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venerdì 10 febbraio 2023

L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele

L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele di Luigi Angelino. Verso le origini misteriose e lontane della civiltà umana. Un libro di Stamperia del Valentino

Nel saggio introduttivo del volume L’epopea assiro-babilonese - Da Gilgamesh alla Torre di Babele di Luigi Angelino (I Polifemi, Stamperia del Valentino), Edoardo Tinto ci parla della storia assiro-babilonese, ma anche della loro stupefacente religione, spiega infatti che essa “si basava in massima parte sulla loro famosa dottrina. I sacerdoti assiri - che erano propriamente detti Caldei - rappresentavano nello stesso tempo i loro savi, detentori del sapere. Questi, come narra Diodoro Siculo, affermavano di antivedere il futuro”. E non solo, interpretavano i sogni, spiegavano i fenomeni della natura e “presagivano il bene e il male agli uomini e alle nazioni”.

Le scoperte archeologiche nell’area mesopotamica hanno contribuito a farci comprendere lo sviluppo culturale di questa civiltà. Prima del diciannovesimo secolo le conoscenze di cui disponevamo si basavano su fonti greche ed ebraiche non proprio attendibili.

L’epopea di Gilgamesh, che è da considerarsi il testo più importante della tradizione assiro-babilonese giunto fino a noi, fu scoperta a metà Ottocento e narra le imprese del mitico re di Uruk, descrivendo fatti mitizzati, risalenti alla fine del terzo millennio a.C., ma secondo alcuni interpreti anche più antichi. Profonda è l’influenza che questo testo ha avuto sugli scritti biblici, soprattutto sui primi cinque libri della tradizione masoretica. Il legame della cultura assiro-babilonese con quanto narrato nella Bibbia è ancora più evidente nel racconto della torre di Babele, divenuta il simbolo della superbia umana a cui corrisponde la punizione divina della confusione degli idiomi. L’epopea di Gilgamesh e la torre di Babele ci portano verso un’epoca lontana e misteriosa, alle origini della civiltà umana, di cui ancora sappiamo troppo poco.

“Epopea di Gilgamesh è il titolo attribuito dagli studiosi moderni a un ciclo epico di ambientazione sumerica, che risale in maniera presuntiva a circa 4.500 anni fa, in quanto la data di elaborazione più probabile è individuata tra il 2600 e il 2500 a.C.”, spiega Angelino. La redazione del poema avvenne in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla di diverse versioni, e sono giunte fino ai nostri giorni seguendo varie vie e provenienze. Composto secoli prima dell’Iliade e dell’Odissea, “costituisce il più antico e significativo esempio di elevazione spirituale della civiltà umana” in grado di influenzare non solo le varie culture successive, ma la stessa Bibbia.


L’autore

Luigi Angelino nasce a Napoli, dove si laurea in Giurisprudenza. Nel 2017 pubblica il romanzo “Le tenebre dell'anima”, nel 2018 la sua versione inglese “The darkness of the soul” e la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”. Nel 2019, il thriller filosofico-teologico, “La redenzione di Satana I-Apocatastasi”. Nel 2020, “L'arazzo dell'apocalisse di Angers” e “Pandemia - Il mondo sta cambiando”, nonché il racconto dedicato a sua madre, “Anna”.

Nel 2021 ha prodotto “Nel braccio di Orione”, un viaggio onirico attraverso il sistema solare, “La redenzione di Satana II - Apostasia”, “La ricerca del divino”. Nello stesso anno è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana. Del 2022 è il volume “Sulla fine dei tempi” per Stamperia del Valentino.


La casa editrice

Editore dal 2002, Paolo Izzo, alter-ego della Stamperia del Valentino, gestisce con estremo rigore le scelte editoriali della sua “creatura”. Il risultato è un catalogo di alto profilo sia nell’ambito della cultura napoletana, che in quello della produzione di stampo umanistico, esoterico e storico.

