lunedì 29 maggio 2023

L’albero sacro delle fate

 Di Nicoletta Camilla Travaglini


Si narra in una leggenda che, Giovanna D’Arco, durante un temporale, si fosse rifugiata sotto un enorme albero, dove, avrebbe incontrato le Norne o Parche che le avrebbero mostrato il proprio destino. Le voci che essa sentiva, secondo quanto si narra in questo racconto tradizionale fossero, in realtà, i suggerimenti di queste divinità che vivevano sotto l’albero cosmico o Yggdrasil. Secondo Antony S. Mercatante esso è: 

“Yggdrasil, il cavallo del terribile, oppure, il destriero  di Odino, nella mitologia nordica, il grande albero di frassino cosmico, conosciuto anche come l’albero del mondo. L’Edda di Snorri lo descrive come << il più grande e il migliore degli alberi. Suoi rami, estesi su tutto il mondo, s’innalzano oltre il cielo. Ha tre radici molto grandi. Una si estende fino agli Asi …, un’altra fino ai Giganti del Ghiaccio dove prima c’era Ginnugagap (l’abisso primordiale), la terza poggia su Niflheimr (la terra delle brume fredde e oscure), e sotto la sua radice, costantemente rosicchiata da Nidhogg( il drago), c’è Hvergelmir.>> In cima all’ Yggdrasill c’è un’aquila appollaiata. In mezzo agli occhi dell’uccello c’è un falco, Verdurfolnir. Uno scoiattolo chiamato Ratatosk corre su e giù per l’ Yggdrasill, cercando di far litigare l’aquila e Nidhogg. Quattro cervi … passano da un ramo all’altro mangiando i suoi germogli. Le Norne siedono sotto la fonte Urdar, situata alla terza radice dell’albero”.[1]

Sostiene Laura Rangoni , a proposito di questa leggenda: 

“Ecco alcuni dell’interrogatorio che mi pare siano particolarmente indicativi: “Vicino a Dorèmy c’è un albero, lo chiamano l’albero delle Dame oppure, talvolta, l’albero delle Fate. Lì nei pressi c’è una sorgente. Ho sentito dire che gli ammalati vanno a bere l’acqua di quella sorgente per riacquistare la salute. Qualche volta sono andata con altre ragazze a fare delle ghirlande di foglie per adornare la statua di Nostra Signora di Dorèmy. I vecchi raccontano che le fate venivano a chiacchierare  vicino all’albero. Ho sentito la Jeanne Aubry, che era la moglie del podestà e mia madrina, raccontare a me che vi sto parlando, di aver veduto le fate in quel posto. Ma io non so se questo sia vero. Ho visto delle ragazze al mio paese posare ghirlande di fiori sui rami dell’albero e, quindi, qualche volta l’ho fatto anch’io con loro; certi giorni ce li portavamo via con noi, altre volte le lasciavamo là.” [2]

La leggenda relativa a Giovanna D’Arco e le Parche sembra richiamare alla memoria una leggenda abruzzese tramandata per generazioni e generazioni all’interno di una cerchia familiare, dove si riprende la leggenda delle fate della Majella, e secondo tale racconto, pare che, un loro componente, abbia incontrato le fate superstite. Secondo quando dice la leggenda le fate avevano fatto adirare, con il loro comportamento disinvolto le divinità che abitavano sulla montagna Madre abruzzese la Majella e per questo furono punite. Queste donne magiche furono intrappolate all’interno della montagna e per la precisione nell’antro chiamato grotta del Cavallone o figlia di Jorio in omaggio al grande vate abruzzese Gabriele D’Annunzio, però non tutte le fate rimasero prigioniere, infatti alcune di esse fuggirono e si rifugiarono all’ombra di un grande albero che si trovava nella zona di Roccascalegna, proprio di fronte all’ingresso murato della grotta. 
Si racconta che, un giorno d’estate una donna, andò a lavorare nei campi vicino a una quercia. Ella era intenta nel lavoro di coltivazioni quando all’improvviso, vide delle ragazze discinte danzare intorno alla pianta, la donna si avvicinò loro, ed esse le dissero di seguirla, ma la contadina si rifiutò categoricamente e… queste, dopo averla colpita con forza sul viso, le chiesero se aveva un desiderio da realizzare, la donna chiese di poter fare tutto ciò che voleva e così… da quel giorno, le fu donata una forza straordinaria. 
La contadina, infatti, con la sola forza  del pensiero riuscì a trasportare  una macina per la spremitura delle olive notevolmente pesante dalla roccia del castello di Roccascalegna, dove fu prelevata fino al luogo dove ha operato per molti anni e, dove, ancora oggi la si può vedere. La donna sotto effetto del sortilegio, la notte munita di un fucile e con l’ausilio di uno sparuto gruppo di uomini, girava per le stradine del paese e dei boschi limitrofi per cercare le malefiche creature della notte, le streghe nemiche giurate delle fate oppure le fate stesse?! Il racconto, purtroppo non ce lo dice!
Era un Venerdì Santo, quando la donna intenda a zappare in compagnia del padre iniziò a schernirlo per la fiacca con cui dissodava la terra, e questi, in preda alla collera, la colpì con il manico della zappa. La donna cadde a terra tramortita, ed il padre continuò a lavorare nei campi senza preoccuparsi della sorte della sciagurata! Di lì a poco arrivò la madre che vide la figlia priva di sensi appoggiata ad un pozzo, chiese spiegazioni al marito il quale le chiarì la dinamica dell’accaduto e la madre in preda al panico, per la presunta morte della figlia, si mise a strepitare! Le grida della genitrice richiamarono un gruppo di fedeli ed il parroco che stava officiando una funzione religiosa nelle vicinanze, questi si precipitarono sul luogo dell’accaduto ed il prete iniziò a darle l’estrema unzione, pensandola morta, questa, però, raggiunta da una goccia di acqua santa, si risveglio improvvisamente e iniziò a vomitare alcune ciocche di capelli biondi e da quel momento la donna tornò ad avere un comportamento normale per i canoni dell’epoca!
Molte persone che hanno conosciuto questa donna, realmente vissuta a cavallo tra otto e novecento, parlano di lei come di una virago che in diverse occasioni è stata in grado di salvare la vita ai suoi cari; si dice che una volta la sua famiglia era a digiuno da diversi giorni perché una forte nevicata seguita da una altrettanto rigida gelata aveva fatto ghiacciare tutto, impedendo di raccogliere i frutti di Madre Terra.
La donna in preda allo sconforto uscì di casa e rientrò poco dopo con delle verdure miracolosamente salvatesi dalla forte gelata!

