domenica 27 agosto 2017

S’asconde il Fuoco d’amore

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/sasconde-il-fuoco-damore/

Tra sirene, alchimia e Giordano Bruno

A volte l’acqua non spegne il fuoco che arde, lo rafforza ed alimenta. Neanche la terra può qualcosa innanzi all’ardere del fuoco dell’amore. Anche se arde e non brucia ogni fuoco consuma e trasforma materia: sia essa sottile o spessa. Poco importa se con gli alambicchi si cerchi una cottura dolce o a bagno Maria! Nel continuo gioco, nelle trasformazioni che si susseguono si arriva sempre più alla essenza del proprio essere, ogni volta i mostri sono più spaventosi e le ferite più profonde, la Via non può non mietere le vittime che si fermano al primo accidente. Non è sempre una questione di mera conoscenza, spesso la sana incoscienza guidata da voci di sirene, che altro non sono i desideri più profondi, le memorie più antiche, porta alla meta. Attenzione agli specchi deformanti che giocando come fuochi fatui indicano percorsi dal Diavolo benedetti. Il tutto e subito, non è consigliabile tranne nell’improbabile manifestazione di ciò che è. Inseguire l’amore, e diventare amore passando ognuno per i propri inferni. Così sia detto, così sia fatto, così sia scritto



Io che porto d’amor l’alto vessillo,

Gelate ho spene e gli desir cuocenti:

A un tempo triemo, agghiaccio, ardo e sfavillo,

Son muto, e colmo il ciel de strida ardenti:

Dal cor scintillo, e dagli occhi acqua stillo;

E vivo e muoio e fo riso e lamenti:

Son vive l’acqui, e l’incendio non more,

Ché a gli occhi ho Teti, ed ho Vulcan al core,

Altr’amo, odio me stesso;

Ma s’io m’impiumo, altri si cangia in sasso;

Poggi’altr’al cielo, s’io mi ripogno al basso;

Sempre altri fugge, s’io seguir non cesso;

S’io chiamo, non risponde;

E quant’io cerco più, più mi s’asconde.

Giordano Bruno, Eroici Furori, Parte prima dialogo secondo

domenica 13 agosto 2017

RIFLESSIONI SULLA VOLONTÀ

in collaborazione con la rivista Lettera e Spirito:
https://letteraespirito.wordpress.com/riflessioni-sulla-volonta/

Albano Martin de la Scala

René Guénon nella sua opera Il Re del Mondo nel capitolo VIII scrive [1]: «Il periodo attuale è dunque un periodo di oscuramento e di confusione; le sue condizioni sono tali che, finché persisteranno, la conoscenza iniziatica deve necessariamente rimanere nascosta; da qui il carattere dei “Misteri” dell’antichità detta “storica” (la quale non risale neppure all’inizio di tale periodo) e delle organizzazioni segrete di tutti i popoli: organizzazioni che conferiscono una iniziazione effettiva là dove sussiste ancora una vera dottrina tradizionale, ma non ne offrono che l’ombra quando lo spirito di tale dottrina ha cessato di vivificare i simboli che non ne sono che la rappresentazione esteriore, e questo perché, per ragioni diverse, ogni legame cosciente con il centro spirituale del mondo si è ormai rotto, ciò che è il senso più specifico della perdita della tradizione, quello che concerne in particolar modo questo o quel centro secondario, che cessa di essere in relazione diretta ed effettiva con il centro supremo. Si deve dunque, come già dicevamo sopra, parlare di qualcosa di nascosto piuttosto che veramente per¬duto, poiché non per tutti è perduto e certuni lo posseggono ancora integralmente; e, se così è, altri hanno sempre la possibilità di ritrovarlo, purché lo cerchino come si conviene, vale a dire la loro intenzione sia diretta in modo che, attraverso le vibrazioni armoniche che risveglia secondo la legge delle “azioni e reazioni concordanti” [2], essa possa metterli in comunicazione spirituale effettiva con il centro supremo [3]. Questa direzione dell’intenzione ha d’altronde, in tutte le forme tradizionali, la sua rappresentazione simbolica; intendiamo parlare dell’orientazione rituale: essa, infatti, è propriamente la direzione verso un centro spirituale che, qualunque esso sia, è sempre un’immagine del vero “Centro del Mondo” » [4].

