venerdì 29 giugno 2012

I Miracoli Eucaristici di Lanciano

Di Nicoletta Camilla Travaglini

Nelle leggende fiorite intorno al Graal si parla di alcune sue peculiarità tra cui quella che, quando essa è presente sull’altare nel momento solenne della celebrazione dell’Eucarestia, potrebbe tramutare il vino in sangue e l’ostia in carne cosa che ricorda molto da vicino un famoso evento soprannaturale accaduto a Lanciano.  
Secondo un’antica leggenda,  Lanciano fu edificata da Solima compagno di Enea  e fondatore, tra le tante cose, anche di Sulmona, il quale impose a questo piccolo villaggio, il nome di suo fratello Anxa, disperso durante la fuga da Troia.
Anxa o Anxanon divenne in breve tempo la capitale dei Frentani, potente popolo italico, resa famosa anche, presso i romani  dai suoi mercati annuali.
Nel medioevo al nome Axanon venne aggiunto l’articolo così da diventare Lanxanon e quindi Lanciano.
Altre fonti sostengono che il toponimo Lanciano sia da ascrivere alla corruzione del nome del famosissimo centurione romano Cassio Longino, che ferì con la sua lancia il costato di Gesù morente. Egli fu citato per la prima volta, senza rivelarne il nome, però, nel Vangelo di San Giovanni; nei Vangeli Apogrifi, Nicodemo, invece, parla di un certo Longino, come uno dei tanti aguzzini del Nazzareno.
La vita di San Longino, comunque, è ancora avvolta nel mistero a cominciare dalla sua mitica lancia per finire ai Vasi Sacri,  enigmatiche reliquie , custodite a Mantova.
Questo personaggio dei Vangeli apocrifi,  è presente, tra gli altri in alcune leggende medioevali abruzzesi, nelle quali si afferma  che Cassio Longino era figlio di patrizi lancianesi e attendente di Ponzio Pilato, anche lui abruzzese, nonché  informatore del medesimo in  Palestina. 
Leggende che potrebbero avere riscontri archeologici se si presta fede ad alcune fonti nelle quali si dice che nelle vicinanze della chiesa di San Francesco, vi fosse una fontana pubblica pagata da un certo Cassio Longino, come recita l’epigrafe apposta su di essa : “Cassio Longino fecit”.  Secondo altri esso si ubicava lungo il tratturo l’Aquila-Foggia alle porte di Lanciano.
Durante l’iter processuale che portò alla condanna a morte del Nazzareno, Longino, il cui nome deriva dalla parola lancia e forse da qui l’associazione con l’arma più potente e ricercata della cristianità, ebbe l’incarico di seguire da vicino le sorti del Cristo.
Cassio fu molto scrupoloso nel suo lavoro, rimanendo accanto al prigioniero anche durante l’agonia della crocifissione e infliggendogli, forse, il colpo letale. Alcune gocce di sangue e d’acqua sgorgarono dalla ferita, il liquido vermiglio scivolò lungo la lancia fino a toccare le sue mani, che portò, inavvertitamente, sugli occhi che guarirono improvvisamente da una miopia degenerativa; passato il primo momento di stupore, egli raccolse una manciata di terra e sangue e la nascose. 
Questa forzata vicinanza con le dottrine  cristiane e il prodigio a di cui fu testimone lo portarono a convertirsi alla nuova religione e così, dopo la morte di Gesù, si congedò dal esercito, prese i suoi tesori: la lancia, la spugna imbevuta di aceto e, ovviamente, la terra contenete il sangue sacro e partì. Alcune fonti  dicono che si fermò a Mantova dove oggi si possono ammirare i cosiddetti “Vasi Sacri” contenenti il Sangue Sacro, altri affermano che fosse tornato alla sua natia Lanciano, pare senza i suoi tesori,  dove iniziò a fare proseliti. A Pilato e al Sinedrio la cosa non piacque e così fu emanato un mandato di cattura nei confronti di Longino che raggiunto da alcuni sicari, fu decapitato e la sua testa fu portata a Gerusalemme come monito.
Gli abitanti di Lanciano commossi dal sacrificio del soldato, eressero sul antico tempio di Marte una chiesa dedicata a San Longino, dove, essendone diventato il primo vescovo ed evangelizzatore, fu anche, forse tumulato qui, secondo quando si apprende da ritrovamenti recenti di mummie che potrebbero avvalorare tale tradizione. 
  Nel VIII secolo tra le sue mura si consumò  un evento sovrannaturale. Era il 750 d.C. circa, quando con l’acuirsi delle “guerra” delle icone e reliquie religiose, vi  fu, anche, un flusso migratorio  notevole di monaci greci verso l’Italia e un gruppo di questi, giunti a Lanciano come profughi, diventarono custodi del tempio di San Longino.
Il protagonista del prodigio fu, appunto, uno di essi, per la precisione un monaco dell’ordine di San Basilio; il quale non avendo una fede molto ferma, dubitava del mistero dell’Eucaristia; le sue incertezze diventavano ogni giorno più forti e così durante una  funzione, dopo aver fatto la doppia consacrazione, l’ostia che  aveva in mano si trasmutò in Carne  viva e il vino si raggrumò in cinque coaguli di sangue.
La leggenda vuole che due confratelli, sconvolti da tale evento e  vergognandosi della fede traballante del celebrante, rubarono il documento originale di cui non si ebbe più traccia. 
Questo “Miracolo”, come viene descritto da una lapide del 1636, ebbe da subito ampia risonanza presso i fedeli e non solo; in seguito a ciò, i basiliani dovettero cedere la chiesa ai più influenti benedettini dell’Abbazia di San Giovanni in Venere.
Era il 1252 quando il vescovo di Chieti, Landolfo Caracciolo, su suggerimento di  Papa Innocenzo IV, donò il tempio ai Frati Conventuali Minori dell’ ordine di San Francesco. 
Nel 1258 i nuovi custodi, iniziarono a costruire un nuovo complesso ecclesiastico sulle rovine di quello preesistente, dedicato a San Francesco d’Assisi fondatore dell’ordine.
Questo “Miracolo” fu posto in una scrigno di avorio argentato, conservato nel sacello di  destra dell’altare maggiore. Successivamente, per paura delle scorrerie pagane, i resti sacri  furono murati in una oscura e angusta cappella, di cui oggi rimane testimonianza nell’alta e stretta monofora gotica.
Riportate alla luce nel 1636, esse furono risposte per 266 anni circa, dietro una grata cubica, sigillata ulteriormente da due piccole porte di legno chiuse da quattro chiavi diverse, all’interno della Cappella della Famiglia Valsecca, dove ancora si può leggere l’epigrafe commemorativa, oltre che ammirare gli affreschi che decorano la navata destra dell’imponente edificio, raffiguranti Giuditta con la testa di Oloferne, Ester al cospetto di Assuero, Rachele al pozzo, Sant’ Antonio abate e San Giovanni Battista vestito di pelle e con un mantello rosso che sorregge con la mano sinistra una tavola sulla quale è incisa una scritta gotica che dice: E CCE AGNUS DEI E CCE QUITOL il resto è andato perso nei secoli.
Successivamente il sangue venne riposto in un’ampolla di cristallo e dal 1713 l’Ostia è custodita in un ostensorio argento a forma di raggira ed è in ostensione dal 1902  su un monumento marmoreo al centro dell’abside della chiesa barocca del complesso ecclesiastico di San Francesco.
Le reliquie, a distanza di più di dodici secoli, oggi si presentano così: l’Ostia ha la grandezza di un ostia “Magna” ed è leggermente scura ed ha un colorito della carne viva se lo si guarda in trasparenza; secondo analisi istologiche, essa è vera carne e presenta tracce di tessuto cardiaco; inoltre, pare che, ad un esame fatto al microscopio, si rilevano particelle di pane non trasmutate.
Il sangue  coagulato ha un colore terreo con sfumature  giallo-ocra; secondo la scienza esso è sangue appartenente al gruppo sanguineo AB, che pare sia lo stesso “dell’Uomo della Sindone” e del Volto Santo di  Manoppello.
Osservando il Miracolo Eucaristico di Lanciano, che è precedete a quello di Bolsena ed in seguito al quale la Santa Chiesa istituì la ricorrenza religiosa del “Corpus Domini”, ci si rende conto dell’ottimo stato di conservazione, nonostante esso sia stato, per un lunghissimo lasso di tempo, esposto all’azione di agenti atmosferici, fisici, biologici e, nei primi secoli, all’incuria dell’uomo.
Come abbiamo detto una delle caratteristiche attribuite al sacro calice meglio conosciuto come Graal è quella di trasmutare il vino in sangue e l’ostia in carne durante l’eucarestia, come potrebbe essere  documentata dal Miracolo Eucaristico di Lanciano che attesterebbe, così, la presenza o, perlomeno il suo passaggio in  questo luogo.
Tale evento, che come abbiamo detto ebbe ampia eco in tutto il mondo allora conosciuto, poiché Lanciano all’epoca dei fatti era una cittadina molto nota, si potrebbe supporre che tale evento sovrannaturale stia alla base del ciclo graaliano e, addirittura, ne sia l’artefice, poiché esso è precedente alla nascita di tale topos mitopoietico.  
Parlando del Graal a Lanciano, presso il Museo Diocesano, vi è un piatto d’oro, su i cui bordi vi sono incisi delle lettere in una lingua sconosciuta.
Nello stemma comunale di Lanciano vi è raffigurata una lancia dorata che è forse ispirata alla sacra lancia di Longino, reliquia  che, secondo la tradizione, accompagnerebbe il Graal e che sarebbe stata data in dono ai lancianesi da Carlo Martello in ricompensa per l’appoggio offertogli contro i Longobardi teatini.
Come abbiamo accennato a Lanciano vi furono non uno bensì due miracoli eucaristici!
Durante il  XIV  una donna maltrattata, umiliata e tradita dal marito, ebbe come ultima razio quella di ricorrere alla magia per far cessare questo stato di cose!
Così dopo aver preso consiglio presso una fattucchiera la donna andò in chiesa e fingendosi di comunicarsi, rubò un ostia consacrata per poter mettere in atto il suo piano diabolico.
Tornata a casa con la particola la donna e la fattucchiera presero un mattone incandescente e vi buttarono sopra l’ostia che…iniziò a sanguinare. La donna spaventata cerco di pulire ma… fu tutto inutile. Così presa la particola sanguinolenta e il mattone, avvoltili in una tovaglia li seppellì nella stalla.
Il marito alla fine della sua giornata di lavoro come mulattiere, nel momento in cui faceva ritentare gli animali nella stalla, questi si rifiutarono anche dopo che l’uomo li picchiò.
 Dopo vari tentativi anche violenti, gli animali entrarono e una volta entrati questi si inginocchiarono nel punto in cui la donna aveva seppellito l’ostia miracolosa.
 L’uomo incuriosito ed impaurito scavò nel punto dove si erano chinati gli animali e trovò il fagotto, che dopo averlo aperto chiese spiegazioni a sua moglie, la quale, il giorno seguente andò a confessarsi dal priore del convento di Sant’Agostino,che era marchigiano, il quale prese in consegna il sacro involucro e durante la notte fuggì verso Offida, il suo paese d’origine portandosi dietro anche le reliquie che ancora oggi sono conservate lì!

