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mercoledì 10 aprile 2019

Il racconto del Graal, aliâs il mistero delle origini

prelevato dal sito http://www.centrostudilaruna.it

Non è molto logico commentare la Presentazione di un libro, tanto più se il volume altrove presentato da altri è il proprio. Ma vale la pena di fare un'eccezione per la premessa scritta dal dott. E. Albrile, redattore di codesta Rivista e nostro gentile patrocinatore presso questa ed altre pubblicazioni semestrali e non, ad un opuscolo del sottoscritto, attualmente in bozze presso un editore pugliese. Facciamo ciò, naturalmente, non allo scopo di farci pubblicità; benché ne avremmo sinceramente bisogno, trattandosi del nostro primo scritto di un certo formato, a parte il volume in corso di pubblicazione presso questo stesso editore.

L'Albrile è dell'opinione, sulla scorta del Rigbom e del Corbin, che la descrizione del Castello del Graal apparsa attorno al 1275 nel Der jüngerer Titurel di Albrecht von Scharffenberg sia stata occultamente influenzata da una conoscenza dell'architettura emblematica di un antico tempio iranico, il cd. 'Trono degli Archi' (Taxt-i Taqdis). Da ciò, oltreché da altre corrispondenze rilevabili nel Parzival di Wolfram von Eschenbach (scritto compilato fra il 1200 ed il 1210), è deducibile senz'ombra di dubbio un'influenza persiana nella misteriosofia graaliana. Tale influenza non può essere messa in dubbio e si può ritenere motivatamente che essa sia stata trasmessa da parte degli Assassini, i famosi Guardiani ismailiti della Terra Santa. Probabilmente attraverso i Templari, che raggiunsero Gerusalemme un ventennio dopo (1119) la conquista della Città Santa da parte della Prima Crociata (1099). Anche i Templari fungevano da Custodi del luogo sacro, con le medesime prerogative ed una gerarchia iniziatica approssimativamente parallela, nel versante cristiano. Orbene siamo del parere, non meno di un noto scrittore attuale, che anche le idee proprie dei Templari sul Tempio di Salomone e l'Arca dell'Alleanza abbiano influenzato notevolmente il simbolismo graaliano. Vediamo dunque in che maniera le due linee di azione s'intersechino nel raggiungere l'Occidente tardomedievale. Naturalmente qui si parla d'influenze, poiché è chiaro che la letteratura graalica rientra nell'esoterismo cristiano e come tale va intesa. Qualcuno in passato ha espresso però l'opinione che la tradizione celtica non sia finita con la cristianizzazione della Gallia, ma che abbia continuato a sopravvivere attraverso la copertura exoterica della Chiesa culdea (altri lo definisce 'monachesimo kuldeo'). Ragion per cui ad un certo punto, allorché i tempi erano evidentemente maturi, si sarebbero prodotti un incontro ed una fusione a livello esoterico fra la tradizione cristiana e quella celtica. Ci si può chiedere quale fosse la confraternita cristiana coinvolta. A giudicare dalle citazioni di Wolfram, sembrerebbe che la parte intervenuta sia quella dei Templari.

Ripercorrendo la storia di codesto Ordine, dalla fondazione nel 1119 sotto l'egida di S. Bernardo (nipote di uno dei Nove Cavalieri fondatori e redattore quasi un decennio dopo della Regola loro imposta, dietro il riconoscimento ufficiale della Chiesa) sino alla distruzione del medesimo nel 1306 ad opera del Re di Francia (Filippo IV, altrimenti noto quale Filippo il Bello) e di Clemente V (un papa del periodo avignonese), si arriva a capire quale importante ruolo esso debba aver svolto in ambito esoterico nel corso dei due secoli circa nei quali ha potuto agire liberamente. A giudicare dalle accuse intentate all'Ordine del Tempio durante il processo che ha condannato al rogo i Templari, vale a dire il fatto di praticare culti osceni e venerare il Serpente sethiano , pare lecito affermare che si trattava di una confraternita di tipo gnostico. Ma in che modo è giunta la Gnosi in Europa nel Tardo Medioevo? Gli Gnostici, com'è risaputo, costituivano a loro dire i trasmettitori delle conoscenze segrete degli Apostoli; in altre parole, erano i veri conoscitori dei Misteri cristici.