La creazione è un atto di volontà del Principio che, irraggiandosi dal “Centro dell’Universo”, raggiunge il centro di ogni singolo mondo, essere o cosa, e fa sì che essa sia esattamente ciò che Egli vuole. Questo atto, essendo atemporale, dal punto di vista della manifestazione si rinnova in ogni istante. La Volontà universale così intesa corrisponde perciò alla presenza divina esistente al centro di ogni cosa o, ponendoci da un altro angolo visuale, a ciò che avevamo chiamato vocazione [5].
Tale presenza, rispecchiandosi nella realtà individuale umana origina la volontà dell’uomo, la sola cosa che gli appartiene in proprio, ed è questa stessa realtà che lo fa esistere in quanto individuo: egli può utilizzarla, entro i ristretti limiti imposti dalla sua condizione, per scegliere fra il bene e il male. Il dono di cui parliamo corrisponde al libero arbitrio [6], mediante il quale l’uomo ha la facoltà di orientare la propria volontà verso quella universale oppure verso il mondo. È facendo uso di questa facoltà che Adamo ed Eva mangiarono simbolicamente dall’albero del bene e del male e furono cacciati dal paradiso terrestre; allo stesso modo l’essere, in ogni istante, con un atto della sua volontà, si imprigiona da solo nella propria condizione individuale [7].
Le differenti fasi della discesa ciclica, che progressivamente allontanano l’umanità dalla percezione delle realtà spirituali, corrispondono a questo processo di autolimitazione dell’essere. In quella che simbolicamente è stata chiamata “Età dell’oro” l’essere umano riconosceva naturalmente la propria volontà, ancora unificata, come riflesso di quella universale e, con un semplice sforzo di concentrazione, era in grado di reintegrarvela.

In una seconda fase, attratto dalle realtà relative del mondo, pur non perdendo di vista la volontà universale, l’uomo cominciò a frammentare la propria. Successivamente avrebbe rivolto verso il mondo un numero crescente dei suoi atti di volontà, arrivando inesorabilmente a dimenticare l’esistenza della Volontà universale e a credere di possederne una autonoma, capace di determinare il proprio futuro. L’umanità aveva purtuttavia ancora degli ideali e questa volontà individuale, pur tesa verso obiettivi mondani, era caratterizzata da una fede profonda in qualcosa che agiva come agente unificante dandole quindi forza [8].

La discesa di cui parliamo però non si è arrestata a quel punto e sta portando l’umanità a non avere più fede in nulla. Sovente, senza rendersene conto, l’uomo ha oggi le idee piuttosto confuse, manca di chiari obiettivi, finendo così per essere in balia delle sensazioni del momento, delle psicosi e degli influssi dell’ambiente. In queste condizioni l’individuo pensa spesso di volere ciò che in realtà è l’ambiente a suggerire [9]. Questi influssi, proprio come strati geologici nel terreno, si sono sovrapposti nel corso dei secoli e hanno caratterizzato la discesa ciclica dell’umanità, divenendo sempre più avvolgenti. Limitato in tal modo l’essere che ne è vittima perde il controllo della propria volontà che è fagocitata dal mondo, e quindi non è più nelle condizioni di sviluppare in modo armonico e completo le proprie possibilità.

Purtroppo, pur con tutti i suoi limiti, la volontà individuale ha un marcato istinto di sopravvivenza, sa bene che può continuare a esistere solo finché ha la possibilità di nutrirsi della volontà separativa dell’ambiente e fa di tutto per attaccarvisi finendo per restarne invischiata [10].

La condizione profana che abbiamo descritta è drammatica, ed è ancora più terrificante se si pensa che dopo la morte fisica, a causa della sua tendenza verso la disgregazione, non potrà concludersi che con una “precipitazione” dell’essere in una condizione infraumana e infernale.

Per gli uomini e le donne di buona volontà esiste però ancora la possibilità, facendo leva sul corretto utilizzo del libero arbitrio, di compiere un percorso “a ritroso” e riportare la volontà individuale alla propria origine.

Il desiderio di intraprendere questo “viaggio” può nascere in modi apparentemente molto diversi, anche come reazione a qualche evento drammatico occorso nella propria vita; in ogni caso tale risveglio implicherà un “ricordo” più o meno conscio del Principio. Utilizzando il concetto simbolico sin qui espresso, si può dire che la volontà umana, orientandosi correttamente anche se solo per un attimo, magari nel sincero e contrito atto di richiesta di aiuto, si sia come rispecchiata, in modo ancora sfuggevole e velato, nella sua origine, e questo fatto ha portato alla nascita, ancora “embrionale”, del desiderio ardente [11] di tornare là dove è la propria vera patria.

