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mercoledì 13 ottobre 2021

Un fascicolo top secret della magistratura indaga su vecchi e nuovi riti

tratto da "Il Giornale" del 10 marzo 2008

Capocotta, la villa di Plinio, le grotte di Gasparone e la necropoli di Pianabella lo scenario preferito dai seguaci di Belzebù

di Stefano Vladovich

Sei sei sei: i numeri della Bestia. Esoterismo, sette misteriose, magia nera, sabba al chiaro di luna e incontri notturni fra iniziati dell'ultima ora. Per gli esperti il territorio sul mare di Roma avrebbe influenze e attrazioni paranormali. Tanto che il lato oscuro del litorale finisce in un'indagine top secret della magistratura. Un fascicolo aperto da tempo e mai chiuso.
Informative a dir poco riservate parlano di fantomatici incappucciati a Capocotta, inquietanti fiaccolate, macabri resti di riti pagani consumati all'ombra di antiche rovine. Lo scenario? La villa di Plinio, la necropoli di Pianabella, Malafede, le grotte di Gasparone e la vecchia ansa del Tevere. «Cavalieri del Nulla», vecchi e nuovi adepti di Belzebù si aggirerebbero ancora fra i pini marittimi e le farnie secolari. E c'è chi giura e spergiura che un vertice del triangolo maledetto della stregoneria sia proprio qui. Un'area che corrisponde al sito altrettanto leggendario dell'antica Politorium, mai venuta alla luce. Un villaggio di pastori nel territorio dell'allora potente Lavinium (Pratica di Mare).
E che dire di Ficana, altro insediamento devastato dal passaggio dei primi romani? Mostra ancora oggi dalle parti di Dragona prove certe di un incendio scoppiato alla fine del VII secolo prima di Cristo. I fantasmi dei vinti si aggirerebbero senza pace fra la tenuta presidenziale, Castelfusano e l'Infernetto, mai nome tanto azzeccato. Le loro anime dannate ispirerebbero da oltre un secolo centinaia di seguaci del demonio. E per non farsi mancare nulla, riti woodoo verrebbero regolarmente celebrati fra Casalpalocco e la spiaggia di Torvaianica in località Zingarini, il tratto d'arenile dove mezzo secolo fa viene rinvenuto il cadavere di Wilma Montesi. Mentre qualcuno racconta ancora del sabba più importante dell'anno, quello svolto alle soglie del nuovo millennio fra le rovine della «villa di Plinio», è allarme rosso per il capodanno di Satana, notte in cui il Demonio soddisfa ogni richiesta. Per gli esperti della Curia romana la messa nera più cruenta, in cui gli adepti di Satanasso dovranno respingere gli influssi «malefici» usando ogni mezzo.
A contrastarli una speciale task force istituita all'indomani degli omicidi attribuiti al gruppo Bestie di Satana, contro il dilagare dell'esoterismo. Marco Dimitri, presidente dell'associazione culturale Bambini di Satana, respinge gli attacchi difendendo il diritto al paganesimo. «C'è troppa confusione. A Roma persone facoltose e studenti riescono a sposare la macumba africana - spiega Dimitri - al satanismo cristiano in un connubio da far rabbrividire persino gli occultisti di strada: croci capovolte, candele, statue del "maligno", sangue di gallo, riti africani e, ovviamente, la pedofilia che nei rituali satanici (a detta del gruppo di ricerca e informazioni sulle sette gestito dalla Curia romana) c'è sempre. È l'ennesimo attacco alla società multietnica, alle forme di pensiero pagane, al satanismo. Pista, d'altro canto, attendibilissima secondo gli inquirenti». I satanisti stuprano i bambini, li portano nei cimiteri con persone della «Roma bene», li violentano mentre danzano la macumba che, fra l'altro, col satanismo c'entra poco.

