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lunedì 29 maggio 2023

L’albero sacro delle fate

 Di Nicoletta Camilla Travaglini


Si narra in una leggenda che, Giovanna D’Arco, durante un temporale, si fosse rifugiata sotto un enorme albero, dove, avrebbe incontrato le Norne o Parche che le avrebbero mostrato il proprio destino. Le voci che essa sentiva, secondo quanto si narra in questo racconto tradizionale fossero, in realtà, i suggerimenti di queste divinità che vivevano sotto l’albero cosmico o Yggdrasil. Secondo Antony S. Mercatante esso è: 

“Yggdrasil, il cavallo del terribile, oppure, il destriero  di Odino, nella mitologia nordica, il grande albero di frassino cosmico, conosciuto anche come l’albero del mondo. L’Edda di Snorri lo descrive come << il più grande e il migliore degli alberi. Suoi rami, estesi su tutto il mondo, s’innalzano oltre il cielo. Ha tre radici molto grandi. Una si estende fino agli Asi …, un’altra fino ai Giganti del Ghiaccio dove prima c’era Ginnugagap (l’abisso primordiale), la terza poggia su Niflheimr (la terra delle brume fredde e oscure), e sotto la sua radice, costantemente rosicchiata da Nidhogg( il drago), c’è Hvergelmir.>> In cima all’ Yggdrasill c’è un’aquila appollaiata. In mezzo agli occhi dell’uccello c’è un falco, Verdurfolnir. Uno scoiattolo chiamato Ratatosk corre su e giù per l’ Yggdrasill, cercando di far litigare l’aquila e Nidhogg. Quattro cervi … passano da un ramo all’altro mangiando i suoi germogli. Le Norne siedono sotto la fonte Urdar, situata alla terza radice dell’albero”.[1]

Sostiene Laura Rangoni , a proposito di questa leggenda: 

“Ecco alcuni dell’interrogatorio che mi pare siano particolarmente indicativi: “Vicino a Dorèmy c’è un albero, lo chiamano l’albero delle Dame oppure, talvolta, l’albero delle Fate. Lì nei pressi c’è una sorgente. Ho sentito dire che gli ammalati vanno a bere l’acqua di quella sorgente per riacquistare la salute. Qualche volta sono andata con altre ragazze a fare delle ghirlande di foglie per adornare la statua di Nostra Signora di Dorèmy. I vecchi raccontano che le fate venivano a chiacchierare  vicino all’albero. Ho sentito la Jeanne Aubry, che era la moglie del podestà e mia madrina, raccontare a me che vi sto parlando, di aver veduto le fate in quel posto. Ma io non so se questo sia vero. Ho visto delle ragazze al mio paese posare ghirlande di fiori sui rami dell’albero e, quindi, qualche volta l’ho fatto anch’io con loro; certi giorni ce li portavamo via con noi, altre volte le lasciavamo là.” [2]

