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venerdì 1 agosto 2014

MEYRINK Le seduzioni del Diavolo


tratto da Il Giornale del 21 novembre 2005

di Marino Freschi


Gustav Meyrink (1868-1932) è una delle personalità più affascinanti della letteratura minore del Novecento, potremmo definirlo come uno dei simboli della Praga Magica, inventata da lui e codificata dal nostro Angelo Maria Ripellino. Già la sua vita è un romanzo magico: nasce a Vienna, figlio di un’attrice di straordinaria bellezza e di un padre segreto, forse un ministro, forse un principe regnante. Cresce a Praga allevato dalla nonna materna. Economicamente ben provvisto, è un giovanotto molto intraprendente in affari finanziari e galanti: fonda una banca, ma viene arrestato per presunti illeciti. L’accusa si rivela infondata, giustificata dal risentimento di un marito a ragione geloso. Durante il suo incarceramento, l’istituto di credito fallisce sulla scia dello scandalo.
Meyrink è distrutto, decide di farla finita, sta per suicidarsi quando dalla fessura dell’uscio di casa un fattorino getta un volantino di un catalogo di pubblicazioni occultistiche. Per Meyrink è il segno e la svolta per rifondare la propria esistenza. Diventa un esoterista e insieme uno scrittore. Con una scrittura strana e ambivalente. L’amarezza accumulata nelle imperialregie galere gli ispira novelle animate da un irresistibile estro grottesco, che pubblica sul Simplicissimus, la principale rivista satirica della Germania guglielmina, che ospitò anche l’esordiente Thomas Mann. Negli anni di guerra si rivela la sua impetuosa vena di romanziere, con una fitta serie di romanzi, tra cui, nel 1915, Il Golem, un intramontabile best-seller, un autentico capolavoro della narrativa fantastica, un racconto che ha definitivamente consolidato la svolta espressionistica in letteratura e nel cinema con l’omonimo film del 1920 di Paul Wegener.
Meyrink aveva lasciato Praga per stabilirsi in un ameno paesetto bavarese, ma la città boema rivive sempre più intensamente nella sua scrittura rapida, straripante, espressionistica, coinvolgente, che diviene suggestiva e trascinante fino a elevarsi a una dimensione magica, fortemente pervasa da una cultura occultistica, che lui praticava e predicava con successo e convinzione, divenendo uno dei principali esponenti dell’esoterismo mitteleuropeo, tradotto e introdotto in Italia da Julius Evola. L’attività pubblicistica ed editoriale è così frenetica che il romanzo L’angelo della finestra d’Occidente, del 1927 - ora ripubblicato da Adelphi (pagg. 459, euro 16) in una nuova e bella traduzione di Dora Sassi e Giusi Drago - è scritto almeno a quattro mani. Infatti gran parte del racconto è opera - accertata dalla critica - di Alfred Schmitt-Noerr, uno studioso affine spiritualmente e vicino di casa di Meyrink.
