Visualizzazione post con etichetta messico. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta messico. Mostra tutti i post

domenica 21 maggio 2017

“TEONANACATL: STORIA, MITO E ATTUALITA’ DEI FUNGHI SACRI DEL MESSICO” – (Prima Parte)

Sabato 10 Giugno 2017 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “Dialoghi di Esoterismo”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi alla prima di due imperdibile serate in compagnia di MARZIO FORGIONE che ci parlerà sul tema:

“TEONANACATL: STORIA, MITO E ATTUALITA’ DEI FUNGHI SACRI DEL MESSICO” – (Prima Parte)

In Messico è nota la presenza di diverse specie di funghi allucinogeni (Psilocybe, Conocybe e Panaeolus, tutti appartenenti alla famiglia delle Agaricaceae) che gli antichi Maya e gli Aztechi assumevano durante alcune cerimonie religiose. Venivano chiamati Teonanacatl, “carne degli Dei” in lingua Nahuatl, e venivano principalmente utilizzati per interrogare gli dei o per scacciare le forze del male, oltre che per certe procedure di carattere iniziatico. Questi funghi provocano potenti allucinazioni e inducono uno stato sognante senza perdita di coscienza, in cui il consumatore diventa totalmente indifferente ed inconsapevole dell’ambiente circostante. A questa fase iniziale ne segue poi una seconda, in cui insorge una grande stanchezza, fisica e mentale, oltre che un’alterazione della percezione dello spazio e del tempo. Durante gli stati di trance visionaria indotti dai funghi si possono osservare animali selvatici, disegni astratti e coloratissimi ed enormi funghi antropomorfi. Come succede anche per il Peyote, sembra che gli indios fissino nella mente i geometrici e variopinti motivi osservati durante i loro «viaggi» nel mondo degli spiriti per poi riprodurli su tappeti e vestiti.
E probabilmente anche i Maya degli altipiani del Guatemala, 3000 anni fa, facevano la stessa cosa e ci lasciarono testimonianza delle loro pratiche “teofaghe” realizzando le famose statuette note con il nome di “Pietre Fungo”, raffiguranti figure totemiche umane e animali sormontate da un’ampia cappella fungina che hanno sconcertato gli archeologi per lungo tempo.
Oggi questi reperti sono interpretati come una sorta di icona associata ai rituali di un’antica religione fondata sull’uso sacramentale di questi funghi, che, si ipotizza, furono la prima pianta allucinogena utilizzata ritualmente. Gli Aztechi sostenevano inoltre che i funghi fossero in grado di parlare e questo può essere spiegato dal fatto che le allucinazioni indotte dai funghi si manifestano, oltre che attraverso visioni colorate, con suoni di varia natura. Se l’opposizione spagnola verso l’uso sacramentale dei vegetali enteogeni fu massiccia, il Teonanacatl fu sicuramente l’obiettivo più odiato.
L’ intolleranza religiosa dei conquistadores aumentava il loro disprezzo e la loro paura nei confronti di questa pianta, che con la sua azione allucinogena era in grado di mettere gli indios in diretto contatto con il loro Dei. Gli Spagnoli scoprirono che i Funghi Sacri usati in questi riti venivano definiti dagli Indios col nome di teonanàcatl, vocabolo che il lingua nauhatl significa, come già detto, “carne degli dei”; a seconda poi delle diverse culture in seno alle quali si svolgevano questi riti, essi potevano essere assunti dal solo sciamano/curandero, oppure distribuiti anche ai partecipanti alla cerimonia. Non è difficile cogliere la somiglianza fra la somministrazione di questi funghi ed il rito dell’Eucarestia nella liturgia cattolica. Per questo motivo i missionari al seguito dei conquistadores interpretarono queste pratiche nella chiave di una parodia, diabolica e disgustosa, della comunione e dell’ostia consacrata. Tuttavia, nel tentativo di reprimere questa particolare usanza, gli spagnoli riuscirono solamente a relegare questa pratica nelle zone più inaccessibili dell’entroterra, dove ha prosperato sino ad oggi, anche se con modalità diverse e ragioni differenti. E spesso in ambiti segreti preclusi a chi non è parte di queste culture.
Anche se gli sciamani hanno da sempre scelto i diversi tipi di fungo in base alla loro esperienza personale, allo scopo e alla disponibilità stagionale, il Fungo Sacro più utilizzato risulta essere la Psilocybe mexicana (contenente numerosi alcaloidi indolci, soprattutto psilocybina), un piccolo fungo che cresce sulle alture e nei prati umidi del Messico meridionale. I curanderos (soprattutto le donne — e la celebre Maria Sabina di cui si parlerà ne fu un esempio straordinario), lo consumano in cerimonie di guarigione — particolarmente intrise di un sincretismo religioso fatto di paganesimo e cattolicesimo — per entrare in contatto con gli spiriti benevoli e convincerli a guarire le malattie.
Di tutto questo e di moltissimo altro ancora si parlerà in questa imperdibile conferenza a cui siete tutti invitati.