La leggenda relativa a Giovanna D’Arco e le Parche sembra richiamare alla memoria una leggenda abruzzese tramandata per generazioni e generazioni all’interno di una cerchia familiare, dove si riprende la leggenda delle fate della Majella, e secondo tale racconto, pare che, un loro componente, abbia incontrato le fate superstite. Secondo quando dice la leggenda le fate avevano fatto adirare, con il loro comportamento disinvolto le divinità che abitavano sulla montagna Madre abruzzese la Majella e per questo furono punite. Queste donne magiche furono intrappolate all’interno della montagna e per la precisione nell’antro chiamato grotta del Cavallone o figlia di Jorio in omaggio al grande vate abruzzese Gabriele D’Annunzio, però non tutte le fate rimasero prigioniere, infatti alcune di esse fuggirono e si rifugiarono all’ombra di un grande albero che si trovava nella zona di Roccascalegna, proprio di fronte all’ingresso murato della grotta. 
Si racconta che, un giorno d’estate una donna, andò a lavorare nei campi vicino a una quercia. Ella era intenta nel lavoro di coltivazioni quando all’improvviso, vide delle ragazze discinte danzare intorno alla pianta, la donna si avvicinò loro, ed esse le dissero di seguirla, ma la contadina si rifiutò categoricamente e… queste, dopo averla colpita con forza sul viso, le chiesero se aveva un desiderio da realizzare, la donna chiese di poter fare tutto ciò che voleva e così… da quel giorno, le fu donata una forza straordinaria. 
La contadina, infatti, con la sola forza  del pensiero riuscì a trasportare  una macina per la spremitura delle olive notevolmente pesante dalla roccia del castello di Roccascalegna, dove fu prelevata fino al luogo dove ha operato per molti anni e, dove, ancora oggi la si può vedere. La donna sotto effetto del sortilegio, la notte munita di un fucile e con l’ausilio di uno sparuto gruppo di uomini, girava per le stradine del paese e dei boschi limitrofi per cercare le malefiche creature della notte, le streghe nemiche giurate delle fate oppure le fate stesse?! Il racconto, purtroppo non ce lo dice!
Era un Venerdì Santo, quando la donna intenda a zappare in compagnia del padre iniziò a schernirlo per la fiacca con cui dissodava la terra, e questi, in preda alla collera, la colpì con il manico della zappa. La donna cadde a terra tramortita, ed il padre continuò a lavorare nei campi senza preoccuparsi della sorte della sciagurata! Di lì a poco arrivò la madre che vide la figlia priva di sensi appoggiata ad un pozzo, chiese spiegazioni al marito il quale le chiarì la dinamica dell’accaduto e la madre in preda al panico, per la presunta morte della figlia, si mise a strepitare! Le grida della genitrice richiamarono un gruppo di fedeli ed il parroco che stava officiando una funzione religiosa nelle vicinanze, questi si precipitarono sul luogo dell’accaduto ed il prete iniziò a darle l’estrema unzione, pensandola morta, questa, però, raggiunta da una goccia di acqua santa, si risveglio improvvisamente e iniziò a vomitare alcune ciocche di capelli biondi e da quel momento la donna tornò ad avere un comportamento normale per i canoni dell’epoca!
Molte persone che hanno conosciuto questa donna, realmente vissuta a cavallo tra otto e novecento, parlano di lei come di una virago che in diverse occasioni è stata in grado di salvare la vita ai suoi cari; si dice che una volta la sua famiglia era a digiuno da diversi giorni perché una forte nevicata seguita da una altrettanto rigida gelata aveva fatto ghiacciare tutto, impedendo di raccogliere i frutti di Madre Terra.
La donna in preda allo sconforto uscì di casa e rientrò poco dopo con delle verdure miracolosamente salvatesi dalla forte gelata!

[1] MERCATANTE, S. Antony Dizionario Universale dei Miti e delle Leggende Newton e Compton edizioni 2001 pag. 660

[2] RANGONI, Laura, Le Fate , Xenia tascabili, 2004, pagina

mercoledì 12 giugno 2019

Le saghe nordiche raccontate da Neil Gaiman

tratto da "Il Giornale" del 18-11-2018

di Matteo Sacchi

Un lungo viaggio nello spazio e nel tempo. Per visitare tutti i nove mondi: Asgard, la casa di Odino; Alfheim dove vivono gli elfi della luce; Nidavellir dove i nani creano oggetti magnifici; Midgard, la patria degli uomini; Jotunheim, la terra dei giganti del gelo; Vaheim dove vivono i Vanir dei diversi che hanno dovuto piegarsi a Odino; Niflheim, luogo di oscure foschie; Muspell, terra del fuoco; e infine Hel dove vanno i morti che non sono caduti valorosamente in battaglia.

Ecco cosa regala Neil Gaiman ai suoi lettori in Miti del nord (Mondadori). Gaiman non è uno studioso professionale di mitografia norrena. Al grande pubblico è noto per i romanzi, come American Gods e Coraline, o fumetti, come Sandman, o graphic novel, come Mr Punch. Ma a partire da American Gods, libro in cui gli dei nordici vengono raccontati come se vivessero negli Stati Uniti dei giorni nostri, e passando per la sceneggiatura di La leggenda di Beowulf, Gaiman ha mostrato di conoscere molto bene le saghe scandinave, di coglierne la potenza.

Come spiega nell'introduzione di Miti del nord, lo hanno colpito a partire dalla sua infanzia. All'inizio una infatuazione pop dovuta ad uno dei fumetti più belli del geniale Stan Lee (che ci ha lasciato questa settimana) ovvero Thor. Da lì, Gaiman ha continuato a studiare le avventure di Odino, Loki e tutti gli altri Aesir. In questo saggio-antologia, che però ha la scrittura agile di un romanzo, raccoglie i miti tramandati dall'Edda poetica e dell'Edda di Snorri. Con la bravura da divulgatore che gli è propria, accompagna il lettore attraverso le radici, il tronco e i rami di Yggdrasil, l'albero mondo che collega ogni cosa. Se le divinità dei vichinghi si spostano usando Bifrost, il ponte dell'arcobaleno, per i più giovani il ponte verso la dimora di Thor, gli inganni di Loki e il disastro cosmico del Ragnarök potrebbe essere proprio Gaiman. Racconta di come i nani ricostruirono in fili d'oro la chioma della divina e bellissima Sif, proprio come uno scaldo (l'aedo dei vichinghi) alla corte di Ragnar Lodbrok. Il tutto con - a chiusura - un glossario ben fatto.