Il romanzo risulta tutto sommato unitario e l’interesse narrativo regge per tutto il racconto. L’invenzione del romanzo è giocata su due dimensioni temporali: quella di Sir John Dee, matematico, astrologo e alchimista dell’Inghilterra elisabettiana e della Praga di Rodolfo II, e quella contemporanea dello scrittore. La trama duplice è unificata dall’esperienza della reincarnazione e di una sofferta avventura iniziatica, cui è destinata la stirpe di John Dee, per cui il romanzo è un esempio - didattico - sulle insidie che minacciano l’eletto sulla via del risveglio. Il tema del tempo percorre l’intero racconto, mescolando con intrigante sapienza narrativa passato e presente, come riconosce il protagonista, scoprendo di essere anche lo studioso elisabettiano: «Il passato è divenuto presente! Il presente è il sommarsi di tutto il passato in un attimo di consapevolezza, oppure è nulla. E poiché questa consapevolezza - questo ricordo - si desta ogni qualvolta lo spirito la chiama, ecco che l’eterno presente vive nella corrente del tempo». Certo, un mito, ma anche una forte intuizione sul senso dell’individuo, così stretto nelle sbarre di un’esistenza singola.
Dopo tanto Signore degli Anelli e Harry Potter - anche quest’ultima opera molto meno «ingenua» di quanto si possa credere, tributaria di segrete suggestioni culturali - la prospettiva magica è ormai acquisita, anche se in Meyrink veniva sublimata nelle figure tradizionali della cultura esoterica del Primo Novecento - quella di Guénon e di Evola -, con il principio demonico della Donna, che è metafisicamente il Due, Satana, la corrosione del nucleo aureo dell’iniziato, non ancora assurto alla dignità dell’adepto, che ha realizzato pienamente la sua vocazione esoterica. Dunque, L’angelo della finestra d’Occidente è romanzo storico e insieme racconto fantastico, ma anche esempio stravagante del romanzo d’iniziazione, costellato di prove e di incontri fatali, che s’intrecciano nella trama quotidiana, che viene continuamente sollevata nel misterioso firmamento dello scontro tra le potenze solari della salvazione e quelle notturne e demoniache della disintegrazione. E come spesso avviene le figure del male sono le più vive, talvolta perfino più simpatiche - come l’antiquario moscovita Lipotin del Golem, anche lui reincarnazione di tutti i suoi antenati, ovviamente tutti fedeli servitori dello zar.
C’è poi la seducente principessa caucasica Assja Chotokalungin, che non può non ricordare un’altra femme fatale della letteratura tedesca di quegli anni: Clavdia Chauchat, la bella russa caucasica della Montagna incantata. E questi due romanzi, sorti quasi contemporaneamente, sono a modo loro due racconti d’itinerari iniziatici, come ebbe a riconoscere Mann in una celebre conferenza a Princeton. Ma se la magica montagna di Hans Castorp è velata da un’atmosfera di ambiguità e d’indeterminatezza, gli scenari disegnati da Meyrink o dalla «ditta» Meyrink, più ingenui e certamente più dozzinali, peccano di un didascalismo propagandistico. Eppure queste lacune sono anche gli ingredienti che fanno meglio risaltare la cultura esoterica dello scrittore. Una cultura fantastica che aveva profondamente influenzato gli scrittori praghesi, come Max Brod e perfino Kafka, che nel Castello, in assoluta autonomia, scrive un racconto che sfiora spesso le affascinanti figure della letteratura d’iniziazione. Meyrink rimane senza dubbio uno scrittore minore quando gli scrittori maggiori si chiamavano Thomas Mann e Franz Kafka.