Il primo passo per compiere questo percorso dovrà essere inevitabilmente quello di orientarsi, ancorché in modo parziale e insicuro, verso il centro. Questo atto richiederà già un minimo di discernimento e un orizzonte intellettuale ampio almeno quanto basta per concepire in qualche modo il divino. Si può quindi dire che il primo lavoro da compiere, per chi intende liberarsi dalla drammatica condizione descritta, debba essere quello di procedere a una chiarificazione intellettuale basata sull’enunciazione dei principi universali e delle loro applicazioni [12]. Questo lavoro, se compiuto con la giusta attitudine, porterà all’acquisizione di certezze e punti fermi che faranno da bussola e permetteranno di discernere il vero dal falso [13]. L’opera di cui parliamo, in quanto utile al discernimento, dovrà essere costantemente portata avanti da tutti coloro che intendono fare buon uso del libero arbitrio, anche nelle successive fasi del proprio cammino.

Come avevamo avuto occasione di vedere nel nostro studio sull’aspirazione [14], l’orientarsi, anche se in modo ancora necessariamente imperfetto, verso il centro porrà l’essere, eventualmente in modo incosciente, sotto il benefico influsso della Volontà divina [15].

Il lavoro di approfondimento dottrinale ben presto porterà l’essere a cercare sul proprio piano di esistenza qualcosa che attualizzi e vivifichi il proprio legame con il sopra-individuale, e così egli non potrà far altro che rendersi conto che la “tradizione”, intesa nel suo senso reale, ha esattamente questo scopo. Tale presa di coscienza lo porterà a integrarsi in una delle sue forme ortodosse, la quale gli fornirà gli strumenti e l’appoggio necessario per proseguire nel suo cammino. In questo nuovo contesto la volontà individuale verrà particolarmente sollecitata: vi sarà una Legge da seguire con tutto il suo carico [16] di obblighi, precetti e indicazioni. La fede potrà giungere in aiuto permettendo di unificare la propria volontà moltiplicandone la forza così consentendo all’individuo di riottenerne almeno in parte il dominio, liberandola dalla tirannia dell’ambiente [17]. Inoltre questa stessa fede farà orientare l’essere verso il Principio, permettendo alla propria volontà di tornare a riflettere, anche se in modo ancora parziale e volubile [18] quella universale; egli prenderà in tal modo sempre maggior coscienza della sua esistenza accettandola e riconoscendo in essa il suo bene. I segni del suo intervento, a volte propriamente miracolosi, saranno via via più presenti nella vita di chi avrà compiuto questo percorso. Questo fatto creerà un circolo virtuoso che farà crescere la fede e la fiducia dell’essere verso il divino, che, in tal modo, potrà ancor più sviluppare la sua benefica azione.

Il libero arbitrio così come la volontà individuale troveranno la loro legittima collocazione e l’essere, in buona parte riunificato e correttamente orientato, e per ciò stesso attivamente legato al Principio, resterà anche al momento della morte fisica [19] nella propria caratterizzazione umana in modo definitivo; tale caratterizzazione è privilegiata poiché “centrale” nel suo grado di esistenza e quindi tale da permettere, almeno virtualmente, di ritornare coscientemente al “Centro del Mondo”, ottenendo, in una condizione “paradisiaca” ancora separativa e individuale, la propria “salvezza” [20].

Quando la fede è pura, supportata da un orizzonte intellettuale sufficientemente ampio e appoggiata da una conoscenza teorica abbastanza estesa, può condurre l’essere a comprendere che ogni suo atto deve essere fatto per compiere la volontà di Dio. Questa presa di coscienza può portarlo a riscontrare che nella sua esistenza, nonostante la Legge e le regole che segue, sovente si trova in situazioni nelle quali non riesce a comprendere con chiarezza quale sia la volontà divina. Egli potrà pure rendersi conto che questa volontà è presente nel suo cuore ma che non è in grado di decifrarla. In queste condizioni la domanda che si porrà sarà: come fare a comprendere cosa Dio vuole realmente da me [21]? La risposta a questo quesito è che esistono organizzazioni iniziatiche che hanno come fine proprio quello di aiutare gli esseri che ne entrano a far parte a prendere coscienza di questa volontà divina presente nel loro cuore; esistono esseri che questo percorso hanno compiuto almeno in parte e che sono in grado di indicare la via da seguire. La volontà richiede un discernimento e una comprensione reale che la guidino. Solo subordinandola alla vera conoscenza si potrà dirigerla rettamente. Tale conoscenza proviene dalla propria verità interna più profonda, ma, all’inizio del cammino, si manifesterà necessariamente e provvisoriamente come un’autorità tradizionale apparentemente esterna all’essere. I veri centri spirituali sono i rappresentanti della Volontà divina in questo mondo, e coloro che camminano nella Via sono i collaboratori coscienti al piano divino [22].

