perdendolo lo ritrovi dentro un pesce che aveva appena pescato e da cui l’appellativo re pescatore. Sottolineiamo l’esistenza di una leggenda simile che ha come protagonista Alessandro Magno, anch’egli simbolo di quella regalità sacerdotale, perché in un certo qual modo ne ha incarnato i principi nella storia.
A completamento dell’esame della simbologia, ricordiamo che il simbolo dei primi cristiani era il pesce dall’acronimo greco che indicava il nome di Gesù ed a volte erano chiamati loro stessi pesciolini perché, come i pesci erano scampati alla punizione divina del diluvio universale, così, essi grazie alla loro fede in Cristo avrebbero superati indenni il Giudizio Universale. Inoltre il pesce era un simbolo frequente dell’iconografia cristiana a ricordare il miracolo dei pani e dei pesci e da qui, spesso associato al banchetto dell’Ultima Cena.

Conclusioni


In questo simbolismo sembrano convergere tradizioni precristiane e cristiane, anche se è più corretto dire che ambedue si riferiscono ad un simbolismo tradizionale, esplicitandone ognuna, quella parte che in un dato momento e in un dato luogo, è più congeniale. La presenza di ambedue permette di chiarire meglio i principi sottesi depurandoli dalle incrostazioni delle contingenze storiche.
Non possiamo sapere se l’utilizzo di tale simbolismo da parte di Chrétien sia stato consapevole o meno, anche perché vivendo in un’epoca fortemente intrisa di sacro non poteva non riversare nella sua opera la simbologia cristiana. Sicuramente i riferimenti cristiani hanno permesso a Robert de Boron nelle sua successiva rielaborazione della leggenda del Graal, di rivestirla, con estrema facilità, di abiti cristiani. È da ribadire, però, che una lettura eminentemente cristiana del racconto del Graal non è possibile, stando un sostrato di miti non riconducibile a un alveo cristiano.

venerdì 10 maggio 2013

Un sito sui simboli biblici

Vi segnaliamo un utile sito sul simbolismo della Bibbia in senso teologico:

http://www.symbolon.net/Temi%20biblici/I%20Simboli%20nella%20Bibbia/


Sullo stesso sito potete trovare informazioni sugli angeli dal punto di vista cattolico:

http://www.symbolon.net/Temi%20biblici/Angeli/index.html


Sperando di aver fatto cosa gradito.


sabato 27 aprile 2013

La Tradizione e le tradizioni

Tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 aprile 2004

di Manlio Triggiani

La maggior parte delle opere di René Guénon, il famoso e fecondo filosofo tradizionalista francese, è stata pubblicata in Italia ma restano ancora da conoscere numerosi suoi scritti. Infatti Guénon, morto nel 1951, durante tutta la vita scrisse molti testi di metafisica, di simbolismo e di storia delle religioni. Di questi, parecchi furono stampati sulle più disparate riviste e spesso senza firma, con pseudonimi o con il suo nome islamico dopo la conversione all’Islam. Ora, appaiono in volume alcuni saggi mai pubblicati in italiano (La Tradizione e le tradizioni, a cura di Alessandro Grossato, Edizioni Mediterranee, pp. 230, euro 13,90) su temi che spaziano dal Dalai Lama al Buddismo, da Cristo a Mormonismo, dal Sufismo all’Animismo. Il titolo della raccolta sintetizza il senso della "Tradizione" primordiale, unica, immutabile, e i suoi adattamenti nel tempo.


