sabato 30 agosto 2014

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLE COINCIDENZE


Le Piramidi di Teotihuacán, Giza e Xianyang



Con i dati oggi in nostro possesso, è facile constatare ed è già stato dimostrato da diversi studiosi1 che quanto abilmente riportato in queste immagini, corrisponde a realtà:


Immagine1 elaborata e resa disponibile da Luca Bernasconi


Ingrandendo i punti di interesse, ci troviamo di fronte ad una situazione ancora più particolare, di cui la seguente immagine ne è una rappresentazione significativa:

Immagine2 disponibile dal sito http://onlythechanges.blogspot.it/


Sulla immagine 1 non ci sono dubbi e l’allineamento è facilmente constatabile da chiunque abbia accesso ad internet ed utilizzi un programma come Google Earth.

Sulla immagine 2, vi è maggiore difficoltà di riscontro senza mezzi informatici più specifici, ma per la seguente analisi statistica, basterà fare riferimento all’immagine 1.

Ciò premesso, riporto 2 osservazioni lampanti e scientificamente valide per i tre complessi piramidali più importanti di Messico, Egitto e Cina, rispettivamente collocati nelle regioni note come Teotihuacán, Giza e Xianyang:

1)    sono allineati lungo un’unica linea planetaria;
2)    la loro disposizione sul piano è molto simile;

Essendo le suddette 2 osservazioni state già oggetto di studi approfonditi da parte di studiosi1 molto più esperti di me, evito di entrare nel merito dei valori e delle dimostrazioni, lasciando al lettore l’onere ed il piacere di approfondire gli argomenti.

Il mio obiettivo è invece quello di trattare statisticamente i dati a disposizione.




Partiamo dall’osservazione n°1: qual è la probabilità che 3 popoli diversi in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi, costruiscano per pura coincidenza, 3 complessi piramidali allineandoli lungo una linea planetaria?

Per comodità dei lettori, riporto alcune semplici definizioni:

a)    Probabilità (classica) di un evento: il rapporto fra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili supposti tutti ugualmente possibili
b)    Coincidenza (Garzanti): concomitanza spesso casuale di più circostanze



Per l’analisi statistica, dobbiamo definire l’estensione di un territorio (spazio campionario) come “insieme” delle probabilità dei luoghi di costruzione e dobbiamo individuare l’estensione spaziale del complesso piramidale.

Quest’ultimo dato possiamo stabilirlo come il rettangolo che contiene le 3 piramidi principali di ogni sito (per brevità lo chiameremo “rettangolo  contenente”).

Ciò premesso, analizziamo i dati.



L’estensione del territorio dominato dai costruttori, è noto solo per Giza, purtroppo.

Anche in questo caso però, non possiamo ritenere idoneo alla costruzione del complesso piramidale il 100% del territorio dell’impero dell’Antico Regno (essendo presenti il Nilo, i rilievi, il deserto, etc.).

Per semplificare la trattazione, assumiamo cautelativamente che solo il 10% del territorio presentasse caratteristiche idonee alla costruzione: pianeggiante e con sufficiente capacità di sopportare il carico delle piramidi.



Per quanto riguarda Giza, abbiamo i seguenti dati:

1)    Estensione rettangolo contenente: circa 0,7 kmq (dato reale)
2)    Estensione impero costruttori: circa 300.000 kmq (dato reale)
3)    Estensione territorio idoneo: circa 30.000 kmq (ipotesi cautelativa)


Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel kmq di territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:

PGiza = 0,7/30.000= 0,0023%



attribuiva la costruzione delle piramidi al popolo dei Toltechi, ma successivamente ha abbandonato questa ipotesi per abbracciarne altre non meglio definite.