Il patto iniziatico implica almeno virtualmente la rinuncia al proprio libero arbitrio, questo atto è quindi propriamente il sacrificio dell’unica cosa che appartiene veramente all’uomo: la sua volontà. In questo senso esso è considerato, a ragione, come la morte della propria individualità, morte che in realtà corrisponde al riassorbimento e quindi superamento dei limiti individuali nella loro origine trascendente.

Ogni organizzazione iniziatica ha le proprie metodologie di lavoro specifiche, spesso molto diverse fra loro proprio per potersi meglio adattare alle differenti tipologie e fasi umane e ai diversi gradi di purificazione dei loro membri [23]; tuttavia vi sono alcune caratteristiche di fondo che le accomunano tutte.
In particolare, volendo mettere in risalto l’aspetto relativo alla volontà individuale, si può notare come, con un utilizzo corretto della stessa, sia particolarmente importante “vegliare sui propri istanti”, essere costantemente [24] presenti e attenti a che essa, proprio perché agisce nel presente, aiuti a orientare l’essere verso il centro e a distoglierlo, nel contempo, dalle continue attrazioni mondane, unificandolo [25].

La chiave per adempiere in ogni occasione ai doveri del proprio stato, e quindi uniformarsi alla volontà divina, sta nel seguire esteriormente e interiormente le indicazioni che provengono dall’autorità cui ci si riferisce che è simbolo della volontà universale, della conoscenza e del proprio centro. È verso di essa che l’iniziato deve essere costantemente vigile e ricettivo.

In tal modo egli, sempre meno condizionato dall’ambiente, potrà più facilmente e profondamente accettare gli eventi che gli occorrono, riconoscendo in modo via via più chiaro l’azione della volontà divina della quale diviene sempre più strumento cosciente [26].
Se l’attitudine è pura e disinteressata, i provvidenziali segni non tarderanno a manifestarsi, accrescendo la fiducia del discepolo verso la propria autorità, fiducia che avrà un’azione catalizzante e unificante nei confronti della sua volontà che così potrà orientarsi in modo sempre più completo verso il Principio, svuotando nel contempo l’essere dai propri attaccamenti individuali [27].

Quando l’iniziato, utilizzando in modo totale la propria volontà, è occupato in ogni singolo istante a tendere verso il centro, egli finisce per dimenticare se stesso, allora e solo allora questa stessa volontà individuale è totalmente riunificata e ben orientata e può quindi integralmente rispecchiare quella universale. Solo in questo momento, tramite un totale cambiamento di prospettiva, potrà avvenire la reintegrazione dell’individualità nel suo Principio rendendo finalmente l’essere libero [28].



1. R. Guénon, Le Roi du Monde, Éditions Traditionnelles, Paris, 1950. Le note che si riferiscono alla citazione sono dello stesso Guénon.?

2. Questa espressione è mutuata dalla dottrina taoista; d’altra parte, prendiamo qui la parola “intenzione” in un senso che è affatto esattamente quello dell’arabo niyah, che viene abitualmente tradotto così, e tale senso è peraltro conforme all’etimologia latina (da in-tendere, tendere verso).?

3. Quanto abbiamo appena detto permette di interpretare in un senso molto preciso queste parole del Vangelo: «Cercate e troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto». – Occorrerà beninteso riferirsi qui alle indicazioni che abbiamo già dato a proposito della “retta intenzione” e della “buona volontà”; e si potrà così completare agevolmente la spiegazione di questa formula: Pax in terra hominibus bonæ voluntatis.?

4. Nell’Islam, tale orientazione (qiblah) è come la materializzazione, se così si può dire, dell’intenzione (niyah). L’orientazione delle chiese cristiane è un altro caso particolare che si riferisce essenzialmente alla stessa idea.?

5. In questo senso la volontà creatrice è identica al Verbo o alla “chiamata”. Vedere il nostro articolo La vocazione, apparso nel no 34 di questa rivista.?