lunedì 15 aprile 2013

La prima Roma, una Storia e una capanna

tratto da Il Messaggero del 15 febbraio 2005


M.Guidi

Da qualche parte, nei Campi Elisi, Tito Livio, Dionigi d’Alicarnasso, Plutarco e Varrone stanno certamente facendo festa. Le loro storie, i loro racconti, definiti leggendari, mitici, ricostruzioni a posteriori di eventi mai avvenuti o avvenuti molto diversamente dal vero ricominciano a essere considerati per quel che loro li vollero e li scrissero, come storie. Anzi come la Storia, quella storia che forse non sarà magistra vitae o magari opus oratorium maxime , ma semplicemente il racconto, come secoli dopo avrebbe scritto un grande storico tedesco, von Ranke, dei fatti come accaddero e come li sappiamo rendere.Le scoperte che va facendo ormai da anni Andrea Carandini nello spazio del Palatino e del Foro repubblicano non solo rivalutano l'opera degli storici antichi, ma restituiscono alla storia quello che era ritenuto mito, leggenda, racconto favoloso di origini troppo spostate indietro nel tempo per poter essere credibili.Quella che sta risorgendo sotto la vanga dell’archeologo è davvero la Prima Roma, quella dei re sempre meno leggendari, quei re che un tempo, alle elementari, si mandavano a memoria come una filastrocca. Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Nomi leggendari e nomi storici mischiati. Ricordi di un tempo antichissimo quando Roma era probabilmente solo un agglomerato di capanne sul Palatino. Un agglomerato però circondato da un muro fin dall’VIII secolo e non, come per decenni e decenni sostennero tanti storici, una città fondata se va bene nel VII se addirittura nel VI secolo avanti Cristo. No, Roma, ora cominciamo a saperlo davvero, sorse se non proprio il 21 aprile del 753/54 prima di Cristo, certamente in un periodo di tempo molto vicino alla data tradizionale ab urbe condita .La scoperta di un grande palazzo, una reggia?, e di una vasta capanna, forse il primitivo spazio del fuoco di Vesta e casa delle sue sacerdotesse, le vestali, sta costringendo a ripensare tutto quello che pensavamo di sapere.Certo gli scavi del Palatino ci restituiscono un’immagine estremamente arcaica, la stessa grande casa che Andrea Carandini ha trovato vicino al tempio di Vesta usava come tetto una copertura vegetale simile a quella delle capanne. Ma le mura erano già di pietra e le ceramiche, lo avete letto ieri nel pezzo che annunciava la scoperta, erano di qualità finissima.Proviamo quindi a chiudere gli occhi e a immaginare come fosse questa Roma delle origini. Sulle estreme pendici del Palatino (perché, come ci spiega il professor Eugenio La Rocca, soprintendente archeologico del Comune di Roma, il Palatino si estendeva fino alla casa delle vestali, praticamente dal tempio del Divo Giulio all’arco di Tito era ancora Palatino) esistevano case patrizie, case che si estendevano sino ai limiti dell’area che sarebbe diventata poi il Foro.Il Foro allora era una pianura abbastanza malsana, percorsa da un ruscello, piena di acque stagnanti, tanto che, lo sappiamo, gli etruschi dovettero scavare la Cloaca Maxima, la madre di tutte le fognature, per liberarla dall’acqua. E d’altra parte proprio per evitare le acque morte, con le loro zanzare, i loro insetti e i loro miasmi, Roma prima di Roma era costituita nei secoli precedenti l’VIII, da villaggi, agglomerati di capanne sui colli. Il Palatino ma anche l’arce capitolina fu occupata da capanne e così altre alture vicine, come il Celio. Il cui nome, dice la tradizione, ricorda quel Celio Vibenna comandante etrusco, alleato di Macstarna, che in latino sarebbe diventato Magister e poi Servio Tullio. E la memoria corre alla tomba François di Vulci, dove Aule e Caile Vipinas, alleati con Macstarna, combattono contro Cnaive Tarcunies Rumach e nella scena compare anche un Marce Camitlans. Nomi che tradotti in latino assumono sembianze più note: Aulo e Celio Vibenna, appunto Magister-Servio Tullio, Cneo Tarquinio Romano, Marco Camillo.Una serie di villaggi che però