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mercoledì 9 agosto 2017

Sterile nell'anima e nel corpo. L'Europa è una terra desolata

tratto da il Giornale del 29 giugno 2017

Il poeta Eliot profetizzò le malattie dell'inconscio dovute al materialismo. Guarire si può: con una «Vita selvatica»

di Cluadio Risé

La più efficace rappresentazione della modernità occidentale: questo è La terra desolata di Eliot per Ezra Pound. Non si tratta infatti solo di un'opera poetica. I suoi versi hanno anche un contenuto profetico; non soltanto perché descrivono i morti sul London Bridge 96 anni prima dell'attacco di venti giorni fa.

Questi morti Eliot li vede camminare sul ponte con «gli occhi fissi ai piedi». Il loro sguardo (come il nostro oggi), vola basso. In un tempo ormai di post secolarizzazione, dove tutto il mondo torna a guardare verso l'alto, l'Occidente non sa più riconoscere di essere figlio di Dio e prendersi la propria quota di divinità. Così mentre ovunque Dio è forza, visione, obiettivi, noi lo viviamo come un peso da nascondere. Mentre per gli altri è energia (distruttiva se non governata), l'Occidente, come intuì James Hillman, ha trasformato Dio in malattia. La nostra visione è attirata dal basso, dove vanno gran parte delle nostre energie.

La terra desolata, però, non riguarda solo noi oggi. È un archetipo dell'inconscio collettivo, un'immagine da sempre presente nella psiche e storia umana, che si attiva in tempi di forte cambiamento. Attraverso di essa l'inconscio collettivo spinge l'uomo a ritrovare una forza vitale perduta, a guarire malattie che corrodono la sua anima, il suo corpo e la sua vita quotidiana. Era già presente, come racconta Eliot, nell'Europa del 1200, cui si riferiscono le leggende e i miti Arturiani. Epoca di ricerca, cambiamento e fondazione di quella che fu poi per cinquecento anni la civiltà occidentale, coinvolgendo nei suoi sviluppi gran parte del mondo.

La terra desolata ci fa sentire che qualcosa di molto prezioso sta sbocciando, ma rischia di andare perduto se non riconosciamo le cause dell'attuale desolazione. È una sfida forte posta all'uomo dal proprio tempo; riguarda sia le personalità individuali che la società e il mondo in cui vivono.

C'è un ordine da ricostituire: Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre? si chiede il Re Pescatore. La situazione gli impone di riconoscere la difficoltà dello sviluppo, della germinazione di nuove cose, da distinguere da quelle morte, da abbandonare. La terra desolata di Eliot, comincia proprio con un mese di germinazione e di sviluppo.

Aprile è il mese più crudele, generando/ Lillà da terra morta, confondendo/ Memoria e desiderio, risvegliando/ radici dormienti con piogge primaverili.

Nell'immagine della Terra desolata nel poema come nell'archetipo, e dunque nella vita che si svolge sotto la sua influenza sono sempre compresenti le forze della generazione e della vita, e della morte e decomposizione. Da qui deriva l'energia delle immagini archetipiche. Tra questi poli la coscienza dell'uomo è ora chiamata a scegliere, altrimenti si può sviluppare regressione e malattia, anche psichica.

La terra del Graal, l'Europa dove nelle leggende tardo-medievali regna il Re Pescatore, sovrano della cristianità, è appunto attraversata da questo potente conflitto. Si tratta dell'eterno scontro tra la soddisfazione del piacere immediato e lo sviluppo di capacità di simbolizzazione, e di sacrificio per visioni più ampie, non egoistiche e di lungo periodo.

In questa lotta, che è anche un conflitto passionale per la donna (rappresentazione anche dell'Anima maschile) il re viene ferito da un potente nemico, un cavaliere moro. La ferita è in mezzo alle gambe, nel luogo della sua generatività e della fallicità. Il re, Amfortas, ha sottovalutato sia il proprio l'accecamento passionale, che la forza dell'avversario: per questo è stato ferito. L'aspetto emotivo e femminile della sua psiche invece di essere una forza ispiratrice ha preso il sopravvento sulla coscienza maschile soffocandone la tensione verso l'alto e consentendo la ferita. Dalla quale si perde il suo sangue, e si genera marcescenza e putredine.

A partire dal corpo e dallo spirito del re l'aridità conquista ogni spazio vitale attorno rendendo desolata la terra. Il calo della fertilità, la compravendita di parti del corpo e funzionalità riproduttive, la molteplicità di problemi sessuali che affliggono i cittadini della modernità traducono in cronaca quotidiana le conseguenze della ferita del Re Pescatore, ubriacato dalla sua superficialità. Con lui, ferito all'inguine, nella sua sessualità e virilità, è l'uomo occidentale, protagonista di La terra desolata di Eliot. Siamo noi.