martedì 26 giugno 2012

Celestino V

di Nicoletta Travaglini

Pietro Angelerio, futuro Papa Celestino V, nacque da una famiglia di contadini molisani, nel 1210 circa. Egli nacque a Isernia secondo quando afferma Maria Concetta Nicolai nel libro “La Preghiera di Celestino eremita e Papa”: << … dalla nascita che avvenne verso il 1210 undicesimo in una numerosa famiglia di dodici figli, probabilmente a Isernia, nel quartiere S. Angelo…
I genitori “quorum nomina sunt Angelerius et Maria” erano agricoltori quasi certamente proprietari, anche se non ricchi . >> 
Orfano di padre in giovane età, fu educato dalla madre al rispetto, timore e devozione di Dio.
Intorno al 1230 divenne un frate benedettino, presso un abbazia di Benevento e dopo pochi anni partì alla volta di Roma per incontrare il Papa. Il suo viaggio fu lungo e costellato da episodio di eremitaggio e contemplazione. Dopo aver parlato con il Pontefice e aver ricevuto gli ordini religiosi Pietro, iniziò una vita da asceta, rifugiandosi in una grotta dove secoli prima aveva dimorato Papa Vittore III. In questo lungo lasso di tempo egli progettò e costruì, insieme a suoi discepoli, la chiesa di Santo Spirito a Majella, completamente scolpito nella roccia.
Un antica leggenda legata alla nascita di questo luogo di culto narra che il 29 Agosto, giorno della decapitazione del Battista, Pietro guardando fuori dalla finestra della sua cella, vide nel cielo una schiera di figure celesti che andavano dagli angeli agli arcangeli, dal Re Davide a San Giovanni Evangelista che con abiti talari, celebrò messa, mentre la Vergine Maria, con Gesù ed il Battista assistevano alla funzione che fu benedetta da Dio. L’aria si riempì di una musica celestiale, mentre le campane iniziarono a suonare annunciando il lieto evento della nascita dell’abbazia di Santo Spirito a Majella.
Intanto i seguaci del Santo Eremita erano diventati così tanti che Pietro pensò bene di darsi una Regola e di essere riconosciuto anche come ordine religioso e così in compagnia di alcuni suoi fedelissimi, partì alla volta di Lione per conferire con Papa Gregorio X, durante uno dei tanti concili. Sulla via del ritorno dalla Francia il frate, dopo aver ottenuto dal Papa ciò che chiedeva, si fermò presso L’Aquila, allora ancora in via di sviluppo e qui vi fu un altro prodigio legato questa volta alla figura della Madonna di cui l’Angelerio era un devoto servo. 
Era una notte scura dei primi mesi del 1275 quando l’umile fraticello fece uno strano sogno mentre si trovava su una poggio alberato, presso il colle Madio o Maggio nella vicinanze dell’Aquila, adiacente a un piccolo altare dedicato alla madre del Nazareno. Mentre dormiva gli comparve la Madonna che gli chiese di erigere un santuario in suo onore proprio in quel luogo. In breve tempo si iniziarono i lavori di costruzione della Basilica dedicata alla Madonna che furono terminati solo verso la fine del penultimo decennio del 1200.
Passarono gli anni ed anche i papi si succedevano sul soglio di Pietro, finché nel 1292 alla morte di Papa Nicola IV, una grande confusione, alimentati da una sete di potere temporale si insinuò sull’elezione  del nuovo papa. Per ben due anni il soglio pontificio rimase vacante finché non si decise di eleggere all’unanimità un papa superpartes, questi fu individuato  nella persona di Pietro Angelerio, il frate del Morrone. Era il giorno della decapitazione del Battista del 1294 quando fra Pietro da Morrone, con il nome di Celestino V divenne Papa e la cerimonia, con molti malumori da parte della chiesa, si svolse nella città dell’Aquila, poiché il pio eremita volle essere incoronato sommo pontefice della chiesa nella basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Egli rimase in questa città per diversi mesi ed è qui che istituì la “Perdonanza  Celestiniana”, con la quale Bolla egli rimetteva i peccati a tutti coloro che passava sotto la Porta Santa della Perdonanza, con il pentimento nel cuore, il 29 Agosto di ogni anno.
Pietro aveva accettato la carica di Papa con molta riluttanza e così solo dopo pochi mesi di pontificato, agli inizi di dicembre rinunzio al  suo uffizio. Era la vigilia di Natale quando il suo successore Bonifacio VIII, prese il posto di Celestino V.
Egli, comunque, aveva un forte ascendente sui suoi discepoli e il suo Ordine religioso era abbastanza vasto e potente da fare paura anche al Vaticano e così fu data disposizione che Pietro fosse portato a Roma, ma Celestino riuscì a rifugiarsi prima sul Monte Morrone e poi tentò di imbarcarsi per la Grecia, ma una tempesta fermò il suo tentativo di fuga e così fu ripreso dai messaggeri del papa ed incarcerato nella rocca di  Fumone presso Anagni dove morì il 19 Maggio 1296.
E’ notorio che molte leggende contengano un fondo di verità, allora è legittimo chiedersi se la data della presunta morte naturale di Celestino V non celi in realtà una simbologia ben precisa!!
Si narra, infatti, a proposito  della morte del Santo eremita, che egli perì a causa di un chiodo conficatogli, da alcuni sicari, nel cranio, se si accetta questa tesi, quindi, la data della sua morte forse assume una valenza fortemente emblematica!
Egli morì a maggio il mese dedicato alla Madonna, che come ricordiamo è l’evoluzione del mito della Grande Madre, dea universale creatrice del mondo nonché personificazione della dea Luna ed elemento femminile di Dio. Egli fu ucciso nel 1296, la cui radice quadra è 36, sommando questi due numeri 6+3 si ottiene il 9 numero ricorrente della città dell’Aquila e nella tradizione esoterica perché rappresenta la ciclica ripetizione del 3 numero perfetto per eccellenza.
La chiesa di Santa Maria di Collemaggio, inoltre, è stata costruita con pietre policrome rosse e bianche che ricordano le croci templari, con la stessa tecnica viene  costruita secoli dopo la chiesa che ospita il Volto Santo a Manoppello.
Quale può essere il nesso che unisce questi due edifici, poiché si dice che come per Celestino, anche la Veronica che è in ostensione a Manoppello, sia stato recapitato a un notabile del paese da uno sconosciuto, forse un Angelo, se non l’Arcangelo Michele in persona, sul sagrato della chiesa di San Nicola.
Sempre in tema di elementi simbolici, sembra esservi una linea immaginaria che collega Lione all’Aquila; Celestino V, infatti, tornando dalla Francia si fermò presso il capoluogo abruzzese, o meglio quello che sarebbe stato la futura città. Una possibile ipotesi potrebbe essere quella di analizzare il significato dei toponimi delle città in questione. Lione per assonanza potrebbe essere la corruzione del nome “Leone”. Questo animale, simbolicamente, si identifica con Gesù definito anche “Leone di Giudea”; con Buddha, Krishana e, naturalmente, con il Sole come emblema di potenza, forza, comando e della luce che brilla in eterno sconfiggendo le tenebre e quindi il male. Esso rappresenta anche la giustizia e il Nazareno nella sua veste di giudicante supremo.
 L’evangelista Marco ha come simbolo il leone, che è anche la personificazione della città di Venezia. La parte anteriore di questo animale, compreso la testa, è l’allegoria della spiritualità del Cristo, contrapposto alla sua natura terrena, quindi mortale, rappresentato dalla parte posteriore dell’animale. Questa fiera, raccoglie, simbolicamente, in sé, anche una valenza sia positiva che negativa, poiché esso è anche la parte iraconda ed indomabile di ogni essere, così egli è nello stesso tempo simbolo della luce e dell’ombra, della bontà e della malvagità, del Cristo e del Diavolo etc.
Nella sua dualità esso è anche il simbolo della morte e della rinascita e, ovviamente,  della resurrezione, inoltre presso gli egizi, era lo spirito guardiano della parabola che compiva il Sole in cielo, dal suo sorgere fino al tramonto; per questo motivo, il leone, venivano raffigurati a coppie, schiena contro schiena. Esso rappresentava il giorno trascorso ma anche il futuro, come Giano Bifronte, da cui deriverebbe il nome Giovanni, come il Battista o come l’Evagelista, che esprimono l’alfa e l’omega della cristianità.
Anche alcuni Angeli hanno l’aspetto leonino, per rimarcare la loro natura non del tutto benevola, ma anche combattivo, violenta, indomita e intelligente. Esso era l’animale totemaico di Cibele, e questi venivano rappresentati sempre con la bocca semi aperta, come simbolo dell’organo sessuale femminile; Cibele è una delle tante “espressioni” della “Grande Madre”, demiurgo del mondo.
L’Aquila è l’alterego celeste del Leone; è anche la stilizzazione della Croce, quando ha le ali spiegate. Essa è uno piscopompo, poiché trasporta le anime dei trapassati a Dio; il suo volo verso la Terra, è la rappresentazione della luce che feconda il suolo. Egli è il simbolo dell’Evangelista Giovanni, l’autore dell’Apocalisse!!!
Quando l’Aquila vola verso sinistra è presagio di castighi divini poiché l’Onnipotente punisce l’uomo con la sua sinistra, che è anche la sua parte negativa. La tradizione biblica e non solo rappresenta, gli Angeli come delle aquile.  
Questo rapace è l’immagine celeste e solare insieme, per questo motivo è la regina del cielo ed alterego di Zeus. L’aquila vola verso il sole mentre i suoi occhi non temono di fissare l’astro troppo abbagliate,poiché, ha il cuore puro e il coraggio di fissare, la luce, come immagine della divinità.
 Ella è Cristo che sale al cielo, in quanto simbolo della splendore e grandezza. Nella mitologia classica, ella, seguiva la traiettoria del sole fino al suo punto più alto, quando esso era a perpendicolare con la terra, fino a incontrarsi con fulcro della terra e momento di massima espressione della luce che vince le tenebre.
Simbolo della potenza dell’Impero Romano e del Sacro Romano Impero poi, era come l’araba fenicia che rinasceva dalle proprie cenerei, così l’aquila simboleggiava la rinascita spirituale, oltre che la contemplazione del Divino, come facevano i Santi Asceti.
L’Aquila poteva avere anche valenza negativa, in quanto rovesciando la Croce simbolo della morte e resurrezione della parte umana dell’Onnipotente, la si trasformava in un simbolo demonico, inoltre essa è un rapace e come tale è portato, per sua natura, alla violenza, alla brutalità e all’ingordigia.
Acerrimo nemico del serpente, che per gli antica era simbolo della Grande Madre Terra, il sincretismo cristiano lo ha trasformato nella personificazione del Diavolo, raffigura, la contrapposizione tra sfera celeste e quella terreste, tra bene e male, ricordando la titanica lotta tra gli Angeli e i Demoni.
Comunque al di là di tutta una simbologia che ci riporta ad elementi astratti, qualcosa di concreto nella vita e nella morte del Papa Eremita tuttavia esiste!
Andiamo per ordine, iniziando dal fatto che Celestino V probabilmente non è stato l’illetterato contadino delle campagne molisane, ma alcuni sostengono che la sua famiglia fosse di origine longobarda, per la precisione nobili di campagna con una certa istruzione.
Pare che sia vissuto per diversi anni nell’abbazia di San Giovanni in Venere, in Abruzzo e qui sembra abbia addirittura preso i voti!
Questo luogo di culto abruzzese, all’epoca dei fatti narrati, era una delle più potenti abbazie del centro Italia, tanto potente da finanziare la Quarta Crociata!
Pare che sempre durante i suoi peregrinaggi, il Santo Eremita abbia anche fondato una cittadina, abbarbicata ai piedi della Majella, Fara Filiolum Petri, cioè la Fara dei Figli di Pietro, in altre parole di Pietro da Morrone!
Come si è detto sopra a proposito della fondazione di Santa Maria di Collemaggio voluta dal futuro Papa, il quale ebbe una visione onirica e in seguito a ciò fece costruire tale chiesa, ma alcuni sostengono che questo sogno premonitore celi il presunto incontro dei templari con il pio eremita, i quali, secondo alcune fonti, sono i veri finanziatori del progetto del luogo di culto che dovrebbe celare un segreto, forse il Graal?
Accanto a queste supposizioni vi sono fonti che attestano che Pietro Angelerio, dopo aver iniziato i lavori della costruzione di Santa Maria di Collemaggio e senza aver acquistato il terreno circostante, parte alla volta dell’abbazia di San Giovanni in Venere e dopo alcuni anni egli torna con il danaro sufficiente a poter compare il terreno dove oggi sorge la basilica di Collemaggio!
Appena divenuto Papa Celestino V, il 27 settembre del 1294, concede alcune indulgenze ai benefattori del monastero di Santo Spirito di Lanciano, che è denominato dell’Ordine Benedettino, ed è collocato nella Diocesi Teatina. Le indulgenze sono concesse per un quinquennio.  Questo luogo fu fondata appena prima della sua elezione, nel 1293, dall’Abate Onofrio di Comino dell’Ordine del Morrone, che acquistò il terreno da una certa Golata, moglie di Guglielmo del Conte, di Lanciano.
La tradizione vuole che oltre ai Romiti e alle Monache, questo luogo sia stato frequentato anche dall’eremita Pietro del Morrone, prima che diventasse Papa Celestino V. Anzi, allora, avrebbe compiuto anche dei miracoli risanando delle persone.
Si dice anche che questa chiesa ha ospitato la fuga del Santo Eremita, quando questi cercava di imbarcarsi, per le coste pugliese, poiché si deve pensare che esso sorge proprio a ridosso del tratturo L’Aquila Foggia, vicino a una fontana che oggi non esiste più ma che all’epoca era una tappa obbligata per chi percorreva queste strade.
Nel 1654, in forza di una Bolla del Papa Innocenzo X, il monastero di Santo Spirito di Lanciano viene soppresso. Al suo interno venne rinvenuto un reliquiario a teca in legno dorato, è lungo cm. 50 ed è alto cm 25, al cui interno vi sono custodite le reliquie del braccio di San Giovanni Eremita confessore, un frammento di un braccio di Santo Stefano e di un lembo del suo vestito; in posizione centrale vi sono: un frammento di costola di S. Pietro Celestino di circa cm 6, ed altro frammento di circa cm 5, un frammento di osso appartenuto a San Benedetto ed infine un frammento della testa di San Girolamo.
Questo reliquiario, nella parte posteriore, è sigillato da 3 sigilli di 3 vescovi. Inoltre in alcuni documenti rinvenuti di recente, si sostiene  che il Santo Padre, stava scappando dalle guardie del suo successore, e non si imbarcò in Puglia bensì sul litorale abruzzese a Vasto, feudo degli abati di San Giovanni in Venere.
Prima di essere arrestato dal suo predecessore, nominò vescovo, secondo ciò che ci riferisce Giovanni Pansa nella sua opera Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, il suo vice San Tomasso de Ocre, il quale alla morte di Celestino divenne abate della prestigiosa abbazia di San Giovanni in Venere per  incarico di  Bonifacio VIII.
Secondo Giovanni Pansa “ Si affermò da qualcuno dei biografi di Celestino V che l’astuto cardinale Gaetani, il quale gli succedette nella cattedra di S. Pietro, dopo averlo con destri raggiri indotto alla annunzia, l’avesse fatto imprigionare e poi uccidere per evitare uno scisma nella Chiesa, reputandosi in quel tempo che l’abdicazione del santo anacoreta, estortagli dalla frode, non fosse legale, né canonica. Ma quell’accusa di morte violenta, scagliata contro Bonifacio, si ritenne da molti in conto di leggende, propalata ad arte dei nemico di lui, poiché i contemporanei e testimoni di veduta non ne fanno parola” 2.
Sempre da Pansa si apprende che esistono tre quadri riproducenti la morte di Celestino V ad opera di soldati, forse del Papa, ed in uno si legge la didascalia che recita “Quando lu nipote de Papa Bonifacio andò al Confessore per lo ammazzare”.
Nel 1597 il M.R. Padre Abate Don Francesco d’Aielli, in una chiesa presso Sulmona tra le ossa del Beato Padre Roberto da Salle, sostiene vi fosse anche una scatola rotonda vi era un chiodo lungo mezzo palmo con pezzi di sangue congelato.
Questo reperto fu portato a Santa Maria di Collemaggio e fu infilato nella presunta ferita del Santo dal Morrone, esso combaciava perfettamente, secondo ciò che venne poi sostenuto da un esame sul cranio del Santo Papa, da un equipe di dottori di Roma, il 29 Agosto  1888 alle diciassette e trenta presso la Cappella dedicata a Celestino V nella Chiesa di Santa Maria di Collemaggio.
Alcuni affermano che a Salle, provincia di Pescara, vi sia in ostensione un chiodo racchiuso in una pisside e pare che  tale chiodo forse, sia stato conficcato nel cranio del beato Roberto da Salle ed esso sembra sia simile a quello che avrebbe ucciso Celestino V.