dovettero cedere alla prima Roma quadrata, la Roma dei re. "Un grande merito di Andrea Carandini - è sempre il professor La Rocca che parla - è stato quello di effettuare scavi sistematici mettendo in luce la stratigrafia fino al terreno vergine. Questo è potuto avvenire perché nella zona dove ha lavorato non erano stati effettuati altri scavi come è successo altrove nel foro dove sono stati usati criteri molto più primitivi, tenendo scarsamente conto della stratigrafia, come purtroppo nel foro è avvenuto spesso. Così sono venuti alla luce la reggia, la casa delle vestali e il tempio dei Penati". I Penati, divinità familiari e private dei romani, delle gentes che costituirono almeno la S di Spqr, senatus populusque romanus (il senato e il popolo romano). I Penati che avevano il posto vicino al focolare e che proteggevano la loro gente.Ma c’è dell’altro, la reggia, il palazzo, chiamatelo come volete, messo in luce da Carandini ricorda la tradizione che volle assegnare al pio re Numa Pompilio la costruzione del tempio di Vesta. "E la vicinanza del palazzo scavato da Carandini con il tempio di Vesta va in questo senso", spiega La Rocca. E anche questo rivaluta, a ben pensare, gli storici antichi che queste notizie ci tramandarono. "Vede - osserva il soprintendente - noi sappiamo che i primi racconti furono certamente orali e un racconto orale nel giro di una generazione diventa mito, leggenda anche se porta dentro di sé sempre una parte di verità, del resto gli storici antichi credevano a quello che raccontavano e quello che raccontavano per loro era storia, era La Storia". E a guardare bene non è che poi si sbagliassero di molto. Certo, conveniamo con La Rocca, ogni tanto qualcuno più sveglio degli altri fa compiere alla narrazione storica un salto in avanti. È successo soprattutto con Tucidide, il grande narratore delle guerre del Peloponneso, ma successe per Roma con Eratostene, che obiettò che la primitiva leggenda che voleva Roma fondata da Enea o dal figlio non poteva reggere, dal momento che tra la guerra di Troia (circa 1180) e la fondazione di Roma passano oltre 4 secoli.Ma gli scavi del professor Carandini ora ci restituiscono quell’impasto di mito e di racconto reale, di fatti e di leggende che un tempo si ritenevano del tutto inattendibili mentre ora sappiamo che almeno nel quadro generale invece erano credibili e a modo loro veritieri. Anche se è sempre il professor La Rocca che spiega come a volte capiti che, ed è il caso dei due Tarquini, per mancanza di notizie, gli antichi tendessero ad attribuire a entrambi i re le stesse vicende, le stesse notizie in una reduplicazione che spetta a noi moderni risolvere.Ma a pensarci bene non è poi così importante, ora noi sappiamo che "Mito e leggenda celano sempre una narrazione storica. Bisogna soltanto saperla capire". E per capirla servono i fatti. Fatti come le mura di pietra, il grande cortile, la vicina capanna con i resti del focolare. Il ricordo di una domus ante litteram che ci piace pensare abitata dal pio Numa, reduce dai suoi colloqui con la Ninfa Egeria, mentre intorno un popolo trino, formato da latini, sabini ed etruschi andava nascendo e nella sua diversità interna nella sua mistione (ricordate le tre tribù originarie: Tities, Ramnes, Luceres?) aveva senza saperlo le fonti della sua grandezza futura, quando essere civis romanus non era necessariamente un fatto di razza o di nascita ma significava essere ascritti a un popolo che sapeva prendere un poeta come Ennio da Rudie o fare dell’umbro Plauto e dell’africano Terenzio i suoi massimi commediografi. E tutto ha inizio in quelle mura minuscole che recingevano il Palatino, in quella capanna-tempio di un fuoco perenne vigilato da vergini, in quella casa con i tetti ancora di frasche, in quel tempio dei Penati povero e primitivo.Ora non resta che sperare che Carandini trovi altro terreno non sconvolto nel foro in modo da poterci regalare qualche altra scoperta. Così apparentemente avulsa da noi ma così legata al nostro passato.

