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domenica 8 gennaio 2023

PINOCCHIO, UNA FIABA SENZA TEMPO, INTERVISTA A LUIGI PRUNETI

tratto da L'Opinione del 26 ottobre 2021

di Pierpaola Meledandri

 Il 26 ottobre è l’anniversario della morte di Carlo Collodi, autore di Pinocchio: opera ricca di simboli, archetipi e arcani significati, proposti nella piacevole forma della fiaba. So che è un argomento che ha affrontato a più riprese, vorrei, quindi, che ci parlasse del burattino più famoso del mondo. La prima domanda che le porgo è questa: A cosa è dovuta l’immensa fortuna di Pinocchio?

In effetti, Pinocchio ha avuto una fortuna incredibile, è stato tradotto in 240 lingue e sembra che sia il libro più letto al mondo dopo la Bibbia. Il segreto di questo successo è dovuto a molti fattori. È una fiaba, ma una fiaba particolare, animata non da stereotipi ma da personaggi vivi, da animali e uomini che ricordano a ciascuno figure spesso incontrate nella vita; inoltre il protagonista è un soggetto dinamico che da antimodello, diventa un eroe da imitare. Le sue avventure si configurano, pertanto, come un romanzo di formazione, Il burattino al pari di Renzo Tramaglino, si adegua e comprende ma, a differenza del romanzo di formazione, Pinocchio rimane nella sfera del fantastico.

Le disavventure di Pinocchio sono molteplici, la più clamorosa è la trasformazione in asino che ricorda molto da vicino Le Metamorfosi (L’Asino d’oro), di Apuleio.

Collodi è stato probabilmente ispirato dal capitolo XXXII de L’Asino d’oro di Apuleio, dove Lucius, viene tramutato in asino perché sbaglia ad utilizzare un unguento. Egli, spinto dalla curiositas, si era fatto introdurre dall’amante Fotide, nella casa della sua padrona-strega Panfile.  Pinocchio, si fa convincere, a sua volta, dall’amico Lucignolo a raggiungere il Paese dei Balocchi.

Quali furono le altre fonti o gli autori che ispirarono Collodi?

Sono molte, perché ogni autore trae ispirazione da ciò che ha letto e Collodi leggeva moltissimo. Probabilmente fu ispirato dall’Odissea, dalla Bibbia, dalla Divina Commedia, dalla mitologia dal romanzo picaresco, di cui sono esempi Lazarillo de Tormes e Don Chisciotte della Mancia. Potrei citare poi i Promessi sposi. Ad esempio il passo in cui Pinocchio è convinto dai cattivi compagni a marinare la scuola per andare a vedere il pescecane ricorda il traviamento della Monaca di Monza, mentre il carro che porta i bambini nel Paese dei balocchi rammenta quello dei monatti.

Vi è poi il teatro di cui Carlo Lorenzini era un estimatore, vi sono, infatti, in Pinocchio espressioni che ricordano l’Alfieri e la Francesca da Rimini di Silvio Pellico, Goldoni e Moliere, mentre l’omino di burro canta: “Tutti la notte dormono / E io non dormo mai”, riferimento esplicito alla canzone Te voglio bene assje. Il brano comparve per la prima volta nella festa di Piedigrotta del 1835. Le parole sono di Raffaele Sacco, non si sa chi l’abbia musicata, anche se s’ipotizza che sia stato Donizetti. Voglio infine ricordare che il nome del cane Melampo è ripreso dalla poetessa lucchese Teresa Bandettini (Amarilli Etrusca) che scrisse: “Chi veglia il gregge? Ah che già fu Melampo / terror di lupi e contro i ladri scampo”.

Un’interpretazione che è stata all’opera di Collodi, è addirittura di tipo religioso: Geppetto falegname come Giuseppe e Gesù. La Fatina, Madre salvifica e provvidenziale, la storia del bambino ribelle che lascia la casa paterna un remake della parabola del Figliol prodigo. Troppo azzardata questa lettura?

