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martedì 5 agosto 2025

John Dee, un "mago" e 007 alla corte della regina Elisabetta I

tratto da "Il Giornale"  del 4 febbraio 2025

La più grande sovrana d’Inghilterra si affidò per gran parte della sua vita alle previsioni di un strologo e occultista accusato di stregoneria

di Francesca Rossi


Elisabetta I d’Inghilterra (1533-1603) è passata alla Storia come una sovrana forte e scaltra, talmente abile dal punto di vista politico da rendere la sua nazione una nascente potenza marittima e così intelligente e aperta da favorire lo spirito culturale della sua epoca, dando spazio ad artisti come Shakespeare, Bacon e Marlowe. Non tutti sanno, però, che la Regina coltivò per buona parte della sua esistenza un notevole interesse per l’occulto. Una figura emblematica della prima era elisabettiana fu proprio il celebre astrologo, alchimista, mago e matematico John Dee (1527-1608 o 1609), che divenne consigliere e, pare, spia al servizio di Elisabetta I.


L’ascesa al trono di Elisabetta I

La regina Elisabetta I Tudor salì sul trono d’Inghilterra il 17 novembre 1558. Figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la futura monarca venne esclusa dalla linea di successione nel 1536, dopo la decapitazione della madre, accusata di stregoneria, incesto e tradimento. Così Elisabetta crebbe in esilio con la sorellastra Maria I Tudor (figlia di Enrico VIII e di Caterina d’Aragona, ma dichiarata illegittima dopo l’annullamento dell’unione dei genitori, nel 1533: suo padre, infatti, intendeva sposare proprio Anna Bolena).

Elisabetta fu riammessa a corte solo grazie al rapporto di fiducia che riuscì a instaurare con Anna di Clèves, quarta moglie di Enrico VIII. Fu, però, grazie alla sesta moglie del Re, Catherine Parr, se Elisabetta e Maria vennero di nuovo inserite nella linea di successione al trono. Quando Enrico VIII morì, nel 1547, il potere passò nelle mani del figlio Edoardo VI (avuto con la terza moglie, Jane Seymour). Catherine Parr prese con sé Elisabetta e sposò lo zio del nuovo sovrano, Thomas Seymour.

Nel 1553, subito prima di morire a causa della tubercolosi, Edoardo VI nominò suo successore Jane Grey, pronipote di Enrico VII d’Inghilterra. A convincerlo a sottoscrivere l’atto, che violava palesemente le norme per l’ascesa al trono, sarebbe stato John Dudley, I duca di Northumberland, reggente di Edoardo VI, (che all’epoca aveva solo 16 anni) e suocero della Grey. Dudley era diventato un regnante di fatto e forse sperava, così, di mantenere il potere e le ricchezze accumulate.

Non aveva fatto i conti con la cattolica Maria I Tudor, che entrò a Londra acclamata come legittima sovrana dal popolo. Jane Grey venne deposta dopo nove giorni sul trono e la nuova Regina fece giustiziare Dudley il 22 agosto 1553. Maria, però, morì di tumore il 17 novembre 1558. La corte e il Paese sapevano che dopo di lei sarebbe la Corona d’Inghilterra sarebbe passata alla protestante Elisabetta. Maria avrebbe potuto condannare alla pena capitale la sorellastra, ma decise di non farlo. Al contrario, la convocò, pregandola di non vanificare i suoi sforzi per rendere cattolica l’Inghilterra. Elisabetta, naturalmente, reagì con indifferenza alle suppliche di Maria. Ormai era lei la nuova Regina.


Uno “007” a corte

Secondo il libro “The Life of Elizabeth I” (2013) di Alison Weir, il celebre astrologo e "mago" John Dee sarebbe stato introdotto a corte da Robert Dudley I conte di Leicester, figlio di John Dudley, amico d’infanzia e favorito di Elisabetta I (nello stesso periodo Maria I aveva fatto rinchiudere nella Torre di Londra sia Robert con il padre e i fratelli, sia la sorellastra Elisabetta contribuendo, inconsapevolmente, alla nascita del saldo legame tra la sorellastra e il giovane Dudley).