giovedì 4 aprile 2013

Indadine sull'aldilà oltre la vita

Esiste l’Aldilà? Se sì, quale aspetto ha? E cos’è, esattamente: il luogo che ospita le anime dei defunti o un nuovo livello di esistenza? Domande che l’uomo si pone da sempre, dando le più svariate risposte, dalle più scettiche alle più convinte.
Ade Capone, autore di Mistero, programma TV di grande successo, grazie alla sua esperienza sul campo ci accompagna in una vera e propria indagine tra scienza e paranormale, con un libro che è come un reportage di grande chiarezza e profondità.
L’autore prende in esame le varie ipotesi, intervista ricercatori e sensitivi, parla di casi sconcertanti ampiamente documentati e prende in esame anche le più recenti teorie scientifi che. Quel che ne emerge è un quadro affascinante, un libro che appassiona e si legge tutto d’un fiato.

L’autore Ade Capone è l’autore della trasmissione di Italia 1
Ade Capone – affermato scrittore, giornalista, sceneggiatore – è autore del format TV Mistero, in onda su Italia 1, e di altri programmi per la stessa rete Mediaset (tra tutti, Il Bivio e Invincibili). A varie trasmissioni televisive ha partecipato anche in veste di ospite. Da sempre appassionato di argomenti misteriosi, ha compiuto numerosi viaggi (Europa, America, India, Bali, Medio Oriente) per documentarsi su luoghi e culture. Ha assistito di persona a molte delle cose che nei suoi libri racconta con una scrittura chiara e di grande efficacia, fruibile da qualunque lettore. I suoi saggi sono vere e proprie inchieste che
appassionano e fanno riflettere. Nella sua attività di sceneggiatore, inoltre, Ade Capone è considerato
uno dei più importanti autori italiani di fumetti, vincitore di numerosi premi per la sua scrittura, che
anche nelle fiction elabora comunque elementi reali. È supervisore editoriale della rivista Mistero, versione
cartacea del programma omonimo.


venerdì 22 marzo 2013

La maledizione di Ondine

Titolo: La maledizione di Ondine

Genere: urban fantasy, paranormal romance

Target: young adult

Pagine: 280

Prezzo: 1,99 euro disponibile su Amazon dal 20/03/2013.

Autrice: Valentina Barbieri. Ha pubblicato un racconto, “Arèl”, nell’Almanacco Fantasy di Lettere Animate.


Trama:

Ondine è una giovane sensitiva in grado di percepire una dimensione in cui gli spiriti vagano, anelando il modo per tornare nel mondo dei vivi.

Cercando una spiegazione razionale e scientifica, Ondine, insieme all’amico Francesco, indaga su eventi paranormali.

La verità inizia a venire allo scoperto quando a Londra incontra Benjamin Law, un giovane e affascinante prete in grado di passare dall’Altra Parte. Grazie a lui, Ondine viene a conoscenza di oggetti posseduti e assiste a un terribile esorcismo.

Le informazioni su un antico Ordine dei Guardiani portano Ondine e Benjamin a Praga, alla disperata ricerca di Lysandra Novacek, l’ultima discendente della famiglia a capo dell’Ordine.

Tra spiriti e luoghi antichi, Ondine viaggerà per l’Europa, affrontando le sue più grandi paure, compresa quella di un amore così forte quanto impossibile.

“Quando attraversi le porte che separano il mondo dei vivi da quello dei morti,

devi essere sicura di poter tornare indietro…”

Chi sono i Guardiani dei Portali e perché l’Ordine si è sciolto dopo la seconda guerra mondiale? Cosa si nasconde dentro la dimora di Hasdeu, filosofo e politico romeno della fine dell’800?

Come si sconfigge chi è già morto?