Dopo la persecuzione perpetrata a loro danno in epoca tardoantica da parte della Chiesa dei primi secoli (II-IV sec.), le loro dottrine ed i loro riti potrebbero essere stati ripresi occultamente dai Catari, nonostante s'intraveda in costoro una certa influenza manichea. In un'interessante trasmissione televisiva di qualche tempo fa sono state mostrate visivamente in una cartina le tappe percorse dal movimento gnostico durante l'espansione dal Vicino Oriente in Europa. Le tappe considerate sarebbero state le seguenti: dalla Palestina alla Siria e da qui all'Armenia; indi, passando attraverso l'impero bizantino, esso si è trasferito nei Balcani ed in seguito in Bosnia, assumendo attorno al X sec. la denominazione di Bogomilismo. Alla metà del XII sec., sotto il nome di Catarismo, ha conquistato l'Italia Centro-settentrionale e la Francia Meridionale (Provenza, Linguadoca), diffondendosi anche nel resto della Francia ed in Renania. Sul piano pratico il radicalismo cataro propugnava un rigoroso ascetismo, condannando la pratica cattolica dei sacramenti e minando in tal maniera le basi religiose della società feudale. Pur tuttavia nella Francia Meridionale esso è riuscito a diffondersi presso l'aristocrazia. Il suddetto documentario supponeva inoltre che il movimento cataro abbia in tal modo stimolato la nascita della saga del Santo Graal. In particolare sarebbe stato il vate tedesco Wolfram a subire codesta influenza. Altri ha invece supposto che l'epica in questione sia servita a mobilitare la cavalleria del nord contro i Catari. Ma questa seconda tesi francamente non regge. Sta di fatto che è indiscutibile l'influenza dei Templari su von Eschenbach, e da dove hanno tratto i Templari il loro culto e la loro dottrina se non attraverso quelle propaggini della Gnosi che hanno raggiunto l'Europa all'inizio del X sec.? Una volta raggiunta l'Europa l'esoterismo cristiano deve essersi congiunto con certi depositi della tradizione latina serbati dalle associazioni dei mestieri (Collegia Fabrôrum), poiché si deve supporre che anch'essa non si sia estinta nel 391 dopo il proclama di Teodosio, il quale giungeva a vietare le pratiche pagane di culto. Guénon, basandosi su uno scritto di H. Martin (storico francese), ha a suo tempo dichiarato indirettamente che in seguito alla distruzione dell'Ordine del Tempio la Cavalleria del Graal è divenuta la Massenia del San Graal, da cui sembra in parte discendere la stessa Massoneria moderna. I membri di tale confraternita chiamavansi i Templisti. Nel Titurel (1215-1220) di Wolfram, composto dal templare svevo precedentemente al Titurel recenziore del poeta bavarese Albrecht, è il personaggio stesso di Titurel a fondare il Tempio del Graal - nella Gallia Meridionale, ai confini con la Spagna - e la costruzione viene diretta secondo i dettami di Merlino; che è stato iniziato da Giuseppe d'Arimatea al piano del Tempio per antonomasia, vale a dire il Tempio di Salomone. L'opera di Albrecht pone invece il sacro edificio con la preziosa reliquia a Salvaterre in Spagna. Ed infine il Santo Vasello, al fine di essere sottratto alla profanazione da parte degli uomini ingiusti e corrotti del tempo, viene trasportato dagli Angeli agli estremi confini del mondo, in una località attigua al Paradiso Terrestre.