[1] MERCATANTE, S. Antony Dizionario Universale dei Miti e delle Leggende Newton e Compton edizioni 2001 pag. 660

[2] RANGONI, Laura, Le Fate , Xenia tascabili, 2004, pagina

martedì 23 maggio 2023

Gabriele D’Annunzio Iniziato

Gabriele D’Annunzio Iniziato - I Geni del Tempo e le vie del Sole” di Carlo Gentile, con una relazione introduttiva di Luca Valentini. In libreria da aprile 2023 per Stamperia del Valentino


“Obiettivo dello studio sarà di enucleare come nella poetica dannunziana - ed in particolar modo nelle Laudi ma non solo - si ritrovi una particolare forma espressiva, che denomineremo “metrica estatica”, simboleggiante un particolare approccio sacrale ed esoterico del Vate”, scrive Luca Valentini nell’introduzione al volume di Carlo Gentile, “Gabriele D’Annunzio Iniziato - I Geni del Tempo e le vie del Sole”, edizioni Stamperia del Valentino (collana I Polifemi, euro 12,00 - pagg 86). L’articolata e colta prefazione di Valentini e lo studio di Gentile, datato 1948, vanno a indagare gli aspetti misterici celati nell’opera e nella vita di Gabriele D’Annunzio, prima posto sugli altari della cultura patria, poi ostracizzato come retorico rappresentante di una cultura reazionaria e fascista, oscurandone i reali, potenti valori letterari e poetici.

Questo volume, oltre ad analizzare il vissuto iniziatico del Vate e le interrelazioni con la sua opera, spera di contribuire a infrangere quel muro di silenzio che ha, fino in tempi recenti, oscurato la figura di un gigante della letteratura italiana come del suo pensiero.


La casa editrice

Editore dal 2002, Paolo Izzo, alter-ego della Stamperia del Valentino, gestisce con estremo rigore le scelte editoriali della sua “creatura”. Il risultato è un catalogo di alto profilo sia nell’ambito della cultura napoletana, che in quello della produzione di stampo umanistico, esoterico e storico.

La Stamperia del Valentino vuole riportare all’attenzione del pubblico la Napoli colta, folkloristica e letteraria. A tal proposito seleziona opere rivolte al curioso colto come allo studioso, con un occhio all’originalità e completezza dei temi proposti.


Titolo Gabriele D’Annunzio Iniziato
Sottotitolo: I Geni del Tempo e le vie del Sole
Autore: Carlo Gentile
Prefazione: Luca Valentini
Collana: I Polifemi
Prezzo: € 12,00
Pagine: 86
ISBN:  979-12-80721-33-4
Disponibilità: Aprile 2023


La Collana

Il ciclope Polifemo - che sembra risiedesse nella napoletana isoletta di Nisida - dovette il suo nome alla propensione al “molto parlare”. Un chiacchierone, dunque, stando all’etimo greco polì-femì. Questa collana mutua dal mitico personaggio omerico l’interpretazione più nobile di quel nome, in - tendendo proporre libri piccoli (nei costi e nel formato) ma che “hanno molto da dire” e che quindi vale la pena di “ascoltare”.