mercoledì 20 marzo 2013

Le tavolette enigmatiche

Tratto da Archeologia & Cultura del 12 giugno 2012

di Vito Foschi

Le cosiddette tavolette enigmatiche o con parola tecnica, ma piuttosto esoterica, Brotlaibidole, sono un gruppo di tavolette lunghe più o meno otto centimetri ellissoidali o rettangolari in gran parte di terracotta con delle iscrizioni mai tradotte. La loro diffusione temporale si estende per sette secoli da circa 2100 a.C. a circa 1400 a.C., in piena età del Bronzo e geograficamente diffuse tra l'Italia settentrionale ed i Carpazi fino al Basso Danubio. Le tavolette più antiche erano solcate da righe su cui erano incisi i segni, cerchi, croci, rettangoli, mentre in quelle più recenti le righe scompaiono e i segni sono disposti in maniera disordinata. Nessuno è ancora riuscito a tradurre le misteriose incisioni e a oggi sono aperte tutte le ipotesi, fra le quali la più affascinante ne fa possibili documenti commerciali per lo scambio di merci fra le varie regioni d'Europa. Una sorta di antesignane di cambiali e assegni. Altra ipotesi è quella che fossero dei sigilli per indicare le quantità. In mancanza di dati certi si è anche ipotizzato che possa trattarsi di talismani, forme di fusione per oreficerie, stampi per dipingere le stoffe o tatuare la pelle. Il 50% circa delle tavolette è stato rinvenuto in Italia nell'area del Garda, mentre il restante 50% in divise in sette nazioni: Germania meridionale, Austria orientale, Moravia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania. Nel 2010 a Cavriana si è tenuto un congresso, organizzato dal dott. Adalberto Piccoli direttore del Museo dell'Alto Mantovano di Cavriana, che ha riunito i principali studiosi del mondo delle tavolette enigmatiche dando per la prima volta l'occasione di confrontarsi e scambiare idee. Le tesi principali oggetto di discussione sono state due, quella che considera le tavolette come forma di protoscrittura e che riscuote il maggiore consenso degli studiosi, e l'altra che li considera oggetti di culto che al contrario trova minore approvazione. A favore della prima tesi esiste il fatto che le tavolette non sono state trovate in tombe ma in contesti abitativi, lunghi i fiumi che erano le grandi vie commerciali della preistoria. Il problema che rimane da capire è il significato racchiuso nei simboli incisi nelle misteriose tavolette. La loro scomparso avviene nel 1400 a.C. in concomitanza dell'intensificarsi dei traffici con il Mediterraneo dove era entrata un uso la scrittura micenea che potrebbe aver causato l'obsolescenza di quella primitiva forma di comunicazione scritta usata nelle tavolette.
In seguito al congresso è stata creata una prima commissione che ha avuto l'incarico di studiare la presenza delle tavolette in luoghi di produzione in modo da stabilire un possibile legame. Infatti, parte delle tavolette sono state ritrovate nei luoghi di produzione dell'ambra. L'idea è quella di stabilire una correlazione che potrebbe avvalorare la tesi delle tavolette come documenti commerciali o contabili. Una seconda commissione si occuperà di fare delle indagini petrografiche per scoprire la provenienza dell'argilla con cui sono fatte e scoprirne i luoghi di produzione. Questa mappatura permetterà anche di capire gli eventuali spostamenti dal luogo di produzione. Ovviamente tavolette trovate a centinaia di chilometri di distanza dal luogo di manifattura rafforzerebbero ulteriormente la tesi che siano state uno strumento di comunicazione. Per aiutare il lavoro degli studiosi è stato costruito un sito web (www.tavoletteenigmatiche.it) che raccoglie 335 tavolette dotato di un comodo software che permette agli studiosi di fare delle ricerche per simbolo, per nazione e così via. I vari simboli presenti nei manufatti sono stati catalogati rendendo possibile una ricerca per simbolo, per esempio trovare le tavolette dove è presente un cerchio e poi classificarli per nazione. È possibile per i privati segnalare il possesso di una tavoletta anche tramite un modulo anonimo. Si spera in questo modo di arricchire il database: per tentare una decifrazione dei simboli è necessario avere un certa quantità di materiale per cercare per esempio quali simboli sono più ripetuti o eventuali accoppiamenti di segni. Indizi che possono indirizzare gli studiosi verso una soluzione.
Per chi volesse vedere di persona le tavolette enigmatiche segnaliamo i musei che le posseggono: il Museo dell'Alto Mantovano di Cavriana che funge da centro di coordinamento, il museo civico della Valle Sabbia di Gavardo(Bs) e il museo Rambotti di Desenzano del Garda.

venerdì 15 marzo 2013

Le Madonne piangenti di Irene Gheri

Irene Gheri - Le Madonne Piangenti e le insorgenze antifrancesi in Italia tra il 1796 e il 1799

Minacciosa e folgorante la "Campagna d’Italia" condotta da Napoleone Bonaparte sul finire del XVIII secolo scardinò l'assetto geopolitico della penisola. La Chiesa vide minacciati i propri territori mentre le patriotiche insorgenze antifrancesi cercarono di tamponare l'avanzata dell'orda imperiale. Parallelamente avvenne ciò che Renzo De Felice definì un’ondata di miracoli eventi che, soprattutto nel corso dell’estate del 1797, dilagarono nel territorio dello Stato Pontificio. Dal 1796 al 1797 ben 26 immagini della Vergine, di cui 11 "Madonnelle", mossero gli occhi mentre a Roma, nel 1798, una statua di Maria pianse davanti a 50.000 testimoni. La ricerca storica condotta da Irene Gheri pone nuova attenzione sul contesto storico e sulle motivazioni che videro la nascita delle ribellioni antifrancesi analizzando nel dettaglio e per la prima volta l’ondata di miracoli che coinvolse lo Stato Pontificio in quegli anni.


Irene Gheri è nata a Firenze l’11 luglio 1977. Si è laureata in lettere e filosofia ad indirizzo storico presso l’università degli studi di Firenze. Il suo lavoro di ricerca sulle insorgenze antifrancesi in Italia alla fine del ‘700, che ha portato alla luce alcuni documenti inediti, si è poi trasformato in un libro: “Le Madonne Piangenti” (Enigma edizioni). Con questa pubblicazione, l’autrice, ha inteso dare nuovo risalto a fatti storici e miracolosi, ponendoli agli occhi del lettore nella loro piena autenticità.





giovedì 7 marzo 2013

Nicolò e la leggenda del coccodrillo


di Achille della Ragione

Teatto da "L'Opinione" del 26 febbraio 2013

http://www.opinione.it/cultura/2013/02/26/2013/02/25/2013/02/26/dellaragione_26-02.asp