6. Dante Alighieri parla dell’argomento quando dice (Divina Commedia, Paradiso, V, vv. 19 e segg.):
Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando ed alla sua bontate
piú conformato e quel ch’e’ piú apprezza,
fu della volontà la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.?

7. Questa prigione non è altro che il regno del Demiurgo: «… in realtà il Demiurgo non è affatto una potenza esteriore all’uomo; non è in principio che la volontà dell’uomo in quanto essa realizza la distin¬zione del Bene e del Male. Ma in seguito l’uomo, limitato come essere individuale da questa volontà che è la sua propria, la considera come qualcosa a lui esteriore, e così essa diviene distinta da lui; non solo, siccome essa si oppone agli sforzi ch’egli fa per uscire dal dominio dove egli stesso si è rinchiuso, la considera come una potenza ostile, e la chiama Shathan o l’Avversario. Osserviamo peraltro che questo Avversario, che noi stessi abbiamo creato e che creiamo a ogni istante, giacché ciò non deve essere con¬siderato come accaduto in un tempo determinato, che questo Avversario, dicevamo, non è malvagio in se stesso, ma è soltanto l’insieme di tutto ciò che ci è contrario» (R. Guénon, Mélanges, Éditions Gallimard, Paris, 1976, cap. I).?

8. La forza di volontà è tanto maggiore quanto più grande è la determinazione, la convinzione, la perseveranza o la fede con cui è messa in atto. Basti pensare a un esempio esteriore come quello sportivo per rendersene conto. Quando una squadra è coesa e motivata può ottenere dei risultati molto migliori rispetto a una che ha delle frizioni al suo interno. Allo stesso modo, se un essere unifica tutte le proprie energie per raggiungere un fine stabilito, potrà veramente superare limiti che apparivano come insormontabili. Quello che andiamo dicendo è insito nella caratteristica della fiducia quale elemento in grado di unificare le potenze dell’essere, e questo a prescindere dal fatto che sia più o meno ben riposta (ricordiamo il detto profetico riportato dallo Scheik Tadili nella sua opera La vita tradizionale è la sincerità, pubblicato nel n° 29 di questa rivista, hadîth che dice: «Se aveste fiducia in delle pietre, ne trarreste beneficio»), cieca o illuminata dalla dottrina, anche se è chiaro che, qualora entrino in gioco le forze spirituali, i risultati potranno essere, a maggior ragione, amplificati e divenire veramente miracolosi.?

9. Questa condizione generale è ideale per chi possegga determinate “chiavi” e abbia l’intenzione di manipolare i popoli favorendo, attraverso la più grande instabilità e mutabilità, lo sviluppo del mondo in un senso antitradizionale.?

10. L’individualità ha una grandissima capacità di adattarsi alle situazioni. A ogni modificarsi delle condizioni è pronta a trovare i propri spazi, anche negli interstizi più impensati, pur di gonfiarsi e sopravvivere. Più queste situazioni si cristallizzeranno e più sarà difficile e doloroso liberarsene. Non a caso, un’autentica autorità iniziatica spesso rompe gli equilibri nei quali si trova il discepolo per permettergli di raggiungerne di più profondi e reali.?

11. Dante accosta la Volontà allo Zolfo che brucia le scorze e quindi permette di purificarsi e raggiungere il centro. Analogamente lo Scheik Tadili nella sua opera La vita tradizionale è la sincerità pubblicata nel n° 29 di questa rivista si esprime in questi termini: «… con “la volontà del faqîr” (irâdah), intendiamo un’ardente aspirazione che provoca tutte le illuminazioni; essa è chiamata “la piangente” (nâihah) ed è a essa che fanno allusione questa parole dell’Inviato d’Allah – su di lui il saluto e la pace! – “quando non c’è la piangente nel cuore, esso è in rovina come è in rovina la casa disabitata”».?

12. L’argomento della preparazione teorica è estremamente importante e meriterebbe uno studio a parte, in questa occasione ci limiteremo a precisare che non intendiamo riferirci a un solo lavoro libresco e di erudizione.?

13. Questo saper discernere, e avere chiaro il proprio “fine”, diviene ancora più importante in un mondo come quello attuale che è pieno di realtà ambigue, parodie, contraffazioni e trappole di ogni genere.?

