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sabato 18 marzo 2017

La Strega di Bergamo Un’inedita testimonianza secentesca

di Andrea Romanazzi


Per questo articolo sulla stregoneria prendiamo spunto da un antico manoscritto secentesco, ad oggi Inedito, che narra le vicende di una strega bergamasca. Prima di addentrarci in questo racconto, però facciamo prima un po’ di chiarezza sul fenomeno della stregoneria.
La figura della “Strega” affonda le sue radici in un lontano passato quando l’uomo e la donna vivevano nell’immanenza della Grande Dea espletando rituali a lei dedicati per propiziare la fertilità e la procreazione. E’ questo il seme da cui si svilupperà, successivamente, la stregoneria.
Andiamo con ordine dunque. Chi erano davvero le streghe?
Il termine “strega” deriva da strix, un mitico uccello notturno, descritto Plinio come una sorta di gufo con la testa grossa, gli occhi fissi, il becco, gli artigli da rapace e le penne chiare. Secondo la tradizione, penetrava nelle case per cibarsi del sangue dei bambini o per allattarli e in tal modo avvelenarli. E’ da questo animale che nasce il successivo termine striges e dunque strega.  Ovviamente esistono poi tutta una sorta di termini locali per indicare queste donne demoniache, troviamo le Gatte Masciare pugliesi, le Masche piemontesi, le Janare campane, per fare alcuni esempi. In ognuna di queste etimologie è racchiuso un indizio sull’origine della “strega”. Ecco così che il termine piemontese ricorda l’uso di mascherarsi durante i rituali di fertilità, la “janara” si ricollega direttamente ai culti di Giano Bifronte,  mentre il termine pugliese nasconde, secondo la tradizione,  la capacità delle streghe, di mutare forma e sembianze.
Con l’avvento della Nuova Religione, il rispetto verso gli antichi dèi divenne adorazione del diavolo, mentre l’espressione ludica e procreativa dei rituali vegetazionali si trasformò in atti sessuali e libidinosi. Ciò che rimaneva dei rituali di fertilità ed accoppiamento espletati ancora nelle campagne, da qui il termine Pagano, ovvero abitante del “Pagus”, diventarono il regno del Maligno.
I rituali di gioia furono  demonizzati e trasformati nel famigerato Sabba, gli incontri demoniaci ove “…si fa coire carnalmente, se l’è maculo con femena, se l’è femena con maculo…con acti lassivi et amatorii tocamenti, et parlamenti cupidinei et venerei…”.
L’atteggiamento iniziale della Chiesa nei confronti della stregoneria fu quello di considerare queste credenze come il frutto di stupide superstizioni pagane, sogni ispirati da Satana che interessavano le donne di basso ceto.
Nel 452  il concilio di Nicea condannò ufficialmente il culto delle pietre, ma questo non bastò per cancellare pratiche religiose ben radicate tra le popolazioni. Nel 789 il Concilio di Tours proibì nuovamente qualunque rituale legato ai culti naturali, ma anche queste norme rimasero disattese.
E’ nel XI secolo che troviamo il primo testo importante che affronta il fenomeno della stregoneria: il Canon Episcopi. In questo scritto si cita per la prima volta della società di Diana, ovvero donne ingannate dal diavolo e dunque accusate esclusivamente per la loro credulità.
“…Chi può essere tanto sciocco o ottuso da credere che tutte queste cose che accadono solo nello spirito avvengano anche nel corpo?…”.
Le punizioni previste erano molto blande, da 40 giorni ad un anno di carcere o solo alcune penitenze come testimonia lo stesso testo
“...I vescovi e i loro ministri facciano in modo di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle loro parrocchie la pratica perniciosa inventata dal diavolo;  e se trovassero uomini o donne che si dedicano a tali scelleratezze li caccino dalle parrocchie perché si tratta di gente turpe e disonesta...“.
Almeno fino ai primi del 1300 l’atteggiamento della Chiesa fu dunque molto tollerante anche se nel 1233, con la Bolla Vox in Rama, Papa Gregorio IX incominciò a porre sempre maggiore attenzione al fenomeno, e tra il 1280 e il 1300 diverse donne vennero accusate e processate non però con l’accusa di stregoneria ma di eresia.
Sono però gli eventi ad imprimere una accelerata alla caccia all’untore, da una parte le carestie del 1315-17, le epidemie di Peste nera del 1347-50, nonché le varie ondate di eresie che si diffondevano oltralpe, promossero subito una sorta di “linea dura” contro queste donne.