Note

1)  NICOLAI, Maria Concetta: “ La  Preghiera di Celestino eremita e Papa” Edizioni Menabò srl Giugno 2000, pag 45.
2) PANSA, Giovanni “ Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo” Arnaldo Forni Editori. Ristampa dell’edizione di Sulmona, 1924,finito di stampare nel Maggio 1981; pag. 250.

lunedì 25 giugno 2012

Nuovo numero di Lex Aurea

Vi segnalo l'uscita del nuovo articolo della rivista Lex Aurea di Filippo Goti. Potete trovarsi anche un articolo di Vito Foschi.

Il link per scaricare l'articolo:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea42.HTM

domenica 24 giugno 2012

GLOBAL WAR E GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI: DOVE STIAMO ANDANDO? (Parte 2)

di Piero Cammerinesi  (corrispondente di Coscienzeinrete Magazine dagli USA)

per leggere la 1° parte clicca qui
Secondo altri veggenti e profeti del passato si è già superato - nella nostra epoca - il punto critico ‘di non ritorno’ nella discesa verso un materialismo che ha totalmente dimenticato l’origine spirituale dell’uomo. Per essi l’unica possibilità di salvezza da disastri sociali e bellici può provenire solo da un’evoluzione spirituale che consenta di non guardare solo agli eventi materiali cercando la felicità solo nella soddisfazione dei bisogni fisici e istintivi.

Vi ricorda vagamente qualcosa?

Il materialismo della vita attuale, il dominio delle immagini, la finanza sfrenata, l’estrema competizione nel lavoro, la mancanza di solidarietà sociale, l’aggressività degli Stati, sono tutti segnali significativi che contraddistinguono questo momento storico. E i segni ci sono tutti: malattie prodotte dalla dipendenza da computer, crack finanziari a livello globale, lavoro sempre più stressante e meno remunerativo, indifferenza del singolo nei confronti dei propri simili, aggressioni continue tra le nazioni.

Proprio queste caratteristiche della nostra cultura sono in realtà alla base – da un’ottica spirituale - dell’insorgere della guerra globale o, come fu anticipato da Rudolf Steiner un secolo fa, come l’inizio della guerra di tutti contro tutti, una prospettiva fino a ieri confinata nelle pagine delle profezie ancora da realizzarsi, ma che oggi – con le nuove dottrine militari annunciate da Obama – inizia ad assumere dei contorni tanto più definiti quanto inquietanti.

“Esteriormente – dice Steiner nel corso di una conferenza del 23 Novembre 1919, dunque ben 20 anni prima della II Guerra mondiale – l’umanità andrà incontro a grandi conflitti. E per queste terribili guerre di cui siamo solo all’inizio (…) e che portano alle estreme conseguenze gli antichi impulsi dell’evoluzione terrestre, non vi sarà alcuna medicina politica, economica o spirituale proveniente dalla farmacia dell’antica evoluzione. I fermenti che hanno prima portato l’Europa all’inizio della sua distruzione [I Guerra mondiale], che metteranno poi Asia ed America l’una contro l’altra [II Guerra mondiale] e che propagheranno la guerra su tutta la terra [Guerra globale] provengono dai tempi antichi. Potrà contrastare questo portare-all’assurdo l’evoluzione umana solo ciò che conduce gli uomini sulla via dello spirituale: il Sentiero di Michele, che trova la sua continuazione nella Via del Cristo”[1].
Steiner rileva come la guerra di tutti contro tutti inizi gradualmente con l’abituare gli uomini a distruzioni belliche che si presentano per così dire quasi ritmicamente nella storia umana di cui l’inizio è stato il primo conflitto mondiale.

