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sabato 6 novembre 2021

Vishwakarma: il divino Grande Architetto dell’Universo

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/vishwakarma-il-divino-grande-architetto-delluniverso/

Nota, in forma di appunti, sul dio Vishwakarma

Vishwakarma è una figura complessa della mitologia dell’induismo e allo stesso tempo una casta di artigiani. In questo articolo, in realtà sono i miei appunti di ricerca, iniziamo a scoprire questa divinità. Un breve viaggio che si arricchirà, mano a mano che le mie ricerche ed appunti progrediscono, di più approfonditi spunti di riflessione e ci porterà in Occidente per incontrare la Massoneria e René Guénon.

Vishvakarma è il dio creatore nelle mitologie indiane e con particolare riferimento all’induismo. Vishvakarmaha molte tradizioni e diversi tipi di fedeli, è lui che ha creato l’universo, secondo alcuni gli stessi dei. Il Grande Architetto dell’Universo è fisiologicamente il “patrono” degli artigiani, degli architetti e di molte altre professioni legate alla creazione. Vishvakarma potrebbe aver progettato la struttura dell’universo. Le sue cavalcature sono il cigno e l’elefante. Palazzi, armi, carri volanti degli dei sono per la maggior parte una sua creazione.

Per alcuni è il dio degli strumenti, il giorno della sua festa, come vedremo, questi vengono purificati.

La festa o compleanno del dio Vishwakarma è il giorno di Kanya Sankranti. Kanya Sankranti è il giorno in cui il Sole si sposta da del segno zodiacale del Leone (Simha rashi) a al segno zodiacale della Vergine (Kanya rashi). La tradizione vuole che nel giorno di Kanya Sankranti Vishwakarma abbia inventato l’aratro per farne dono all’umanità.

Curiosità: il Kanya Sankranti 2021 è venerdì 17 settembre, compleanno del dio Vishvakarma.

In questo giorno vengono eseguiti alcuni rituali, ecco alcuni esempi:

Come tutti gli altri devoti del giorno della puja fate il bagno la mattina presto e preparatevi per la cerimonia della puja.

Il Signore Vishwakarma è adorato e la sua immagine o idolo viene pulito insieme agli strumenti che le persone usano per i loro affari.

Questo giorno è celebrato principalmente in tutti i tipi di industrie, scuole, negozi e college. Piccoli e grandi artigiani assicurano che la puja di Vishwakarma si tenga nel loro laboratorio per un migliore progresso nel prossimo anno.

Le macchine sono adorate e offrono ghirlande di fiori in questo giorno. I devoti pregano per il buon funzionamento delle loro macchine e nessun lavoro viene svolto in questo giorno.

Vengono fatte preparazioni alimentari tradizionali per offrire al Signore e il prasad viene distribuito a tutti dopo la puja. Include frutta, dolci e cibi cotti come khichdi e kheer.

(fonte: https://www.prokerala.com/festivals/kanya-sankranti.html)

Il gruppo sociale, a volte identificato come casta, dei Vishwakarma o Vishwabrahmin si reputa “figlio” (discendente) del dio e in alcune dispute sostengono di essere superiori ai bramini. I sottogruppi di questa casta sono cinque come le facce del dio: Scalpellini/muratori, carpentieri del legno, orafi, fabbri e fabbri del bronzo.

È molto interessante il mito d’origine di Vishwakarma e l’Ordine dei costruttori di Vishwakarma:

“Il Vishwakarma Puranam dice che Brahma e Vishwakarma crearono insieme l’universo. Nella loro versione speciale della teoria del “Big-bang”, gli arti sans sostengono che i cinque elementi naturali formarono un enorme uovo che scoppiò come un tuono e l’universo venne alla luce. Siva e Vishnu emersero dallo spazio blu e crearono rispettivamente Vishwakarma e Brahma. Vishwakarma aveva cinque facce che rappresentavano i tre fabbri e i due non fabbri. Infatti, secondo il testo, il colore delle loro facce era anche simbolico dei loro mestieri: oro per l’orafo, rame o ottone per il ramaio, nero per il fabbro, colore di pietra per il muratore, e una faccia di legno per il carpentiere. Vishwakarma fece poi delle pinze con il potere emanato da Brahma e Vishnu, e le unì con il chiodo chiamato Rudram o Siva. Ha chiamato questo ‘Kuradu’, che è naturalmente un importante strumento dei fabbri.