Tuttavia John Dee non era esattamente uno sconosciuto per la Corona inglese: nel 1555 era stato arrestato con l’accusa di stregoneria e, pare, di tentato avvelenamento nei confronti di Maria I Tudor. Stando alle ricostruzioni storiche, però, Dee non avrebbe mai compiuto alcun attentato alla vita della Regina cattolica. Si sarebbe limitato a scrivere l’oroscopo di Maria e della sorellastra. Così le accuse erano cadute e il “mago” era stato liberato. Non solo: il padre di John, Rowland, era stato un mercante di stoffe e un cortigiano di Enrico VIII.

Quando Elisabetta salì al trono, decise di includere John Dee tra i suoi consiglieri più fidati. Non solo: secondo i siti di HistoryExtra e dell’Università di Cambridge lo studioso sarebbe divenuto anche una spia al servizio della Regina. Il nome in codice con cui firmava i suoi messaggi era “007”: lo stesso che per noi moderni rimanda al più famoso agente segreto della letteratura e del cinema, James Bond, creato da Ian Fleming. Infatti, ha riportato il Guardian, lo scrittore potrebbe essersi ispirato a Dee per scegliere la firma “007” da accostare al nome del suo intramontabile personaggio.

Questi tre numeri non sarebbero stati scelti a caso dall’alchimista: gli zeri dovrebbero simboleggiare i suoi occhi che osservano e poi riportano le informazioni. Secondo un’altra interpretazione, riportata da History Extra, potrebbero rappresentare anche lo sguardo della Regina, a cui non sfuggiva nulla e alla quale erano destinate le notizie segrete. (A tal proposito il sito fa un interessante parallelo con il titolo di un film della serie di James Bond, che per coincidenza si chiama proprio “For Your Eyes Only”). Il numero 7, invece, sarebbe una sorta di portafortuna.

Elisabetta ammirava la vasta cultura di John Dee, che aveva girato l’Europa, si era laureato al St.John’s College di Cambridge e nel 1546 divenne membro del Trinity College di Cambridge. Dee era amico dei matematici Federico Comandino, Gerolamo Cardano e Gerardo Mercatore. Si era dedicato allo studio della filosofia, della geografia, dell’astrologia, dell’astronomia, del latino, del greco, della magia, dell’alchimia e della negromanzia. Nella sua casa di Mortlake (un distretto di Londra, nel sobborgo di Richmond Upon Thames) mise insieme una vasta collezione di libri, a quanto pare la più grande d’Inghilterra, con più di 4000 volumi, secondo l’Enciclopedia Britannica.

Le sue ricerche più orientate verso l’ambito del sovrannaturale gli crearono attorno un’aura di mistero e di sospetto, tanto che le accuse del 1955 non rimasero un caso isolato: per tutta la vita John Dee dovette difendersi da quanti lo ritenevano un cialtrone, un eretico e uno stregone. Shakespeare si sarebbe ispirato proprio a John Dee per creare il personaggio di Prospero del dramma “La Tempesta” (scritto tra il 1610 e il 1611).


“Lo specchio magico”

Elisabetta I si fidava di John Dee a tal punto da chiedergli consiglio sulla data più propizia per l’incoronazione. Fu proprio lui a scegliere, in base ai suoi studi astrologici, il 15 gennaio 1559, come riporta l’Enciclopedia Britannica e il sito The Historians Magazine. Dee sarebbe stato addirittura il primo, secondo il sito Royal Museums Greenwich, a usare per primo i termini “impero britannico” nel suo “General & Rare Memorials Pertayning to the Perfect Arte of Navigation” (1577) e a credere davvero nell’idea dell’imperialismo inglese.