 


Quindi, data l’incertezza sulla data di costruzione e sul popolo che l’ha costruita, possiamo ipotizzare che i costruttori avessero a disposizione un territorio vasto almeno 100.000 volte l’estensione del complesso piramidale. E’ un’ipotesi molto conservativa, considerando la complessità, la maestosità e lo splendore di Teotihuacan, sarebbe infatti lecito pensare che i costruttori dominassero su un impero ben più vasto (come termine di confronto basti pensare all’estensione dell’impero Egizio al tempo della costruzione delle piramidi della piana di Giza, che è più del doppio).

Semplificando i calcoli, abbiamo:
1)    Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato reale)
2)    Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3)    Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)
Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel punto del territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:

PTeo=1,15/11.500 = 0,01% 


Per il complesso di Xianyang, i dati attualmente in nostro possesso sono veramente scarsi (per cause legate a divieti militari del governo cinese), quindi per non interrompere lo studio, prendiamo come riferimento il rettangolo contenente ed i dati ipotizzati per Teotihuacan (nell’attesa di poter definire almeno il rettangolo contenente con più precisione e magari anche l’estensione dell’impero dei costruttori):
1)    Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato scelto per analogia con Teotihuacán)
2)    Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3)    Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)

PXian = 1,15/11.500 = 0,01%


Pertanto la probabilità della coincidenza è:



PCoincidneza = PTeo * PGiza * PXian = 0,01% * 0,0023% * 0,01% = 0,0000000023%



Ovvero, la probabilità che Egizi, Precolombiani e Cinesi in 3 epoche diverse, in 3 continenti diversi, abbiano costruito per pura coincidenza, i 3 complessi piramidali di  Teotihuacán, Giza e Xianyang allineandoli lungo quella particolare linea planetaria, è pari a circa 2 su 100.000.000.000 (leggasi “due su cento miliardi”).
C’è da fare un considerazione (Osservazione 1 bis) a commento di questo risultato: due siti generici sul pianeta Terra saranno sempre allineati su una linea planetaria. Quindi la vera coincidenza è data dal terzo sito che viene costruito sulla linea planetaria definita dagli altri due siti.
Il calcolo quindi andrebbe fatto per il sito meno antico, ma siccome l’incertezza sulla datazione di Xian è troppo elevata, possiamo effettuare il calcolo per l’unico dei 3 siti per il quale abbiamo più dati a disposizione, ovvero Giza.
Ciò premesso, la probabilità che gli Egizi scegliessero di costruire il complesso piramidale d Giza proprio in quel punto, allineandolo per pura coincidenza gli altri due siti piramidali di Teotihuacán, Giza e Xianyang vale:

PGiza Bis = 0,7/30.000 = 0,0023%

Ovvero circa 2 probabilità su 100.000.

Analizziamo ora l’osservazione n°2: partendo dalla probabilità di coincidenza sopradescritta, qual è la probabilità che i 3 popoli suddetti, in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi, dopo aver allineato per pura coincidenza lungo linee planetarie parallele i 3 complessi piramidali, abbiano disposto le piramidi secondo una geometria simile?
Per non entrare nel merito della trattazione, rimando agli studi di cui alla nota 1 e mi limito ad inserire le seguenti immagini per sostenere l’ipotesi della disposizione “molto simile”:



 

Le immagini parlano da sole, non ci sarebbe nemmeno bisogno di commentarle, ma basta osservare che per i 3 siti piramidali vi è l’allineamento delle 2 piramidi maggiori ed il disallineamento della terza piramide, la più piccola.
L’angolo di disallineamento tra la piramide più piccola e l’asse di allineamento delle altre due è lo stesso (precisione del decimo di grado) per i 3 siti piramidali.
Nelle immagini compare la costellazione di Orione, ma non verrà considerata nello studio delle probabilità di coincidenza.
Anche in questo caso, dobbiamo stabilire un criterio per determinare uno spazio campionario.
Un criterio possibile è quello di suddividere il rettangolo contenente in una maglia quadrata con estensione di un ettometro quadrato (valore plausibile in considerazione delle dimensioni di base delle piramidi).
Pertanto per Giza abbiamo 70 quadrati contenenti all’interno dei quali i costruttori avrebbero potuto collocare le proprie piramidi (per definizione un quadrato contiene la piramide quando il vertice della piramide coincide con il baricentro del quadrato).
La prima piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:
 