Della stessa collana

Guarda il catalogo: www.stamperiadelvalentino.it

domenica 14 maggio 2023

L’ombra del Gran Maestro

Di Nicoletta C. Travaglini

La maestosa e ieratica abbazia di San Giovanni in Venere sorge nel territorio di Fossacesia, una stupenda cittadina abruzzese vicino al mare. “La tradizione vuole che, ovviamente supportata anche da ritrovamenti archeologici, tale luogo sacro si erga sui ruderi di un preesistente tempio pagano dedicato Venere Conciliatrice, culto risalente IV secolo a.C., fatto rimarcato anche nel toponimo Portus Veneris, che indicava un porto posto alla foce del fiume Sangro durante la dominazione bizantina, vicino ad un nucleo abitato chiamato Vico Veneriis lungo la via Traiana. Un'altra leggenda sostiene che il primo nucleo di questo luogo di culto fosse costituito da piccolo ricovero per frati benedettini, provvisto di una cappella, fatto innalzare da frate Martino intorno 540 dopo aver fatto abbattere il tempio di Venere, che versava in avanzato stato di abbandono per costruirvi una piccola cappella intitolata a San Giovanni e la Vergine Maria. Nel 973 il conte di Teate, Trasmondo I, dispose che il monastero ricevesse delle cospicue rendite tali da trasformarlo, così, da un piccolo ricovero in un potente ed opulento monastero. Con l’avvento del cristianesimo, questo luogo fu abitato da eremiti e uomini pii, e secondo un antica leggenda pare che alcuni monaci greco-ortodossi, durante la guerra iconoclastica nel VII secolo, emigrarono in maniera massiccia fino a giungere sulle coste di Fossacesia; tra loro vi erano anche i monaci basiliani, gli stessi che fondarono la chiesa di San Longino a Lanciano poi divenuta la chiesa del Miracolo Eucaristico, che presero possesso di quello che restava dell’antico tempio di Venere, facendolo diventare un luogo di culto cristiano dedicato alla Madonna. Anche se questo illuminato conte fece in modo che da una semplice e povera “cella”, essa si trasformasse in un monastero, la sua fondazione e come la sua opulenza vanno attribuiti al conte teatino Trasmondo II che agli inizi dell’anno Mille, dopo sostanziose prebende, rese possibile la formazione di un solida struttura religiosa, economica, autonoma governata da abati. Come segno di gratitudine nei confronti del conte i monaci, alla sua morte, sopravvenuta nel 1025, lo seppellirono nella cripta dove tuttora riposa. Se risulta un pochino complicato possedere dati certi sulla sua fondazione e sulla sue prime fasi della sua esistenza, vi sono precisi riferimenti storici relativi alle sue fasi costruttive che vanno dal 973 fino al 1204 circa, dove raggiunse il suo culmine con l’abate Oderisi II il Grande. I secoli tra il X e l’XI furono molto importanti per la crescita religiosa, culturale ed economica dell’abbazia la quale divenne in breve tempo uno dei più fiorenti luoghi di culto centro-meridionali annoverando tra i suoi possedimenti oltre duecento feudi sparsi in diverse zone d’Italia e fuori dal nostro territorio nazionale come ad esempio in Dalmazia.  Nel periodo in cui essa stava consolidando il suo potere e la sua fama, nella seconda metà dell’anno Mille circa, il terzo abate Monastico, Oderisio I, appartenete alla famiglia degli Pagliara, ramo secondario dei Conti dei Marsi, i quali a loro volta rappresentavano un ramo cadetto della più gloriosa e prestigiosa famiglia dei Di Sangro, aveva già fatto allestire una fiorente e ricca biblioteca, una ottima scuola retta dai confratelli; fortificò, attraverso fossati, torri e mura la chiesa, costruì ospedali ed officine, ma soprattutto, fondò la cittadina di Rocca San Giovanni, che  divenne, in
breve tempo il più fiorente ed opulento possedimento della badia ed oggi nella chiesa madre di Rocca San Giovanni vi sono molte reliquie e volumi che facevano parte del ricco tesoro dell’abbazia di San Giovanni in Venere. La famiglia di Sangro a cui apparteneva, come abbiamo detto, anche Oderisio I, discendeva direttamente da Carlo Magno e che annoverò nel loro albero genealogico anche Papi e Santi. Questa potente ed antichissima casata discende dai duchi di Borgogna che a loro volta erano di stirpe carolingia, longobarda e, naturalmente, normanna. Questi nobili, ovviamente, furono legati da vincoli strettissi alla Chiesa e in special modo al potente, ricco e stimato ordine Benedettino. Nel IX secolo essi, vennero in Italia e si stabilirono maggiormente negli Abruzzi, ove riuscirono a conquistare e, quindi, a governare diversi feudi e contee, prendendo il titolo di “Conti dei Marsi”.