Tra gli strumenti che usava per le sue “divinazioni” Dee si sarebbe servito anche del celebre “specchio magico” o "specchio degli spiriti”. Riteneva, infatti, che l'oggetto fosse in grado di aiutarlo a “entrare in contatto” con spiriti e angeli. Stando a una ricerca pubblicata su Antiquity e citata da National Geographic Italia l’ossidiana di cui è composto lo specchio proverrebbe dalla regione di Pachuca (Messico centrale), antico dominio degli Aztechi.

Questo popolo, ha dichiarato il ricercatore principale del progetto Stuart Campbell, creava gli specchi in ossidiana proprio a scopo divinatorio. Secondo l’antropologo Karl Taube, che non ha partecipato allo studio ma è esperto in materia, gli Aztechi li ritenevano una sorta di “portali” verso altri luoghi e altri tempi.


John Dee avrebbe comprato lo specchio durante uno dei suoi viaggi in Europa (tali manufatti venivano spediti via mare, un commercio fiorente iniziato dal 1521, cioè dalla conquista del Messico a opera di Hernán Cortés). Nel XVIII° secolo lo specchio venne acquistato dallo scrittore Horace Walpole e alla fine dell’Ottocento dal British Museum, che lo espone nella Enlightenment Gallery.


Un uomo del Rinascimento

Tra il 1583 e il 1589 Dee intraprese nuovi viaggi per l’Europa. Al suo ritorno in Inghilterra, però, trovò la casa di Mortlake saccheggiata: molti dei suoi libri rari erano stati rubati e l’abitazione messa a soqquadro. Un chiaro segnale della crescente ostilità popolare nei confronti delle pratiche e degli studi di occultismo a cui si dedicava da decenni. Tuttavia Dee poté sempre contare sul favore e il supporto di Elisabetta I.

La sua fortuna iniziò a declinare proprio con la morte della Regina. Il successore, conosciuto con i nomi James I d’Inghilterra e James VI di Scozia (1566-1625) divenne noto per la ferocia con cui intraprese una vera e propria caccia alle streghe in Scozia. John Dee morì solo e povero. Secondo l’Enciclopedia Britannica la scomparsa non sarebbe avvenuta a Mortlake nel dicembre 1608, come ritengono alcuni, bensì a Londra, nella casa del conoscente John Pontois, nel marzo 1609. La sua vita resta, per alcuni versi, ambigua e controversa. Naturalmente Dee non aveva poteri “sovrannaturali” (impossibile sapere se fosse convinto di averne), ma i suoi studi ne fanno un uomo del Rinascimento a tuttotondo.

Nel Cinquecento, infatti, vennero gettate le basi della scienza come la intendiamo oggi, ma non esisteva ancora un confine netto tra questa e la superstizione. Non era percepito come contraddittorio, per esempio, studiare gli astri e, nello stesso tempo, ritenere che avessero un’influenza nella vita umana, poiché non erano ancora ben formati e delimitati i concetti di astronomia e astrologia, il limite tra la prima, che è una scienza e la seconda, che di scientifico non ha proprio nulla.

Non si tratta di confusione, ma di una fase necessaria per arrivare alla definizione di scienza e di metodo scientifico. In questa specie di terra di mezzo si colloca la vita di John Dee.

Gli studiosi citati da National Geographic Italia hanno ulteriormente puntualizzato: “Dee inizialmente si trovava a cavallo della linea sottile che c’è tra la magia naturale, che era considerata una scienza e la magia demoniaca, che era considerata una distorsione della religione, ma fu per andare verso quest’ultima che alla fine sorpassò la linea”.

mercoledì 3 luglio 2019

Scienza e magia, nella tesi di Calasso c'era già l'Adelphi

tratto da Il Giornale del 19/12/2018

di Fabrizio Ottaviani


Nel 1840 gli operai che lavoravano in una chiesa di Norwich profanarono inavvertitamente una tomba, rompendo la lastra che la sigillava.