14. Alcune considerazioni sull’Aspirazione, in Lettera e Spirito, nº 32.?

15. Il problema è che questo atto di volontà dovrà essere costantemente e attivamente ribadito, poiché l’ambiente ha una grandissima forza attrattiva nei confronti dell’essere umano e la sua volontà tende ad attaccarsi, in modo quasi morboso, alle caratterizzazioni da esso proposte.?

16. Carico particolarmente pesante specialmente all’inizio del proprio percorso, quando non si è ancora preso il “gusto” all’esecuzione dell’attività rituale.?

17. Alla luce di quanto detto la qualifica iniziatica massonica: “libero e di buoni costumi” può essere interpretata come “possessore della propria volontà all’interno della Legge”.?

18. Questa “volubilità” è un aspetto che in genere accompagna ogni percorso spirituale, anche negli stadi più avanzati e permette eventualmente a chi lo percorre di raggiungere temporaneamente degli stati e delle percezioni che poi svaniscono, lasciando però un “ricordo” che infonde forza e sicurezza.?

19. Morte corporea che, a differenza di quanto molti pensano, non può minimamente modificare il livello spirituale di chi la subisce.?

20. Sull’argomento, che in questo scritto ci limitiamo a toccare di sfuggita, vedasi R. Guénon, Initiation et Réalisation spirituelle, Éditions Traditionnelles, Paris, 1952, cap. VIII, Salvezza e liberazione.?

21. Un caso molto più frequente è quello in cui l’individuo, magari senza rendersene conto e con la pretesa di riconoscere unicamente Dio come autorità, prenda dalla tradizione solo gli elementi, interpretati a modo proprio, che più si adattano alle sue inclinazioni individuali (o alle inclinazioni di chi condiziona la sua vita), tralasciando o dando poca importanza a tutto il resto. In questo modo egli si crea un “mondo” nel quale appaga la sua necessità di sentirsi “a posto con la propria coscienza” e si rinchiude in una caratterizzazione nella quale la sua individualità può gonfiarsi a piacimento e dalla quale ben difficilmente riuscirà a liberarsi.?

22. Certo la situazione di diffusa degenerazione nella quale spesso versano le organizzazioni iniziatiche potrebbe indurre certuni ad affidarsi a una illusoria autonomia piuttosto che ad appoggiarsi ad esse. Inutile dire che questa non può certo essere la soluzione del problema. A coloro che cercano con sincerità, consigliamo la pazienza e la tenacia e ricordiamo il detto indù: “dove c’è un cela c’è un guru”, dove c’è un discepolo con la giusta attitudine, là si manifesta il Maestro.?

23. Vedasi R. Guénon, Initiation et Réalisation spirituelle, cit., cap. XVIII, Le tre vie e le forme iniziatiche, apparso nel no 33 di questa rivista.?

24. La regola massonica da 24 pollici ricorda proprio questa necessità di non arrestare mai il proprio lavoro.?

25. Emerge qui in modo chiaro il carattere eminentemente attivo del lavoro iniziatico, che quindi non può essere in alcun modo confuso con il misticismo.?

26. Ricordiamo il seguente hadith qudsi, nel quale il Profeta Maometto riporta in prima persona la parola di Allah: «Il mio servitore non cessa di avvicinarsi a me, attraverso degli atti di devozione surrogatori, fino a quando lo amo, e quando lo amo sono l’Orecchio con il quale sente, la Vista con la quale vede, la Mano con la quale combatte e il Piede con il quale marcia» (Bukhâri, Riqâq, 37). Precisiamo che questo processo, in cui l’essere diviene strumento nelle mani del Principio, può attuarsi per gradi.?

27. Facciamo presente che questi attaccamenti possono essere anche del tutto legittimi da un punto di vista umano. Ad esempio l’amore per i propri cari, se vissuto in contrasto con l’accettazione del volere divino, ponendosi da un ottica iniziatica, è una forma di idolatria nascosta che fa orientare la propria volontà verso l’esteriore. In questo modo l’essere che aspiri a ritornare al proprio centro sarà distolto dal suo obiettivo e limitato. A questo proposito ricordiamo il passaggio coranico: «O voi che credete, nelle vostre spose e nei vostri figli c’é un nemico per voi» (Corano, LXIV, 14). A scanso di equivoci precisiamo in ogni caso che con queste affermazioni non intendiamo suggerire di non occuparsi delle proprie famiglie, ma solo che questa attività deve essere svolta, così come tutte le altre, in funzione del raggiungimento del proprio fine superiore. La volontà divina è presente in ogni cosa o essere e questo orientarsi verso il Centro non implica quindi necessariamente l’allontanarsi dal mondo, ma solo il guardarlo senza arrestarsi al suo aspetto superficiale. In questo senso anche l’amore per i propri cari potrà svilupparsi in modo ancor più armonioso e profondo.?