I nomi dei conti dei Marsi erano Bernardo, Oderigi, Teodino, Trasmondo che si possono incontrare in molti documenti del XI e del XII secolo. In un atto notarile del agosto del 981, conservato a Montecassino, Teodino ed i suoi fratelli Rainaldo e Oderisio risultano i conti di Marsia; si divisero i loro territori nel seguente ordine: Teodino divenne conte di Rieti e Amiterno, Rainaldo conte della Marsia e Oderisio Conte di Valva. Oderisio diede origine a tre grandi rami: una discendenza si stanziò nella zona del Sangro con la linea Borrello, la più grande, che si diffuse in tutto l’Abruzzo Centrale dando vita a Prezza e a Raiano, alle linee separate di Gentile; un secondo ramo si trasferì in quello che oggi è la provincia di Teramo; conosciuti come i conti di Palearia o Pagliara, annoveravano tra i membri della loro famiglia Berardo, vescovo di Teramo e Oderisio di Palearia che alla metà del sec. XIII fu nominato dal Re “Giustiziere d’Abruzzo”. Il terzo ramo si stabilì a Valva vicino Sulmona. Nel 1250 pochi erano i sopravissuti di questa discendenza, così la famiglia d’Ocre vide distrutto il suo antico castello come fu in precedenza per i Barili, i quali insieme ai succitati d’Ocre si rifugiarono all’Aquila. Gli altri rami della famiglia come i Borello e di Sangro si ritirarono in Sicilia. Trasmondo, vescovo di Valva e Abate di San Clemente a Casauria era figlio di Oderisio conte de’Marsi e fratello di Oderisio abate di Montecassino e di Attone, vescovo di Chieti. L’Abbazia di San Giovanni in Venere annovera due membri di questa famiglia, oltreché la permanenza del Vescovo di Teramo Berardo. All’inizio del 1500 essi ottennero il titolo di marchesi, alla fine dello stesso secolo divennero Duchi e pochi anni dopo questo titolo acquisirono, anche, quello di Principi, governando, il loro vastissimo impero in maniera tirannica, dispotica e violenta! Nel loro albero genealogico, vi sono presenti anche figure di spicco come Oderisio, San Bernardo di Chiaravalle fondatore dei Templari, Santa Rosalia, Innocenzo III, Gregorio III, ideatore e iniziatore della Santa Inquisizione, Paolo IV Carafa,  che contrastò in tutte le maniere l’Ufficio della Santa Inquisizione, Benedetto XIII. Sempre della stessa famiglia dei di Sangro, come si è potuto ampiamente vedere, Oderisio II “il Grande”, portò enorme lustro all’abbazia attraverso mezzo secolo circa di conduzione del luogo sacro, incrementando le opere degli abati precedenti ed iniziando i lavori di ampliamento conferendogli la struttura architettonica attuale e per tali meriti sono ricordati in un epigrafe posta sulla facciata principale della badia.” (1)
Questo luogo sacro è custode, secondo alcune leggende, di molti misteri come del Graal ad esempio; però si sussurra che essa custodisca la tomba di un Gran Maestro dei Templari:
“Viene spesso menzionato come l'unico Gran maestro italiano e infatti, sebbene non si abbiano notizie certe sulle sue origini, oltre a ritrovarlo in vari documenti dell'epoca come "Tommaso Berardi", sappiamo che la potente famiglia dei  Berardi, noti come Conti dei Marsi, in quel tempo dominante su gran parte dell'Abruzzo, aveva tra i suoi discendenti un maestro dell'ordine templare, Pietro di Ocre. Tommaso Berardi venne eletto nel 1256 Gran maestro, sotto il pontificato di papa Alessandro IV, succedendo a  Renaud de Vichiers . Esercitò le sue funzioni in circostanze non facili, impelagato da una parte nelle questioni sorte con l'ordine degli  ospitalieri e dall'altra assistendo impotente ai progressi del sultano mamelucco  Baybars al-Bunduqdari, che, poco a poco, obbligò i cristiani della Palestina a ritirarsi tra le mura di San Giovanni d'Acri, ultimo baluardo del Regno di Gerusalemme. In Italia fu attivo nella riorganizzazione dell'ordine successiva al mutare del destino delle crociate e degli ordini cavallereschi sorti con esse.” (2)
Quindi il Gran Maestro Tommaso Berardi faceva parte di una delle famiglie più potenti ed influenti dell’epoca tra cui si annoverano due personaggi molto particolari: Tommaso D’Ocre e Tommaso da Celano, ma chi sono questi due personaggi appartenenti a questa illustre dinastia? “Appartenente alla famiglia nobile degli Ocre, nacque nell'omonima località nel XIII secolo ed entrò a far parte della Congregazione dei celestini, diventando abate di San Giovanni in Piano ad  Apricena . Fu creato cardinale presbitero nel concistoro del 18 settembre 1294, l'unico tenuto da papa Celestino V nel suo breve pontificato, con il titolo di Santa Cecilia; accettò il cardinalato, seppur non desiderandolo. Partecipò poi al conclave del 1294, che elesse papa Bonifacio VIII, e fu camerlengo di Santa Romana Chiesa e cardinale protopresbitero. Nelle bolle pontificie promulgate tra il 21 giugno 1295 e il 27 giugno 1298 si ritrova la sua sottoscrizione. Nel 1296 celebrò i funerali dell'ex pontefice Celestino V nel castello Longhi a  Fumone. Il 23 maggio 1300 scrisse il suo testamento e morì a Napoli pochi giorni dopo, il 29 maggio. Fu sepolto a  Ferentino  nel monastero di Sant'Antonio Abate.” (3)
Il conte Tommaso da Celano invece:
