tratto da Il Giornale del 06/03/2006
Origini «occulte» anche per Palazzo Imbonati e la Torretta a Sesto San Giovanni
Enrico Groppali 
Sarà una maledizione atavica o l'ennesimo caso fortuito ma, ogni volta che 
ricorre laggettivo «esoterico», prima o poi si materializza leterno nemico 
delluomo. Ossia Sua Maestà Belzebù. Il quale, nella città di Sant'Ambrogio, ha 
lasciato ben più che qualche rara vestigia del suo passaggio. Anche se la più 
sconvolgente testimonianza di un culto ereticale che confina col satanismo è 
oggi rintracciabile fuori porta nella sacra cinta dell'Abbazia di Chiaravalle. 
Dove in una tomba (poi svuotata su richiesta dellautorità ecclesiastica) 
riposavano i resti mortali di una strega. Detta la Boema o, dal suo nome di 
nascita, Guglielmina che un giorno approdò vestita di cenci nel capoluogo 
lombardo. Guglielmina, chi era costei?
Nient'altro che una monaca eretica che 
verso il 1260, quando Milano era percorsa dalle orde dei Flagellanti, si staccò 
clamorosamente dalla Confraternita dei Disciplini della Morte, deputati ad 
assistere i condannati al supplizio, per fondare una setta «protofemminista» 
stranamente benvoluta dallalta società ambrosiana. Nominata al suo fianco, come 
assistente privilegiata destinata a succederle, la nobile Manfreda (o Maifreda) 
Visconti che, per amore della santona, smise da un giorno all'altro l'abito 
delle Umiliate. Guglielmina, divenuta guida spirituale di nobili e borghesi, fu 
presto adorata come la reincarnazione di Cristo.
Ma la Boema non si limitò a 
ripeterne il viaggio terreno in vesti femminili. Nella sua infiammata oratoria 
era infatti, di volta in volta, sia il Gesù dei Vangeli che Maria di Nazareth 
dal momento che, giunta in Italia in compagnia di un figlioletto, a suo dire ben 
poteva fregiarsi dellappellativo di Vergine e Madre. Dopo la morte (pare per 
cause naturali) di questa antesignana di Mamma Ebe che spillava ricche donazioni 
in nome del rinnovamento della Chiesa, Manfreda proclamata papessa celebrò messa 
il giorno di Pasqua e annunciò, da fida apostola, limminente resurrezione di 
Guglielmina che tuttavia, prima di rientrare trionfalmente a Milano, si sarebbe 
recata a Roma a spodestare papa e cardinali, proclamando a gran voce i nomi di 
quattro nuovi evangelisti nonché liberando il sacerdozio dagli abominevoli 
signori uomini. Ce n'era abbastanza, come si vede, perché il Vaticano insorgesse 
condannando Manfreda al rogo e decretando che le ossa di Guglielmina fossero 
anchesse divorate dal fuoco. Il che avvenne, con gran spiegamento di militi, 
monaci e litanie in Piazza Vetra, luogo deputato per eccellenza al maleficio 
dove le orride esalazioni dei cadaveri putrefatti degli animali adoperati per la 
concia delle pelli si confondevano coi miasmi delle carni straziate dei 
negromanti.
Secondo alcuni studiosi di chiara fama, da tempo i cosiddetti 
Guglielmiti militerebbero tra gli ebrei radicali della setta dei Dunmeh. Mentre, 
tra le donne che ne venerano la memoria, cè chi ritiene che lo spirito della 
Boema abbia preso stabile dimora nella «Madonna con le corna», il celebre 
affresco del Foppa a SantEustorgio. Dove, sotto le finte spoglie della Madre di 
Dio, Guglielmina assurta al cielo della fertilità come la dea adorata dai Galli 
che un tempo popolavano la Padania, avrebbe assunto gli occulti poteri della 
Luna che, prima o poi, in unalba color del sangue, a dire degli attuali 
seguaci, raderà le case delluomo restituendo alle Tenebre la sovranità 
assoluta.
