Visualizzazione post con etichetta centro studi la runa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta centro studi la runa. Mostra tutti i post

sabato 11 marzo 2017

Eliade, il sacro ai raggi X

tratto da: http://www.centrostudilaruna.it/eliadesacroaraggix.html

di Alfredo Cattabiani

Se un lettore mi chiedesse di indirizzarlo nel campo della storia delle religioni, gli consiglierei di cominciare con la lettura delle opere di Mircea Eliade perché non soltanto insegnano a comprendere correttamente le tradizioni religiose che hanno preceduto la Rivelazione, ma le intendono come una serie di tentativi di prefigurare il mistero dell’Incarnazione: «Tutta la vita religiosa dell’umanità», scrive nel Trattato di storia delle religioni, «vita religiosa espressa attraverso la dialettica delle ierofanie, sarebbe da questo punto di vista null’altro che l’attesa di Cristo».

Lettore attento di Eliade, l’ho frequentato durante i suoi soggiorni romani o parigini. In quelle lunghe conversazioni mi ribadiva i cardini della sua ricerca. In primo luogo la “simpatia” con cui affrontava ogni tradizione religiosa, cercando di descriverne la struttura senza sovrapporle la sua fede di cristiano ortodosso ma anche senza l’atteggiamento algido dell’entomologo.

Quando cominciò a occuparsi di questi temi capì che era necessaria una rivoluzione: si doveva adottare «la simpatia intelligente dell’ermeneuta. Capivo che dovevo mutare la procedura stessa della ricerca», diceva. «Questa convinzione ha guidato la mia ricerca sul significato e sulla funzione dei miti, sulla struttura dei simboli religiosi e in genere della dialettica fra sacro e profano».

Mircea Eliade, Il mito dell'alchimia seguito da L'alchimia asiatica Alla base dei suoi studi vi era la constatazione che in tutte le civiltà grazie alle ierofanie, alle epifanie del sacro nel visibile, si riscontra l’esperienza primaria di una realtà assoluta, trascendente, mediante la quale il mondo assume un senso organico. «Senza la percezione che c’è qualcosa di assoluto non sarebbero possibili né la coscienza né l’attività mentale. L’uomo diventa un essere umano quando scopre l’esistenza di un ordine fondato da un essere sovrumano». Da questa primaria esperienza è nata la religione cosmica che è il substrato di ogni tradizione e ha ispirato simboli e miti. I quali miti fondano letteralmente una civiltà, sono modelli esemplari per la condotta umana e conferiscono senso e valore all’esistenza.

Si deve riconoscere allo studioso rumeno anche un altro merito, di avere usato nei suoi saggi, anche in quelli dedicati a fenomeni particolari, un linguaggio facilmente comprensibile per chi non sia uno specialista. D’altronde non a caso la monumentale Enciclopedia delle religioni, di cui esce in questi giorni in Italia il sesto volume, dedicato alle Religioni del Mediterraneo e del Vicino Oriente (Città Nuova-Jaca Book), è stato l’ultimo suo progetto, nato dalla preoccupazione di rivolgersi non soltanto agli addetti ai lavori ma anche all’uomo colto per liberarlo da una serie di pregiudizi sul fenomeno religioso che si erano radicati nel corso del secolo XX.

L'uomo e i simboli L’Enciclopedia uscì negli Stati Uniti nel 1986, organizzata in voci stampate in ordine alfabetico. Ma quando si trattò di tradurla in Italia ci si accorse che il nostro sistema bibliotecario, diversamente dal nordamericano, non poteva assorbirne un’edizione sufficiente a coprirne i costi; occorreva venderla anche in libreria e ratealmente. Per renderla più appetibile si decise di riorganizzare le voci non più per ordine alfabetico ma all’interno di volumi tematici. Il progetto fu affidato a Ioan P. Couliano, il discepolo prediletto da Eliade, che nel 1990 fu ucciso misteriosamente all’università di Chicago per motivi che non si sono mai conosciuti.

Gianfranco Bertagni, Lo studio comparato delle religioni. Mircea Eliade e la scuola italiana I curatori dell’edizione europea, Dario M. Cosi, Luigi Saibene, docenti di storia delle religioni rispettivamente a Padova e all’Università Cattolica di Milano, e Roberto Scagno, che insegna lingua e letteratura romena a Roma, hanno portato a compimento questa nuova sistemazione; ma ci vorrà almeno un decennio per pubblicare gli altri 12 volumi previsti. Il pregio di quest’opera non è tanto nelle singole voci, non tutte a dire il vero esaurienti, quanto nell’impostazione generale eliadiana che ha sfatato molti luoghi comuni delle culture riduzioniste del Novecento, come ad esempio il dogma di derivazione gramsciana che considera le tradizioni popolari come culture subalterne a quelle delle classi dominanti mentre esse, più complesse di quel che si crede, sono residui di una sapienza arcaica amalgamata nei secoli, grazie a un lento processo sincretistico, con la religione che era loro succeduta.