P1Giza = 1/70 =1,43%


La seconda piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:

P2Giza = 1/69 = 1,45%


La terza piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:


P3Giza = 1/68 = 1,47%



Pertanto la probabilità totale di disporre per pura coincidenza le Piramidi proprio secondo lo schema attuale è di:

PTGiza = 1,43%*1,45%*1,47% = 0,0003%


Ovvero ci sono 3 probabilità su un milione.

Ripetendo i calcoli anche per Teotihuacán e Xianyang , otteniamo:


PTTeo = 0,00007%    PTXian = 0,00007%  


La probabilità parziale per l’osservazione 2 vale: 0,00000000000000014%


(Leggasi circa 1 probabilità su mille milioni di miliardi)

La probabilità totale che si verifichi contemporaneamente l’osservazione 2 e l’osservazione 1 è la seguente:
 

Ptotale bis = 0,0000000000000000000000000032%



(Leggasi circa 3 probabilità su mille di miliardi di miliardi)
Anche in questo caso, riportando l’esempio del dado a 6 facce, dovremmo lanciarlo per 29 volte di seguito ed ottenere sempre 6!


La PGiza Bis equivale a lanciare il dado 6 volte di seguito ed ottenere sempre 6.
Su questo dato, suggerisco esperimenti personali ai professori di egittologia che parlano di coincidenze: comprate un dado a 6 facce e lanciatelo su un tavolo piano facendolo rotolare.
Non appena avrete raggiunto l’obiettivo di ottenere 6 volte di seguito un 6, avrete capito che la teoria classica è valida. In caso contrario, fatevi qualche domanda.

E’ doveroso evidenziare il fatto che non ho preso in considerazione l’immagine 2: infatti se avessi dovuto analizzare anche la probabilità che le singole piramidi di un sito sono allineate con le corrispettive degli altri 2 siti, allora credo che avrei avuto difficoltà anche solo a pronunciare il numero che rappresenta la probabilità di coincidenza totale.
A questo punto, il lettore esperto di statistica, o il lettore esperto di archeologia, potranno sollevare numerose obiezioni sulle ipotesi cautelative che ho dovuto fare per ottenere un valore di probabilità della coincidenza.
Come per i miei precedenti 2 studi ( http://unina.academia.edu/SimoneScottoDiCarlo ), sottolineo che il mio obiettivo è dare un ordine di grandezza al problema e non una soluzione precisa.


Pertanto, variando i dati in ingresso e variando le ipotesi cautelative, si otterranno sempre e comunque dei valori di probabilità di coincidenza così piccoli da indurre a pensare che la teoria archeologica ufficiale è da rivedere.
Oggi è insostenibile affermare con leggerezza che quanto sopra esposto sia solo una pura coincidenza: sono i numeri che mettono in forma matematica ciò che la logica e l’intuito suggeriscono da anni; vi è stata una scelta precisa e non casuale da parte dei costruttori a Teotihuacán, Giza e Xianyang di allineare i 3 siti piramidali lungo linee planetarie e di disporre le piramidi secondo geometrie simili.
Negare questa verità oggi significa sostenere che la Terra è ancora al centro dell’Universo ed il Sole e le Stelle immutabili le girano intorno.
Ma se si accetta questa verità, il passo successivo è scoprire chi e quando (e magari anche perché e come) ha scelto di costruire i 3 complessi piramidali in 3 continenti diversi in quel modo così particolare.
Una sfida enorme, la cui complessità richiede lo sforzo di ricerca di tutti gli studiosi ufficiali e di tutti gli appassionati del settore. Collaborare per capire e scoprire, senza aggrapparsi ai “dogmi archeologici” che stanno oscurando una delle pagine più belle e più antiche della storia umana.