Abituare gli uomini alla guerra: confrontiamo questo con quanto abbiamo riportato all’inizio con le parole di Orwell e con le nuove strategie USA.

“È una convinzione infantile – così ancora Steiner - che da questa catastrofe bellica [la I Guerra mondiale] possano provenire periodi di pace durevoli per l’umanità sul piano fisico. Non sarà così.[2].
Sarà solo grazie al nascere dell’altruismo se l’umanità sarà in grado di salvarsi dall’autodistruzione, sostiene Rudolf Steiner, evento inevitabile se si continua a ignorare l’elemento morale.

Gli uomini si annienteranno in guerre fratricide.
E la cosa più avvilente - rispetto ad altri tipi di distruzione - sarà che avverrà solo per loro responsabilità”
[3]. Solo una manciata di persone sopravviverà e saranno coloro che avranno sviluppato un livello di abnegazione profondo, mentre la restante umanità sarà totalmente dedita a mettere al proprio servizio egoistico – grazie a tecnologie potenti e complesse - le forze della natura, senza aver acquisito il necessario grado di altruismo. 
La guerra di tutti contro tutti, che rappresenterà la rovina della nostra epoca, sarà originata proprio da questo sviluppo tecnologico estremo totalmente privo di morale.  

“Forze enormi e poderose verranno liberate da scoperte che trasformeranno il mondo intero in una sorta di apparecchiatura elettrica globale funzionante in modo autonomo[4]

A cosa si riferiva? A Internet, nata come progetto per la difesa USA, che oggi ha di fatto trasformato l’intera comunicazione mondiale in una apparecchiatura elettrica globale funzionante in modo autonomo”?

Ma se Steiner in molte occasioni colloca la guerra di tutti contro tutti in un futuro non immediato, in un particolare ciclo di conferenze egli afferma espressamente che, se l’umanità non sarà in grado di correggere le visioni del mondo profondamente influenzate e corrotte dal materialismo e dall’edonismo dominante che hanno caratterizzato il XIX ed il XX secolo, alla fine del secolo XX noi ci troveremo di fronte alla guerra di tutti contro tutti! Gli uomini potranno fare tutti i bei discorsi che vorranno, potranno aver fatto tutti i possibili progressi scientifici, avranno di fronte a sé questa guerra di tutti contro tutti. Assisteremo allo sviluppo di un’umanità che tanto più si riempirà la bocca di questioni sociali tanto meno avrà un minimo ‘istinto sociale’”[5].

Sulla base di queste inquietanti previsioni cerchiamo di ipotizzare come tali eventi – di cui saremmo solo all’inizio – potrebbero svilupparsi.

Abbiamo visto come Steiner parli espressamente di una visione del mondo profondamente materialista che creerebbe le condizioni perché possa svilupparsi anzitempo la guerra di tutti contro tutti.
E mi pare che ci siano pochi dubbi sullo stato di incontrastato materialismo della nostra epoca e sulla mancanza generalizzata di moralità.

Al tempo stesso le allusioni all’utilizzo immorale delle forze di natura (progetto HAARP, armi geopolitiche per il controllo climatico etc.) e l’anticipazione di una terra trasformata in un’unica immensa macchina funzionante elettronicamente (la rete globale del web o la globalizzazione della finanza elettronica ne potrebbero rappresentare l’inizio) non sono più solo ipotesi fantascientifiche.

Abbiamo visto in un precedente intervento come Steiner abbia attribuito ai poteri occulti angloamericani[6] il disegno di porre il mondo intero sotto il giogo del materialismo. 
Tale scellerato progetto è passato attraverso la creazione della Società delle Nazioni prima e delle Nazioni Unite poi, la competitività sfrenata, la diffusione della tecnologia, la finanza priva di regole e di moralità, la creazione di un’idea di globalizzazione tesa solo allo sfruttamento economico dei Paesi più deboli.

E anche qui mi pare che ci siamo ampiamente.

Ha parlato – nel 1919! – di cause (fermenti) che dopo la distruzione della Germania, avrebbero portato senza dubbio a una seconda Guerra mondiale, che avrebbe messo di fronte America e Asia (USA e Giappone) e questo pure non fa una piega.
Per poi preannunciare che quegli stessi fermenti – se non contrastati - avrebbero “propagato la guerra su tutta la terra”.

Beh, che ne pensate? Non mi pare che questa prospettiva sia molto irreale.

Vediamo ora come potrebbe delinearsi ulteriormente questa ipotesi.

Una prospettiva potrebbe essere quella di uno scontro frontale tra USA e Cina/Russia, magari in seguito ad un attacco Israelo-americano all’Iran e/o alla Siria.
Di questo ci sono sicuramente le premesse, preparate da anni dai media embedded che suonano la grancassa dell’atomica iraniana, esattamente come fecero dieci anni fa con le famose WMD, o ‘armi di distruzione di massa’ di Saddam, mai trovate, ma che costarono un milione e mezzo di morti.

Altra prospettiva potrebbe essere quella di un estendersi di rivoluzioni a livello mondiale, causate dalla crisi economica dilagante, che riduce in schiavitù economica interi Stati, come è il caso della Grecia oggi.
Questi sconvolgimenti potrebbero cambiare radicalmente il volto della civiltà attuale portando l’umanità intera a uno stato primitivo, dove solo la forza di un Potere accentratore – magari presentato come il ‘salvatore dall’anarchia e dalla distruzione’ – sarebbe in grado di riportare ordine sociale a prezzo di violenze inimmaginabili.

Una terza inquietante prospettiva – se pur con uno sviluppo più graduale – potrebbe essere quella della messa in atto di tecnologie molto avanzate atte a controllare – vedi chip sottocutaneo (il Marchio della Bestia) – di cui si parla ripetutamente qui in USA come di una straordinaria ‘opportunità’ (sic!) per rendere la vita più sicura (ancora, proprio come le guerre al terrorismo hanno reso, nelle parole degli ultimi tre presidenti, gli Stati Uniti “un Paese più sicuro”!).
Queste tecnologie – attuate a livello di massa (come una sorta di ‘vaccinazione obbligatoria’ ed è così che si vagheggia di attuarle) sarebbero letteralmente in grado di soggiogare intere popolazioni in uno stato di totale sudditanza.

A quale di questi scenari ci stiamo avvicinando?

Probabilmente ad un mix del primo e del secondo.

Ma vediamo anche come contrastare il big Game e cercare di far fallire questa sciagurata prospettiva.

Secondo Steiner l’unica reale salvezza da questo scenario si può riassumere in una sola parola: fiducia!

Il nascere e il diffondersi della fiducia tra gli uomini.

Fiducia alla base dell’elemento sociale.

Fiducia dell’uomo nei confronti dell’altro uomo, e conseguente disponibilità alla diffusione delle verità.

E da chi viene ostacolato il sorgere di questa fiducia?

Dalle logge e dagli Iniziati dell’Occidente [angloamericani], ci dice Steiner, che non vogliono parlare all’elemento di libertà del singolo individuo, ma alle masse.
Che rivelano solo parzialmente quelle verità spirituali che – in armonia con i dettami del Mondo spirituale - devono essere rese pubbliche.
Rudolf Steiner fu infatti il primo a rendere pubbliche notizie e comunicazioni che sino ad allora erano state tenute gelosamente segrete dalle varie congreghe occulte.
Come il cristianesimo rappresentò nelle parole del Cristo una verità universale, diretta a tutti senza limiti di razza, nazionalità, sesso o cultura, allo stesso modo la Scienza dello Spirito di Steiner rivela conoscenze fino a quel momento riservate con l’obiettivo di dare a ogni uomo – senza limiti di razza, nazionalità, sesso o cultura – la possibilità di conseguire conoscenze spirituali.
Questo fece scatenare contro di lui l’ira di potenti organizzazioni che cercheranno di distruggerne l’immagine e financo di assassinarlo.

Gli Iniziati anglo-americani cercano dunque di promuovere quel tanto delle vie iniziatiche che serve a edificare il dominio angloamericano del mondo, ma la via dell’Iniziazione si deve rivolgere al singolo individuo e non alle masse utilizzando strumenti di persuasione occulta, facendo appello alla capacità di comprensione indipendente e libera di ogni singolo essere umano.
Questo principio è collegato con un principio sociale fondamentale; se ci si rivolge a ciascuno partendo da principi morali, etici, e aspettando – nei tempi di ciascuno – la risposta cosciente e libera, allora non si tende ad assoggettare gli uomini, utilizzando astrazioni per irregimentarli in gregge.
Solo se il singolo essere umano accoglie ed elabora liberamente la conoscenza occulta produce moralità e libertà anche sul piano sociale, portando dentro di sé l’antidoto ad ogni costrizione o menzogna con cui si cerca di intrappolarlo.

Questo è il motivo della divulgazione delle verità occulte nel secolo XX che l’Antroposofia ha attuato, in contrapposizione con le élite occulte angloamericane, che volevano continuare a utilizzare le proprie conoscenze solo per realizzare le proprie finalità di dominio globale.

“La grande fiducia, questo deve diventare l’impulso sociale più importante del futuro. Gli uomini devono poter lavorare insieme. Altrimenti le cose non andranno avanti. (…) Oggi comincia per gli Iniziati dell’Occidente [angloamericani] la grande angoscia, la terribile paura. Essi dicono: se noi parleremo in futuro solo alle singole persone allora scateniamo la guerra di tutti contro tutti, dato che in tal caso gli uomini non saranno organizzati, visto che si è costruita una fiducia generale, allora l’umanità precipiterà nella guerra di tutti contro tutti. Essi sentono questa angoscia. Per questo costoro vogliono mantenere queste verità iniziatiche, oserei dire, sottochiave lasciando avanzare l’umanità verso il futuro sotto una luce apparente, ma in stato di sonno”[7].

L’opera divulgativa delle verità occulte da parte dell’Antroposofia – che ha rotto tabu millenari[8], la pubblicazione di migliaia di libri, saggi, cicli di conferenze anche profondamente esoteriche – ha come scopo principale dunque quello di creare l’unica possibile difesa nella nostra epoca nei confronti dell’unilateralità di determinate potenti congreghe che si propongono di mantenere i popoli in sudditanza - in una sorta di sopore della coscienza - nei confronti del reale svolgersi degli eventi.