Questo mito d’origine fa anche notare che Vishwakarma nacque indossando il filo sacro “simile a quello che i bramini portano intorno alle loro spalle”. Questa affermazione carica di significato rende ovvio che lo scopo principale di questo mito d’origine era quello di rivendicare lo status brahmanico. Gli artigiani Vishwakarma che ho intervistato mi hanno detto che ancora oggi Avani Avittam (o rituale del cambio del filo) è tra le loro cerimonie più importanti. Il Vishwakarma Puranam dice che Vishwakarma scrisse il Mayanool, che è la scienza dell’architettura. Questa contiene i dettagli dei sistemi indigeni di misurazione manuale (Kadam, ma, Yojanai, ecc.) e si riferisce all’importanza dei calcoli matematici e astrologici per la costruzione degli edifici”. (Vijaya Ramaswamy, Vishwakarma Craftsmen in Early Medieval Peninsular India, in Journal of the Economic and Social History of the Orient, Brill 2004).

Spero questi appunti ti abbiano appassionato come hanno appassionato me, fammelo sapere nei commenti o via mail.

Ora torno in biblioteca

Gioia – Salute – Prosperità

venerdì 21 agosto 2015

Le guerre stellari dell’induismo

tratto da "Il Giornale" del 21 giugno 2010

di Davide Brullo

Gli antichissimi poemi del profondo Oriente hanno ispirato legioni di scrittori italiani e anticipato perfino le saghe fantascientifiche. Nei Meridiani una raccolta con novità