Pinerolo                                                                                             
Simone Scotto di Carlo
20/08/2014

Nota 1: cito tra tutti, il libro di Fabio Garuti “L’ombra di Orione”.


Fonti:
 






sabato 23 agosto 2014

Così nacque Godzilla, il mostro più amato

tratto da Il Giornale del 22 agosto 2014

di Gianfranco de Turris

Godzilla compie sessant'anni. È il «mostro» più famoso del cinema mondiale con ventisette seguiti e due rifacimenti americani dell'episodio di esordio: il primo (1998) pessimo, un vero fiasco, nonostante la regia fosse affidata al famoso Roland Emmerich, quello di Stargate e Indipendence Day , che realizzò un Godzilla che assomigliava ad Alien; il secondo uscito da poco e diretto da Gareth Edwards, un esperto di effetti speciali.

Il titanico sauro del Mesozoico apparve nel 1954 nell'omonimo film di Ishiro Honda, il regista giapponese specializzato nella fantascienza e nel fantastico. Godzilla, però, non è come ci si potrebbe aspettare semplicemente una brutta bestiaccia che semina distruzione realizzata solo per spaventare. Ha un suo preciso valore simbolico. L'idea venne nel 1952-3 al vicedirettore della società cinematografica Toho che si chiamava Mori, il quale, come raccontò in una intervista Honda, pensò «di legare in un film la paura della bomba atomica... all'apparizione di un mostro preistorico». Tomoyuki Tanaka, produttore della Toho che aveva ben presenti i film di mostri realizzati negli USA, la concretizzò. Erano trascorsi appena sette-otto anni dall'annientamento di Hiroshima e Nagasaki e il ricordo e la paura erano ancora profondissimi. Nacque così Gojira che in giapponese si pronuncia Gogilà e che venne trasformato in Occidente in un nome che nella pronuncia inglese suonasse quasi uguale. Nella intervista citata Ishiro Honda spiega anche l'origine del termine originale: Gojira è la fusione dell'inglese gorilla e del giapponese kujira, balena, ed era il soprannome di un tecnico cinematografico della Toho robusto e tozzo, passato scherzosamente al mostro.
Tutte queste notizie ce le raccontano Luigi Cozzi e Riccardo Rosati in Godzilla 2014 (Profondo Rosso, pagg. 150, euro 19), un libro che percorre, film dopo film, la storia di questa bestia che terrorizza il mondo, ma soprattutto il Giappone.

Essa infatti, oltre a simboleggiare la paura dell'atomica, affonda nei ricordi ancestrali del popolo nipponico e nella sua mitologia: come ci spiega Riccardo Rosati il pericolo viene spesso da mare nei miti giapponesi, e Godzilla, risvegliato dagli esperimenti atomici americani nel Pacifico, emerge dalle acque dell'oceano seminando la morte. Cozzi invece ricorda che dal punto di vista cinematografico Godzilla ha almeno due antenati-ispiratori: King Kong (1933) e Il risveglio del dinosauro (1953).
La saga di Godzilla, con i suoi alti e bassi e differenti registi (ad un certo punto il ciclopico sauro si trasformerà in difensore del Giappone ed in un simpatico mostro amico dei bambini) attraversa tutta la storia del dopoguerra del Paese del Sol levante, descrivendone indirettamente la varie fasi di crescita e di trasformazione economico-sociale, evidenziati da Rosati: 1954-1975, 1984-1995. 1999-2004. La saga di Godzilla va oltre il puro divertimento da ragazzini. Alle sue spalle è possibile vedere qualcosa d'altro: il ricorso ai miti, il messaggio contro i pericoli dell'uso bellico dell'atomo, la descrizione di come si è evoluta/involuta la società giapponese abbandonando le sue tradizioni e sempre più occidentalizzandosi.