 Le leggende napoletane sono numerose e molte sono legate al mare, come quella del “Pesce Nicolò”, nota da tempo immemorabile, della quale si rischia di perdere il ricordo perché non vi è più traccia, in Via Mezzocannone, del bassorilievo di epoca classica rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le fondamenta del Sedile di Porto, murato nel settecento, ricordato poi da una lapide.Il bassorilievo, cui accenna anche Benedetto Croce, raffigura un uomo coperto da un vello con in mano un coltello. Il nome del protagonista è “Cola Pesce” o “Pesce Nicolò”. La storia prende spunto da un'antica leggenda siceliota in cui si parla di un ragazzo, maledetto dalla madre, che, a furia di nascondersi tuffandosi nel mare ed a vivere tra i flutti, assume le sembianze di un vero e proprio pesce che, per lunghi spostamenti, si serve del corpo di grossi “Collegni”, dai quali si fa inghiottire per poi tagliarne il ventre, una volta giunto a destinazione.Da questo illustre progenitore prese origine una confraternita di sommozzatori, che venivano iniziati ad un culto marino in onore di Poseidone, con lo scopo di prendere possesso delle ricchezze poste nelle grotte più profonde del golfo. Essi adoperavano delle alghe che, trattate con una formula segreta, erano in grado di aumentare considerevolmente il tempo di resistenza in apnea, pari o superiore ai sommozzatori dotati di bombole.Taluni di questi si accoppiavano con dei rarissimi sirenoidi, oggi scomparsi dal golfo di Napoli ed è bello pensare che le rare foche monache, che ancora si scorgono al largo di Capri, siano gli antichi discendenti di questi accoppiamenti ibridi. Sembrerebbe che uno degli ultimi di questi soggetti sia stato utilizzato dagli Alleati, in assoluta segretezza, per ricerche sottomarine nel golfo di Napoli.La leggenda di Colapesce si diffuse per tutto il Regno ed in Sicilia si racconta che uno di questi esseri, sceso nelle acque più profonde, resosi conto che uno dei tre pilastri  che reggevano l'Isola stava cedendo, si sacrificò per sostituirsi nell'opera di sostegno. Gli ultimi discendenti di questi mitici personaggi possono essere considerati quei ragazzini che ancora oggi, tutti nudi sempre abbronzati d'estate e d'inverno, si tuffano per raccogliere con la bocca le monete gettate a mare da turisti ammirati  e, nello stesso tempo, preoccupati per la lunga apnea di quegli esili corpicini, più volte immortalati dal grande scultore Vincenzo Gemito.Un'altra leggenda famosa è quella di un famelico coccodrillo che, forse, al seguito di qualche nave, dopo aver percorso tutto il Mediterraneo, trovò alloggio nei sotterranei del Maschio Angioino, dove i castellani, accortisi della sua presenza, pensarono di utilizzarlo per sopprimere sbrigativamente i condannati a morte. Sebbene poco credibile, la storiella trovò accoglienza dai napoletani a tal punto che a lungo un coccodrillo impagliato fu appeso all'ingresso del Maschio Angioino.E qui si innesta una seconda leggenda secondo la quale i suoi pasti più sostanziosi erano costituiti dai numerosi amanti che la regina Giovanna, dopo l'amplesso, faceva precipitare giù, attraverso una botola, fino all'alloggio del famigerato coccodrillo. Ma, dobbiamo chiederci, questa assatanata regina Giovanna è mai esistita? Gli storici conoscono due sole regine: Giovanna D'Angiò e Giovanna di Durazzo, entrambe dai costumi sessuali alquanto disinibiti.A risolvere la querelle fu Benedetto Croce, secondo il quale la Giovanna della leggenda va ricercata nella sovrapposizione delle due Giovanne realmente esistite e miscelate, aumentando i difetti dell'una e dell'altra, fino a creare un terzo orripilante personaggio.

domenica 24 febbraio 2013

I misteri di Rennes le Château: intervista a Simone Leoni

(pubblicato per la prima volta sul sito de Il Genio Quotidiano)

di Vito Foschi

Intervistiamo il giovane studioso Simone Leoni esperto dei misteri di Rennes le Château e collaboratore delle riviste Fenix e Xtimes, leader nel settore e del portale Terra Incognita.
Simone Leoni

Vito Foschi: Sig. Leoni, il villaggio dell’Aude di Rennes le Château è diventato sinonimo di mistero dopo il successo planetario de “Il Codice da Vinci”. Come nasce il suo interesse per Rennes?