Il primo è stato Arthur Schopenhauer. La memorabile chiusura del Mondo come volontà e rappresentazione, teatrale e perfino shakespeariana («per coloro in cui la volontà si è convertita e soppressa, questo mondo così reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, questo, propriamente questo, è il nulla»), è condita con gli odori dell’India. È lo stesso Re Arthur a dircelo: oltre ai visionari dei paesi suoi, Angelo Silesio («mistico mirabile di eccezionale profondità») e Meister Eckhart («mistico ancora più grande» e dagli «scritti meravigliosi»), adopera e s’imbeve dei Veda («frutto della più alta dottrina e della più profonda saggezza umana») e delle Upanishad («il dono più prezioso»). Da filosofo tragico Schopenhauer fatica ad attraversare il deserto della Bibbia, adora smarrirsi nei ghirigori metafisici, nei labirintici laboratori della mente indù. Schopenhauer apre l’agenzia viaggi per l’India che sarà presa d’assalto nel Sessantotto: tutto l’Occidente si precipita laggiù a scoprire la via, la verità e la vita. C’è poco da stupirsi, anche Lev Tolstòj riteneva che i Vangeli trovassero compimento grazie a una risciacquatura nel profondo Oriente, riscritti da Confucio e da Krishna.
Signori, risparmiate il biglietto aereo per l’India, non la conquisterete mai. Tanto per mettere le cose in chiaro, «in nessun caso - stando almeno alla più comune e ortodossa delle formulazioni - si può diventare hindu, perché l’appartenenza allo hinduismo dipende innanzitutto da un fattore etnico» (Francesco Sferra). Di conseguenza, evitate di farvi traviare da un guru di passaggio, scansate i ristoranti tipici, scavalcate i paladini della New Age. Invece, risparmiate i vostri santi soldini e spendeteli per lo straordinario Meridiano Mondadori dedicato all’Hinduismo antico (pagg. CCXXXI+1636, euro 55) curato da Francesco Sferra, aiutato da una équipe di superesperti come Carlo Della Casa, Raniero Gnoli, Stefano Piano e molti altri. Evito di raccontarvi la storiella sull’hinduismo: l’introduzione di Sferra ci mette sul chi va là scansando ogni forma di semplificazione, mostrandoci che i rivoli del pensiero indiano sono poliedrici e polimorfici, a volte perfino contraddittori. Ci sono però alcuni punti primordiali specificati nelle Upanishad (la stordente raccolta di testi filosofici, che pur tuttavia, composti dal VII secolo a.C. fino ad oggi, «testimoniano filoni di pensiero anche contrastanti»), ad esempio che «la vita, di per sé, non costituisce un bene ma è anzi radicalmente male» e che l’uomo, dacché «la nascita in forma umana è reputata un’occasione pressoché unica al fine d’incamminarsi lungo il cammino della liberazione dal fenomenico», attraverso la conoscenza, l’esilio dai desideri e dalle illusioni, la retta azione e il retto pensiero, deve sganciarsi dal ciclo delle rinascite. Il punto è sottrarsi alla fatale legge del karma, per cui ogni azione, indimenticabile, ha i suoi effetti in eterno - e viene scontata nelle successive, concatenate nascite, infatti «per chi abbia attinto la cosiddetta “liberazione in vita”, le azioni che verranno a svolgersi nel tempo che resta da vivere prima della morte fisica son dette non produrre più alcun frutto o “seme” karmico: è come uno “scrivere sull’acqua” che non lascia traccia». Rispetto al cristianesimo, che anela alla resurrezione dei corpi, essendo la vita umana unica e irripetibile, l’hinduismo trascende ogni traccia corporea; se il cristianesimo vuole salvare il mondo, la vita e l’uomo, l’hinduismo vuole salvarsi dal mondo, dalla vita e dall’uomo. Per questo nelle mirabolanti testimonianze letterarie dell’hinduismo, fitte di mondi, cosmi, ere intricate e catastrofici versetti, l’uomo non c’è, svanisce nell’alveo della sua meschinità.
In fondo, disarcionati da ogni possibilità religiosa, l’importanza memorabile del Meridiano (che è il primo di due volumi) sta nella sua siderale altezza letteraria: al di là di alcune Upanishad, dei magnifici inni vedici («di una tale antichità possediamo solo la porzione antica dell’Avesta iranico e alcuni testi ittiti») e della indispensabile Bhagavadgita (nella versione di Raniero Gnoli), tutti disponibili in altre traduzioni ed edizioni, sono raccolti finalmente alcuni densi passaggi del Mahabarata, l’oceanico poema epico che narra la guerra definitiva tra Kaurava e Pandava per la conquista del mondo, che ha lo struggente clangore dell’Iliade e la sapienza di Platone, che prevede Blade Runner e Star Wars e assembla in sé ogni possibile parola, verso, concetto (contempla perfino Shakespeare, leggete qui: «Hai tu forse stipulato un patto con il Tempo,/ che alato pone termine a ogni cosa,/ infinito e incommensurabile, torrente/ che trascina via tutto con sé?»). Davvero il Mahabarata è «l’opera più importante dell’India brahmanica» che «si è rivelata capace di comunicare dei valori e una visione del mondo e della vita che si può dire a ragione appartengano all'intera umanità» (così Stefano Piano ne Le letterature dell’India, Utet, coordinato con Giuliano Boccali e Saverio Sani, un valido strumento per approfondire).
I mastodontici testi indù hanno sedotto orde d’intellettuali italici, da Giorgio Manganelli e Pier Paolo Pasolini, fino a Mario Luzi (entusiasta lettore di Sri Aurobindo all’epoca della svolta di Nel magma) e ad Alessandro Ceni (la cui opera più importante, Mattoni per l’altare del fuoco, Jaca Book, nasce sotto l’egida della Upanishad), e c’insegnano una cosa scandalosa: la grande letteratura è sempre «sacra», comunque religiosa. I grandi libri vanno letti come testi salvifici, assoluti, estremi. La prospettiva la derubo ad Harold Bloom, dal suo saggio Rovinare le sacre verità (Garzanti), dove molto ci dice che Franz Kafka, ad esempio, «esercita un’autorità spirituale unica» e che il cosmo edificato da Samuel Beckett «assomiglia alla creazione del Demiurgo nello gnosticismo antico». Pochissimi scrittori assurgono all’altezza di un testo sacro: si chiamano Dante e Shakespeare, John Milton e Leopardi, qualcosa di Tolstòj, qualcosa di Melville e poco altro. Non si tratta d’intuire la tragedia dietro l’angolo o ripetere in versi o in una prosa inimitabile il già noto, ma squarciare vie ignote dello spirito.