Alla ricerca di chi avvelenò Rudolf Steiner

tratto da Il Giornale del 18/08/2014

di Luca Negri


Gli anni che precedettero e videro l'esplosione delle due guerre mondiali, paiono avere un retroscena occulto poco indagato dalla storiografia ufficiale


I lavori pionieristici di Giorgio Galli, Nicholas Goodrick-Clarke e René Alleau hanno fatto un po' di luce sulle radici esoteriche, o meglio sataniche, dell'ideologia nazista, ma ancora molto rimane da capire. Da diversi anni anche lo studioso romano Andrea Franco, laureatosi con una tesi sul pensatore tradizionalista René Guénon sotto la supervisione del filosofo cattolico Augusto Del Noce, scrive saggi e tiene incontri pubblici proprio su questi argomenti.
Dunque non potevano mancare nel suo libro Chi ha avvelenato Rudolf Steiner? (pag. 205, euro 13,90) fresco di stampa per Uno editori. Si tratta di una biografia, molto accurata e documentata, del filosofo, occultista e pedagogista austriaco, fondatore dell'Antroposofia, nato nel 1861 e mancato nel 1925. È appunto il mistero dietro la sua morte, probabilmente non naturale, come suggerisce il titolo, ad occupare un buon numero di pagine. Steiner infatti dovette abbandonare prematuramente la terra, e il movimento antroposofico in un momento molto delicato della sua storia, perché fu avvelenato. Almeno così riportano molte testimonianze di suoi collaboratori. L'ipotesi è abbastanza credibile, dato che aveva molti nemici, sia dentro la Chiesa cattolica e sia fra i militanti del movimento nazista ancora ai primordi. Da tempo Steiner affermava che il cristianesimo rosacruciano, di cui si considerava un continuatore, avrebbe sempre trovato un avversario accanito nel gesuitismo.
Infatti alcuni membri della Compagnia di Gesù non si risparmiarono calunnie mezzo stampa ai suoi danni. Inoltre, l'incendio che distrusse il Goetheanum, “tempio” dell'Antroposofia costruito interamente in legno a Dornach in Svizzera, fu opera di un malcapitato (morì fra le fiamme nell'impresa) aizzato da sacerdoti gesuiti. Avversari ancora più agguerriti degli antroposofi erano però i cosiddetti “ariosofi” che fondevano dottrine esoteriche, paganesimo germanico e razzismo. Da quella fucina uscì il Nazismo e non stupisce che Hitler criticò Steiner fin dal 1921, con la poco originale accusa di essere un agente dell'ebraismo. Dal canto suo, Steiner poco prima della dipartita aveva profetizzato che nel 1933 si sarebbe manifestata la Bestia dell'Apocalisse. Sarà una semplice combinazione, penseranno gli storici ufficiali, ma è noto che proprio in quell'anno il Fürer prese il potere.

sabato 2 agosto 2014

Dai dolmen a Palladio, i segreti (ancora utilissimi) dell'architettura invisibile

tratto da Il Giornale del 24 luglio 2014

Pubblicato anche in italiano il libro dell'architetto francese che spiega come progettare le abitazioni in armonia con le forze della natura. Grazie alle conoscenze interdisciplinari degli antichi