Ragion per cui, potremmo arguire da tutto ciò, i due fratelli della storia del Parzival di Von Eschenbach (il primogenito Feirefiz ed il secondo nato, appunto Parsifal medesimo) rappresentano in realtà due correnti esoteriche parallele ed ugualmente valide dell'ambiente tardomedievale. Il loro affratellamento spirituale si basava sull'origine comune delle dottrine alle quali i seguaci dell'una e dell'altra parte si ispiravano. È chiaro che alludiamo qui agli Assassini ed ai Templari, i quali fungevano entrambi da Guardiani della Terra Santa. La Terra Santa era un'immagine visibile del Centro del Mondo ossia del Paradiso Terrestre, che le antiche e recondite leggende situavano cosmograficamente al Polo Boreale. Ma la Terra Santa stessa aveva a sua volta un proprio centro ed era esattamente il colle ove era un tempo collocato il Tempio di Salomone. Non è certo un caso che i Templari abbiano stabilito la loro residenza nella Città Sacra, durante la loro permanenza ivi prima della riconquista di Gerusalemme da parte di Saladino nel 1187, nei pressi delle fondamenta di tale distrutto edificio. Il cuore del Tempio era stato in passato l'Arca dell'Alleanza (ebr. Tebah, palaaram. Tebuta / Tebota, et. Tabot), una specie di quadrilatero simbolico che rifacendosi emblematicamente all'Arca di Noè costituiva un simulacro terreno della Gerusalemme Celeste dalle Dodici Porte. Dodici come gli Apostoli di Gesù o le Tribù d'Israele. Tutte immagini terrene dello Zodiaco Celeste, come del resto i Dodici principali Cavalieri della Tavola Rotonda. Ciò spiega perché nel Parzival è scritto che il 'pagano' Flegetanis abbia contemplato il Graal in cielo.

Orbene, siccome il Graal era custodito secondo l'opera di Albrecht nella Terra del Prete Gianni, il Sacerdos-rex in cui il Tardo Medioevo ha incarnato il Sovrano Universale ossia il Cakravarti, per dirla con gli Indú, ecco che si spiega in tal modo il rapporto d'identità tra il Graal e l'Arca dell'Alleanza giustamente ipotizzato da Graham Hancock, che ha il solo torto di non aver mai letto Guénon. Infatti l'Arca dell'Alleanza, come c'insegna il brillante autore di best-seller mondiali, era stata trafugata dal Tempio di Salomone secondo il Kebra Nagast etiope ad opera di Menelik I, il figlio che il saggio israelita aveva avuto dalla Regina di Saba. È d'altronde innegabile che esista un certo rapporto fra il meticcio Feirefiz di Wolfram e cotal Menelik, così come fra la nera Regina Madre Belacane e la Regina di Saba. Dato che Gianni era il nome del figlio generato a Feirefiz da Repanse de Schoye, tutti i sovrani discesi da quella nobile famiglia avrebbero da allora in poi assunto il nome simbolico, in quanto custodi del Graal (cioè, mutatis mutandis, dell'Arca dell'Alleanza gelosamente custodita dai sovrani etiopi discesi dinasticamente da Menelik), di Prete Gianni. La cosa è apertamente suggerita da Von Scharffenberg, il quale non era che un mero discepolo di Von Eschenbach, come abbiamo già visto.