venerdì 24 gennaio 2014

Alla ricerca dei “Libri dell’Abisso”


di Roberto Volterri e Bruno Ferrante


Libri dell’Abisso”?
Abisso” dell’animo umano? “Abisso” della follia? “Abisso” delle conoscenze esoteriche?
Di sicuro un “Abisso” in cui si è da sempre immerso chi ha cercato di varcare l’effimera, evanescente “soglia” che sembra separare questa a volte noiosa realtà immanente da una meno ovvia ma forse più pericolosa realtà trascendente ove si nascondono le “ombre” più oscure delle umane vicende…
“Ombre” attraversate nel corso dei secoli da inquietanti, luciferini, personaggi dei quali il mitico “dottor Faust” di marlowiana memoria sembra apparire come una sorta di tragico mentore ispirato al realmente esistito Johann Georgius Faustus Helmstetensis, astrologo e necromante della cittadina di Ingolstadt, vissuto a cavallo tra XV e XVI secolo.

Roberto Volterri
Roberto Volterri

“Ombre” in cui si mossero, brancolarono, soffrirono, molti altri suoi epigoni, personaggi intorno ai quali l’odor di zolfo aleggiava inesorabilmente…
Quali, ad esempio, John Dee , nel 1551 ingiustamente accusato di stregoneria e di aver cercato di avvelenare Maria I Tudor ma divenuto successivamente astrologo di fiducia della regina Elisabetta I e suo consigliere per qualsiasi argomento riguardante “studi proibiti”. Oppure, Edward Talbot, ma per gli amici Edward Kelley, sedicente medium di Dee e noto per la sua dichiarata abilità nell’evocare presenze angeliche (o diaboliche?).
Nel recente “I Libri dell’Abisso”  abbiamo voluto prendere in esame soprattutto alcuni testi “maledetti”, un po’ in “odor di zolfo”, (forse) mai visti, sfogliati o letti da nessun essere umano. Forse perché… non sono mai esistiti, forse perché non li abbiamo ancora ritrovati.
Ovviamente siamo partiti dal più noto tra gli “pseudobiblia”, ovvero quei testi di cui tutti parlano, molti sostengono di averli visti, nessuno sa dove siano realmente: il famigerato “Necronomicon”.
Perchè… il “Necronomicon” non esiste, lo sanno tutti!
O, meglio, forse non esiste con questo nome, forse è inutile cercarlo nelle varie biblioteche dove – lo sappiamo, lo sappiamo, stiamo esagerando! – potrebbe “vivere” sotto falso nome, custodito  con tanto di improbabile codice alfanumerico, dewey, cdu o meno, con cui da “qualcuno” lì sarebbe stato collocato. Manca solo il codice ISBN e poi l’opera di “disinformazione” apparirebbe completa!
Roberto Volterri – da sempre “stregato” dall’introvabile Grimoire – se ne è bene accorto scrivendo parte del sequel “I Dèmoni dell’Abisso”, poiché durante le sue ricerche – sia su libri editi in Italia, sia nel web – sono apparsi nomi, località e circostanze… del tutto inesistenti.
Eppure non è a priori escludibile con “assoluta certezza” che da qualche parte, in qualche polverosa e dimenticata biblioteca, qualcosa di simile al tanto discusso e “famigerato” “Necronomicon” esista sul serio.
Chi scrive – soprattutto uno degli autori del libro appena pubblicato… – è profondamente convinto che il grande Howard Phillips Lovecraft non abbia detto tutta la verità riguardo al “diabolico” Grimoire.
O meglio, ha solo raccontato “parziali verità”, espressione questa che non è affatto sinonimo di “menzogne”.
Lovecraft, non possiamo non tenerne conto, fu estremamente complesso, geniale quanto si vuole, ma affetto da infiniti “problemi” d’ordine psicologico fin dalla più tenera infanzia. Preda di ripetuti esaurimenti nervosi forse provocati anche dalla madre che gli impediva di uscire di casa perché lo riteneva “brutto”, afflitto da svariati problemi di natura fisica che lo tennero lontano dalle aule scolastiche, in preda a continue emicranie – causate, sembra dalla caduta da un’impalcatura in età adolescenziale – Lovecraft visse sempre all’ombra di figure femminili rappresentate, oltre che dalla madre, dalle zie anch’esse iperprotettive.
L’unica altra figura femminile che appare nella sua strana esistenza è Sonia Haft Greene, con la quale contrae matrimonio nel marzo del 1924.
Uno stranissimo matrimonio – forse del tutto “platonico”… – durato ben poco ma che potrebbe aver influito sulla sua produzione letteraria, poiché la Greene era stata allieva del famigerato Aleister Crowley, la “Grande Bestia”, il più famoso “mago” del XX secolo.
Ė quindi abbastanza plausibile che l’infelice unione coniugale del “Solitario di Providence” – il quale, ricordiamocelo, aveva conosciuto la Greene il 12 Marzo 1921  e per lei, nel 1922, aveva addirittura scritto il racconto “The Horror at Martin’s Beach”… – abbia avuto come naturale conseguenza qualche influenza, qualche “ispirazione” per dar vita alla descrizione, alla cronologia più o meno attendibile, con cui HPL menziona per la prima il “Necronomicon” proprio in quegli anni, nel racconto “The Hound”.
Pur non trascurando l’ipotesi che il “Necronomicon” possa derivare dalla celeberrima “Clavicula Salomonis”, un Grimoire magico che Lovecraft avrà molto probabilmente conosciuto nella sterminata biblioteca del nonno, biblioteca in  cui passò quasi tutti gli anni della sua sofferta adolescenza…
Ma tra i “Libri dell’Abisso” non potremmo non annoverare anche l’intraducibile (fino ad ora…) “Manoscritto Voynich”, definito come “il libro più misterioso del mondo”.