E’ in questo momento che si affaccia l’immagine, sin ad allora sconosciuta, delle seguaci del demonio, le donne che succhiamo il sangue ai bambini, che si nutrono delle loro carni e li sacrificano a Satana:  un tema che, affondando le sua radici nel paganesimo romano, deriva probabilmente anche dal fatto che queste guaritrici erano spesso  ostetriche e dunque le morti dei neonati a loro imputate erano attribuibili ad aborti avvenuti subito dopo la nascita o dopo il parto.
Inizia ad apparire il nuovo stereotipo della strega e dei suoi  gli incontri segreti con il diavolo poi chiamati sabba, termine, che alcuni farebbero risalire all’ebraico sabbath, sabato, e quindi connesso alle eresie, per altri a Dioniso, al quale era spesso associato l’appellativo sabazius, da sabae, cioè “capra”. Nel ‘400 nasce la vera e propria disquisizione demonologia, la stregoneria non era più solo frutto di illusione ma i terribili rituali erano realmente espletati. Alle “nuove streghe” vengono così associate le trasformazioni in animali e mistiche pozioni ed unguenti capaci di trasportarle rapidamente al luogo del raduno secondo la credenza "lassando a casa il corpo", tanto che anche il sonnambulismo sarà spesso associato al volo stregonesco come poi ritroveremo nello stesso Malleus Maleficarum.
“esempi provino almeno non essere impossibile il trasporto dei Maliardi al congresso notturno, poiché l’impossibilità del loro trasporto è una delle più forti obiezioni che si formino contro l’opinione che li sostiene…sappiamo dal Vangelo che il demonio portò il nostro signore Salvatore su la cima del Tempio di Gerusalemme. Sappiamo altresì che il profeta Abacuc fu trasportato dalla Giudea in Babilonia per portar da mangiare a Daniele…il Diacono San Filippo fu trasportato dalla strada di Gaza a Azot…che il Mago Simone fu dal Diavolo alzato in aria e precipitato dalle orazioni dell’Apostolo San Pietro”.
Nel 1484 sarà papa Innocenzo VIII a dal inizio, con la sua bolla Summis desiderantes affectibus, alla infausta caccia, ratificata poi dal famoso Malleus Maleficarum dei domenicani Jacob Sprenger e Heirich Kramer. E’ nel XIII secolo che nasce quella che sarà una propria caccia a questa “novella strega”.
Uno dei primissimi processi è quello svoltosi a Todi, nel 20 Marzo 1428 nei confronti di Matteuccia di Francesco, processata perché reputata per pubblica fama una maliarda, definita con il termine incantrix e accusata di ben 30 capi d’accusa. A lei si rivolgevano, secondo il dossier, cittadini provenienti da tutto il contado, da Todi, Orvieto, Spoleto, in particolare per ottenere elisir d’amore o per impedire o favorire una gravidanza.
“…una certa donna di nome Catarina del Castello della Pieve per averne un rimedio per non rimanere incinta, non essendo ancora sposata ed avendo coabitato varie volte con un certo presbitero…e temeva che poteva verificarsi il caso di rimanere incinta…la detta Matteuccia disse di prendere un’unghia di mula, di bruciarla e ridurla in polvere e di bere detta polvere mescolata al vino, dicendo queste parole, cioè: io te piglio nel nome del peccato, et del demonio maiure, che non possa mai appicciare più…” Negli incartamenti si narra di come la donna, attraverso l’uso di particolari unguenti, potesse trasformarsi in gatta, la “masipula conversa”, dal termine latino musio poi erroneamente tradotto dal Mammoli, che ne riscopre il documento, con il termine di mosca. La trasformazione in gatto non è casuale, l’animale è infatti il famiglio delle streghe per eccellenza.  Molti sono i racconti popolari che narrano di ferite inferte da contadini ai gatti notturni poi ritrovate, il giorno successivo, sul corpo di alcune donne del paese.
Ma soprattutto appare per la prima volta il tema del volo al noce di Benevento, una storia che tristemente diventerà un punto fisso delle confessioni da tortura, Matteuccia sarà la prima strega ad esser condannata per il volo stregonesco corporalier “unguento unguento, mandame ala noce de Benevento, supra acqua et supra vento, et supra omne maltempo”. Anche in questo caso tra gli scritti del processo traspare la voce della corda, e stranamente, dalle accuse di magie e fatture si passa a quello che diventerà lo stereotipo della strega, ecco che “…molte volte andò a Stregato devastando bambini, il sangue degli stessi lattanti succhiando in molti e diversi luoghi…” come quando si recò al castello di Montefalco ove “…sugò e percosse suo figlio [il bambino della castellana Andreuccia n.d.A.] per il qual fatto il bambino si ammolò e si consunse…” e lo stesso fece ai neonati del castello di Canale e di Andria di Perugina.
Abbiamo narrato il processo di Matteuccia perché è da qui che parte lo stereotipo della strega che ritroveremo anche nel nostro manoscritto.