Alcune parole in latino consentivano di risalire al proprietario, un medico morto nel 1682 le cui ceneri, assicurava l'epigrafe, avevano il potere di trasformare la polvere in oro. Il medico era Thomas Browne. Di volta in volta sequestrato dai letterati, dagli storici della filosofia o dagli appassionati di alchimia (era un sodale del figlio di John Dee, famoso mago del Rinascimento), Browne aveva scritto opere celeberrime Religio Medici, Urn Burial per limitarsi a un paio di titoli considerate da Coleridge, de Quincey, Virginia Woolf e Lytton Strachey alla stregua di capolavori.

Al medico di Norwich un giovane Roberto Calasso dedicò la tesi di laurea, ora pubblicata col titolo I geroglifici di Sir Thomas Browne (Adelphi), discussa nel 1965 alla Sapienza di Roma, relatori Mario Praz e Sergio Donadoni, allora forse il massimo esperto di cose egiziane. La scelta non fu casuale: mentre l'Europa perdeva tempo a discutere le trascurabili opinioni di Percy Snow sulle «due culture», la scientifica e l'umanistica, Calasso si immergeva nello studio di un autore che la fa saltare. Tolleranza e Bibbia, poesia e scienza, cattolici e calvinisti, ermetismo rinascimentale e meccanica galileiana nelle pagine di Browne rivelano una conciliabilità che la matrice erasmiana spiega solo in parte. In realtà, Browne era personalità pochissimo polemica e del resto anche il titolo della sua opera più nota, La religione del medico, è un ossimoro pacificato, il medico e il religioso valendo come rappresentanti di due modi antitetici di accostare l'universo. Sul piano filosofico, Calasso è ben informato: sa che nel '600 lo scetticismo era usato per rafforzare la Chiesa, non per minarla; che fra macchine e filosofi scoccarono idilli memorabili... Il Browne di Calasso è deista fino all'osso: il mondo è il ritratto di un Dio che dissemina la natura di leggi per far impazzire gli scienziati e dannare filosofi. La compostezza accademica, obbligatoria in una tesi di laurea, non trattiene il losco movimento di alcuni tentacoli rizomatici in puro stile Adelphi, la casa editrice di cui Calasso sarebbe diventato il direttore: una citazione estravagante da Valéry, l'apparizione in una sola pagina di due dandy, Baudelaire e Beerbohm, un passo di Borges (che adorava Browne)...

venerdì 24 gennaio 2014

Alla ricerca dei “Libri dell’Abisso”


di Roberto Volterri e Bruno Ferrante


Libri dell’Abisso”?
Abisso” dell’animo umano? “Abisso” della follia? “Abisso” delle conoscenze esoteriche?
Di sicuro un “Abisso” in cui si è da sempre immerso chi ha cercato di varcare l’effimera, evanescente “soglia” che sembra separare questa a volte noiosa realtà immanente da una meno ovvia ma forse più pericolosa realtà trascendente ove si nascondono le “ombre” più oscure delle umane vicende…
“Ombre” attraversate nel corso dei secoli da inquietanti, luciferini, personaggi dei quali il mitico “dottor Faust” di marlowiana memoria sembra apparire come una sorta di tragico mentore ispirato al realmente esistito Johann Georgius Faustus Helmstetensis, astrologo e necromante della cittadina di Ingolstadt, vissuto a cavallo tra XV e XVI secolo.