Nel contempo possiamo dichiarare che Parsifal, divenuto alla fine della saga graaliana il novello Re Sacro capace di avvicendarsi a Re Anfortas (il Re Pescatore, in altre parole l'Uomo in senso adamitico) dopo che per il proprio valore di puro cavaliere dedito alla ricerca della Verità ultima lo ha guarito dall'insanabile male (provocato dal Tempo corruttore), rappresenta una figura strettamente equivalente a quella di Feirefiz. Nel senso che il cavaliere cristiano incarna l'ideale gnostico dei Templari, mentre il cavaliere 'pagano' impersona l'ideale ismailita degli Assassini. Per cui non sarebbe errato stabilire parallelamente una connessione da un lato fra Re Anfortas ed il Gran Maestro dell'Ordine Templare, dall'altro fra il Prete Gianni ed il Veglio della Montagna. Se è vero allora che il Tempio del Graal risale tramite il Tempio di Salomone e l'Arca dell'Alleanza, venerata dai Patriarchi ebraici, al simbolismo noaico e quindi si rifà per ciò stesso alla tradizione atlantidea, è pur vero che esso per via delle sue implicazioni con l'esoterismo celtico ci rimanda viceversa alla tradizione iperborea. Egualmente l'antico tempio persiano di cui parlavasi al principio della nostra argomentazione (su segnalazione dell'Albrile) deve essere ricollegato per via ario-indoiranica alla Tradizione primigenia, proveniente direttamente dal Paradiso Terrestre; e per via islamica alla Città Santa, al Tempio di Salomone, all'Arca e all'Atlantide. Tra le due tradizioni menzionate non ci può essere dunque contraddizione, ma solo accordo armonico.

Appendice

Trattando dei rapporti del Graal coi Rosacroce, Evola cita un enigmatico personaggio come capo dell'Ordine, l'Imperâtor; il cui nome e la cui sede dovevano rimanere sconosciuti, in quanto il personaggio non esercitava la propria funzione in sede temporale, bensì sul piano spirituale. Basta dire che nell'elenco di Imperatôres succedutisi nel corso del tempo figurava persino la figura gnostica di Seth. Dal punto di vista rosicruciano il Papa non era che un usurpatore, siccome si presentava come il capo spirituale per eccellenza di tutta la comunità cristiana, cosa che normalmente non poteva spettare ad un'autorità che esercitava il suo dominio sul piano exoterico. È chiaro che l'Imperatore di cui parlavano i Rosacroce altri non è che il Jagadguru degli Smrti (Tradizione) hindu, venerato dagli Smârta, l'Ordine fondato da Çankaracârya. Si diceva infatti che egli avrebbe esercitato uno speciale ruolo alla 'Fine dei Tempi'. Questo tuttavia non è altro che il compito del Re del Mondo, la cui funzione necessariamente si richiama al mistero delle origini, poiché essa non è molto diversa da quella del Re del Graal. La differenza tra l'una e l'altra consiste nel fatto che la figura del Re del Graal ha un carattere esclusivamente primordiale e costituisce per così dire un punto di riferimento ideale, a livello iniziatico; giacché il Re Sacro è in realtà solo un simulacro e rappresenta l'Uomo Universale (o alternativamente l'Uomo Vero) nella sua dimensione sovrannaturale; mentre la figura del Re del Mondo ha un significato perenne, che va al di là delle Età cicliche ed è strettamente legata ad una particolare vocazione umana. Insomma, rifacendoci a scopo comparativo al simbolismo hindu, potremmo spiegare tale differenza di ruolo paragonando il Re del Graal al I Avatâra; vale a dire a Manu aliâs il Re Pescatore, il quale è più o meno identificabile al Pesce Divino, a seconda che ci si riferisca al Paradiso Terrestre oppure a quello Celeste. Invece il Re del Mondo corrisponde all'Avatâra eterno, che la tradizione islamica conosce sotto il nome di Seyidnâ El-Khidr e tratteggia come un essere di color verde, detentore perpetuo di una sapienza superiore a quella stessa dei Profeti. Tornando alla questione della 'Fine dei Tempi', è chiaro che il magistero esercitato dal Re Mondo, ossia dall'Imperâtor di rosicruciana memoria, ha lo scopo di favorire il recupero dello stato primordiale; ma tale azione si svolge in segreto, non alla luce del sole, come invece è il caso del X Avatâra (denominato Kalkyâvatâra). Quest'ultimo, viceversa, si richiama direttamente a Manu; cioè al Re Pescatore, di cui è un'incarnazione (il termine evoca precisamente l'idea di una 'Discesa terrena') nei tempi ultimi. Kalki è presentato dalle Scritture hindu come una sorta di cavaliere che discende dal Cielo per sconfiggere i Fuori-casta, ma ciò non deve essere preso troppo letteralmente. Piuttosto dovremmo dire che egli giunge tra noi per rammentarci la nostra vera natura. Per questo l'azione di siffatto personaggio non può essere circoscritta all'ambiente indiano, ma deve evidentemente esercitarsi a livello universale. Il che sottintende la riunificazione di tutte le tradizioni e la loro subordinazione alla Rivelazione primeva. Cosmologicamente Kalki, figurativamente descritto con la Testa Equina o addirittura come un Cavallo Bianco , è identificabile all'asterismo di Canopo, che ha retto il Polo Sud nel X Ciclo Avatarico (4.480 a.C.-2000 d.C.); per contro il Jagadguru (lett. 'Maestro del Mondo'), in termini ebraici il 'Re del Mondo', identificasi alla costellazione del Dragone, reggente nello stesso periodo indicato il Polo Nord. Ora, a ben vedere, nel 2000 c'è stato un passaggio di consegne ai due Poli; nel senso che a Nord l'Asse è passato dal dominio ciclico del Dragone a quello della Stella Polare ed a Sud, parimenti, al presidio di Canopo è subentrato quello della Croce del Sud. Dalla qual cosa dobbiamo dedurre che la svolta spirituale di cui si parlava più addietro c'è già stata in effetti, dal momento che secondo la cronologia tradizionale ci troviamo a vivere nell'Alba di una novella Età dell'Oro. Ed è stata una svolta tutta interiore, della quale purtroppo la maggior parte dei contemporanei non ha avuto ancora coscienza, tanto che non ha aggiornato il calendario. Ma, sebbene il freddo della notte appena trascorsa prevalga tuttora, il sorgere di un nuovo Sole - da Virgilio preconizzato in una famosa Ecloga come la nascita di un innocente Puer dai tratti apollinei - è ormai prossimo e non mancherà ben presto di produrre i suoi frutti.