domenica 27 gennaio 2019

Quando i Druidi Insegnavano Giocando: Giochi e Riti di Fertilità

Questo viaggio tra le incisioni rupestri e i “giochi” di montagna parte da molto lontano, da quel mondo celtico da cui provengono molte delle nostre tradizioni. Tra le tante storie di Britannia si parla spesso dei "Tredici Tesori”, un gruppo di oggetti magici menzionati nei manoscritti gallesi del XV e XVI secolo, come ad esempio nel ciclo  arturiano di Culhwch e Olwen o nel Tri Thlws ar Ddeg Ynys Prydain. Secondo la tradizione questi sarebbero la "Bianca Elsa”, la spada di Rhydderch Hael”, il “ Paniere di Gwyddno "Gambalunga", il “Corno di Bran l'Avaro del Nord", il "Il Carro di Morgan il Ricco", la “Cavezza di Clydno Eiddyn", il  "Coltello di Llawfrodedd Farchog", il “Calderone di Dyrnwwch il Gigante" l’”Affilatoio di Tudwal Tudglyd",  la ”Cotta di Padarn, la ”Brocca e il Piatto di Rhygenydd il Chierico", il "Mantello di Artù” in Cornovaglia ed infine la ”Scacchiera di Gwenddoleu ap Ceidio”. E’ proprio su quest’ultimo che voglio soffermarmi. Secondo la tradizione questa magica tavola altro non sarebbe che una scacchiera in oro con pezzi d'argento e cristallo, nota anche come Gwyddbwyll, letteralmente "saggezza di legno". Di essa si parla in molti testi e leggende celtiche. Nel Mabinogi, più precisamente ne “il sogno di Rhonabwy”, si fa riferimento a un gioco costituito da una tavola d'argento su cui muovevano pedine d'oro noto come Fidchell. Il testo recita: "Leth a fóirni d'or buidi, in leth aili d'findruine", ovvero "La metà dei suoi pezzi erano d'oro giallo, l'altra metà di bronzo bianco". Le leggende descrivono il Fidchell come un gioco utilizzato dai re e dagli dei. Nella leggenda, sarebbe stato inventato da Lugh, dio celtico della Luce, nonché utilizzato da suo figlio, l'eroe Cú Chulainn. In realtà, secondo alcuni studiosi, sia la tavola di Gwenddoleu che il Fidchell sarebbero la riproposizione di un gioco di provenienza norrena chiamato Hnefatafl. La fonte più antica che lo cita è la Saga di Grettir, scritta da un monaco islandese che chiama questo gioco appunto con il nome di Hnefatafl cioè "tavolo del re". Da uno scritto di Rögnvaldr Kali, databile tra il 1135 e il 1158, leggiamo

I can play at Tafl, / Nine skills I know, / Rarely forget I the runes, / I know of books and smithing, / I know how to slide on skis, / Shoot and row, well enough; / Each of two arts I know, / Harp-playing and speaking poetry

Il reperto più antico è stato rinvenuto a Wimose, su una delle maggiori isole danesi, mentre, sotto forma di incisioni rupestri, questi giochi sono stati trovati in molteplici paesi europei, dall'Irlanda alla Russia. In Inghilterra lo troviamo a Salisbury, Gloucester e Norwich. Ovviamente l’Italia non fa eccezione, anzi. Raffigurazioni di questi giochi sono diffusissime in tutto l’arco alpino. Incredibilmente ben conservato, ad esempio, il Hnefatafl presente a Ungiasca, in Piemonte. Nell’articolo “Ungiasca Perduta”, pubblicato sulla rivista Verbanus da  Nino Chiovini, leggiamo “…La parte superiore del muro di contenimento della «piazza», usata come sedile collettivo, era costituita da una serie di lastroni di pietra…Su di un lastrone, il più levigato, era stata scalpellata una singolare figura labirintica, di cui in nessun luogo che a Ungiasca vidi l’eguale…venivano scalpellate sulle superfici piane di determinate pietre le figure che vanno sotto il nome di filetti…Ma in nessun luogo che a Ungiasca vidi quel labirinto su cui ragazzi, giovani e meno giovani, si accanivano al gioco chiamato dìi pévèr e dul lüv, ossia delle pecore e del lupo…” (Il gioco è ancora visibile in piazza Don Pagani, poco prima della via acciottolata e di cui parleremo a breve). Sempre in Piemonte, a Campiglia Cervo è presente, nella Piazza, una vera e propria “lastra dei tre giochi”. Si tratta di un masso usato come panchina fuori in Via Roma, 16 sul quale appaiono incisi tre giochi: un filetto, il "gioco dell'Orso" e “il lupo e le pecore”, mentre a Massello, è presente un masso di piccole dimensioni situato sul bordo destro del sentiero sulla cui superficie liscia e piana sono incise, oltre al filetto, due figure zoomorfe la più grande delle quali presenta vistose corna nonché raffigurazioni interpretabili come dardi che colpiscono un animale. Strane associazioni che fanno pensare a ben altro oltre al semplice gioco. Ancora il gioco del filetto è presente a Ronco Canavese, proprio nel portico della chiesa, e a Sparone, sulle lastre presenti sotto i portici di via Faletti. L’incisione più nota è però quella presente a Traversella. Qui, lungo il noto “Sentiero delle Anime”, troviamo molteplici rocce incise come la nota Pera dij Crus, le cui incisioni sono riconducibili all’ultimo scorcio del neolitico. Come ricorda il nome, si tratta certamente di un percorso rituale utilizzato per celebrarvi riti legati al culto degli Antenati. Su molti massi presenti lungo il percorso, oltre a coppelle, antropomorfi e croci gammate troviamo, appunto il Fidchell. Strana curiosità: queste raffigurazioni rupestri sono realizzate su pareti semi-verticali o fortemente inclinate che ne impediscono l’utilizzo pratico, come nel caso dei graffiti presenti sul soffitto delle grotte di Fontainebleau, insomma in luoghi e sistemazioni dove sarebbe impossibile giocare. Forse avevano anche un significato simbolico? Approfondiamo. Scavando nelle nostre tradizioni folkloriche alpine troviamo una sorta di variante del  Hnefatafl, il già citato “Gioco dell’orso” (Fig.1). il piano da gioco è composto da  due cerchi concentrici, intersecati da una croce e completati da lunette che delimitano i punti di intersezione sul cerchio più esterno. A sfidarsi sono un orso da una parte e tre cacciatori dall’altra. L’obiettivo è di chiudere tutte le vie di fuga al primo, bloccandolo. Si tratta sicuramente di un gioco ma allo stesso modo di un simbolo propiziatorio che richiama l’uccisione del Dio vegetazionale con orso-dendrofago, simbolo della fertilità. Il Frazer e io stesso, nel mio Saggio “Culti Pagani in Piemonte e Valle d’Aosta”, narriamo come in tempi più remoti in particolari date dell’anno un vero orso era portato in giro da un montanaro/domatore che andava da un paese all'altro facendolo ballare  nelle piazze.
Figura 1
Figura 2
Figura 3