28. Precisiamo che il risultato di cui parliamo corrisponde al raggiungimento del Centro dello stato umano, là dove la Volontà divina incontra il nostro piano di esistenza, che è il fine dei “piccoli misteri” e dove l’essere è liberato dai limiti individuali. Nel nostro scritto non abbiamo quindi considerato il percorso superiore, quello dei “grandi misteri” che porta a reintegrare questo stesso centro nel vero Centro dell’Universo, cioè porta l’essere a realizzare gli stati superiori dell’essere e a giungere in fine allo stato incondizionato: la “Liberazione finale”. Vedere R. Guénon, Aperçus sur l’Initiation, Éditions Traditionnelles, Paris, 1946, cap. XXXIX, Grandi misteri e piccoli misteri.?

mercoledì 9 agosto 2017

Sterile nell'anima e nel corpo. L'Europa è una terra desolata

tratto da il Giornale del 29 giugno 2017

Il poeta Eliot profetizzò le malattie dell'inconscio dovute al materialismo. Guarire si può: con una «Vita selvatica»

di Cluadio Risé

La più efficace rappresentazione della modernità occidentale: questo è La terra desolata di Eliot per Ezra Pound. Non si tratta infatti solo di un'opera poetica. I suoi versi hanno anche un contenuto profetico; non soltanto perché descrivono i morti sul London Bridge 96 anni prima dell'attacco di venti giorni fa.

Questi morti Eliot li vede camminare sul ponte con «gli occhi fissi ai piedi». Il loro sguardo (come il nostro oggi), vola basso. In un tempo ormai di post secolarizzazione, dove tutto il mondo torna a guardare verso l'alto, l'Occidente non sa più riconoscere di essere figlio di Dio e prendersi la propria quota di divinità. Così mentre ovunque Dio è forza, visione, obiettivi, noi lo viviamo come un peso da nascondere. Mentre per gli altri è energia (distruttiva se non governata), l'Occidente, come intuì James Hillman, ha trasformato Dio in malattia. La nostra visione è attirata dal basso, dove vanno gran parte delle nostre energie.

La terra desolata, però, non riguarda solo noi oggi. È un archetipo dell'inconscio collettivo, un'immagine da sempre presente nella psiche e storia umana, che si attiva in tempi di forte cambiamento. Attraverso di essa l'inconscio collettivo spinge l'uomo a ritrovare una forza vitale perduta, a guarire malattie che corrodono la sua anima, il suo corpo e la sua vita quotidiana. Era già presente, come racconta Eliot, nell'Europa del 1200, cui si riferiscono le leggende e i miti Arturiani. Epoca di ricerca, cambiamento e fondazione di quella che fu poi per cinquecento anni la civiltà occidentale, coinvolgendo nei suoi sviluppi gran parte del mondo.

La terra desolata ci fa sentire che qualcosa di molto prezioso sta sbocciando, ma rischia di andare perduto se non riconosciamo le cause dell'attuale desolazione. È una sfida forte posta all'uomo dal proprio tempo; riguarda sia le personalità individuali che la società e il mondo in cui vivono.

C'è un ordine da ricostituire: Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre? si chiede il Re Pescatore. La situazione gli impone di riconoscere la difficoltà dello sviluppo, della germinazione di nuove cose, da distinguere da quelle morte, da abbandonare. La terra desolata di Eliot, comincia proprio con un mese di germinazione e di sviluppo.

Aprile è il mese più crudele, generando/ Lillà da terra morta, confondendo/ Memoria e desiderio, risvegliando/ radici dormienti con piogge primaverili.

Nell'immagine della Terra desolata nel poema come nell'archetipo, e dunque nella vita che si svolge sotto la sua influenza sono sempre compresenti le forze della generazione e della vita, e della morte e decomposizione. Da qui deriva l'energia delle immagini archetipiche. Tra questi poli la coscienza dell'uomo è ora chiamata a scegliere, altrimenti si può sviluppare regressione e malattia, anche psichica.

La terra del Graal, l'Europa dove nelle leggende tardo-medievali regna il Re Pescatore, sovrano della cristianità, è appunto attraversata da questo potente conflitto. Si tratta dell'eterno scontro tra la soddisfazione del piacere immediato e lo sviluppo di capacità di simbolizzazione, e di sacrificio per visioni più ampie, non egoistiche e di lungo periodo.