“Tommaso nacque intorno al 1180 da Pietro Berardi, conte di Albe e Celano, e da madre appartenente alla famiglia comitale dei Palearia, di cui non se ne conosce l'identità. Pietro apparteneva alla dinastia dei  Berardi , tra i principali feudatari dell'Italia centrale, stabilitisi inizialmente nella  Marsica, ma con l'ambizione di estendere i propri domini tra la Marca di Ancona e  Civitate  in Puglia, al fine di controllare le vie di comunicazione tra lo Stato Pontificio e i porti sull'Adriatico. In tale prospettiva Pietro cominciò a tessere un'alleanza con Federico II di Svevia, all'epoca re del Regno di Sicilia e protetto dal papa Innocenzo III, sebbene in passato fosse avverso agli Svevi. Con lo stesso obiettivo, nel 1194 Tommaso sposò Giuditta di Molise, figlia di Ruggero, l'ultimo conte normanno di Molise, al fine di allineare i due feudi alle mire regionali di Pietro. Quando nel 1210 il neo imperatore Ottone IV di Brunswick discese in Italia per rivendicare il ducato di Puglia e Calabria da Federico, Pietro rinnegò il recente supporto a Federico e si schierò al fianco di Ottone, ottenendo così la Marca di Ancona e la carica di capitano e maestro giustiziere del Regno. Nel 1212, alla morte del padre, Tommaso ricevette la contea di Albe, mentre il fratello maggiore Riccardo [1]  divenne conte di Celano. Nonostante le volontà paterne, Tommaso non rinunciò a farsi chiamare anche conte di Celano, entrando in contrasto con il fratello Riccardo. Nel 1213 Ruggero di Molise morì e il genero Tommaso venne nominato conte di Molise. Tommaso continuò sulla stessa linea politica avviata dal padre, tuttavia la situazione internazionale non era più favorevole ad Ottone. Scomunicato dal papa nel 1210 per l'aggressione ai domini di Federico II in Italia meridionale, nel 1211 questi era dovuto tornare in Germania per fronteggiare il malcontento dei principi tedeschi sobillati sempre da Innocenzo III; questi inoltre incoronò il giovane Federico come nuovo re di Germania in vece di Ottone. Le fortune di Ottone ebbero fine con la sconfitta nel corso della battaglia di Bouvines del 1214 in cui aveva attaccato il Regno di Francia che sosteneva Federico; Ottone dovette abdicare dal trono imperiale che fu lasciato a Federico II. A causa della caduta del loro protettore, Tommaso perdette la Marca di Ancona che il papa assegnò ad  Aldobrandino I d'Este [2]. Al fine di ricucire i rapporti con il papato, il Celano desistette dal tentativo di riprendere la Marca ma concentrò i propri sforzi nell'ampliare e consolidare i suoi possedimenti nella Marsica e in Molise, dove rafforzò le fortificazioni dei centri più importanti come Celano, Ovindoli, Bojano e Roccamandolfi. In tale contesto tuttavia gli attriti con il fratello Riccardo tennero costantemente impegnato Tommaso. Nonostante questi fosse riuscito a scacciare l'avversario dalla contea di Celano, di cui Riccardo mantenne solo il territorio di Tocco, le scaramucce tra i fratelli cominciarono a preoccupare il papato, dove il nuovo papa Onorio III sollecitò più volte la riappacificazione tra i due, coinvolgendo nella diatriba anche Federico II, al quale suggerì di accettare le proposte di Tommaso. Federico tuttavia guardava con fastidio l'operato di Tommaso, in quanto contrario alla sua politica accentratrice dell'amministrazione del Regno e di riduzione del potere dei feudatari locali, tra i quali Tommaso era il più forte. Inoltre in occasione dell'incoronazione di Federico ad imperatore, avvenuta nel 1220 a Roma nella basilica di San Pietro, Tommaso non presenziò alla cerimonia, mentre Riccardo, a capo di una delegazione di baroni locali, donò costosi cavalli da guerra e portò le sue lagnanze contro il fratello al cospetto dell'imperatore. Federico, preoccupato inoltre del potere di Tommaso in quella vasta e strategica area, decise quindi di contestare al conte i diritti su Albe e Celano; questi inviò il proprio figlio Rao a Roma dall'imperatore per rimediare all'incidente
diplomatico e avanzò delle richieste che Federico gli rifiutò. A questo punto Tommaso, certo dello  scontro con l'impero e forte di 1500 soldati, si ritirò a Roccamandolfi, mentre la moglie Giuditta ed i  figli rimasero a comandare la resistenza presso la rocca di Bojano. Nel frattempo nel 1221 morì Riccardo, il legittimo conte di Celano, e gli successe in modo formale il fratello Tommaso. Il primo ad  attaccare fu Federico che nel 1221 guidò personalmente l'attacco a Bojano. La cittadina si consegnò alle truppe imperiali ma Giuditta resistette nella rocca, certa dell'intervento del marito in suo soccorso. Allo stesso tempo i soldati di Federico con il sostegno di baroni locali a lui fedeli attaccarono tutte le roccaforti di Tommaso, tra le quali soltanto Celano ed Ovindoli si opposero all'imperatore. Il conte con una manovra a sorpresa tornò con le proprie truppe a Bojano dove sorprese i soldati imperiali e li mise in fuga, liberando la moglie ed i figli dall'assedio della rocca. La città di Bojano fu incendiata per punire il tradimento, e Giuditta seguì il marito a Roccamandolfi. Federico, saputo della sorte toccata a Bojano, inviò uno dei suoi migliori capitani, il conte Tommaso I d'Aquino, maestro giustiziere di Puglia e Terra