Roberto Volterri
Roberto Volterri

“Ombre” in cui si mossero, brancolarono, soffrirono, molti altri suoi epigoni, personaggi intorno ai quali l’odor di zolfo aleggiava inesorabilmente…
Quali, ad esempio, John Dee , nel 1551 ingiustamente accusato di stregoneria e di aver cercato di avvelenare Maria I Tudor ma divenuto successivamente astrologo di fiducia della regina Elisabetta I e suo consigliere per qualsiasi argomento riguardante “studi proibiti”. Oppure, Edward Talbot, ma per gli amici Edward Kelley, sedicente medium di Dee e noto per la sua dichiarata abilità nell’evocare presenze angeliche (o diaboliche?).
Nel recente “I Libri dell’Abisso”  abbiamo voluto prendere in esame soprattutto alcuni testi “maledetti”, un po’ in “odor di zolfo”, (forse) mai visti, sfogliati o letti da nessun essere umano. Forse perché… non sono mai esistiti, forse perché non li abbiamo ancora ritrovati.
Ovviamente siamo partiti dal più noto tra gli “pseudobiblia”, ovvero quei testi di cui tutti parlano, molti sostengono di averli visti, nessuno sa dove siano realmente: il famigerato “Necronomicon”.
Perchè… il “Necronomicon” non esiste, lo sanno tutti!
O, meglio, forse non esiste con questo nome, forse è inutile cercarlo nelle varie biblioteche dove – lo sappiamo, lo sappiamo, stiamo esagerando! – potrebbe “vivere” sotto falso nome, custodito  con tanto di improbabile codice alfanumerico, dewey, cdu o meno, con cui da “qualcuno” lì sarebbe stato collocato. Manca solo il codice ISBN e poi l’opera di “disinformazione” apparirebbe completa!
Roberto Volterri – da sempre “stregato” dall’introvabile Grimoire – se ne è bene accorto scrivendo parte del sequel “I Dèmoni dell’Abisso”, poiché durante le sue ricerche – sia su libri editi in Italia, sia nel web – sono apparsi nomi, località e circostanze… del tutto inesistenti.
Eppure non è a priori escludibile con “assoluta certezza” che da qualche parte, in qualche polverosa e dimenticata biblioteca, qualcosa di simile al tanto discusso e “famigerato” “Necronomicon” esista sul serio.
Chi scrive – soprattutto uno degli autori del libro appena pubblicato… – è profondamente convinto che il grande Howard Phillips Lovecraft non abbia detto tutta la verità riguardo al “diabolico” Grimoire.
O meglio, ha solo raccontato “parziali verità”, espressione questa che non è affatto sinonimo di “menzogne”.
Lovecraft, non possiamo non tenerne conto, fu estremamente complesso, geniale quanto si vuole, ma affetto da infiniti “problemi” d’ordine psicologico fin dalla più tenera infanzia. Preda di ripetuti esaurimenti nervosi forse provocati anche dalla madre che gli impediva di uscire di casa perché lo riteneva “brutto”, afflitto da svariati problemi di natura fisica che lo tennero lontano dalle aule scolastiche, in preda a continue emicranie – causate, sembra dalla caduta da un’impalcatura in età adolescenziale – Lovecraft visse sempre all’ombra di figure femminili rappresentate, oltre che dalla madre, dalle zie anch’esse iperprotettive.
L’unica altra figura femminile che appare nella sua strana esistenza è Sonia Haft Greene, con la quale contrae matrimonio nel marzo del 1924.
Uno stranissimo matrimonio – forse del tutto “platonico”… – durato ben poco ma che potrebbe aver influito sulla sua produzione letteraria, poiché la Greene era stata allieva del famigerato Aleister Crowley, la “Grande Bestia”, il più famoso “mago” del XX secolo.
Ė quindi abbastanza plausibile che l’infelice unione coniugale del “Solitario di Providence” – il quale, ricordiamocelo, aveva conosciuto la Greene il 12 Marzo 1921  e per lei, nel 1922, aveva addirittura scritto il racconto “The Horror at Martin’s Beach”… – abbia avuto come naturale conseguenza qualche influenza, qualche “ispirazione” per dar vita alla descrizione, alla cronologia più o meno attendibile, con cui HPL menziona per la prima il “Necronomicon” proprio in quegli anni, nel racconto “The Hound”.
Pur non trascurando l’ipotesi che il “Necronomicon” possa derivare dalla celeberrima “Clavicula Salomonis”, un Grimoire magico che Lovecraft avrà molto probabilmente conosciuto nella sterminata biblioteca del nonno, biblioteca in  cui passò quasi tutti gli anni della sua sofferta adolescenza…
Ma tra i “Libri dell’Abisso” non potremmo non annoverare anche l’intraducibile (fino ad ora…) “Manoscritto Voynich”, definito come “il libro più misterioso del mondo”.