di redazione

Finalmente pubblicata in italiano la «summa» dell'antica sapienza del costruire in armonia con le energie della terra e dello spazio. Dai dolmen ai templi egizi, dall'arte medievale a Palladio, il libro «L'archiettura invisibile» (Georges Prat, Edizioni DBS Zanetti, 36 euro) è un viaggio nella storia dell'architettura che svela i segreti di una vita più sana.
C'è infatti un'architettura invisibile celata dietro alcune tra le più celebri opere create dall'uomo nel corso della sua storia. Ed è questa architettura a rendere tali opere luoghi «speciali, energetici», centri in cui mistero e misticismo si intrecciano e permeano ogni pietra. Da Stonehenge a Carnac, dalla cattedrale di Chartres al complesso templare di Luxor, da Mont-Saint-Michel al tempietto palladiano di Villa Barbaro a Maser: ecco alcuni dei capolavori di uomini vissuti in secoli diversi e lontani per cultura, luoghi di provenienza e lingua ma uniti dalla comune conoscenza di un sapere antico.
Lo racconta, dati alla mano, il francese Georges Prat: poliedrica figura di architetto, urbanista le cui decennali ricerche nel campo della radioestesia e della geobiologia hanno dato vita a una collana di pubblicazioni che ha avuto grande successo in Francia e in altri Paesi d'Europa.
Il primo di questi volumi, «L'architettura invisibile» è stato pubblicato in francese nel 1999, è ora disponibile in italiano, pubblicato dall'Associazione Avalon nelle Edizioni DBS Zanetti. L'impaginazione e la traduzione, a cura di Anna Maria Amabile e Alessia Martinazzo, riprendono in modo fedele l'opera originaria e sono stati seguiti dallo stesso Prat.
L'opera aiuta a capire perché - dall'antichità ad oggi - furono scelti proprio certi luoghi e non altri per la costruzione di alcuni monumenti e perché venne dato loro un determinato orientamento o una certa forma. Sono interrogativi la cui risposta si traduce oggi in supporto per la scelta dei luoghi e dei modi in cui costruire. Essere consapevoli di queste informazioni significa - spiega Prat - recuperare conoscenze remotissime, riscoperte dopo l'oblio degli ultimi quattro secoli. Non solo: significa soprattutto realizzare edifici sani, in armonia con le forze dell'ambiente in cui si trovano e capaci di trasmettere benessere a chi li vive.
Afferma Prat nell'introduzione: «L'essere umano è un microcosmo, un piccolissimo campo spazio-temporale al centro di un gigantesco macrocosmo di cui subisce le influenze. L'uomo è immerso in un campo di energie che provengono dalla Terra e dallo Spazio. L'equilibrio di questi irraggiamenti determina la sua salute, mentre le perturbazioni prodotte dal sottosuolo del nostro pianeta generano degli squilibri e degli stati di debolezza favorevoli all'insorgenza di malattie».
Dobbiamo ricordare, secondo Prat, che certe proporzioni regolano l'intero universo: la crescita di un essere umano e lo sviluppo di una pianta come le distanze tra i pianeti. Queste nozioni erano conosciute dagli antichi che - dimostra Prat - seppero utilizzarle coniugandole ad astrologia, matematica e geobiologica per riconoscere le energie cosmotelluriche e usarle per curare fisicamente gli uomini ed elevarli spiritualmente.
Il volume, 336 pagine a colori e copertina cartonata, si apre con un'introduzione al mondo delle energie sottili applicate sia all'uomo che al pianeta terra (geobiologia). Dopo aver ricordato alcune tradizioni orientali da sempre attente a questo aspetto, Prat riporta anche le ricerche più significative di alcuni scienziati e medici occidentali (Kirlian, Bovis, Hartmann...) dedicate all'ambito energetico e vibratorio.
Queste conoscenze sono però solo il punto di partenza di un'indagine originale e appassionata, che rilegge sotto nuova luce numerosissimi luoghi, religiosi e non, appartenenti a epoche e culture diverse (menhir, chromlech, allineamenti, dolmen e calvari, ma anche piramidi, tumuli, templi, santuari buddisti, sinagoghe, moschee e chiese romaniche e ogivali), di ciascuno dei quali l'autore ci fornisce accurati rilievi geobiologici.
Attraverso di essi Prat dimostra come l'edificazione dei luoghi altamente energetici sparsi su tutto il globo (siano essi dei semplici menhir o delle maestose cattedrali gotiche) sia sempre sorretta da un'architettura invisibile. Ciò significa che gli antichi sapevano rilevare ed utilizzare le energie telluriche (potenziate talvolta da tracciati regolatori basati sul numero aureo) a beneficio del popolo o dei fedeli.
Ma quali sono queste energie che l'autore ci invita a riconoscere nei luoghi vibratori?
In primo luogo l'irraggiamento sulla superficie terrestre delle reti dei metalli: dai più abbondanti come il nichel (rete Hartmann) e il ferro (rete Curry) ai più preziosi come l'oro, portatori ciascuno di effetti nocivi o curativi per l'uomo. Ma anche l'interferenza dovuta a faglie e correnti d'acqua sotterranee, la presenza di «camini cosmotellurici» e l'esistenza di flussi sacri che collegano vari luoghi di culto tra loro. L'appendice all'edizione italiana infine è dedicata all'opera di Andrea Palladio ed è corredata dai rilievi geobiologici di vari palazzi e chiese di Venezia e Vicenza.
Nell'architettura sacra nulla è lasciato ai capricci del caso, ci insegna Georges Prat. Gli antichi costruttori sapevano come armonizzare le energie provenienti dal sottosuolo e quelle venute dal cosmo al fine di elevare spiritualmente l'umanità.
A noi uomini e donne del presente non resta che riscoprire l'antica saggezza, anche grazie a quest'opera.