Per riportare l'ordine non solo nelle terre del re pescatore, ma tra femminile e maschile, e tra terra e cielo, allora come oggi, nella terra desolata è decisivo l'amore. Ma vero. Ne parlano due miti fondatori dell'Occidente: Tristano e Isotta, ispiratori di Eliot. In entrambi si parla di amore e di sacrificio, indispensabili alla crescita personale e al benessere di tutti. Al centro dei due miti c'è un potente simbolo femminile: una coppa. Tristano e Isotta, presi dall'attrazione, ne bevono e muoiono.

Nel racconto Tristano sta accompagnando Isotta da re Marc di Cornovaglia, cui la fanciulla è promessa. Durante la navigazione, in un momento di caldo e grandissima sete (classico scenario da «demone meridiano») l'accompagnatrice di Isotta versa una bevanda a Tristano. Il giovane beve, e porge la coppa a Isotta. Subito i due sono presi dal bisogno di andare l'una verso l'altro, fisicamente e sessualmente. Il liquido della coppa era un filtro di erbe che era stato affidato alla serva dalla madre di Isotta. Da questo imprigionamento i due giovani non usciranno vivi. Nelle narrazioni dell'epoca percepiscono subito che si tratta di una spinta non d'amore, ma di morte. Come Isotta racconta nel trovatore Béroul: «Lui non mi ama/ né io lui / Accadde per un filtro da cui bevvi / e così per lui».

Il veleno agisce sui due giovani trasformando il loro innamoramento innocente nella spinta ad agire subito la loro attrazione, irresistibile dopo la bevanda. Così l'aspetto distruttivo dell'archetipo della Grande Madre (che può essere positiva e vitale, oppure distruggere), incline all'agito immediato più che alla simbolizzazione, sostituisce al matrimonio fecondo del Re, propiziato dall'amato nipote Tristano, il potere della droga e la morte dei due giovani, che lascerà senza discendenza il Re Marc.

Anche Parsifal ha una madre invadente, Herzeloide, che alleva questo figlio lontano dal mondo della cavalleria, chiudendolo in una tenuta, perché non vuole che muoia come il padre e i fratelli. Parsifal però la lascia quando viene invitato alla reggia di Artù, e la madre muore di crepacuore. Dolore difficile da elaborare, ma salvifico per il re pescatore, che guarirà solo quando il «puro folle» Parsifal gli porrà la domanda risanante: «dimmi, cosa ti strugge?» Prendendo così su di sé la sofferenza dell'altro, e in questo modo guarendo la terra dalla sua aridità e desolazione.

Anche nel Parsifal c'è una coppa, sulla base della quale compare appunto il suo nome. Ma è quella del Graal, dove è stato versato il sangue di Cristo dopo la sua passione, promessa di risurrezione. Per rinascere, infatti, per rigenerarsi, occorre avere il coraggio di attraversare la morte.

Ogni profonda trasformazione, sul piano simbolico, lo richiede. Soprattutto nella civiltà fondata su Gesù Cristo: risorto appunto perché capace di morire.

venerdì 13 novembre 2015

Psicologia alchemica di James Hillman

tratto da L'Opinione dell'8 novembre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/11/08/talarico_cultura-08-11.aspx)

di Giuseppe Talarico

In un suo famoso saggio, Giuseppe Pontiggia, grande autore, scrisse che nella storia della cultura vi sono stati filosofi geniali che con i loro scritti e libri hanno dimostrato di essere anche grandi scrittori. Rientra in questa categoria di pensatori James Hillman, del quale da poco la casa editrice Adelphi ha pubblicato un libro importante e notevole, il cui titolo è Psicologia Alchemica. In questo saggio, che incanta ed affascina il lettore per la eleganza e la raffinatezza della prosa con cui è stato scritto, Hillman ha con chiarezza esemplare spiegato il rapporto tra L’alchimia e l’opus analitico.


Carl Jung, di cui Hillman è stato un allievo, a questo tema ha dedicato una delle sue opere fondamentali, intitolata Psicologia ed Alchimia. Hillman nella prima parte del suo saggio chiarisce che per la psicanalisi esiste il rischio di usare un linguaggio intriso di letteralismo, incapace di delineare una distinzione tra la parola e la cosa. L’alchimia, intesa ovviamente in senso metaforico, poiché si riferisce ad elementi della materia fissati ed individuati, possiede un grado di concretezza che si rivela utile per superare il letteralismo, che rischia di rendere arido e sterile la terminologia del metodo psicanalitico. Infatti l’alchimia offre espressioni concrete che non sono letterali. In tal modo il linguaggio della psicanalisi subisce un processo di rettificazione, che è necessario per accrescerne la efficacia terapeutica. Nel medioevo e nel rinascimento vi era la convinzione che il metodo alchemico, consentendo la trasformazione della materia, rendesse possibile ricavare l’oro prezioso da metalli di scarso valore. Infatti Hillman nel testo cita il pensiero e le opere di Marsilo Ficino. Alla stessa maniera il terapeuta deve con il metodo psicanalitico sottoporre l’anima umana ad un processo di trasformazione, perché si liberi dal dolore e dalla sofferenza.