Processi lombardi

Il documento che a breve mostreremo narra una breve vicenda di una strega bergamasca. La Lombardia fu una regione fortemente colpita dall’Inquisizione. La Valtellina fu centro nevralgico delle manovre contro la stregoneria locale, e Sondrio ne fa da testimone con i registri mortuari della città. Si narra infatti che nel Palazzo Pretorio esistesse una prigione chiamata “delle streghe”, “la quale era una buca del tutto cieca”, dove venivano confinate le maliarde. Streghe condannate con l’accusa di partecipare al Sabba, chiamato localmente barilot, e per aver stregato bambini e uomini le troviamo a Como e Lecco dove furono incarcerate “alcune femine per strie e farsi hora quatro hano confessato d’esser stato a quel ballo o gioco diabolico et confessano d’haver maleficiato et fato morire creature et bestiame et molte altre scelleragini”.
Centro importante dell’attività inquisitoria fu anche Morbegno, dove nel 1432 operava fra Ubertino da Vercelli. Fu lui a condannare al rogo una certa Ganzina di Gerla, detta “Barzia”, “combusta pro crimine heretice pravitatis … in Serta apud locum iustitiae”. In ricordo della sua esecuzione, in contrada Serta vi è oggi una casa antica nota con il nome di Casa di Stria de Serta, sopra la quale è ancora visibile una croce. Insieme a lei, il domenicano fra Cristoforo da Luino fece inquisire altre tredici donne, accusate di “indovinationis et alterius malefitii” e “cuiusdam suspectationis conversationis bone societatis seu diaboli”, tutte successivamente rilasciate, e un ecclesiastico, Gapare di Parazo parroco di S. Pietro a Dubino, che fu invece allontanato dal paese per dieci anni.  Anche Varese non fu indifferente al dilagare della stregoneria: vi si bruciarono nel 1579 Marta d’Albiolo e nel 1588 Lucia di Azzate.
Attorno all’inizio del Cinquecento l’attenzione degli inquisitori si spostò verso la Valcamonica dove le diocesi di Brescia e Bergamo la facevano da padrone. A quel tempo le due città erano sotto il controllo di Venezia che vigilava sui processi. Questo non è un particolare di poco conto per quanto consterà il manoscritto ritrovato. Secondo le tesi inquisitoriali le streghe avevano scelto quella valle come loro dimora perché da li potevano raggiungere uno dei più noti luoghi del sabba in Italia, il Tonale.
 “…Queste bestie eretiche hanno electo uno monte, el qual se chiama monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare, qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius et che onzendo un bastone, montano a cavalo et efìcitur equus, sopra il quale vanno a ditto monte et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali…”.
Solo nella Diocesi di Brescia furono arsi vivi “60 femine e forsi 20 homini tutti vivi”.
L’elenco di tutti i processi lombardi potrebbe richiedere un saggio apposito, questo brevissimo e certamente non esaustivo excursus è semplicemente per mostrare i numerosi processi lombardi.
In realtà, focalizzandoci esclusivamente sulla città di Bergamo, non ci sono molte notizie di streghe ivi vissute. La più nota è sicuramente una certa  Benvenuta detta “Pincinella”, una donna di circa sessant’anni nota alla comunità come maliarda accusata di professare le arti magiche e di partecipare al famoso Sabba sul Tonale, dove veniva trasportata grazie all’uso del magico unguento, “col qual subito onzevo il bastone el diventa una capra o un cavallo, o qualche altra sorte di animali, et se leva in aire con tanta prestezza che per el vento che me da in el petto qualche volta non posso piliar fià”. La sua storia è conservata tra le mura della Biblioteca Civica di Bormio, in Palazzo de Simoni, dove troviamo, tra le carte impolverate, gli atti del Quaternum inquistitorum, uno dei processi più tremendi ai danne delle streghe. La storiografia ci narra poi di una certa Caterina de Pilli di Bergamo, soprannominata, anche come Ruggiera da Monza, condannata per stregoneria e condannata al rogo nel gennaio del 1471. Ebbene a queste due streghe bergamasche oggi possiamo aggiungere una terza, il cui nome, purtroppo, è andato perso nell’oblio. La vicenda narrata, sin ora inedita, è descritta in un antico manoscritto secentesco ritrovato all’interno di un saggio di esorcismi del 1600. Il Documento, parecchio lungo e ancora in fase di decifrazione, parla, tra l’altro, del sabba beneventano e del demonio Beliath. In una delle ultime pagine è narrata una curiosa vicenda.
Siamo a Bergamo. Il tema è il “male d’occhi”, ovvero la fattura, il potere di una strega di rendere infetto il sangue affascinandolo dagli occhi. E’ in questo contesto che si narra la confessione di una fanciulla, una incredibile e rara testimonianza finora mai narrata.



Una donna con una figliola di 9 anni dal suo palazzo, in Bergamo, “presi certi unguenti che tenea sotto il letto zozzo e alcuni quadrelli,se ne unse tutto il corpo. Preso un bastone se lo mise sotto come cavalcando…uscì dalla finestra di detta camera che più non la si vide. La figliola ungersi anch’essa e spogliatasi fece lo stesso che avea visto fare alla madre…e in un brevissimo tempo furono in Venetia…in casa di certi parenti, tutta ignuda, e trovò ivi la madre che procedea a stregare un figlio di quelli nel letto…che spaventato gridò l’Ave Maria. Immediata sparve sua madre e  ella si trovò da sola etutta  ignuda…e senza unguanto che l’aveva trasportata. Tutto confessò la povera figlia …e l’ Inquisizione di Bergamo fece subito pigliare quella donna”.

Un interessante, nuovo documento che descrive ancora una volta lo stereotipo della strega italiana.