Secondo me sì, è più che azzardata. Il cardinale Giacomo Biffi, scrisse un bel libro sull’argomento, citando, oltre alla parabola del Figlio prodigo, “l’eterno motivo agostiniano: la scoperta della verità, che non è fuori di noi, ma in noi stessi: in interiore nomine habitat veritas”. Inoltre, quando Pinocchio è impiccato alla Quercia grande, prima di morire, mormora “Oh babbo mio! Se tu fossi qui”. Il punto ricorda Matteo (27, 46): “Padre mio perché mi hai abbandonato”. Infine, la casina nel bosco indica la chiesa e i colori della fatina, il bianco e il turchino, sono quelli della Madonna. Ciò tuttavia non è sufficiente a dare una valenza religiosa a un’opera dove non è presente una chiesa o un sacerdote. Gli unici riferimenti a una religiosità popolare si hanno quando i pescatori, pensando che Geppetto sia affogato, se ne tornano a casa “brontolando sottovoce una preghiera” o quando Pinocchio tirato fuori dall’acqua dopo che era stato gettato in mare, afferma: “Che vergogna fu quella per me! Che Sant’Antonio benedetto non la faccia provare nemmeno a voi!”.

Nella storia di Pinocchio, vi sono molti aspetti di carattere iniziatico: il viaggio, le prove continue, la morte e la rinascita, le trasformazioni e il raggiungimento di uno stato esistenziale superiore. Il capolavoro di Collodi è forse una parabola iniziatica?

Lo è certamente, ma anche la vita di ciascuno di noi è caratterizzata da continue iniziazioni. Le fiabe sono spesso delle raffigurazioni del percorso esistenziale dell’uomo che da una situazione di difficoltà, attraverso il superamento di prove, raggiunge un livello superiore di autocoscienza e il successo. Basti pensare a Biancaneve, a Pollicino, a Hansel e Gretel. Il protagonista parte sempre da uno stato infelice (indigenza estrema, infelicità familiare), nel labirinto della foresta incontra i vari minotauri, conosce la morte iniziatica, riesce ad avere la meglio e risorge a nuova vita.

Molti autori, insistono, però, sulle valenze esoteriche, se non massoniche di Pinocchio.

Pinocchio è una fiaba complessa, pertanto, è stato interpretata in tante chiavi diverse: civile, valoriale, politica, antroposofica, psicoanalitica, magica, alchemica, astrologica, cabalistica, massonica e, come abbiamo, detto cristiana, in realtà Carlo Lorenzini voleva scrivere solo una fiaba “morale” e pedagogica. Basti pensare che nella stesura originale il romanzo terminava con l’impiccagione di Pinocchio. La morale era chiara: chi non ubbidisce ai genitori, chi non rispetta le regole, chi non ascolta i buoni consigli, fa una brutta fine. In seguito, spinto dai lettori e dall'editore proseguì il racconto con un Pinocchio prima pentito e infine redento.Questo non toglie che una storia quando è pubblicata, come scrisse Umberto Eco, appartiene a chi la legge che è libero d’interpretarla come meglio crede.

L’autore di Pinocchio, Collodi, era un Libero Muratore?

Molti lo affermano; Elèmire Zolla, scriveva: “Il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile” e aggiungeva che i valori iniziatici di Pinocchio “provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva”, ove ferveva “una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi con Arturo Reghini”. Su posizioni simili sono Coco e Zambrano, Pietro Citati e altri autori. Io la penso come Fulvio Conti: la massoneria del periodo collodiano non ha niente da spartire con Reghini, il martinismo, il neopaganesimo, il neo-pitagorismo. Nell’età di Carlo Lorenzini la massoneria italiana era penetrata da razionalismo e positivismo ed era tutta protesa ad esaltare il mito della scienza e del progresso. I temi più dibattuti erano quelli sociali, dei diritti civili, dell’educazione, della laicità. D’altra parte, dopo la morte dell’autore, il Grande Oriente Italiano non rivendicò l’appartenenza di Collodi. Scrive Conti: “Del resto il suo nome non figura nell’elenco degli affiliati del Grande Oriente d’Italia fra Ottocento e Novecento, che sono emersi dagli scavi archivistici degli ultimi anni. Elenchi certo incompleti, ma che pur tuttavia comprendono alcune decine di migliaia di nomi. Né vi sono riferimenti a Collodi nei numerosi e approfonditi studi sulla massoneria in Toscana che sono apparsi in tempi recenti”. Lo stesso autore, infine, ricorda che “le questioni esoteriche e rituali ebbero per alcuni decenni un peso marginale nella vita del Grande Oriente e delle singole logge”. L’unico indizio a favore dell’appartenenza massonica di Collodi è una lettera indirizzata da Collodi a Pietro Barbera, datata 4 marzo del 1884 che termina così: “In ogni caso mi creda sempre. Il Fratello Collodi”. Per Ferdinando Tempesti, non ci sono dubbi: è la prova dell’appartenenza di Collodi ai “figli della vedova”. Io non ho mai visto l’originale, citato Maria Jole Minicucci negli atti convegno, ma ci andrei piano. Una rondine se rondine è, non fa primavera.