di Lavoro, ad assediare le roccaforti di Bojano, che cadde sotto gli attacchi, e Roccamandolfi. Per una seconda volta Tommaso riuscì nottetempo a fuggire da Roccamandolfi e, con l'aiuto di Rinaldo d'Anversa, raccolse nuove forze e sbaragliò le truppe imperiali, spesso in superiorità numerica, in varie aree del contado grazie a veloci scorrerie. I paesi che si erano consegnati a Federico o che gli avevano  dato sostegno vennero saccheggiati, tra questi vi erano Paterno, San Benedetto dei Marsi e l'abitato di  Celano. Quest'ultimo venne raggiunto con una mossa a sorpresa passando per i tratturi del  Macerone e poi quello di  Pescasseroli  che permise a Tommaso di liberare i celanesi rimastigli fedeli che si erano asserragliati nella rocca di Celano sul monte Tino. Le vittorie di Tommaso ebbero breve durata; le truppe imperiali ricevettero nuovi rinforzi da Stefano di Montecassino e da Rainaldo Gentile, arcivescovo di Capua, che riuscirono ad accerchiare il conte.
Anche Giuditta, asserragliata nella rocca di Celano, cominciava a patire il lungo assedio quando i viveri a disposizione degli assediati divennero scarsi. Pressato da simili disordini in Sicilia e desideroso di porre fine alle lotte con Tommaso, Federico in persona cercò di persuadere Giuditta ad indurre il marito alla resa offrendole un salvacondotto: questa accettò l'offerta per lei e la sua gente della rocca di Celano, ma non riuscì a far capitolare il conte. La soluzione all'intricata vicenda arrivò tuttavia poco dopo la dipartita dell'imperatore dalla sua ambasciata con Giuditta, nel 1223. Il 25 aprile i rappresentanti imperiali, tra cui il gran maestro dell'Ordine teutonico Ermanno di Salza, proposero un accordo al Celano che questi accettò e che fu garantito dal papa e dai cardinali che parteciparono alla trattativa. L'accordo prevedeva che Tommaso consegnasse all'imperatore Celano, Serra di Celano, Ovindoli e San Potito, conservando la contea di Molise a beneficio della moglie e dei figli. A Tommaso infatti venne imposto un esilio di tre anni a Roma, mentre l'intero apparato militare del conte venne smantellato. A Tommaso venne conferito il giustizierato nel territorio della contea, ma l'imperatore si riservò il diritto di distruggere i suoi castelli per evitare possibili rivolte. Effettivamente Federico, una volta evacuati gli abitati, distrusse l'abitato di Celano ad esclusione della chiesa di San Giovanni; i celanesi furono esiliati in Sicilia, Calabria e Malta, dove resteranno fino al 1227. Quindi Federico II, per intercessione del papa Onorio III, permise ai celanesi di tornare in patria; il nuovo paese sorse ai piedi del monte Tino e per ordine di Federico II fu battezzata Cesarea; dopo la morte dell'imperatore, avvenuta nel 1250, fu ripristinato l'antico nome. A tutela dell'accordo preso, Tommaso inviò suo figlio assieme al figlio di Rinaldo d'Anversa (anch'esso ambiva al recupero dei territori persi a favore dell'impero) presso Ermanno di Salza; questi avrebbe consegnato i due fanciulli a Federico nel caso il trattato non venisse rispettato.
L'accordo prevedeva anche che Tommaso partecipasse alla crociata che Federico preparava con il re di Gerusalemme Giovanni di Brienne, alla quale però il Celano non prese mai parte. Una volta che Tommaso fu trasferito a Roma al servizio della Santa Sede, Giuditta fece ritorno nel contado di Molise e il suo rango fu restaurato; alcune fonti riportano che Giuditta funse da reggente per conto del figlio Ruggero ancora bambino. Nel 1227 salì al soglio papa Gregorio IX che dimostrò sin da subito la propria avversione nei confronti di Federico II. Già nel 1228 il papa dovette respingere gli attacchi del reggente dell'imperatore impegnato in Terrasanta,  Rainaldo di Spoleto, e chiese a Tommaso di prendere il comando delle forze pontificie. Questi, alla testa di 500 cavalieri, invase la Terra di Lavoro e a sorpresa sbaragliò le difese comandate dal giustiziere della Magna Curia Enrico di Morra davanti a Montecassino, riprendendo possesso in qualche modo dei suoi vecchi territori per qualche tempo. Infatti con il ritorno di Federico dalla crociata nel 1229, le forze imperiali ricacciarono le truppe pontificie e il ruolo di Tommaso venne ridimensionato, nonostante i tentativi successivi del papa di restituirgli i vecchi titoli che vennero suddivisi in nuove baronie e possedimenti. Con la pace di San Germano del 1230 vennero temporaneamente risolti i dissidi tra papato ed impero. Il nome di Tommaso da Celano scomparve dalle cronache dell'epoca ad esclusione di un episodio del 1240, quando Tommaso assunse il comando di 200 cavalieri dello Stato della Chiesa inviati in soccorso del Ducato di Spoleto. Con il declino della fortuna di Federico II, il nuovo papa Innocenzo IV cercò di restituire al Celano i possedimenti perduti, ma mancano notizie precise al riguardo. Tommaso morì tra il 1251 e il 1254, mentre le ultime notizie della moglie Giuditta risalgono al 1247. (4)