Come ha osservato Eliade nella prefazione al primo volume, certi modelli-mitico-rituali ancora presenti tra i contadini dell’Europa centrale e sud-orientale agli inizi del secolo XX conservavano antichissimi frammenti mitologici e rituali, già scomparsi nell’antica Grecia prima di Omero.


Tratto da Avvenire del 12 settembre 2002.

giovedì 30 luglio 2015

Del Pellicano

tratto dal sito http://www.centrostudilaruna.it

".. il nostro pellicano" (Dante, Paradiso, XXV, 113)

"Pie Pelicane, Jesu Domine" (Antico canto sacro citato da H. Biedermann)


La Simbologia.
Sembra che l'uccello bianco d'Egitto con questo nome, dal caratteristico lungo becco, nutrendo attraverso un'apertura del collo i suoi piccoli, abbia dato luogo alla leggenda del sacrificio delle proprie carni per la vita dei figli fino a divenire "emblema di carità" (O. Wirth) ovvero di devozione parentale fino al sacrificio. Più realisticamente, l'incurvare del becco verso il petto per cibare i piccoli con pesci trasportati nella sacca indusse a credere che addirittura l'animale si squarciasse il petto per dare loro nutrimento col proprio sangue. L'analogia di forme e affilatura del becco e scure, l'assonanza con le parole greche e sanscrite con il significato di ascia (pelekus e paraçu rispettivamente), segno simbolico del sacrificio di sangue, potrebbe far risalire l'origine della leggenda a tempi antichissimi. Il reperimento di sue rappresentazioni in epoche assai diverse, dalla scultura messicana in pietra vulcanica del 600-1000 d.C. ai numerosi riscontri europei non solo medievali, dimostra la sua rilevanza simbolica.

Dal Bestiarum Christianum.
Il pellicano compare solo una volta nell'Antico Testamento (Salmi, 102.7) e non viene mai nominato nei Vangeli. Troppo poco forse per meritare la citazione nel Dizionario delle immagini e dei simboli biblici delle Edizioni Paoline, che non ne riporta alcun cenno. Si deve soprattutto al Physiologus (II-IV secolo?) - il pellicano è al n°4 del suo inventario - la diffusione della leggenda, in termini alquanto più complessi; narrando della resurrezione dei piccoli (dopo tre giorni) ad opera della madre, che li ha uccisi, vi è l'adattamento diretto alla simbologia di Cristo "che è salito alle altezze della Croce e dal suo fianco aperto sono sgorgati il sangue e l'acqua per la salvezza e la vita eterna". Oltre a Dante, anche S.Tommaso d'Aquino ("il pio pellicano") usa l'allegoria. Ulteriori riscontri si reperiscono in Michael Glychas e in vari "bestiari" medievali, fino alle ultime rivisitazioni del XVIII secolo (cfr stampa a colori dell'epoca pag, 155, L'Arte dorata, A. de Pascalis). Echi dell'antica credenza si possono ancora trovare in alcuni adornamenti dell'arte religiosa cristiana nei luoghi più vari, come, ad esempio, in un rilievo del Duomo di Münster (1235) e, più vicino a noi, in una statua sul frontone della Chiesa della Maddalena in Castelnuovo Magra. Un'incisione - suggestiva nella sua essenzialità - su un elemento lapideo del cornicione dell'abside della Chiesa di S. Felicita, in località Prelerna nel Comune di Solignano (PR) riproduce con chiarezza il pellicano nell'atteggiamento più classico del becco contro il petto. Probabilmente la pietra è stata riutilizzata dai resti di un antico convento di Gesuati e, quindi, può farsi risalire circa al 1400. Anche opere di arredo sacro contemporanee a carattere artigianale rappresentano il pellicano (Chiesa di Valletti nel Comune di Varese Ligure). Un'estensione ermetica della leggenda, attraverso la simbologia della materia humida, che scompare con il calore solare per rinascere d'inverno, ricollega il pellicano al sacrificio di Cristo ed alla sua resurrezione, ma anche a quella di Lazzaro, tanto da accoppiare talora l'immagine del pellicano con quella della fenice. Ciò avviene anche per i Moderni. E. Minguzzi (Alchimia, il cammino della potenza) illustra il mito della Fenice con con la stessa immagine rosicruciana del pellicano impiegata per ben due volte nello stesso testo da O. Wirth (Il simbolismo ermetico) per commentare il significato del pellicano. Ma i molti figli possono essere scambiati per fiamme... Peraltro nella Sapientia veterum philosophorum sive doctrina eorundem de summa et universali medicina del XVIII secolo pellicano e fenice compaiono rispettivamente nella figura XXVII e XXVIII per rappresentare exaltatio essentiae e essentia exaltata. Analoga contiguità e consequenzialità si notano fra il pellicano e la fenice, rispettivamente immagini n° 46 e 47 nella decima delle diciassette figure attribuite a J. C. Barchusen (databili tra il 1615 e il 1635) e nella tavola "Basilicae Philosophicae" della "Cosmologia alchemico-rosacruciana sulla visione dell'unità", Museum Hermeticum, Frankfurt a.M., 1677. Come dice il Fisiologo, dal fianco aperto del Cristo sono sgorgati il sangue e l'acqua per la salvezza eterna. Tale analogia tra piaga del Crocefisso e petto squarciato del pellicano sono stati ripresi anche da Silesius. Si riscontrano echi anche al di fuori della simbologia religiosa. In letteratura, il mito viene ripreso dal Pulci mentre a Palazzo Ducale di Venezia gli intarsi del capitello della penultima colonna verso il ponte della Paglia rappresentano pellicani. Di tutto ciò ben poco permano in quella che oggi chiamano coscienza collettiva.