Libera diffusione delle verità spirituali per creare fiducia.
Per vincere ansia e paura.

Auspichiamo dunque che l’uomo – nel suo attuare libere scelte – possa essere in grado di disincantare queste terrificanti prospettive, un po’ come un’automobile che, con una poderosa frenata, riesca a fermarsi a pochi centimetri dal precipizio. Ma questo può avvenire solo se s’iniziano a rimuovere – partendo da ciascuno di noi - i ‘fermenti’, le cause che hanno portato a questo stato di cose.

Vale a dire il potere esclusivo della visione materialistica del mondo che deforma radicalmente ogni pensiero umano e paralizza ogni possibilità di crescita morale dei popoli.





[1] Rudolf Steiner, GA194, Die Sendung Michaels, R.Steiner Verlag Dornach 1994
[2] Rudolf Steiner, GA193, Der innere Aspekt des sozialen Rätsels, R.Steiner Verlag, Dornach 1989
[3] Rudolf Steiner, GA265, VERÖFFENTLICHUNGEN ZUR GESCHICHTE UND AUS DEN INHALTEN DER ESOTERISCHEN SCHULE 1904 BIS 1914 - Wesen und Aufgabe der Freimaurerei vom Gesichtspunkt der Geisteswissenschaft, Conferenza del 25 Dicembre 1904.
[4] Ibidem
[5] Rudolf Steiner, GA205, Der Mensch in seinem Zusammenhang mit dem Kosmos, Band 6, conferenza tenuta a Dornach il 6 agosto 1921.
[7] Rudolf Steiner, GA196, Geistige und soziale Wandlungen in der Menschheitsentwickelung, Conferenza del 17 gennaio 1920 tenuta a Dornach
[8] Basti pensare che nelle antiche Scuole dei Misteri si pagava con la vita la rivelazione di conoscenze apprese all’interno dei Misteri. Queste tradizioni durano tutt’oggi nei rituali massonici o mafiosi.

sabato 23 giugno 2012

GLOBAL WAR E GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI: DOVE STIAMO ANDANDO? (Parte 1)


di Piero Cammerinesi  (corrispondente di Coscienzeinrete Magazine dagli USA)

“La guerra non è fatta per essere vinta, ma per essere continua. Allorché la guerra diventa letteralmente ininterrotta, cessa nel contempo di essere pericolosa”.
(George Orwell, 1984)



Quello che le ėlite stanno cercando di trasmettere alle popolazioni mondiali attraverso la falsificazione del linguaggio – la guerra umanitaria, la missione di pace, l’esportazione della democrazia, lo scontro di civiltà etc. – è il concetto che “la guerra è qualcosa di assolutamente normale”.

L’effetto del rifiuto della guerra come metodo per risolvere i problemi tra i popoli - prodotto per lungo tempo sugli uomini dalle carneficine dei due conflitti mondiali - dopo quasi settant’anni si è affievolito e oggi si torna a propagandare la guerra, anche se ‘travestita’ di pacifismo o di ristabilimento della giustizia sociale.

In realtà quanto sta avvenendo oggi è una globalizzazione della guerra, studiata a tavolino e promossa proprio da quegli stati che sono – a parole - i più attivi difensori delle leggi internazionali e dei diritti democratici.

Le motivazioni per le minacce di guerra e per le aggressioni vere e proprie sono le più varie e vanno dalla guerra contro il ‘terrorismo islamico’ (Afghanistan) a quella condotta per proteggere il mondo da – inesistenti - ‘armi di distruzioni di massa’ (Iraq ieri e Iran oggi), da quella per difendere i ‘diritti umani’ (Libia ieri e oggi Siria) ai veri e propri ‘interventi umanitari’ (Somalia), fino alla sbandierata protezione di piccoli Stati dall’influenza di Russia e Cina.
In prima fila per far assimilare ai popoli le scelte dissennate dei governi e le esigenze fameliche delle lobby militari sono i media occidentali, ormai impegnati strenuamente a difendere l’indifendibile, a razionalizzare l’irrazionale e a giustificare l’ingiustificabile, proprio come il Ministero della Verità di Orwelliana memoria[1].

L’idea della Global War o globalizzazione della guerra ha in qualche modo caratterizzato tutta la dottrina militare USA all’indomani della II Guerra mondiale e venne delineata negli anni ’40 dalla amministrazione Truman, nel quadro generale di un progetto di dominazione globale a fronte dell’insorgere del confronto con i sovietici.
In realtà già nei decenni precedenti erano sorte organizzazioni più o meno segrete come la Round Table o la Society of the Elect, fondata in Inghilterra da Cecil Rhodes e Lord Nathan Rothschild, e il Council on Foreign Relations, creato negli USA all’indomani della I Guerra mondiale dal Colonnello Edward M. House, con i finanziamenti di Morgan e Rockefeller.
Ricordiamo che Edward M.House era l’eminenza grigia dietro Woodrow Wilson e la ‘sua’ Società delle Nazioni.

Tutte queste organizzazioni miravano a una sola cosa: la nascita di un potere globale incontrastato sotto la guida anglo-americana.

Per quanto riguarda gli USA, dagli anni ’30 e ’40 del secolo scorso si è assistito ad un costante declino dei poteri del Congresso, considerato dai Padri della Costituzione uno strumento politico essenziale per la difesa della libertà e della democrazia. Ma l’erosione dei suoi poteri sembra inarrestabile sia per mano repubblicana che democratica.
“La costituzione degli Stati Uniti è stata messa da parte con il pretesto della paura. Prima paura della grande depressione e successivamente del terrorismo islamico. Gli Stati Uniti sono la Costituzione. Se la Costituzione cessa di esistere come un documento legale che viene rispettato realmente dalle élite politiche, gli Stati Uniti cessano di esistere. Vuol dire che un’altra entità ha preso il loro posto[2]”.  

Da allora non solo nulla è cambiato, ma la situazione è andata via via peggiorando, tanto che - per arrivare ai nostri giorni - nel settembre del 1990, George Bush padre fece, a Camere riunite, uno storico discorso alla Nazione[3], nel corso del quale di fatto proclamò un Nuovo Ordine Mondiale emergente dal disfacimento dell’Unione sovietica e dall’abbattimento del muro di Berlino.
In questo discorso Bush preannunciò con grande enfasi un mondo libero dal confronto, potenzialmente disastroso, tra le due superpotenze dotate di bombe atomiche a favore di une “pacifica cooperazione internazionale” nella quale “le nazioni del mondo, est ed ovest, nord e sud, possano prosperare e vivere in armonia”[4].

Belle parole e fantastiche prospettive, come non essere d’accordo?

Il problema è che proprio quel concetto di “pacifica cooperazione internazionale” servì a giustificare la Guerra del Golfo, ufficialmente intesa a difendere la sovranità del Kuwait e ad assicurare il rispetto della “legalità internazionale”.
Ben lontani da una “nuova era più sicura alla ricerca della pace” da quel momento siamo entrati in realtà in un’epoca di guerra perenne, proprio come descritta in 1984 di Orwell, dominata da conflitti continui, insicurezza, paura, controllo costante da parte delle autorità, censura mascherata e manipolazione dell’opinione pubblica.

La strategia vera e propria della ‘guerra senza fine’ nasce un paio di anni dopo, nel 1992, con il Defense Planning Guidance (Linee-guida di Difesa nazionale).
Il New York Times, venuto a conoscenza del piano, scrisse: “In un nuovo vasto progetto politico che sta per essere varato, il Dipartimento alla Difesa stabilisce che la missione politica e militare dell’America nell’era post-guerra fredda sarà quella di far sì che non possano emergere superpotenze rivali in Europa Occidentale, Asia o nei territori della ex-Unione Sovietica. I documenti segreti mostrano lo scenario di un mondo dominato da un’unica superpotenza la cui posizione predominante può venire garantita da un comportamento studiato all’uopo e da una adeguata forza militare, in modo da scoraggiare qualsiasi Nazione o gruppo di Nazioni a sfidare la supremazia americana”.
La personalità più rappresentativa dietro questo piano fu Paul Wolfowitz, che sarà nominato più tardi da Bush Segretario alla Difesa e che coprì anche la carica di Presidente della Banca Mondiale.

Il documento ipotizza – per garantire il mantenimento della supremazia statunitense – anche che gli USA prendano in considerazione di estendere – avendo identificato in Cina e Russia le maggiori minacce al loro predominio – “alle nazioni dell’Europa centrale e orientale accordi di sicurezza analoghi a quelli sottoscritti con Arabia Saudita, Kuwait e altri stati nel golfo Persico[5]”.

Nel 1993, allorché Clinton prende il posto di George Bush senior si costituisce un think tank dei falchi repubblicani che darà vita – pochi anni più tardi – al Project for the New American Century (PNAC), Progetto per il nuovo secolo americano.
Nello spirito di questo progetto il dominio a stelle e strisce deve venir imposto a qualsiasi costo in qualsiasi parte del mondo, il che richiede un crescente incremento delle spese militari onde contrastare minacce come quelle costituite da Iraq, Nord Corea, Iran. “Inoltre, questo processo di trasformazione, anche se porterà a dei mutamenti radicali, sarà qualcosa di lento a meno di eventi catastrofici che lo favoriscano – come una nuova Pearl Harbor[6]”.

Guarda caso, pochi anni dopo, le due Torri offriranno la ghiotta occasione di “una nuova Pearl Harbor”…

Nel 2000 il Pentagono pubblica Joint Vision 2020 un documento che teorizza il progetto denominato Full-spectrum Dominance (Dominio a tutto campo);
“Con Full-spectrum dominance si intende la capacità delle forze USA, da sole o con alleati, di annientare qualsiasi avversario e controllare qualsiasi situazione in ambito di operazioni militari.” 
Il Full-spectrum dominance deve estendersi a qualsiasi tipo di conflitto, dalla guerra nucleare su teatri bellici globali fino a eventi di dimensioni limitate. Si riferisce altresì a situazioni atipiche come peacekeeping e aiuti umanitari.
 “La creazione di una rete di informazione globale servirà a garantire le condizioni di una maggiore capacità decisionale[7]”.