In questa lotta, che è anche un conflitto passionale per la donna (rappresentazione anche dell'Anima maschile) il re viene ferito da un potente nemico, un cavaliere moro. La ferita è in mezzo alle gambe, nel luogo della sua generatività e della fallicità. Il re, Amfortas, ha sottovalutato sia il proprio l'accecamento passionale, che la forza dell'avversario: per questo è stato ferito. L'aspetto emotivo e femminile della sua psiche invece di essere una forza ispiratrice ha preso il sopravvento sulla coscienza maschile soffocandone la tensione verso l'alto e consentendo la ferita. Dalla quale si perde il suo sangue, e si genera marcescenza e putredine.

A partire dal corpo e dallo spirito del re l'aridità conquista ogni spazio vitale attorno rendendo desolata la terra. Il calo della fertilità, la compravendita di parti del corpo e funzionalità riproduttive, la molteplicità di problemi sessuali che affliggono i cittadini della modernità traducono in cronaca quotidiana le conseguenze della ferita del Re Pescatore, ubriacato dalla sua superficialità. Con lui, ferito all'inguine, nella sua sessualità e virilità, è l'uomo occidentale, protagonista di La terra desolata di Eliot. Siamo noi.

Per riportare l'ordine non solo nelle terre del re pescatore, ma tra femminile e maschile, e tra terra e cielo, allora come oggi, nella terra desolata è decisivo l'amore. Ma vero. Ne parlano due miti fondatori dell'Occidente: Tristano e Isotta, ispiratori di Eliot. In entrambi si parla di amore e di sacrificio, indispensabili alla crescita personale e al benessere di tutti. Al centro dei due miti c'è un potente simbolo femminile: una coppa. Tristano e Isotta, presi dall'attrazione, ne bevono e muoiono.

Nel racconto Tristano sta accompagnando Isotta da re Marc di Cornovaglia, cui la fanciulla è promessa. Durante la navigazione, in un momento di caldo e grandissima sete (classico scenario da «demone meridiano») l'accompagnatrice di Isotta versa una bevanda a Tristano. Il giovane beve, e porge la coppa a Isotta. Subito i due sono presi dal bisogno di andare l'una verso l'altro, fisicamente e sessualmente. Il liquido della coppa era un filtro di erbe che era stato affidato alla serva dalla madre di Isotta. Da questo imprigionamento i due giovani non usciranno vivi. Nelle narrazioni dell'epoca percepiscono subito che si tratta di una spinta non d'amore, ma di morte. Come Isotta racconta nel trovatore Béroul: «Lui non mi ama/ né io lui / Accadde per un filtro da cui bevvi / e così per lui».

Il veleno agisce sui due giovani trasformando il loro innamoramento innocente nella spinta ad agire subito la loro attrazione, irresistibile dopo la bevanda. Così l'aspetto distruttivo dell'archetipo della Grande Madre (che può essere positiva e vitale, oppure distruggere), incline all'agito immediato più che alla simbolizzazione, sostituisce al matrimonio fecondo del Re, propiziato dall'amato nipote Tristano, il potere della droga e la morte dei due giovani, che lascerà senza discendenza il Re Marc.

Anche Parsifal ha una madre invadente, Herzeloide, che alleva questo figlio lontano dal mondo della cavalleria, chiudendolo in una tenuta, perché non vuole che muoia come il padre e i fratelli. Parsifal però la lascia quando viene invitato alla reggia di Artù, e la madre muore di crepacuore. Dolore difficile da elaborare, ma salvifico per il re pescatore, che guarirà solo quando il «puro folle» Parsifal gli porrà la domanda risanante: «dimmi, cosa ti strugge?» Prendendo così su di sé la sofferenza dell'altro, e in questo modo guarendo la terra dalla sua aridità e desolazione.

Anche nel Parsifal c'è una coppa, sulla base della quale compare appunto il suo nome. Ma è quella del Graal, dove è stato versato il sangue di Cristo dopo la sua passione, promessa di risurrezione. Per rinascere, infatti, per rigenerarsi, occorre avere il coraggio di attraversare la morte.

Ogni profonda trasformazione, sul piano simbolico, lo richiede. Soprattutto nella civiltà fondata su Gesù Cristo: risorto appunto perché capace di morire.