Le fasi in cui questo processo di guarigione dell’anima avviene sono sostanzialmente quattro: la Nigredo, che designa la depressione e la sofferenza cupa ed inconsolabile della psiche umana, l’ Albedo, periodo di tristezza in cui si ha la elaborazione del dolore, la citrinitas in cui la mente umana si libera dalla disperazione e il Rubedo, che indica il momento in cui si ha la guarigione. Per segnalare e chiarire la transizione che nella terapia analitica vi è tra questi stadi, Hillman con la bravura del grande scrittore, facendo riferimento al metodo alchemico, ricorda e sottolinea le differenza tra le sostanze fondamentali presenti nella materia, quali piombo, rame, argento ed oro. Si sofferma anche nel descrivere la diversità tra i colori che i nostri sensi possono cogliere e distinguere mediante i sensi, il nero, il bianco, il giallo, il rosso. Mentre segue questa narrazione analogica tra il metodo psicanalitico e quello alchemico, Hillman afferma e sostiene che la nostra mente ha un fondamento poetico. Infatti per Hillman esiste un rapporto inscindibile tra il pensiero e la immaginazione, sicchè la nostra mente ha il potere di creare la realtà mediante la fantasia. Per Hillman è essenziale tenere presente e comprendere i rapporti esistenti tra la psicologia e la letteratura.

Come l’alchimia opera secondo il metodo dissolvi e coaguli, allo stesso modo la terapia psicanalitica deve dissolvere e coagulare i processi psichici perché si arrivi ad avere il predominio nella vita interiore della Unio Mentalis. Hegel scrisse che la follia è il sintomo che rivela come l’anima sia alla ricerca della sua guarigione. Infatti secondo Hillman una coscienza più chiara e in grado di raggiungere la pace interiore deriva sempre da uno stadio di follia. Questo processo di guarigione della psiche, che lotta per liberarsi dalla infelicità e dalla disperazione, avviene attraverso una transizione, che per Hillman da vita ad una conversione dell’anima. Jung a questo proposito nei suoi studi sull’alchimia e la psicanalisi aveva individuato quattro stadi: l’innerimento, l’imbiancamento, l’ingiallimento, l’irrosimento. Questo modo di ragionare di Jung, si spiega con la circostanza che per il grande pensatore l’alchimia, grazie alle sue metafore, permette di comprendere gli oscuri e tenebrosi processi che hanno luogo nella psiche. Per Spinoza la sostanza ha la tendenza natuirale ad opporsi da ogni cambiamento. Lo stesso accade con la psiche umana, che si rivela sovente e in più circostanze riluttante a mutare il suo stato.

Per questo motivo, nel suo saggio Hillman nota che durante la terapia è importante che la transizione tra le varie fasi sia progressiva e lenta, poiché nei casi in cui si abbia un fallimento terapeutico, si produce un fenomeno devastante nell’anima, quello che lui ha definito come il processo dei vetrificazione della psiche. Ad un certo punto nel libro Hillman cita le famose colombe di diana, che per Newton avevano la funzione di mediare tra il mercurio e l’antimonio. Per Hillman le colombe di diana diventano un simbolo che chiarisce in che modo si ha con la guarigione della psiche umana il congiungimento della immaginazione con la natura. Infatti è necessario che alla fine della terapia psicanalitica si abbia una armonia, capace di dare pace e serenità all’anima umana, tra mente, immaginazione e mondo. In un capitolo bellissimo, dove riflette su come il colore azzurro abbia ispirato i pensieri di grandi geni come Proust e Cézanne, Hillman dimostra che non è la mente che si perde nel cielo azzurro, ma è il cielo azzurro che è racchiuso nella mente umana. In tal modo spiega con esemplare chiarezza cosa sia e designi la figura archetipica nella cultura umana.

L’anima Mundi, su cui Hillman si sofferma nel libro, dimostra che vi è un rapporto strettissimo tra le cose che esistono, poiché è l’amore universale che costituisce il fondamento su cui poggia il mondo esistente. Infatti Freud parlava della libido oggettuale. Il cielo azzurro designa in modo simbolico L’unus Mondus. Per Hillman è fondamentale seguire il metodo estetico nella psicanalisi, poiché la psicoterapia si basa sull’ascolto della parola di chi è gravemente invischiato nei gorghi oscuri e impenetrabili della sofferenza interiore, provocata dalla depressione, dalla paranoia delirante e dalla depersonalizzazione. Con la modernità l’alchimia, dopo la rivoluzione scientifica e meccanicista di Newton, è stata sostituita dalla chimica. Per Alfred Ader il fine della psicoterapia è la realizzazione della solidarietà umana. Un libro indimenticabile.