venerdì 1 agosto 2014

MEYRINK Le seduzioni del Diavolo


tratto da Il Giornale del 21 novembre 2005

di Marino Freschi


Gustav Meyrink (1868-1932) è una delle personalità più affascinanti della letteratura minore del Novecento, potremmo definirlo come uno dei simboli della Praga Magica, inventata da lui e codificata dal nostro Angelo Maria Ripellino. Già la sua vita è un romanzo magico: nasce a Vienna, figlio di un’attrice di straordinaria bellezza e di un padre segreto, forse un ministro, forse un principe regnante. Cresce a Praga allevato dalla nonna materna. Economicamente ben provvisto, è un giovanotto molto intraprendente in affari finanziari e galanti: fonda una banca, ma viene arrestato per presunti illeciti. L’accusa si rivela infondata, giustificata dal risentimento di un marito a ragione geloso. Durante il suo incarceramento, l’istituto di credito fallisce sulla scia dello scandalo.
Meyrink è distrutto, decide di farla finita, sta per suicidarsi quando dalla fessura dell’uscio di casa un fattorino getta un volantino di un catalogo di pubblicazioni occultistiche. Per Meyrink è il segno e la svolta per rifondare la propria esistenza. Diventa un esoterista e insieme uno scrittore. Con una scrittura strana e ambivalente. L’amarezza accumulata nelle imperialregie galere gli ispira novelle animate da un irresistibile estro grottesco, che pubblica sul Simplicissimus, la principale rivista satirica della Germania guglielmina, che ospitò anche l’esordiente Thomas Mann. Negli anni di guerra si rivela la sua impetuosa vena di romanziere, con una fitta serie di romanzi, tra cui, nel 1915, Il Golem, un intramontabile best-seller, un autentico capolavoro della narrativa fantastica, un racconto che ha definitivamente consolidato la svolta espressionistica in letteratura e nel cinema con l’omonimo film del 1920 di Paul Wegener.
Meyrink aveva lasciato Praga per stabilirsi in un ameno paesetto bavarese, ma la città boema rivive sempre più intensamente nella sua scrittura rapida, straripante, espressionistica, coinvolgente, che diviene suggestiva e trascinante fino a elevarsi a una dimensione magica, fortemente pervasa da una cultura occultistica, che lui praticava e predicava con successo e convinzione, divenendo uno dei principali esponenti dell’esoterismo mitteleuropeo, tradotto e introdotto in Italia da Julius Evola. L’attività pubblicistica ed editoriale è così frenetica che il romanzo L’angelo della finestra d’Occidente, del 1927 - ora ripubblicato da Adelphi (pagg. 459, euro 16) in una nuova e bella traduzione di Dora Sassi e Giusi Drago - è scritto almeno a quattro mani. Infatti gran parte del racconto è opera - accertata dalla critica - di Alfred Schmitt-Noerr, uno studioso affine spiritualmente e vicino di casa di Meyrink.