Dal Bestiarium Alchemicum
Il Bestiario Alchemico offre numerosi riferimenti al pellicano, alcuni dianzi citati, sia per indicare gli strumenti dell'Arte sia per la simbologia delle fasi dell'Opera, sia, ancora, per quella elementale. Nei simboli alchimici (P. Bornia, La Porta magica di Roma), il Pellicano indica il matraccio, con il caratteristico piede di collegamento alla testa della cucurbita e con il capitello che rientrava con un tubo a becco nella parte inferiore dell'apparecchio (pallone). Il tubo poteva essere raddoppiato, modificando lo strumento in due palloni comunicanti per ottenere la "circolatio" doppia. Il Pellicano, o Pelicano, serviva dunque nella coobazione di un liquido. Una precisa definizione si trova anche in Alchimia Spirituale di R. Ambelain, ove, per la sua funzione, viene anche chiamato "circolatorio". Trattasi tuttavia di strumento non comune, certo non impiegato dai soffiatori. Infatti non è rintracciabile nelle immagini pervenuteci dei laboratori alchimisici, quali il disegno di Bruegel il vecchio (1558) e di H. Weiditz (1520), la tela di H. Heerschop (1687), il dipinto di J. Van Der Straet detto Stradanio (1570) nè nelle tavole illustranti la strumentazione chimica antiquaria, nè nella farmacia spagiria (Castel S. Angelo, 1600). Il Wirth spiega il simbolo del pellicano come emblema di generosità assoluta "in mancanza della quale, nell'iniziazione, tutto resterebbe irrimediabilmente vano". Per altri sarebbe un'immagine delle pietra filosofale che si dissolve per far nascere l'oro dal piombo allo stato fluido, cui corrisponde l'aspirazione non egoistica (il pellicano divora il pesce strettamente necessario alla vita). Con ciò sono da riconnettere, forse, antichi gradi di società iniziatiche come il cavaliere di pellicano (cfr. H. Biedermann, Enciclopedia dei Simboli), e la sua effige nel Capitolo dei Rosacroce (L. Troisi, Dizionario dell'esoterismo e delle religioni). Il pellicano compare tra altri simboli nella sintesi dell'Opera illustrata dalla f.92 del Rosarium philosophorum di Arnaldo da Villanova. I Saggi preferiranno meditare sulla figura 6 di J. D. Mylius (Philosophia reformata, Francoforte, 1622), ove un pellicano con i figli è prossimo a un pozzo in cui stanno immergendosi (o da cui stanno fuoriuscendo?) bizzarre figure solari; nello sfondo centri edificati. Esse richiamano al Filosofo il terzo sonetto di Frate Elia (Biblioteca nazionale, manoscritto Magliabechiano, II-III-308 a carte 39) "...in humidum ponite ut unidetur optime". In effetti il pellicano simboleggia anche il Mercurio dei Filosofi, "il solfo precipitato, ovvero il principio dello stato liquido della materia" (G. Testi), ovvero "l'acqua segreta". Osservazioni conclusive Un panorama vasto di iconografia e di arte, cronologicamente estesa su vari secoli, si richiama all'immagine del pellicano, con simbologie dai molteplici significati. Uno sguardo più attento sulle vestigia d'arte, non solo sacra, potrebbe far riscoprire al Saggio qualche altro pellicano, rimasto inosservato, strumento di Tradizione.

A.B.
Da Algiza 6