Ma in realtà chi erano i Beraradi tra cui si annoverano anche alcuni custodi della Coppa Sacra, il Graal:
“I Berardi arrivarono nella  Marsica  nel 920 con Berardo, soprannominato "il Francisco" a causa della sua origine franca, e nel volgere di alcuni decenni si affermarono come una delle potenze regionali più influenti. La famiglia discendeva dalla stirpe dei  Carolingi: infatti il fondatore Berardo "il Francisco" Berardi era il pronipote diretto dell'Imperatore Carlo Magno… La casata annoverò tra i suoi membri, spesso identificati con la dicitura "dei Marsi" o "Marsicano", un totale di almeno sei santi e tredici cardinali, numerosi vescovi e innumerevoli possessori di titoli nobiliari e cariche militari e statali. La zona del loro Stato feudale comprendeva il Fucino e i territori di Celano, abbracciando gran parte del dominio degli antichi  Peligni . Nell'XI secolo erano a loro soggette alcune terre poste sulla  Val di Sangro  e altre della Sabina. I loro feudi furono soggetti al Ducato di Spoleto fino all'850, quando divennero di fatto indipendenti fino al 1143, anno della conquista normanna dei loro territori. Successivamente gli Orsini e i Colonna si espansero nella Sabina e detronizzarono i Conti dei Marsi; ciononostante, i Berardi riuscirono a mantenere il predominio nella Marsica resistendo ancora per qualche tempo, periodo in cui diedero man forte alla lotta contro i Saraceni che avevano invaso i territori dell'Abruzzo, spingendosi fino all'interno. Fatto sta che i Saraceni non occuparono mai più i territori dei Conti dei Marsi . Durante la decadenza della contea dei Marsi, i Normanni, approfittando delle rivalità insite nei vari rami della famiglia dei Berardi, riuscirono a conquistarli nel 1143 facendoli lottare l'uno contro l'altro, per poi costringerli alla sottomissione e alla perdita dei loro feudi. I rami principali si estinsero e rimasero così solo i conti di Albe e Celano. Nel 1212 morì il conte di Albe e Celano Pietro Berardi, che in vita aveva saputo riunire gran parte dei possedimenti della contea dei Marsi, destreggiandosi abilmente nel periodo tra la fine dei Normanni e la minore età del futuro Federico II di Svevia. Egli riuscì in questa fase di vuoto di potere a tornare ad essere un potente feudatario del centro Italia, temuto e rispettato sia dal Papa che dai sovrani tedeschi. Quando morì, gli successero a Celano il figlio Riccardo e ad Albe il figlio Tommaso. Quest'ultimo avrebbe voluto avere da subito il potere su Celano, ma la presenza del fratello maggiore impedì il suo piano. In questo frangente si sposò con Giuditta di Molise, diventando così anche conte del Molise e riuscendo ad acquisire un enorme potere. Nel 1221 morì Riccardo e Tommaso ereditò anche la contea di Celano. Da questo momento, tenendo testa al nuovo Imperatore Federico II di Svevia, tentò di restaurare la vecchia contea dei Marsi. Ma la forza e la tenacia di Federico II impedirono il progetto. Federico II combatté in più occasioni Tommaso, ora conte di Celano, che temette in quanto feudatario più potente del Regno di Sicilia, e alla fine di un sanguinoso scontro lo sconfisse, ottenendo la sua resa nel 1223. Tommaso Berardi infatti firmò l'atto di concordia con Federico II nel 1223, decretando il graduale declino della famiglia.
Dalla casata dei Berardi discesero le famiglie Agnone, Albe, Anversa, Avezzano, Balvano, Barile, Borrello, Camponeschi,  Celano, Collepietro, Collimento, DePonte, DiSangro, Dragoni, Fossa, Malanotte, Ma reri, Ocre, Pagliara, Pietrabbondante, Rivera e Valva, le quali presero tutte il nome
dai feudi posseduti. La famiglia Celano si estinse nella linea maschile nel 1422 con Pietro III, mentre per via femminile nella seconda metà dello stesso secolo con Jacovella , andata in sposa nel 1440 a Lionello Accrocciamuro. Governarono, con alterne vicende, la contea di Celano per diversi secoli dal 1143 al 1461 . Gli abitanti di  Amiterno  e  Forcona  si rivoltarono contro di loro, uccidendone la maggior parte, i restanti furono costretti a ripiegare verso L'Aquila e a rinunciare ai loro possedimenti. La famiglia Ocre vide la distruzione del castello eponimo, così come successo ai Barile. Altre due famiglie, Borrello e Di Sangro, si rifugiarono rispettivamente in Sicilia e in Puglia, mentre altre ancora preferirono stabilirsi a Rieti e Roma” (5)