Il romanzo risulta tutto sommato unitario e l’interesse narrativo regge per tutto il racconto. L’invenzione del romanzo è giocata su due dimensioni temporali: quella di Sir John Dee, matematico, astrologo e alchimista dell’Inghilterra elisabettiana e della Praga di Rodolfo II, e quella contemporanea dello scrittore. La trama duplice è unificata dall’esperienza della reincarnazione e di una sofferta avventura iniziatica, cui è destinata la stirpe di John Dee, per cui il romanzo è un esempio - didattico - sulle insidie che minacciano l’eletto sulla via del risveglio. Il tema del tempo percorre l’intero racconto, mescolando con intrigante sapienza narrativa passato e presente, come riconosce il protagonista, scoprendo di essere anche lo studioso elisabettiano: «Il passato è divenuto presente! Il presente è il sommarsi di tutto il passato in un attimo di consapevolezza, oppure è nulla. E poiché questa consapevolezza - questo ricordo - si desta ogni qualvolta lo spirito la chiama, ecco che l’eterno presente vive nella corrente del tempo». Certo, un mito, ma anche una forte intuizione sul senso dell’individuo, così stretto nelle sbarre di un’esistenza singola.
Dopo tanto Signore degli Anelli e Harry Potter - anche quest’ultima opera molto meno «ingenua» di quanto si possa credere, tributaria di segrete suggestioni culturali - la prospettiva magica è ormai acquisita, anche se in Meyrink veniva sublimata nelle figure tradizionali della cultura esoterica del Primo Novecento - quella di Guénon e di Evola -, con il principio demonico della Donna, che è metafisicamente il Due, Satana, la corrosione del nucleo aureo dell’iniziato, non ancora assurto alla dignità dell’adepto, che ha realizzato pienamente la sua vocazione esoterica. Dunque, L’angelo della finestra d’Occidente è romanzo storico e insieme racconto fantastico, ma anche esempio stravagante del romanzo d’iniziazione, costellato di prove e di incontri fatali, che s’intrecciano nella trama quotidiana, che viene continuamente sollevata nel misterioso firmamento dello scontro tra le potenze solari della salvazione e quelle notturne e demoniache della disintegrazione. E come spesso avviene le figure del male sono le più vive, talvolta perfino più simpatiche - come l’antiquario moscovita Lipotin del Golem, anche lui reincarnazione di tutti i suoi antenati, ovviamente tutti fedeli servitori dello zar.
C’è poi la seducente principessa caucasica Assja Chotokalungin, che non può non ricordare un’altra femme fatale della letteratura tedesca di quegli anni: Clavdia Chauchat, la bella russa caucasica della Montagna incantata. E questi due romanzi, sorti quasi contemporaneamente, sono a modo loro due racconti d’itinerari iniziatici, come ebbe a riconoscere Mann in una celebre conferenza a Princeton. Ma se la magica montagna di Hans Castorp è velata da un’atmosfera di ambiguità e d’indeterminatezza, gli scenari disegnati da Meyrink o dalla «ditta» Meyrink, più ingenui e certamente più dozzinali, peccano di un didascalismo propagandistico. Eppure queste lacune sono anche gli ingredienti che fanno meglio risaltare la cultura esoterica dello scrittore. Una cultura fantastica che aveva profondamente influenzato gli scrittori praghesi, come Max Brod e perfino Kafka, che nel Castello, in assoluta autonomia, scrive un racconto che sfiora spesso le affascinanti figure della letteratura d’iniziazione. Meyrink rimane senza dubbio uno scrittore minore quando gli scrittori maggiori si chiamavano Thomas Mann e Franz Kafka.