Il 13 novembre 2001 il presidente George W. Bush firma l’Ordine Militare N.1[8] nel quale conia la definizione “Guerra globale al terrorismo”. E ciò senza informare il suo Consigliere alla sicurezza, né il Segretario di Stato, né il Capo dello staff o il suo responsabile della comunicazione, approvando così una legge che è divenuta tristemente nota come "Military Order of November 13, 2001: Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against Terrorism[9]"
Da quel momento le operazioni militari ‘segrete’ del SOCOM (Special Operations Command) - finalizzate al mantenimento di una ‘guerra globale’ - si sono moltiplicate senza limite in ogni parte del mondo.
Il personale del SOCOM è raddoppiato dal 2001 raggiungendo le 66.000 unità, mentre il suo budget è passato da 4,2 miliardi a 10,5 miliardi di dollari. La crescita del JSOC (Joint Special Operations Command) che è una ramificazione del SOCOM,
è stata ancora più rilevante, passando dalle 1.800 unità speciali nel 1980 alle oltre 25.000 oggi.
Quanto alle operazioni ‘sotto copertura’ delle forze speciali esse hanno coinvolto, a oggi, oltre 75 Paesi, dalla Repubblica Dominicana al Perù, dalle Filippine allo Yemen, dalla Somalia all’Asia Centrale, dal Libano all’Arabia Saudita, dall’Iran a numerosi Paesi arabi.
Queste forze speciali si sono macchiate sovente di crimini contro l’umanità che sono stati regolarmente ‘coperti’ dalle gerarchie militari e nascosti all’opinione pubblica.

Naturalmente, come è noto, la “Pearl Harbor” dell’11 settembre viene immediatamente utilizzata per mettere in atto la dottrina della Global War che viene per l’occasione ribattezzata War on Terror (Guerra al terrorismo).

Ricordiamo, infine, che nell’agenda del Project for the New American Century (PNAC) - che risale all’anno 2000 - si auspica a chiare lettere di “condurre guerre senza confini” [10].
Il PNAC ha come obiettivo dichiarato quello di “combattere e vincere decisamente conflitti multipli e simultanei nei maggiori teatri bellici mondiali”.

Questo scellerato programma è stato adottato in pieno dall’amministrazione Obama con un team di collaboratori e di esperti molto più efficace di quello del suo predecessore.
A una manciata di minuti dallo scadere del Patriot Act, Obama (premio Nobel per la pace, ricordate?) ha rinnovato, per altri 4 anni, la delirante legge promulgata da George Bush junior all’indomani dell’11 settembre[11].
Contrastata con decisione da pochi parlamentari, tra cui il senatore repubblicano Rand Paul del Kentucky, questa legge - che con l’alibi della Guerra al terrorismo - di fatto consente ogni possibile abuso delle libertà dei cittadini, è un tassello straordinariamente importante per capire come si stanno muovendo i poteri forti negli USA e per intuire quali possibili scenari politico-militari si aprano nel XXI secolo.

E, visto che non tutta l’opinione pubblica è manipolabile, i think tank dell’intelligence USA hanno inoltre felicemente ideato una strategia di maquillage delle parole.
Così è tutto meno inquietante se chiamiamo la guerra ‘intervento umanitario’ e l’attacco lo chiamiamo ‘difesa’, mentre le stragi di civili diventano ‘danni collaterali’…

Ora, se partiamo dal presupposto che per comprendere a fondo quanto accade nel mondo abbiamo bisogno di conquistarci una visione più ampia, come possiamo interpretare questa situazione da un punto di vista spirituale?

Cosa sta accadendo nel nostro mondo sempre più segnato da guerre e da massacri quotidiani con la complicità dei media che amplificano quotidianamente menzogne e odio contro l’altro di turno?

Possiamo ipotizzare che la Global War rappresenti in realtà l’inizio del Bellum omnium contra omnes[12], la guerra di tutti contro tutti?

Molti veggenti parlano di un futuro prossimo della terra sempre più incerto con grandi rischi di precipitare in conflitti distruttivi.
Edgar Cayce, lo Sleeping Prophet, ad esempio descrive – ancora negli anni ’30 del secolo scorso - come il primo decennio del nuovo secolo avrebbe ripercorso la situazione del primo dopoguerra fino al disastro economico del ’29, con un progressivo incremento di conflitti. “Mercati e benessere in calo, economie al collasso, disoccupazione in aumento, confusione politica e tumulti popolari (…) con, negli anni successivi, un numero crescente di persone che si troveranno in serie difficoltà anche rispetto a problemi basilari di sopravvivenza”.[13]
Cayce prevede anche la possibilità di una III Guerra mondiale. Parla letteralmente di guerra originata in “Libia, in Egitto, ad Ankara e in Siria, attraverso conflitti sorti intorno agli stretti delle zone a Nord dell’Australia, nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico[14]


per leggere la 2° parte clicca qui



[1] George Orwell, 1984.
[4] ibidem
[5] Tyler, Patrick E. U.S. Strategy Plan Calls for Insuring No Rivals Develop: A One Superpower World. The New York Times: March 8, 1992. http://work.colum.edu/~amiller/wolfowitz1992.htm

[6] http://www.newamericancentury.org/publicationsreports.htm PNAC, Rebuilding America’s Defenses. Project for the New American Century: September 2000, pag.51
[9] "Ordine militare del 13 Novembre 2001: detenzione, regole di comportamento verso i detenuti e processo di non cittadini USA nella Guerra contro il terrorismo."
[12] Bellum omnium contra omnes o "guerra di tutti contro tutti" nell’accezione di Thomas Hobbes (1588-1679) descrive lo ‘stato di natura’ in cui, non esistendo legge alcuna, ogni individuo verrebbe mosso solo dal suo istinto, danneggiando gli altri ed eliminando chiunque gli sia di ostacolo verso il soddisfacimento dei propri desideri.
[14] Edgar Cayce reading (3976-26) April 28, 1941

venerdì 22 giugno 2012

mercoledì 20 giugno 2012

L’enigma dell’abbazia di San Giovanni in Venere, la probabile custode del Graal?