Giuseppe Acerbi

Tratto da Algiza 15, pp. 6-11. La presente versione è stata pubblicata priva delle note a pié di pagina.

giovedì 9 luglio 2015

Acerbi e il Graal

Tratto da http://www.centrostudilaruna.it


La più recente opera di Giuseppe Acerbi su "Merlino e Morgana" è parte di una ricerca ventennale condotta su fonti mitologiche vicino e medio orientali, tesa a disvelare in esse i paralleli e le analogie con i romanzi del ciclo graalico. Tale avvicinamento, apparentemente assurdo anche in una prospettiva fenomenologica, ha però un valido fondamento storico-archeologico: una mediazione tra Oriente ed Occidente in ciò che di recente il giovane studioso italiano Marco Moriggi ( in Avallon, 45 [ 2000 ] , pp. 47-58 ) ha ribattezzato essere le "radici iraniche del Graal". Chiunque legga con occhio filologico il Parzival di Wolfram von Eschenbach non può non notare infatti le fortissime affinità con il mondo iranico pre-islamico, che vanno dal nome del padre di Parzival, Gahmuret (e a loro volta rinviano all’Uomo Primigenio del mito mazdeo, Gayomart, il Gehmurd dei Manichei ), sino alla liturgia con l’"acqua di vita" tramite cui viene battezzato Feirefiz, il fratello levantino (e quindi "oscuro ") di Parzival.