Simone Leoni: Il mio interresse per Rennes Le Château, incominciò prima dell’uscita del libro “Il Codice da Vinci”. Curiosando sul web trovai alcune fonti che parlavano appunto della storia di Berenger Saunière e da quel momento incominciai ad interessarmene sempre di più. L’ipotesi che Cristo e Maria Maddalena ebbero dei figli mi incuriosì molto e mi spinse a documentarmi. Comprai molti libri a riguardo, studiai la vicenda sotto alcuni punti di vista e incominciai a fare qualche ipotesi. Nel 2008 organizzai un convegno a Roma con ricercatori di fama nazionale tra cui Adriano Forgione direttore della rivista Fenix, Giorgio Baietti ed Enrico Baccarini, mentre nel 2011 sono stato relatore di un altro convegno sempre riguardo RLC (acronimo di Rennes Le Château) organizzato dal C.I.R (Centro Italiano Ricerche).

V.F.: In un suo recente articolo ha ipotizzato il passaggio o comunque una qualche forma di contatto di Bérenger Saunière, parroco del paesino francese e personaggio centrale dell’intera faccenda, con la città di Roma. Dall’esame di alcune vetrate e dalla presenza di alcune maestranze francesi a Roma lei ha ipotizzato questo legame. Ci può dire qualcosa in più?

S.L.: Si, certo. Nella chiesa di Sant’Eustachio situata a Roma, tra le varie opere che sono esposte, troviamo La Sacra famiglia al tempio di Gerusalemme di Pietro Gagliardi, Il Sacro cuore di Gesù di Corrado Mezzana, l’annunciazione di Ottavio Lioni, giusto per citarne alcuni. Oltre a queste opere, c’è n’è un'altra che ha catturato maggiormente la mia attenzione. Si tratta di una vetrata che raffigura la Maddalena penitente, ed a mio avviso è identica alla raffigurazione della medesima Santa che si trova nel basso rilievo dell’altare nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Rennes le Château. Chi conosce bene la storia di Rennes le Château sa che i lavori di restauro della chiesa di Santa Maria Maddalena sono stati effettuati verso la fine dell’ultimo decennio dell’800 e la vetrata di cui ho parlato prima è stata fatta proprio nello stesso periodo. Altra coincidenza è che i lavori che sono stati fatti nella chiesa di Rennes le Château sono stati fatti da Giscard di Tolosa, mentre la vetrata della chiesa di Sant’Eustachio è stata realizzata da Gabriel e Louise Gesta anch’essi di Tolosa. Fatalità? Ci sono altri elementi molto importanti di cui bisogna parlare. Il cardinale Pietro Colonna (nato a Roma nel 1260 e morto ad Avignone il 14 Agosto 1326) è stato il diacono della chiesa di Sant’Eustachio ed è stato presente al conclave dove venne eletto Celestino V. Come riportato da vari studiosi nei loro saggi, Bérenger Saunière quando andò a Parigi per far decifrare le pergamene che aveva trovato, passo anche al Louvre, dove comprò la riproduzione di 3 quadri: I pastori d’Arcadia di Nicolas Poussin, Le tentazioni di Sant’Antonio di Teniers e Il ritratto di Celestino V. Nel libro del professor Mariano Bizzarri intitolato Rennes Le Château, dal vangelo perduto dei Cainiti alle sette segrete[1], possiamo notare che un altro personaggio della famiglia Colonna aveva redatto un testo, il sogno di Polifilo, che venne “adottato” da una società segreta denominata “La sociètè Angèlique”, che sembra essere coinvolta nel mistero di Rennes le Château. Ultimo personaggio di cui bisogna parlare, è Giacomo Colonna, che nel 1307 fu cardinale presso la chiesa di San Lorenzo in Lucina. Casualità o no, dopo 358 anni, lì venne sepolto il maestro Nicolas Poussin.

V.F.: A Roma nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina troviamo la tomba di Nicolas Poussin che riproduce nella lastra tombale il quadro Et in Arcadia Ego, al centro dei misteri di Rennes. Quale è il possibile legame? E quale è la particolarità presente nella riproduzione del quadro nel marmo tombale?