di Nicoletta Travaglini

 E’ notorio che l’Abruzzo, per la sua particolare geomorfologia, ha dato ricetto a Santi, Eremi e Briganti, i quali, nel bene, o nel male, hanno lasciato una loro indelebile impronta, modificandone, di fatto, la morfologia. Per esempio, nel territorio di Fossacesia, in provincia di Chieti, si colloca l’incantevole ed imponente abbazia di San Giovanni in Venere. Essa è stata eretta, sulla sommità di una boscosa collinetta, ricoperta da piante di ulivo come quella millenaria, posta ai piedi dell’abbazia, per ricordarne la fondazione.
L’abbazia di San Giovanni e Santa Maria, venne costruita in posizione predominante e solitaria, a circa un paio di chilometri dal centro abitato,  a picco sul quell’insenatura conosciuto come  “Golfo di Venere”, nelle vicinanze della foce del fiume Sangro, ove essa si specchia sulle morbide e trasparenti acque del  mare Adriatico.
Tradizione vuole che, ovviamente supportata anche da ritrovamenti archeologici, tale luogo sacro si erga sui ruderi di un preesistente tempio pagano dedicato Venere Conciliatrice, culto risalente IV secolo a.C., fatto rimarcato anche nel toponimo Portus Veneris, che indicava un porto posto alla foce del fiume Sangro durante la dominazione bizantina, vicino ad un nucleo abitato chiamato Vico Veneriis lungo  la via Traiana.
Con l’avvento del cristianesimo, questo luogo fu abitato da eremiti e uomini pii, e secondo un antica leggenda pare che alcuni monaci greco-ortodossi, durante la guerra iconoclastica nel VII secolo, emigrarono in maniera massiccia fino a giungere sulle coste di Fossacesia; tra loro vi erano anche i monaci basiliani, gli stessi che fondarono la chiesa di San Longino a Lanciano poi divenuta la chiesa del Miracolo Eucaristico, che presero possesso di quello che restava dell’antico tempio di Venere, facendolo diventare un luogo di culto cristiano dedicato alla Madonna.
Un'altra leggenda sostiene che il primo nucleo di questo luogo di culto fosse costituito da piccolo ricovero per frati benedettini, provvisto di una cappella, fatto innalzare da frate Martino intorno 540 dopo aver fatto abbattere il tempio di Venere, che versava in avanzato stato di abbandono per costruirvi una piccola cappella intitolata a San Giovanni e la Vergine Maria.
Nel 973 il conte di Teate, Trasmondo I, dispose che il monastero ricevesse delle cospicue rendite tali da trasformarlo, così, da un piccolo ricovero in un potente ed opulento monastero.
Anche se questo illuminato conte fece in modo che da una semplice e povera “cella”, essa si trasformasse in un monastero, la sua fondazione e come la sua opulenza vanno attribuiti al conte teatino Trasmondo II che agli inizi dell’anno Mille, dopo sostanziose prebende, rese possibile la formazione di un solida struttura religiosa, economica, autonoma governata da abati. Come segno di gratitudine nei confronti del conte i monaci, alla sua morte, sopravvenuta nel 1025, lo seppellirono nella cripta dove tuttora riposa. 
Se risulta un pochino complicato possedere dati certi sulla sua fondazione e sulla sue prime fasi della sua esistenza, vi sono precisi riferimenti storici relativi alle sue fasi costruttive che vanno dal 973 fino al 1204 circa, dove raggiunse il suo culmine con l’abate Oderisi II il Grande.
I secoli tra il X e l’XI furono molto importanti per la crescita religiosa, culturale ed economica dell’abbazia la quale divenne in breve tempo uno dei più fiorenti luoghi di culto centro-meridionali annoverando tra i suoi possedimenti oltre duecento feudi sparsi in diverse zone d’Italia e fuori dal nostro territorio nazionale come ad esempio in Dalmazia. 
Nel periodo in cui essa stava consolidando il suo potere e la sua fama, nella seconda metà dell’anno Mille circa, il terzo abate Monastico, Oderisio I, appartenete alla famiglia degli Pagliara, ramo secondario dei Conti dei Marsi, i quali a loro volta rappresentavano un ramo cadetto della più gloriosa e prestigiosa famiglia dei Di Sangro, aveva già fatto allestire una fiorente e ricca biblioteca, una ottima scuola retta dai confratelli; fortificò, attraverso fossati, torri e mura la chiesa, costruì ospedali ed officine, ma soprattutto, fondò la cittadina di Rocca San Giovanni, che  divenne, in breve tempo il più fiorente ed opulento possedimento della badia ed oggi nella chiesa madre di Rocca San Giovanni vi sono molte reliquie e volumi che facevano parte del ricco tesoro dell’abbazia di San Giovanni in Venere.
La famiglia di Sangro a cui apparteneva, come abbiamo detto, anche Oderisio I, discendeva direttamente da Carlo Magno e che annoverò nel loro albero genealogico anche Papi e Santi.
Questa potente ed antichissima casata discende dai duchi di Borgogna che a loro volta erano di stirpe carolingia, longobarda e, naturalmente, normanna. Questi nobili, ovviante, furono legati da vincoli strettissi alla Chiesa e in special modo al potente, ricco e stimato ordine Benedettino.
Nel IX secolo essi, vennero in Italia e si stabilirono maggiormente negli Abruzzi, ove riuscirono a conquistare e, quindi, a governare diversi feudi e contee, prendendo il titolo di “Conti dei Marsi”.
I nomi dei conti dei Marsi erano Bernardo, Oderigi, Teodino, Trasmondo che si posso incontrare in molti documenti del XI e del XII secolo.
In un atto notarile del agosto del 981, conservato a Montecassino, Teodino ed i suoi fratelli Rainaldo e Oderisio risultano i conti di Marsia ; si divisero i loro territori nel seguente ordine : Teodino divenne conte di Rieti e Amiterno, Rainaldo conte della Marsia e Oderisio Conte di Valva.
Oderisio diede origine a tre grandi rami: una discendenza si stanziò nella zona del Sangro con la linea Borrello, la più grande, che si diffuse in tutto l’Abruzzo Centrale dando vita a Prezza e a Raiano, alle linee separate di Gentile; un secondo ramo si trasferì in quello che oggi è la provincia di Teramo; conosciuti come i conti di Palearia o Pagliara,, annoveravano tra i membri della loro famiglia Berardo, vescovo di Teramo e Oderisio di Palearia che alla metà del sec. XIII fu nominato dal Re “Giustiziere d’Abruzzo”. Il terzo ramo si stabilì a Valva vicino Sulmona.
Nel 1250 pochi erano i sopravissuti di questa discendenza, così la famiglia d’Ocre vide distrutto il suo antico castello come fu in precedenza per i Barili, i quali insieme ai succitati d’Ocre si rifugiarono all’Aquila. Gli altri rami della famiglia come i Borello e di Sangro si ritirarono in Sicilia.
Trasmondo, vescovo di Valva e Abate di San Clemente a Casauria era figlio di Oderisio conte de’Marsi e fratello di Oderisio abate di Montecassino e di Attone, vescovo di Chieti. L’Abbazia di San Giovanni in Venere annovera due membri di questa famiglia, oltreché la permanenza del Vescovo di Teramo Berardo.  
All’inizio del 1500 essi ottennero il titolo di marchesi, alla fine dello stesso secolo divennero Duchi e pochi anni dopo questo titolo acquisirono, anche, quello di Principi, governando, il loro vastissimo impero in maniera tirannica, dispotica e violenta!
Nel loro albero genealogico, vi sono presenti anche figure di spicco come Oderisio, San Bernardo di Chiaravalle fondatore dei Templari, Santa Rosalia, Innocenzo III, Gregorio III, ideatore e iniziatore della Santa Inquisizione, Paolo IV Carafa,  che contrastò in tutte le maniere l’Ufficio della Santa Inquisizione, Benedetto XIII
Sempre della stessa famiglia dei di Sangro, come si è potuto ampiamente vedere, Oderisio II “il Grande”, portò enorme lustro all’abbazia attraverso mezzo secolo circa di conduzione del luogo sacro, incrementando le opere degli abati precedenti ed iniziando i lavori di ampliamento conferendogli la struttura architettonica attuale e per tali meriti sono ricordati in un epigrafe posta sulla facciata principale della badia.
  Durante il dominio normanno, essa fu coinvolta in giochi politici poco chiari che la portarono, suo malgrado,  a subire diversi saccheggi. Da qui inizia un periodo di inesorabile e lenta decadenza fatta anche di devastazioni e violenze come quella perpetrata dai Veneziani nella prima metà del 1200, poi da parte degli avventurieri di Ugone Orsini, quindi fu la volta dei di Carrara; i corsari di Pialy Pascià, che rasero al suolo Santo Stefano Riva Maris ed altri luoghi sacri si accanirono anche contro San Giovanni in Venere, come non fu risparmiata neanche da un orda di briganti che nel 1600 infestavano quei luoghi.
Anche Madre Natura volle lasciare tangibili segni del suo passaggio attraverso un terribile sisma che 1456 provocò gravi danni all’abbazia già provata da un periodo non molto florido, cosa che si ripete nel 1627 con un altro terremoto che squassò l’Italia centro-meridionale; ed infine la piccola nobiltà locale fece razzia dei suoi beni. In piena decadenza, intorno alla fine del 1500, passò nelle mani della confraternita di San Filippo Neri. Allo stato di ulteriore deterioramento, verso la fine del ‘700, passo nelle mani del regio demanio. Distrutta ulteriormente durante la Seconda Guerra Mondiale fu ristrutturata dalle amorevoli cure dei Padri Passionisti attuali custodi di questo immenso bene.
Questa badia  ha visto passare re e papi come Pietro da Morrone, futuro Celestino V che, secondo alcune fonti,  prese i voti in questo luogo, per poi tornarvi, al fine di cercare proventi durante la costruzione della chiesa di Santa Maria di Collemaggio. Accanto a queste supposizioni vi sono fonti che attestano che Pietro Angelerio, dopo aver iniziato i lavori della costruzione del luogo di culto, e senza aver acquistato il terreno circostante, parte alla volta dell’abbazia di San Giovanni in Venere e dopo alcuni anni egli torna con il danaro sufficiente a poter compare il terreno dove oggi sorge la basilica di Collemaggio! Secondo alcuni, Pietro da Morrone per comprarsi questi terreni, abbia chiesto sovvenzioni, forse alla potente abbazia di San Giovanni in Venere, in cambio di qualcosa di prezioso che potrebbe essere il Santo Graal, in quanto egli, incontrando i templari in Francia, pare che questi gli abbiano dato qualcosa di prezioso da custodire, e se egli non aveva denaro per comperare i terreni della futura abbazia, costruita dopo il suo ritorno dal viaggio succitato, per poter essere finanziato aveva bisogno di dare in garanzia qualcosa ai suoi finanziatori!
  Durante il periodo del suo soggiorno a Fossacesia, nominò cardinale il suo vice Tommaso di Ocre, che nel giro di poco tempo, divenne, per volere del successore di Celestino V, Bonifacio VIII, il primo abate Commentario della badia di San Giovanni in Venere ed ebbe il compito di occuparsi delle esequie del Papa Celestino V.
Ma che cos’è il Graal?
In origine, secondo alcune versioni, il Graal, era la pietra, uno smeraldo, più preziosa e lucente del diadema di Lucifero, l’Angelo più bello del Creato. Esso cadde sulla Terra quando questi ingaggio battaglia con gli Angeli e fu raccolto dagli uomini che lo usarono per fini non sempre nobili.
Altre versioni sostengono che quando Seth, il figlio di Adamo ed Eva, cercò di salvare suo padre da una letale malattia, tornando nell’Eden, egli non trovò nessuna cura specifica per lui, ma una cura per tutti i mali del mondo, insieme a una promessa che Dio non avrebbe mai abbandonato il genere umano e pare che questo fosse il Graal.
Questo sacro oggetto smette di essere qualcosa di metafisico per entrare nella realtà percepibile, quando Giuseppe D’Arimatea, un ricco ebreo forse parente di Gesù, raccoglie il Sangue del Cristo proprio nella coppa che poi verrà definita Santo Graal.
Dopo la crocifissione, il corpo di Gesù , fu dato in consegna a Giuseppe D’Arimtea e gli fu dato anche la coppa dell’Ultima Cena, con la quale il maestro celebrò questo rito. L’ebreo lavò il Corpo del Defunto, ma mentre faceva questo dalle ferite uscì del sangue che Giuseppe raccolse nella coppa, quindi il Corpo fu avvolto in un sudario e fu messo nel sepolcro, ove dopo tre giorni Resuscitò.
Dopo la Resurrezione Giuseppe fu imprigionate dai romani con l’accusa di sottrazione di cadavere e privato del cibo, fu lasciato languire in un umida cella, dove un giorno gli apparve Gesù risorto ammantato di luce che gli consegnò la coppa rivelandone, anche le virtù della medesima; Giuseppe fu tenuto in vita grazie a una colomba che portava tutti i giorni un’ostia nella coppa.