Bruno Ferrante
Bruno Ferrante

Datato al XV secolo mediante il metodo del C14 applicato all’analisi delle pergamene che lo compongono, potrebbe essere stato redatto tra il 1404 e il 1438.
Ma di questa datazione non siamo del tutto certi…
Il “lieto evento”, la sua nascita, oscilla di molto a seconda delle… preferenze e del substrato culturale dei vari studiosi che si sono, da circa un secolo, impegnati nello studio di questo strano reperto.
Compreso Bruno Ferrante, il quale ha l’indiscusso merito di avere utilizzato un inedito approccio di tipo storico-informatico dedicato alle curiose raffigurazioni, botaniche, astronomiche, “mediche”, che lo abbelliscono. Ma non solo…
Le indagini, le ricerche storico-iconografiche hanno dato vita ad una nuova ipotesi: nei dintorni del lago Balaton, in Ungheria, è possibile che si svolgessero singolari pratiche basate su cure idrotermali e fitoterapiche – forse sotto l’influenza di particolari “congiunzioni astrali” – volte a superare “difficoltà di concepimento” da parte di alcune auguste regnanti dell’epoca.

Voynich, schema astrale
Manoscritto Voynich

Tale ipotesi fornirebbe una spiegazione – dotata di un accettabile “spessore probatorio” – alle curiose raffigurazioni di leggiadre fanciulle, dalle gote arrossate, a volte con il ventre prominente, immerse in improbabili “vasche” e “tubazioni” dalle quali esce acqua forse arricchita con i principi attivi estratti da alcune delle piante visibili nella sezione “Botanica” del “Manoscritto Voynich”, raccolte e distillate in ben precisi periodi dell’anno, verosimilmente indicati nella sezione “Astronomica” del misterioso documento. Chissà? Forse è questa la strada da percorrere…

Voynich donne alle terme?
Manoscritto Voynic, immagine

Il “Manoscritto Voynich “ – noto anche come MS408, codice con cui è catalogato presso la “Beinecke Rare Book and Manuscript Library” dell'Università di Yale – compare per la prima volta a Praga, la “magica” Praga dell’imperatore Rodolfo II, la Praga del “mago” John Dee e del suo del tutto inaffidabile collaboratore Edward Kelley, la Praga degli alchimisti, la Praga da cui, verosimilmente, venne inviato a Roma per essere decifrato da quel geniale gesuita “tuttologo” che rispondeva al nome di Athanasius Kircher, uomo dai molteplici e strani interessi scientifici.
A Roma, al Collegio Romano, qualcosa successe, forse qualche foglio, qualche pergamena andò “perduta”, forse non venne mai restituita ai confratelli di Villa Mondragone, poiché all’appello mancano ben quattordici fogli. Che stiamo da tempo cercando…

Calamaio di Athanasius Kircher
Fino al 1915 era conservato nel museo di Castel sant'Angelo.
Trovato dal Roberto Volterri in un libretto pubblicato in quell'anno dal Dott. Pietro Capparoni, storico della medicina.
Cercato di recente a Castel Sant'Angelo, ma le varie collezioni - tranne qualcosa di armi antiche - è stata dispersa tra vari musei di Roma. La "cerca" continua...
Ci fermiamo qui, suggerendo ulteriori ricerche “sul campo”, in alcune istituzioni ecclesiastiche, in sperdute e dimenticate chiese – in particolare nelle loro cantine… – nelle innumerevoli biblioteche di cui è fortunatamente dotata l’Urbs aeterna, muta testimone di strane vicende storiche, di intrighi culturali, di (quasi) insondabili “misteri”…