In seguito questo uso scomparve e in alcuni paesi, per mantenere la tradizione, l'orso fu sostituito da una persona appositamente mascherata che ripeteva la stessa pantomima.  Al termine di una caccia simulata, l'orso veniva catturato e portato all’interno del paese dove era fatto oggetto di dileggi e di scherzi. L'epilogo può variare dall'"uccisione" dell'orso alla sua liberazione/fuga e ritorno alla natura. Il Piemonte, e più in generale tutto l’arco alpino ricordano, in particolari date questi riti come nel periodo carnevalesco dove la morte di “Carnevale” ben si sposa con quanto detto. Un esempio è l’Orso di Segale di Valdieri. Durante il giorno di Carnevale un uomo travestito da orso viene esibito in catene per le vie del paese seguito dai perulìer, bambini vestiti di stracci suonno le scaréle, strumenti di legno rumorosissimi.  E’ l’idea di risvegliare il mondo naturale, andato in letargo durante l’inverno, proprio come l’orso che, ad un certo punto fugge. Rituale simile è presente a Mompaterno, comune della val di Susa, situato alle pendici del Rocciamelone, la prima domenica di Febbraio. La festa è chiamata con il nome di Fora l’Ours, coincidente con la il giorno di Sant’Orso, santo sulla cui esistenza ci sono molti dubbi che dunque fanno immaginare si tratti di un’operazione sincretica atta a sovrapporre, agli antichi culti pagani, i nomi della nuova religione. Anche in questo caso l’orso è tenuto sotto scacco da quattro custodi/cacciatori.


Ecco qui svelato il mistero simbolico: Il gioco ripropone, in altra veste, l’idea del dio vegetazionale, pronto a morire per poi risorgere e assicurare la fertilità dei campi.
Un gioco simile è quello noto come “due lupi e venti pecore”. Si impiegavano venti pezzi rappresentanti, appunto, le pecore e due pedine raffiguranti i lupi. Questi ultimi si potevano muovere in ogni direzione con lo scopo di mangiare la pecora come nel gioco della dama, mentre le pecore potevano muoversi solo di una casella alla volta. Il gioco era già noto in Scandinavia nel 400 d.C. e probabilmente fu proprio portato dai Vichinghi nelle terre che conquistarono. Ancora una volta il gioco nasconde ben altri significati. Il lupo presso gli antichi Celti, era associato al mondo degli inferi. Pensiamo, ad esempio a Dormarth, posto alla guardia del regno dei morti, mentre nel Mabinogi si narra che cani bianchi con le orecchie rosse accompagnavano il Dio gallese dell’oltretomba Arawan. Inoltre è mangiando carne di cane che Cù Chulainn si indebolisce prima di essere ucciso. Il gioco della “pecora e del lupo” ci ripropone un altro rituale di fertilità: la morte che genera la rinascita nella natura. La scelta del lupo, o delle fiere locali come simbolo/divinità non era casuale, infatti l’animale, che con i suoi comportamenti era considerato grande predatore, era in competizione con gli stessi uomini cacciatori e così il selvaggio, per propiziare una buona caccia, cercava di onorare l’animale sia per ingraziarselo e evitare che gli sottraesse il sostentamento, sia per poter ereditare dallo stesso la sua stessa capacità di caccia, mentre lo smembramento dell’agnello, in molte culture immagine divina, ripropone il sangue versato ed in offerta al mondo degli inferi per poter assicurare la vita e il sostentamento.
Ecco l’anima del gioco, immaginiamo sotto l’albero il maestro che, mentre gioca spiega le dinamiche religiose e naturali al suo allievo. Il cerchio è chiuso, quello del gioco.

Figura 4