Era il 70 d. C. quando Giuseppe D’Arimatea fu scarcerato, insieme a sua sorella e a suo cognato Bros. Questi scelsero, per causa di forza maggiore, l’esilio e partirono su una nave che li portò oltreoceano , verso un’isola sconosciuta dove, perpetrarono le loro tradizioni. Qui costruirono una tavola come quella usata per l’Ultima Cena dove presero posto dodici commensali, mentre il tredicesimo fu lasciato vuoto, perché era quello che avrebbe dovuto essere occupato da Gesù o da Guida. Se questa sedia veniva inavvertitamente occupata essa eliminava all’istante il commensale, per questo esso ebbe il nome di “Seggio Periglioso” e la tavola fu chiamata “Prima Tavola del Graal”.
Passarono alcuni anni in questa terra sconosciuta e Giuseppe sentì il bisogno e  la voglia di andare via e durante uno dei suoi tanti peregrinaggi per le vie del mondo, si fermò in Bretagna precisamente a Glastonbury, dove fondò la prima comunità cristiana che doveva soppiantare l’antica religione dei Druidi. Il primo tempio cristiano, qui fondato fu dedicato alla Madonna o, secondo alcune versioni  a Maria Maddalena e in questo luogo che rimase il Graal che veniva utilizzato durante la funzione religiosa.
Alla morte di Giuseppe il Graal fu custodito da suo cognato che grazie alla coppa riuscì a sfamare tutti i suoi seguaci. Dopo Bron il Graal passò nelle mani di un nuovo custode che conservò la sacra reliquia in un castello sulla Montagna della Salvezza di cui ignoriamo l’ubicazione. Nacque in quegli anni anche un ordine cavalleresco che, venne denominato come l’Ordine  dei Cavalieri del Graal, con il compito di proteggere questa coppa; essi si nutrivano delle ostie che la reliquia dispensava e il loro capo e custode  del divino recipiente ricopriva la carica di Re Sacerdote.
Uno di questi custodi fu ferito, secondo alcune versioni, dalla lancia di Longino e divenne sterile come la terra nella quale era ubicato il castello che custodiva la divina coppa.
Molti hanno visto un parallelo tra il Re Ferito, come venne denominato da allora in poi il custode del Graal, e la figura di San Rocco che in molte immagini viene raffigurato con una ferita alla  gamba.
Il Re Ferito trovava sollievo solo pescando e così fu definito anche come Re Pescatore ed egli sarebbe stato salvato da una domanda ben precisa fatta da un cavaliere puro di cuore; da qui che inizia la saga di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda di cui parleremo in seguito.
Tornando alla lancia di  Longino, essa è l’arma con cui il centurione romano trafisse il costato di Gesù crocifisso, pare che  avesse, come il Graal, delle doti magiche molto forti, perciò fu custodita insieme ad altre reliquie come: ad una spada e al piatto che resse la testa di Giovanni Battista, all’interno del castello del  Monte della Salvezza.
Questi quattro oggetti magici hanno influenzato la nostra cultura italiano poiché sono riprodotti nei semi delle carte da gioco.
Questa tradizione degli oggetti magici ha radici molto antiche e profonde presenti in culture millenarie come quelle asiatiche nelle quali si raccontano leggende secondo cui degli angeli sarebbero scesi dal cielo e si sarebbero stabiliti nel deserto dove avrebbero rivelato agli uomini la loro cultura superiore.
Prima di scomparire per sempre questi dei avrebbero lasciato quattro potentissimi talismani in grado di conferire poteri simili ai loro dei: una pietra, una spada, un calderone e una lancia.  Questi oggetti  sono presenti in quasi tutte le tradizioni. La pietra, ad esempio, potrebbe essere quella nera della Ka’ba, la spada potrebbe essere quella nella roccia, la coppa il Graal e la lancia forse quella di Longino. 
Alla morte di Erode, Israele, fu divisa in un mosaico di staterelli, che solo nel 6 d. C. divennero Provincia romana, con tutti gli onori e oneri che ciò comportava.
Gli ebrei insofferenti all’allora stato di cose, insorsero, dapprima con piccole sommosse culminati, poi, in vere e proprie rivolte. Mentre la Galilea bruciava, Roma, inviò un poderoso esercito per domare questi fuochi atti a spezzare il giogo degli invasori; paese dopo paese, città dopo città la zona settentrionale della Galilea si arrese e l’esercito giunse fino alle mura di Gerusalemme dove, forse corrotto dagli insorti,  esso si fermò. Nonostante  queste vittorie, gli ebrei continuarono a lottare e così nel 66 d. C. il generale Vespasiano, futuro imperatore, fu incaricato di riportare la pace nella provincia. Era il 68 quando le truppe del futuro imperatore si fermarono a causa della morte dell’imperatore  Nerone e tornarono a Roma. Nei diciotto mesi di tregua, gli ebrei non riuscirono a riorganizzare una resistenza duratura e così mentre Vespasiano fu incoronato imperatore suo figlio Tito partiva alla volta di Gerusalemme per riconquistarla.
L’assedio fu lungo e sanguinoso ma alla fine i romani ebbero ragione degli assediati e così entrarono trionfalmente in città dove si abbandonarono a ogni genere di violenza. Molti furono crocifissi sulle mura della città, le strade pullulavano di cadaveri appesi alle croci, il tempio fu profanato, derubato bruciato e infine raso al suolo, sulla cui terra fu buttato il sale.
Alcuni gruppi di persone appartenenti alla casta degli Zeloti si arroccarono nell’antica fortezza di Masada, essi resistettero per lungo tempo, finché, come narra una leggenda, una ragazza si innamorò di un soldato; essa, per amore, rivelò all’uomo dove erano i pozzi che alimentavano la città, i romani, allora, chiusero i pozzi e gli assediati furono costretti a arrendersi, ma per non subire l’onta della sconfitta si uccisero  tutti. I romani penetrarono nella cittadella e trovarono solo tanti cadaveri sparsi per la città.
Dopo aver domato la rivolta Tito fece erigere delle mura intorno al monte Golgotha e vi mise della terra intorno, quindi, lo fece spianare fino a trasformarlo in un pianoro, che conteneva al suo interno il Sepolcro con le spoglie mortali del Cristo. Non contento di ciò proibì il culto del cristianesimo e gli ebrei furono costretti a disperdersi per i quattro angoli del mondo.
Furono anni difficile per i cristiani e le loro tradizioni, queste infatti, furono affidate a sette segrete con a capo un vescovo di nome Marco.
Con l’avvento di Costantino sul trono, le cose cambiarono radicalmente; i cristiani uscirono dalla clandestinità e quando nel 314 divenne signore anche delle terre d’oriente, lui e sua madre Elena, rimasero affascinate dalle leggende che aleggiavano intorno al Santo Sepolcro. Così in breve tempo si iniziarono gli scavi per riportare alla luce questi tesori; si narra, che durante questi lavori, Elena avesse trovato un oggetto, forse una coppa, dove si raccolse il Sangue di Gesù.
A questo punto la storia del Graal si fa sempre più confusa e lacunosa; secondo alcune fonti esso finì in Bretannia, dopo che Roma fu depredata dai Visigoti nel 400 d. C. e pare che questa reliquia giaccia in fondo a un pozzo a pochi passi  dalla presunta tomba di un nobile cavaliere, forse re Artù.
Altre testimonianza parlano di un imperatore bizantino che nel I secolo d. C., dopo aver sottratto ai persiani alcune reliquie, forse anche il Santo Calice, esse siano state portate a Costantinopoli.
Alcune leggende affermano che a Costantinopoli vi fossero confluite tantissime reliquie sacre tra cui la Sindone, i Chiodi con cui Gesù fu crocifisso, alcune spine della Corona, di cui una oggi è a Vasto e naturalmente il Graal, che pare contenesse  la Sindone medesima.
Sembra che questi due oggetti abbiano seguito lo stesso cammino, ma queste sono solo supposizione; comunque il Santo Sudario, nel 1204, durante il sacco di Costantinopoli, da parte dei Templari, era qui e fu portata poi a Lirey in Francia e da qui a Torino.
Come abbiamo potuto vedere questa eterna ricerca forse di una chimera chiama in causa un ordine cavalleresco fatto da monaci guerrieri i Templari, appunto, che come sappiamo erano i difensori del Santo Sepolcro e dei luoghi sacri alla Cristianità e per far questo intentarono una guerra che chiamiate le Crociate. Alcune fonti sostengono che all’apice del suo splendore e durante l’era del abate Oderiso II il grande, essa fu in grado di finanziare addirittura la quarta Crociata, voluta da Papa Innocenzo III nel 1198, secondo tali fonti, questi uomini, dimenticando l’abito che indossavano e la loro missione, si abbandonarono ai più efferati atti di violenza, come si può leggere in una invettiva scritta da un monaco della chiesa di Santo Steafano Riva Maris, che racconta di come le milizie di Enrico di Svevia accampati tra le  foci del Sangro e quelle del Trigno, si diedero ai peggiori saccheggi, brutalità e violenze, risparmiando, però, l’abbazia di San Giovanni in Venere.
Questa chiesa fortificata romanica con forti influenze borgognone e di chiara impostazione cassinese, è a pianta rettangolare divisa in tre navate aventi lo stesso numero absidi su cui spicca il presbiterio che si ubica in posizione dominante rispetto al resto dell’edificio, in quanto sotto di essa si posiziona la cripta nella quale vi sono colonne e capitelli provenienti dal antico tempio pagano su cui poi venne edificato l’attuale chiesa. Nella cripta risaltano cinque meravigliosi affreschi raffiguranti di epoche diverse di cui il più antico posizionato sull’abside centrale.
Questi pregevoli e policromi affreschi rappresentano il Cristo sorretta da due angeli nell’atto di benedire con una mano mentre con l’altra sorregge un Vangelo. In un altro dipinto posto sul lato sinistro della finestra si può ammirare il Battista insieme a San Benedetto e vicino a questi beati vi è raffigurato un monaco inginocchiato che rappresenterebbe, secondo alcune fonti, il committente dell’opera. Un altro prezioso  affresco, posizionato sulla destra dell’abside, rappresenta la Vergine in trono con il Bambino ai cui lati spiccano le figure dell’Arcangelo Gabriele, come si legge dall’iscrizione posta sul suo capo,  e San Nicola di Bari. Ai lati delle absidi si possono ammirare l’immagine di Cristo in trono posta tra San Vito e San Filippo, in un altro dipinto sempre il Cristo in trono appare posizionato tra il Battista, l’Evangelista ed i santi Pietro e Paolo.
Le tre navate della chiesa sono costituite da archi a sesto acuto e dall’ interno delle chiesa tramite una porticina sormontata da una lunetta nella quale si può vedere un fregio raffigurante una svastica,simbolo di prosperità e pace, si accede al chiostro. Edificato da Oderisio II venne seriamente danneggiata dal sisma del 1456; questo luogo di silenzio e meditazione è ornato da decine e decine di trifore e capitelli; lungo i percorsi vi sono reperti archeologici provenienti da siti limitrofi come anche il sarcofago ospitato sotto l’arcata del campanile.
La facciata esterna che prima del violento sisma che del 1456, era costruita in pietra e in candido marmo, fu restaurata con mattoni nella parte lesionata. Questo ingresso conosciuto come portale della luna, così chiamato per la sua foggia ad arco, realizzato da Giacomo del Vasto per commissione dell’Abate  Rainaldo intorno ai primo trentennio del 1200. Sulla lunetta si possono ammirare il Cristo nell’atto di benedire, mentre ai suoi lati si posizionano la Madonna implorante ed il Battista con la testa rivolta verso il basso. Nella parte sottostante vi sono le figure di San Benedetto e del monaco committente o per lo meno di ciò che ne rimane. Sulla stele posizionata a destra del portale vi sono chiari riferimenti alla sua origine pagana con una decorazione che rimanda al culto di Venere in cui si vedono due amorini scoccare frecce contro una colomba, animale consacrato alla dea.
Spostandoci più giù sono rappresentate una serie di episodi biblici riferiti al Battista ed infine un enigmatico fregio che racconta la storia di Daniele nella fossa dei leoni mentre viene nutrito dal profeta Abacuc sorretto da un angelo.
Nella stele di sinistra in alto si possono vedere dei pavoni che si dissetano in una coppa, chiaro riferimento ad elementi pagani, poiché questi animali erano consacrati a Giunone. Scorrendo questa colonna, si possono notare scene della vita del Battista e l’annunciazione, in basso si vedono scene di caccia tra uomini ed animali fantastici, forniti di code di serpenti.