Circa sessant’anni dopo Wolfram, ma sempre restando nell’ambito della medesima tradizione, il poeta germanico Albrecht von Scharffenberg scrisse (nel 1270) un’opera dal titolo Der jüngerer Titurel (Il giovane Titurel), che parla dell’antica famiglia del Graal; in particolare di Titurel, nonno di Parzival. Albrecht cosí descrive il Tempio del Graal: "Nella terra della salvezza, nella foresta della salvezza, si erge un monte solitario, la Montagna della Salvezza; il Re Titurel la cinse di mura e vi costruí un ricco castello perché fosse il Tempio del Graal: il Graal allora non aveva una sede fissa, ma vagava, invisibile, nell’aria." Albrecht passa quindi a descrivere la montagna: fatta di onice, la sua vetta è priva di terra; era stata talmente levigata e pulita che "risplendeva come la Luna". Il Tempio è alto, rotondo, a cupola, con il tetto d’oro; all’interno, il soffitto è incrostato di zaffiri a rappresentare il cielo azzurro, ed è incastonato di carbonchi raffiguranti le stelle. Un Sole d’oro ed una Luna d’argento, mossi artificialmente, percorrono gli emisferi, mentre i cembali vengono colpiti regolarmente per scandire il trascorrere delle ore. L’intero Tempio è colmo d’oro e tempestato di gemme preziose.

Per lungo tempo, tutto quanto venne considerato un mero artificio letterario, nient’altro che una bella fiaba. Solo nel secolo ormai trascorso alcuni studiosi come Lars Ivar Ringbom o Henry Corbin hanno richiamato l’attenzione su una località realmente esistita, che possedeva una straordinaria rassomiglianza con la descrizione albrechtiana del Tempio del Graal.

Agli albori del VII secolo d.C. il re persiano Cosroe II edificò uno straordinario palazzo che chiamò Taxt-i Taqdis, "Trono degli Archi" - ora noto come Taxt-i Sulayman, "Trono di Salomone" - sulle alture sacre di Shiz nelle Media Atropatene, l’attuale Azerbaigian. Era il centro del culto mazdeo: in esso si ergeva un tempio del fuoco, ed era ritenuto un’immagine del centro del mondo. I re della dinastia sassanide, cui Cosroe apparteneva, ritenevano Shiz il luogo di nascita di Zoroastro e lí vi celebravano i riti ciclici che garantivano la fecondità del cosmo. Quando il santuario venne distrutto, in una serie di incursioni prima cristiane poi musulmane, l’intero paese parve morire sotto il giogo dell’oppressore, proprio al modo in cui nelle storie del Graal l’aridità della ’terra desolata‘ è considerata una diretta conseguenza della morte simbolica del Re del Graal.

Da fonti piú o meno contemporanee, sostenute da testimonianze archeologiche (in particolare l’ultimo lavoro di R. Naumann, Die Ruinen von Tacht-e Suleiman und Zendan-e Suleiman, Dietrich Reimer V., Berlin 1977) è stato possibile ricostruire una descrizione del Taxt: come il Tempio del Graal era la cupola, con il tetto d’oro rivestito completamente di pietre azzurre a rappresentare il Cielo; vi erano le Stelle, il Sole e la Luna. Le carte astrologiche e astronomiche erano contrassegnate da gemme, balaustre coperte d’oro, gradini dorati, addobbi munifici. Tutto rassomigliava al Tempio del Graal. L’intera struttura del Taxt si ergeva al di sopra di un pozzo nascosto, entro il quale pariglie di cavalli giravano in tondo provocando lo spostamento dell’edificio sul suo asse, in armonia con il variare delle stagioni, in tal modo facilitando i calcoli astrologici e le osservazioni astronomiche. Circostanza che ricorda l’isola ruotante sulla quale si trova Re Nascien, il Signore del Graal nel Giuseppe d’Arimatea di Robert de Boron, scritto oltre seicento anni dopo che il Taxt era stato raso al suolo.

Come in numerose descrizioni del Tempio del Graal, il Taxt si ergeva nei pressi di un grande lago, ritenuto senza fondo: uno specchio d’acqua scuro ed immoto che colmava uno spento cratere vulcanico. Secondo Albrecht, il Tempio del Graal aveva porte su tre dei suoi lati. Il Taxt-i Sulayman era difatti accessibile u nicamente da tre direzioni, due delle quali trovano rispondenza in un testo gallese del ciclo graalico, il Peredur : la prima conduce attraverso una prateria, l’altra segue un ruscello che percorre una vallata. Il Taxt era alimentato da due fiumi e circondato da possenti mura, inoltre vi erano istallati dei congegni che simulavano il variare delle stagioni e i mutamenti climatici; il tutto in armonia con l’idea cristiana di Paradiso, il Pairi.daêza iranico, altrimenti raffigurato come la sede del Graal.