La Stamperia del Valentino vuole riportare all’attenzione del pubblico la Napoli colta, folkloristica e letteraria. A tal proposito seleziona opere rivolte al curioso colto come allo studioso, con un occhio all’originalità e completezza dei temi proposti.


Titolo: L’epopea assiro-babilonese
Sottotitolo: Da Gilgamesh alla Torre di Babele
Autore: Luigi Angelino
Saggio introduttivo: Edoardo Tinto
Collana: I Polifemi
Prezzo: € 12,00
Pagine: 94
ISBN: 979-12-80721-11-2 


giovedì 12 gennaio 2023

Un uomo provò a "sfidare" Dio: ecco cosa sappiamo su Babele

tratto da "Il Giornale" del 21 Marzo 2021 

Quello della torre di Babele e del sovrano della città punita da Dio, Nimrod, è un mito senza tempo. Che grazie alla casa editrice "L'Ippocampo" rivive in forma di graphic novel

Andrea Muratore

Un sovrano, la sua città, un monumento all’ambizione umana, una punizione divina. Il topos che unisce questi elementi è comune a molti miti e leggende dell’antichità, che hanno nella storia biblica della Torre di Babele il loro esempio classico.

Babele, che nella Bibbia non è altro che la mitica Babilonia, è al centro di un racconto narrato nell’undicesimo libro della Genesi: “Tutta la terra”, narrano le Scritture, aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Contravvenendo così all’imperativo ordine di Dio, che cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre aveva imposto a loro e ai successori di disperdersi per il mondo.

Nella città, Babele, gli uomini tentarono di ergersi al livello di Dio, con un vero e proprio “assalto al Cielo” la cui materializzazione fu l’edificazione della mitica Torre di Babele, che provocò la risposta diretta del creatore: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”. Dio divise i popoli, le lingue, le culture per punire la hybris, la tracotanza di una stirpe che aveva osato sfidare i suoi imperativi. La Genesi non fa riferimenti diretti al nome dell’uomo che guidò l’impresa, ma nel Talmud babilonese, il nome di uno dei figli di Cam, e dunque membro della stirpe di Noè, chiamato Nimrod è così commentato: "Perché, allora, fu chiamato Nimrod? Perché istigò il mondo intero a ribellarsi (himrid) alla Sua sovranità [di Dio]".

La Genesi, nel capitolo 10, cita Babele tra le città interne al regno di Nimrod. E per questo la tradizione ha associato la sua figura a quella della mitica città che osò sfidare Dio. Un racconto vivo nella memoria collettiva della civiltà plasmata dalla cultura ebraica e cristiana che, recentemente, è stato riproposto anche in forma grafica: Re e Regine di Babele è il titolo di un recente album illustrato realizzato da François Place per la casa editrice “L’Ippocampo” che si apre proprio col riferimento alla figura di Nimrod.

Nimrod, scrive Place, nella storia a tavole guida i suoi seguaci in un bosco all’inseguimento di un cervo bianco e, giunto su una scogliera a picco sul mare, la usa come bastione attorno a cui edificare una torre e, incardinata sulle sue rocce, una città. Quella torre e quella città altro non sono che la mitica Babele, e il racconto prosegue con le nozze di Nimrod con una principessa, Zelia, e la nascita di una dinastia di sovrani che avrebbero governato a lungo la città. Immersi in un’atmosfera fuori dal tempo, con guerrieri, stendardi e cinte murarie che richiamano la foggia medievale sulla scia del racconto di stampo biblico. Profonda fascinazione del mitico “C’era una volta” che proietta fuori dal tempo e dallo spazio le storie, creando il mito. Un mito che, quando si parla di Babele, inevitabilmente attrae. Forse perché nato alle sorgenti della civiltà, da cui sono iniziati a scorrere fiumi giunti, carsicamente, fino ai giorni nostri, attraverso la creazione di una comune costellazione di riferimenti culturali, valoriali, religiosi, un’accumulazione di archetipi e punti di riferimento. Forse perché prova a dare una risposta al mistero profondo della diversità tra popoli e stirpi.