S.L.: Il legame potrebbe riferirsi probabilmente ad una tomba particolare a mio avviso, perché di una tomba si tratta nel dipinto. Sappiamo sempre tramite i numerosi saggi dedicati a Rennes Le Château e alla sua “misteriosa” chiesa di Santa Maria Maddalena, che Bérenger Saunière durante l’epoca in cui commissionò i lavori di restauro nella sua chiesa, incominciò ad uscire dalla sua stanza a notte fonda, per recarsi nel cimitero del paese e scavare nelle tombe e a spostare i corpi di tomba in tomba tanto da scatenare la rabbia degli abitanti del paese. Tornando a parlare della tomba di Poussin dove c’è raffigurato il dipinto i Pastori D’Arcadia, si può solo dire che sulla tomba compare la scritta “Et in Arca Ego” e non “Et in Arcadia Ego” come ci dovrebbe essere scritto. Forse con quell’arca si intende arca dell’alleanza? È difficile a dirlo per ora.

V.F.: Non si potrebbe trattare di un semplice errore?

S.L.: Anche qui è difficile dare una risposta considerando che su questo mistero ci sono tanti punti interrogativi.

V.F.: Nei suoi studi si è concentrato sui possibili legami fra alcune profezie e gli interessi di Bérenger Saunière, monarchico conservatore e frequentatore di circoli più o meno occulti. Cosa ci può dire a proposito?

S.L.: Nel libro di Giorgio Baietti[2], che poi è stato la base iniziale per le mie ricerche, si parla anche della statua della Vergine Maria posta sopra il pilastro visigoto dove Saunière trovò le famose pergamene. Stando a quello che riporta il dott. Baietti nel suo libro, sopra la statua della Vergine compare un’iscrizione, in cui sarebbe scritto che la Madonna è l’Immacolata Concezione. Sempre lo scrittore ci informa che invece sotto il pilastro c’è scritto per ben due volte penitenza, penitenza, che sarebbe a suo avviso, e concordo con lui, il messaggio di Le Salette. Quindi sotto un certo aspetto Bérenger Saunière si interessò delle profezie Mariane. Senza poi contare, che lo scrittore, usando un metodo numerologico presso le stazioni della via crucis, ha riscontrato che il totale numerico risultava essere il numero della bestia. Per quanto riguarda invece l’ipotesi che Saunière facesse parte di circoli occulti, qui ci troviamo di fronte a ricercatori che sono convinti che lui ne facesse parte, e altri il contrario. A mio avviso lui in qualche modo era parte di queste società segrete, ma con quale reale scopo? Durante i miei studi, ho notato che c’è un'altra singolarità nella chiesa di Santa Maria Maddalena. Girovagando su internet le immagini dell’interno della chiesa, mi sono accorto di una cosa abbastanza inquietante a mio avviso. Nella chiesa troviamo la famosa statua del demone Asmodeo che viene come schiacciato dall’acquasantiera e sopra di esso troviamo 4 angeli che sono in procinto di farsi il segno della croce, e la scritta: con questo segno tu lo vincerai. Se prendiamo la stazione della via crucis numero 6 della chiesa di Santa Maria Maddalena, notiamo che Cristo ha la stessa postura della statua di Asmodeo, e che anche Cristo porta la croce quasi a fatica.

V.F.: Una breve considerazione finale. C’è ancora altro da scoprire nel piccolo paese dell’Aude o tutto quello che si poteva dire è stato detto?

S.L.: A mio avviso, ci sarebbe ancora da scoprire a Rennes le Château e dintorni, senza poi considerare che collegamenti analoghi alla storia di Bérenger Saunière sono stati riportati nel libro di Giorgio Baietti intitolato Lo specchio Inverso[3] per quanto riguarda ad Altare, nel Savonese. Quindi sotto un certo aspetto, credo che anche in Italia ci sia molto da scoprire a riguardo.

Ringraziamo Simone Leoni per il tempo che ci ha voluto dedicare sottraendolo alle sue ricerche, invitandolo a ricontattarci quando ci saranno sviluppi nei suoi studi.

 



[1] Mariano Bizzarri, Rennes le Chateau, dal vangelo perduto dei Cainiti alle sette segrete, edizioni Mediterranee anno 2005.
[2] Giorgio Baietti, L’enigma di Rennes Le Chateau e il tesoro perduto del Graal, edizioni Mediterranee, anno 2006.
 
[3] Giorgio Baietti Lo Specchio Inverso, edizioni L’età dell’acquario 2007