I personaggi e le storie di Pinocchio come il Gatto e la Volpe, il Grillo Parlante, la bambina dai capelli Turchini e ancora scimmioni, pavoni spennati, faine, cani, il paese degli acchiappacitrulli a cosa fanno riferimento?

Pinocchio, pur essendo collocato nella dimensione “metastorica e atemporale propria delle fiabe” è ispirato dalla Toscana post risorgimentale nella quale visse Collodi, che era un uomo deluso dalla politica, dalla meschinità e dalla scarsa attenzione sociale del nuovo stato unitario. Molte situazioni e personaggi presenti in Pinocchio sono perciò desunti dalla società dell’autore.

La città di acchiappacitrulli, per esempio, è Firenze, gabbata dal trasferimento della capitale a Roma e lasciata con 100 milioni di debiti. Le gazze ladre e gli uccellaci da rapina sono gli speculatori del business della Firenze capitale. Gli ideali risorgimentali erano stati traditi, l’Italia nata nel 1859-0 era diventata una terra infelice in mano a corrotti, approfittatori e ladri, posti al di sopra del potere. Il gatto e la volpe sono due imbonitori, il primo ripete ossessivamente quello che l’altro afferma, essi non si avvalgono del ragionamento ma nella “insistenza ossessiva degli enunciati”. Il Grillo Parlante, invece, potrebbe essere stato ispirato da un prete di nome Zipoli col quale Lorenzini convisse per un po’ di tempo, era un uomo tanto colto quanto pedante. L’omino di burro, ricorda i trafficanti di bambini, vera e propria piaga dell’Italia post-unitaria, mentre lo scimmione giudice potrebbe accennare il mal funzionamento della giustizia, asservita al potere e alla corruzione.

Secondo lei quale è la caratteristica di fondo del mondo dove vive e opera Pinocchio?

Sicuramente la miseria e la fame che Collodi aveva provato da bambino. Geppetto, dice all’inizio del racconto: “Lo voglio chiamar Pinocchio. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina”. Nel capitolo XII Pinocchio dice a Mangiafoco che il suo babbo fa per mestiere il povero e che guadagna “quanto ci vuole per non avere mai un centesimo in tasca”. Il termine fame compare in Pinocchio ben 44 volte. Scrive Giovanni Spadolini: “Collodi avrà viva come pochi la coscienza della povertà, anzi della miseria delle classi popolari del suo tempo. Strenuo difensore della proprietà privata, invocherà una più equa ripartizione delle risorse senza mai cedere al socialismo né tanto meno al comunismo”, definito “Tanto per uno nulla a nessuno”.