Bruno Ferrante
Bruno Ferrante

Datato al XV secolo mediante il metodo del C14 applicato all’analisi delle pergamene che lo compongono, potrebbe essere stato redatto tra il 1404 e il 1438.
Ma di questa datazione non siamo del tutto certi…
Il “lieto evento”, la sua nascita, oscilla di molto a seconda delle… preferenze e del substrato culturale dei vari studiosi che si sono, da circa un secolo, impegnati nello studio di questo strano reperto.
Compreso Bruno Ferrante, il quale ha l’indiscusso merito di avere utilizzato un inedito approccio di tipo storico-informatico dedicato alle curiose raffigurazioni, botaniche, astronomiche, “mediche”, che lo abbelliscono. Ma non solo…
Le indagini, le ricerche storico-iconografiche hanno dato vita ad una nuova ipotesi: nei dintorni del lago Balaton, in Ungheria, è possibile che si svolgessero singolari pratiche basate su cure idrotermali e fitoterapiche – forse sotto l’influenza di particolari “congiunzioni astrali” – volte a superare “difficoltà di concepimento” da parte di alcune auguste regnanti dell’epoca.

Voynich, schema astrale
Manoscritto Voynich

Tale ipotesi fornirebbe una spiegazione – dotata di un accettabile “spessore probatorio” – alle curiose raffigurazioni di leggiadre fanciulle, dalle gote arrossate, a volte con il ventre prominente, immerse in improbabili “vasche” e “tubazioni” dalle quali esce acqua forse arricchita con i principi attivi estratti da alcune delle piante visibili nella sezione “Botanica” del “Manoscritto Voynich”, raccolte e distillate in ben precisi periodi dell’anno, verosimilmente indicati nella sezione “Astronomica” del misterioso documento. Chissà? Forse è questa la strada da percorrere…

Voynich donne alle terme?
Manoscritto Voynic, immagine

Il “Manoscritto Voynich “ – noto anche come MS408, codice con cui è catalogato presso la “Beinecke Rare Book and Manuscript Library” dell'Università di Yale – compare per la prima volta a Praga, la “magica” Praga dell’imperatore Rodolfo II, la Praga del “mago” John Dee e del suo del tutto inaffidabile collaboratore Edward Kelley, la Praga degli alchimisti, la Praga da cui, verosimilmente, venne inviato a Roma per essere decifrato da quel geniale gesuita “tuttologo” che rispondeva al nome di Athanasius Kircher, uomo dai molteplici e strani interessi scientifici.
A Roma, al Collegio Romano, qualcosa successe, forse qualche foglio, qualche pergamena andò “perduta”, forse non venne mai restituita ai confratelli di Villa Mondragone, poiché all’appello mancano ben quattordici fogli. Che stiamo da tempo cercando…

Calamaio di Athanasius Kircher
Fino al 1915 era conservato nel museo di Castel sant'Angelo.
Trovato dal Roberto Volterri in un libretto pubblicato in quell'anno dal Dott. Pietro Capparoni, storico della medicina.
Cercato di recente a Castel Sant'Angelo, ma le varie collezioni - tranne qualcosa di armi antiche - è stata dispersa tra vari musei di Roma. La "cerca" continua...
Ci fermiamo qui, suggerendo ulteriori ricerche “sul campo”, in alcune istituzioni ecclesiastiche, in sperdute e dimenticate chiese – in particolare nelle loro cantine… – nelle innumerevoli biblioteche di cui è fortunatamente dotata l’Urbs aeterna, muta testimone di strane vicende storiche, di intrighi culturali, di (quasi) insondabili “misteri”…