1) https://www.luoghimisteriosi.it/abruzzo/fossacesia.html
2) https://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_B%C3%A9rard
3) https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_di_Ocre
4) https://it.wikipedia.org/wiki/Tommaso_da_Celano_(conte)
5) https://it.wikipedia.org/wiki/Berardi_(famiglia)

martedì 9 maggio 2023

Successo per UFOLOGY YES a VILLA RO nel week end del 6 e 7 maggio 2023


Grande successo per la prima Edizione di UFOLOGY YES 2023 a VILLA RO, storica villa di proprietà di Carla Jessica Fedele cara amica dell'organizzatrice Francesca Bittarello, dotata di ben 2000mq di parco con uno splendido prato all'inglese, alberi massicci, roseti e piante varie, dove gli espositori legati al mistero e alle scienze di frontiera si sono dati appuntamento sotto l'attenta e sempre perfetta organizzazione della nota ufologa e manager Francesca Bittarello titolare della LUX-CO EDIZIONI e Presidente del Centro Studi Ufology World, con centinaia di persone giunte da ogni dove.

Soddisfatti pubblico, espositori e relatori che si auspichino di proseguire questo meraviglioso percorso in questa Villa Ro con una atmosfera veramente incantata e di assoluto relax; il tempo soleggiato ha fatto da cornice ad una vera e propria atmosfera misterica tra massaggi alternativi e legati a discipline misteriche e di frontiera, unghie a tema ufologico e misterico, oggettistica, hobbistica, artigianato misterico, in bellissimi stand di 3 metri per 2 messi a disposizione dall'organizzatrice, ma non potevano mancare i Convegni scientifici anche qui tanto amati dalla Bittarello e quindi anche una full immersion ufologica nella dependance all'interno del parco con maxi schermo, e 2 concerti a tema misterico dei THE NIGHT TEMPAR di Tony Riggi e delle 2 saxofoniste Yuko Tamei e Ambra Sax.

E come spiega l'Organizzatrice: "Come ogni prima volta in una nuova Location entro sempre per testare se vi è lo spazio, la logistica, la struttura, i servizi annessi nonché l'atmosfera giusta affinché possa creare nel tempo uno dei miei eventi internazionali con la mia azienda LUX-CO EDIZIONI e devo essere sincera, qui c'è tutto quel mix che cerco in una location per farla diventare il teatro operativo di un evento internazionale e il successo di questa prima edizione ne è la prova e l'entusiasmo cresce e già sto pianificando la seconda data per questa Fiera del Mistero e Ufologia all'aperto a VILLA RO e per chi non c'era a breve uscirà il REPORT integrale dell'evento sul canale internazionale UFOLOGY WORLD CHANNEL  con dettagli curiosità e interviste".

Qui sotto alcune foto dell'evento.






























lunedì 1 maggio 2023

Creators - The Past

di Cavaliere Vermiglio


La mia visione del film Creators - The Past è stata un po' curiosa. Il film non lo conoscevo e una sera cercando su Amazon Prime mi è spuntato e ho incominciato a vederlo pensando fosse un film di supereroi russo o qualcosa del genere. Invece mi sono trovato davanti un film di fantascienza italiana pieno di effetti speciali! Che novità! Era tardi, mio figlio a letto e ho interrotto la visione dopo una ventina di minuti non sentendo i dialoghi dato che dovevo tenere il volume basso per non disturbare mio figlio.

Il giorno dopo ho cercato informazioni su Internet e ho trovato delle recensioni che lo qualificavano come uno dei peggiori film mai prodotti. Con queste recensioni nella testa ho visto il film ripartendo dall'inizio.

Devo dire la verità, le recensioni così negative mi sono sembrate un po' eccessive. Ci sono film peggiori. Essendo forse l'unico film italiano di fantascienza che fa uso di moderni effetti speciali sono un po' come quegli insegnanti che di fronte allo studente che per la prima volta si impegna e riesce a fare qualcosa regala un mezzo voto di incoraggiamento e forse non riesco ad essere totalmente obiettivo.

I costumi come detto anche in una delle tante recensioni sono fatti bene e secondo me gli effetti speciali non sono male. Molte critiche si sono appuntate sulla trama. Obiettivamente non è il massimo della linearità, ma personalmente il difetto più grande lo trovo nell'interpretazione degli attori. Escluso i nomi internazionali che nel bene e nel male qualcosa la facevano gli altri non riuscivano a creare nessuna tensione drammatica. Se pensiamo ad altri film con trame striminzite e dove solo la bravura degli attori riescono a reggere tutto il film non so quanto sia colpa della trama. Un esempio, sono i grandi Totò e Peppino de Filippi che la loro solo bravura e capacità di improvvisazione riuscivano a creare dei film che altrimenti sarebbero stati piuttosto improbabili. E quello che manca in questo film sono gli attori e il "confezionamento" che avrebbe reso anche la trama più godibile. Personalmente credo che chi ha visto una trama sbrindellata si sia fatto fuorviare dai difetti detti sopra. In aggiunta bisogna aggiungere che il regista è alla sua prima opera e si vede.

Una curiosità di questo film, quasi un mistero, è la ricchezza di mezzi affidata ad un regista esordiente. Oltre agli effetti speciali troviamo come attori stranieri Gérard Depardieu, William Shatner, Bruce Payne e doppiatori come Luca Ward e Giancarlo Giannini.

Il difetto evidente di questo film è quello di voler esporre delle idee in forma romanzata. Si tratta delle tante idee sulla nascita aliena dell'umanità con le varie divinità del passato che in realtà erano alieni arrivati sulla terra per creare il loro personale laboratorio biologico. In aggiunta ci sono le idee cospirazioniste su presunte sette che governano il mondo. Un po' un minestrone mal congegnato.

Visto che chi ha Amazon Prime lo può vedere gratis un'occhiata la si può dare senza aspettarsi niente di eccezionale, ma neanche la bruttura che che ho letto in altre recensioni. Dopotutto sono più accettabili le incongruenze in un film fantastico che in tanti che vogliono essere realisti.