Anche questa volta il nostro Centro si pregia quindi di invitarvi ad una serata straordinaria a cui, naturalmente, non dovete assolutamente mancare!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.

Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.

— ATTENZIONE : LA SECONDA PARTE DI QUESTA CONFERENZA SI TERRA’ SABATO 17 GIUGNO —


venerdì 27 novembre 2015

Divinità, stragi, poesia Aztechi e spagnoli allo scontro di civiltà

tratto da Il Giornale del 24 maggio 2015

Un "Meridiano" raccoglie le testimonianze più importanti sui bellicosi abitanti del Messico e sul loro "incontro" con i conquistadores. Ne esce una narrazione oltre i luoghi comuni

di Matteo Sacchi

Una capitale, Tenochtitlán, con centinaia di migliaia di abitanti. Giganteschi templi, un esercito temibile e organizzato, un'arte orafa raffinatissima. Eppure una scrittura a ideogrammi appena abbozzata, una religione feroce incentrata sui sacrifici umani, armi con punte di ossidiana come nell'età della pietra.


Queste sono solo alcune delle commistioni che stupirono i conquistadores spagnoli, capitanati da Hernán Cortés, quando si confrontarono con gli Aztechi (che chiamavano se stessi Mexica). Quando le vele bianche dei galeoni europei comparvero all'orizzonte come nella scena finale del film di Mel Gibson Apocalypto e la storia del Sud America cambiò per sempre.

Quale sia stato l'esito di questo incontro violento di civiltà, iniziato nel 1519 quando Cortés raggiunse la costa messicana con 11 navi, 100 marinai e 508 soldati, è noto: il 16 agosto 1521, dopo una violentissima resistenza che causò la morte della maggior parte dei suoi abitanti, Tenochtitlán cadde. Come si siano svolti nel dettaglio i fatti e come fosse davvero strutturata la civiltà azteca è meno noto. Per svariati motivi. Il primo è proprio la mancanza di scrittura di una delle due parti. È decisamente prevalente la narrazione dei vincitori, e in questo caso per motivi tecnici: un conto è una narrazione scritta, un conto è un pittogramma. Pittogrammi che del resto i religiosi occidentali, pur essendo attenti a studiare la lingua degli indios , tendevano a distruggere considerandoli demoniaci. Così anche gli autori meticci hanno avuto difficoltà a fornire una versione univoca del passato azteco, che per loro stessi era avvolto nel mito.

Il secondo è che nel narrare i fatti le fonti risultano abbastanza incoerenti e in aperto contrasto anche tra gli autori castigliani. E questo persino per gli anni recenti, quelli della conquista . Per fare un esempio, uno dei primi, e più diffusi, racconti dell'impresa di Cortés e compagni fu quello di Francisco López de Gómara (che di Cortés fu anche il cappellano): la Historia general de las Indias y conquista de México pubblicata nel 1552. Ma appena fu pubblicata a qualcuno dei veterani saltò la mosca al naso, come a Bernal Díaz del Castillo, che rispose con la sua Historia verdadera de la conquista de la Nueva España . E tra le molte si pone subito la questione dei massacri di indios che Díaz del Castillo nega: «Narra di quelle terribili stragi che, secondo lui, noi avremmo compiuto: noi che eravamo quattrocento soldati in quella guerra... Neanche se gli indios fossero stati legati avremmo potuto causare tante morti e compiere tante crudeltà, quante lui dice che facemmo».