lunedì 31 marzo 2014

La mitica Agharta nel libro di Pruneti

tratto da L'Opinone del 13 marzo 2014

di Luca Bagatin

Chi è il Re del Mondo che tutto sa e governa? Esiste davvero la mitica Agharta o Agharti – regno sotterraneo incontaminato dove albergano perfezione, bellezza, pace e amore e dove, appunto, il Re del Mondo vive al riparo da occhi indiscreti? Pressoché tutte le culture, le tradizioni folkloristiche, le correnti gnostiche ed esoteriche ne parlano, anche se con nomi e forme differenti, per quanto solo eruditi studiosi ed esoteristi quali René Guénon, Alexandre Saint-Yves d’Alveydre e Ferdynand Ossendowski, hanno tentato di penetrarne e raccontarne il segreto.
Il professor Luigi Pruneti, docente, saggista, scrittore ed ex Gran Maestro della Massoneria della Gran Loggia d’Italia, nel suo ultimo ed agile saggio edito da “La Gaia Scienza” con prefazione del principe Tiberio Dobrinya, ovvero “Il mistero del Re del mondo e della mitica Agharta”, ci presenta l’ampia letteratura a disposizione relativa a tale figura. Pruneti esordisce con il mito della cosiddetta “Terra Cava”, ovvero l’idea – sviluppatasi in particolare nel corso dell’Ottocento in cenacoli teosofici, occultistici ed esoterici – che la Terra fosse cava e popolata da esseri viventi, talvolta esseri mitologici, talaltra draghi e/o rettili.
In particolare, Pruneti fa riferimento ad opere quali “La razza ventura”, bellissimo romanzo del barone Edward Bulwer-Lytton che racconta del popolo degli Ana, una razza superiore abitante il mondo sotterraneo; oppure alle celebri opere del romanziere d’avventura Jules Verne, quali “Viaggio al centro della terra” e “Le Indie nere”. Come ricorda il professor Pruneti, già alcuni anni fa fu edito dalle Edizioni Mediterranee un ottimo volume dal titolo “Jules Verne e l’Esoterismo”, nel quale l’autore, Michel Lamy, racconta e dimostra come le opere del celebre scrittore francese racchiudano profondi significati esoterici e facciano riferimento a credenze e studi tipici di noti cenacoli esoterici quali, fra gli altri, la Società Teosofica fondata da Madame Blavatsky e la Massoneria.
René Guénon, Saint-Yves d’Alveydre e Ferdynand Ossendowski, dicevamo, sono i maggiori studiosi del mito del Re del Mondo. Nelle loro opere - frutto di fonti orientali, afghane, indiane (d’Alveydre), mongole e tibetane (Ossendowski) - tali studiosi delineano la figura del Re del Mondo quale una sorta di governatore occulto del Mondo, guidato da Dio, abitante di Agharta, una terra somigliante a Lhasa, la dimora del Dalai Lama in Tibet. Terra di saggi e veggenti (Agharta) che volendo sarebbero in grado di curare tutti gli infermi del pianeta e resuscitare i defunti.
Molti uomini, nel corso della Storia, hanno ricercato Agharta e il Re del Mondo. In particolare in Tibet. Fra questi il barone Von Urgern-Sternberg, il quale lottò – ai tempi della guerra civile in Russia – contro l’armata rossa e tentò, invano, di raggiungere Lhasa, purtuttavia non riuscendovi in quanto fu fucilato dai russi prima di poterla raggiungere. Il professor Pruneti nel suo saggio ci fa notare come, di volta in volta, nel corso della storia e delle tradizioni, il Re del Mondo sia stato identificato come il Prete Gianni – sovrano e sacerdote d’Oriente (forse indiano o etiope) – oppure come un discendente dei Re Magi, oppure ancora come un alleato di Gengis Khan.
Il mito rimane e le fonti letterarie, storiche, esoteriche e religiose sono numerosissime e tutte citate dal professor Pruneti, sia nella documentata bibliografia che nelle ampie note a margine. Il mito rimane, dicevamo, al punto da aver influenzato anche la cinematografia e la musica. Il regista Frank Capra, nel 1937, girò “Orizzonte perduto”, tratto dall’omonimo romanzo di James Hilton, ovvero la storia dell’equipaggio di un aereo dirottato in una sperduta valle del Tibet in cui era celata la città di Shangri- La, i cui abitanti, estremamente longevi, vivevano – a differenza del mondo dei mortali – in una condizione di amore e felicità.
Nel 1973 il regista e scrittore Alejandro Jodorowsky girò “La montagna sacra”, film surrealista nel quale un ladro e nove ricchi, con l’aiuto di un alchimista, si mettono alla ricerca del cenacolo dei nove saggi della montagna, bramando il segreto dell’immortalità. Il musicista Franco Battiato, appassionato di esoterismo nonché amico dello stesso Jodorowsky, nel 1979 incise il disco “L’Era del cinghiale bianco”, nel quale è contenuta la canzone “Il Re del Mondo”, dove si incrociano critiche alla società dei consumi ed alla guerra e riferimenti alla tradizione sufi, ovvero la tradizione esoterica dell’Islam.
Evidenti riferimenti, ancora una volta, al mito in questione che, si dice, allorquando l’umanità precipiterà nelle barbarie e nelle violenze più turpi, riporterà Agharta in superficie ed instaurerà una nuova Età dell’Oro in cui la pace e le prosperità trionferanno sull’ignoranza degli uomini. Tutto ciò e molto altro ne “Il mistero del Re del Mondo e della mitica Agharta”. Ancora una volta Luigi Pruneti non delude, dunque, i suoi lettori più raffinati e curiosi.