Nel 1937 una spedizione dell’American Institute for Persian Art and Archaelogy scoprí sul sito del Taxt una luccicante incrostazione provocata dalle acque minerali del lago, la quale, soprattutto lungo i bordi rimasti esposti agli elementi, aveva assunto l’aspetto dell’onice. Come abbiamo visto, Albrecht affermava proprio che il Tempio del Graal era eretto su un basamento di onice. Esiste poi, allo Staatsmuseum di Berlino, un piatto di bronzo riportato nel libro di Ringbom (Graltempel und Paradies, Stockolm 1951) risalente al periodo sassanide, che raffigura il Taxt completo dei rulli di legno sui quali ruotava l’intero edificio; esso rivela come l’arcata centrale fosse circondata da ventidue archi, e ventidue erano anche i templi minori che circondavano la sala centrale del Castello del Graal descritto da Albrecht. Ma Albrecht come poteva, in pieno XIII secolo, descrivere con tanta esattezza un tempio mazdeo ormai distrutto da molti secoli? Forse ne aveva letto una descrizione relativa ad un evento cruciale della ierostoria cristiana: il "furto della croce". Nel 614 d.C. Cosroe II, il costruttore del Taxt, s’impadroní di Gerusalemme e ne sottrasse la reliquia piú sacra, la "vera croce"; che il re portò con sé proprio in quel tempio, successivamente descritto come la sede di un oggetto anch’esso sacro, il Santo Graal. In risposta a questo tremendo atto, nel 629 l’imperatore bizantino Eraclio organizzò una sorta di crociata ante litteram e marciò su Taxt-i Sulayman ritornando trionfalmente con la "vera croce". Questo episodio, sfumato nei toni del mito, venne descritto infinite volte e continuò ad essere ripetutamente narrato, con abbellimenti, fino al Tardo Medioevo; quando Albrecht o qualche suo ignoto precursore lo scoprí, probabilmente trasferendo la località da Oriente ad Occidente. L’immagine del centro del mondo mazdeo è quindi servita da modello nella fondazione del mito principale dell’esoterismo cristiano, il Santo Graal.

In tale dimensione ’comparativa‘ gli avvicinamenti e i paralleli dell’Acerbi assumono un significato completamente nuovo. Si pensi ad esempio ai cicli leggendari hindu e buddhisti legati alla versione medio orientale del Munsalwaesche graalico, il Monte Meru. Collocato al centro del mondo, il Meru viene talora raffigurato a gradini e circondato dall’acqua; intorno vi ruotano il Sole e la Luna. Su di esso è intronizzato il Buddha con i suoi Bodhisattva, mentre la Fenice vaga sotto gli alberi. In un altro mito c’imbattiamo nella figura del Pescatore associato al Monte, al modo che il ’Re Pescatore‘ lo è al Castello del Graal. È un motivo che l’Acerbi ha studiato esaustivamente in un lavoro di prossima pubblicazione. Basti qui ricordare l’iconografia del Monte Meru circondato dalle acque dell’Oceano, sulle quali il Pescatore naviga nella sua Barca: è l’Avatâra del dio Vishnu, noto talora come il ’Pesce d’Oro‘ o anche come il ’Pescatore di Luce‘. È il custode della Montagna Sacra, nonché il suo gnomone o dominatore.

Tutti questi esempi esprimono coerentemente un simbolismo unico: il ’ricordo‘ di una forma ideale di esistenza, poiché la ricerca del Graal è anche e soprattutto ricerca del Paradiso smarrito nel tempo primordiale.


Torino, 13 agosto 2000


Ezio Albrile