Ecco perché il «Meridiano», appena pubblicato, Civiltà e religione degli Aztechi (Mondadori, pagg. 1326, euro 80, a cura di Luisa Pranzetti e Alessandro Lupo) è uno strumento prezioso per cercare di avvicinare questa cultura «perduta». Dà accesso diretto alle fonti, molte delle quali non erano mai state tradotte in italiano. C'è la testimonianza di Cortés su come decise di mettere in secco le navi per far in modo che i suoi uomini non avessero nessuna possibilità di rifiutarsi di combattere per lui. Ci sono le narrazioni che mettono in luce il ruolo della sua traduttrice-amante Malintzin e quelle che, come la sopracitata di Díaz del Castillo, non risparmiano critiche a Cortés per alcune delle sue scelte militari e politiche. E poi c'è una parte vastissima dedicata alla storia degli aztechi e anche ai loro culti religiosi.


Come ci ha spiegato uno dei curatori, la professoressa Luisa Pranzetti: «Nonostante le testimonianze che ci sono giunte siano quasi tutte di parte, non c'è dubbio che la religione azteca fosse caratterizzata da riti molto violenti. Gli aztechi percepivano il mondo circostante come molto instabile. I loro dèi sono infatti essenzialmente mortali. Muoiono per mantenere in movimento la macchina cosmica. Così avveniva attraverso il sacrificio degli ixitipla (erano le vittime che impersonavano gli dèi nei riti). Per gli ztechi il mondo è un susseguirsi di creazioni imperfette. Avevano un ciclo di cinquantadue anni e alla fine del ciclo, chiamato La legatura degli anni, spegnevano tutti i fuochi e attendevano il passaggio di particolari astri. Solo dopo riaccendevano i fuochi a partire da una fiamma sacra accesa sul petto di una vittima sacrificale».

Il senso profondo di questi riti, come lo scuoiamento in onore del dio Xipe Totec, sfuggiva agli spagnoli che li attribuivano al diavolo. Ma indubbiamente non rendevano gli aztechi dei padroni graditi alle altre popolazioni che pagavano tributi ed erano vittime delle loro guerre di conquista o «fiorite» (fatte per procurarsi prigionieri da sacrificare). Molte si ribellarono e passarono dalla parte di Cortés con relativa facilità. Come i guerrieri tlaxcala che supportarono gli spagnoli e formarono il grosso del loro esercito. Insomma, a far cadere gli aztechi fu sì la differenza tecnologica, ma soprattutto il loro sistema politico e religioso, inadeguato a fronteggiare una forza esterna destabilizzante. Ma nel volume non c'è solo questo, ci sono testi sull'istruzione, sulla geografia, sulle origini mitiche degli aztechi (ancora un mistero per gli studiosi), sulla lingua, il teatro e i pittogrammi, la scienza e la medicina. E in alcune delle poesie e degli inni sacri si può leggere un oscuro presagio di sconfitta e scomparsa: «Mandami al Luogo del mistero:/ il suo comando è disceso/ ed io ho detto al signore dei sinistri prodigi/ che me ne andrò via./ È tempo di lacrime». Di lacrime gli aztechi ne avevano fatte versare molte, molte ne fecero versare gli spagnoli. E come racconta nella sua Historia (del 1581) Diego Durán, ancora di più ne fece versare, senza che nessuno potesse farci nulla, «un'epidemia di vaiolo che venne propagata da un negro appena arrivato al seguito degli spagnoli; e questa epidemia fece strage di un numero infinito di indigeni».

Perché a volte sono forze invisibili a decidere gli esiti degli scontri di civiltà.