E veniamo alle «case maledette». Possibile che Milano non ne conti 
nemmeno una? La nostra risposta è ambigua, dato che lunico edificio che 
potrebbe rivendicarne linvestitura, il Palazzo Imbonati di piazza San Fedele, 
fu raso al suolo per far posto alla Banca Nazionale del Lavoro. Cosa accadde in 
quelle antiche stanze? Occorre rammentare che il palazzo già nellanno di grazia 
1685 era andato distrutto in seguito, si disse a quel tempo, alla diabolica 
invettiva, pronunciata in stato di trance, di una componente di quellantica 
schiatta nobiliare, condannata a prendere il velo in ossequio all'inflessibile 
volontà paterna. Ridotto in cenere, il bellissimo edificio fu presto 
sontuosamente restaurato al punto di ospitare, nel diciottesimo secolo, 
l'Accademia dei Trasformati tra le cui file troviamo i nomi più prestigiosi 
della cultura lombarda: dal Baretti al Parini fino al Verri e a Cesare Beccaria. 
Ma le continue vessazioni della monaca che, in piena notte, comminava pene 
spaventose in vita e castighi infernali in morte a chi vi risiedeva, finirono 
presto per aver ragione del buon nome dellavìto palagio.
Tanto che a nulla 
valse la decisione di murare la stanza dove linfelice monaca aveva trascorso la 
prima giovinezza. Perché non solo si moltiplicarono sinistre apparizioni di 
spettri muniti di catene ma lambigua nomea di quel «locus infestatus» attrasse 
nientemeno che Thomas de Quincey. Il quale, colpito dalla strana luminosità che 
di notte sirradiava dal palazzo, lo elesse ad emblema del suo libro «Suspiria 
de profundis» che, letto e apprezzato tanto tempo dopo dal nostro Dario Argento, 
doveva ispirargli il celebre Suspiria dove, guarda caso, di case indemoniate si 
tratta, di casi di magia nera si discute e di non morti che si animano nelle ore 
notturne si discetta in pieno clima di satanismo nero.
Oggi si dice che le 
bianche volte dell'Imbonati, occultate dai vetri lucenti e dagli asettici arredi 
del Credito bancario, non attirino più questi sinistri simulacri d'oltretomba. 
Ma ne siamo proprio sicuri? Infatti, secondo gli occultisti, le cosiddette 
presenze possono assopirsi per secoli come i vulcani riservandosi di riapparire 
al momento che giudicano opportuno. Così almeno assicurava, fin dal 1617, uno 
studioso del calibro di Robert Fludd che nel suo «Macrocosmo» dimostra con 
esempi probanti che i luoghi insidiati dalle forze del male non sono passibili 
di rigenerazione. Citando al proposito «l'antica dimora lombarda denominata Loco 
de la Toreta sita nei sobborghi di Mediolanum a tutti nota come villa de piaceri 
e de delizie».
Proprio lo stesso luogo dove si consumò la triste parabola di 
una gentildonna di impeccabili maniere ma di insani appetiti da tempo accostata, 
per la crudeltà dei suoi costumi e l'imprecisato numero delle sue vittime, ad 
Erszébeth Bathòry, la contessa sanguinaria che in Transilvania, sacrificò al 
Demonio ben undicimila vergini. Ma dovera la Torretta, e soprattutto cosa ne 
rimane oggi come oggi? Situata nei paraggi di Sesto San Giovanni e divenuta 
irriconoscibile, si presenta né più né meno come un rudere. La splendida dimora 
nobiliare magnificamente affrescata con scene di caccia, staccate dalle pareti e 
trafugate negli anni Settanta nel corso di un avvio di restauro subito smentito 
nei fatti nonostante quel povero resto sia stato dichiarato dallo Stato 
monumento nazionale, fu teatro - tra il 1578 e la prima decade del Seicento - 
dei capricci perversi di Delia, vedova del conte Giovanni Anguissola ma figlia 
di un personaggio efferato come Leonardo Spinola, uno spregiudicato appaltatore 
dedito in privato alla magia nera.