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giovedì 6 gennaio 2022

Le sciamane, IL SEGRETO DELLA GRANDE MADRE

tratto da InsideOver: https://it.insideover.com/reportage/donne/le-sciamane.html

Testo di Valeria Gradizzi, Morena Luciani Russo

Foto di Valeria Gradizzi

30 AGOSTO 2020


Gli ultimi raggi di sole sfiorano le foglie del bosco. Scintille di fuoco, leggere, si alzano verso il cielo. La brace si gonfia, passando dal grigio al rosso. Sono gli ultimi respiri del legno. Gli elementi del mondo si incontrano e si consumano. L’alto scende verso il basso. Il basso sale verso l’alto. La natura si muove in un ciclo continuo. Non esiste un inizio, non esiste una fine. C’è solo la natura.

Dal bosco appaiono alcune donne, i cui volti sono incorniciati da veli leggeri. Portano tamburi e maschere. Si inginocchiano. È il segno che il rito può iniziare. Una nenia, prima leggera e poi sempre più forte, rompe il silenzio. Il ritmo diventa sempre più concitato. La voce si mischia alle percussioni in un unico suono. I corpi iniziano a danzare con movimenti sfrenati. È il climax. È l’estasi più pura. Le donne si uniscono alla natura, la Grande Madre.

È lei a sussurrare magiche parole a queste donne, in un dialogo continuo. Si torna ad ascoltare la realtà che le circonda: “Una voce – ci spiegano – riunisce donne e uomini intorno al sistema di conoscenza e guarigione più antico al mondo”. I tamburi suonano. I corpi danzano. L’estasi tocca tutti.

Le mani sfiorano tutto ciò che le circonda: gli alberi, l’erba, l’acqua. Tutti ricordi di un mondo ancestrale in cui gli uomini e le donne veneravano la Grande Madre, che era tutto: era la terra che calpestavano, le stelle che fissavano per interrogarsi sul mistero, l’acqua che li dissetava, il fuoco che li riscaldava. Era possibile toccarla, la Grande Madre. Toccandola le si sfiorava anche l’anima. Nasce così lo sciamanesimo. Si può dare forma a ciò che è allo stesso tempo l’essenza del materiale e dell’immateriale? Il suo corpo, così ricco, comincia ad essere inciso sulla roccia. Vasi vengono realizzati e templi innalzati. Mentre si diffonde, la natura diventa il centro di tutto. Era questo il mondo che era possibile vivere e osservare due millenni fa.

I riti della Grande Madre sono poco alla volta scomparsi. Il mondo era cambiato per sempre. Pochi fedeli hanno continuato a praticarli e a trasmetterli fino ai giorni nostri. Semplici danze e parole arcaiche che nascondono significati segreti e che hanno il potere di collegare, ancora una volta, gli essere umani alla natura. Per le donne che intraprendono la via sciamanica, l’umanità deve riscoprire la vera dimensione del sacro per rivolgersi a quella Madre cancellata, a loro dire, dal “genocidio delle culture antico-europee e mediterranee” che avrebbe condotto alla sottomissione della donna.

Qui il grande nodo: riscoprire la Terra, e riscoprire la saggezza femminile, che si nutre di pratiche di spiritualità orientate alla Terra e ai suoi cicli naturali. Pratiche rituali collettive che sradicano la realtà dei nostri tempi, rovesciando i valori su cui si fonda la nostra società. A partire dalla donna e dalla natura, teatro mistico di questi riti arcaici e dove da secoli l’uomo fugge.

Ma nella via sciamanica il percorso è verso l’origine: non si fugge più da quel bosco di cui ci hanno insegnato ad avere paura, ma si percorrono i suoi sentieri, i suoi cicli, si incontrano i suoi animali “portatori di Vita e di Morte”, si riscopre un mondo nascosto, sotterraneo, e si cerca un’altra via. E un’altra vita


sabato 29 giugno 2019

FESTIVAL DELLE MAGIE ANTICHE

l'Associazione Culturale Le Magie Antiche organizza, nei giorni 3 e 4 Agosto 2019 (inizio degli allestimenti Venerdì 2 Agosto dalle 17:00 alle 21:00), il

FESTIVAL DELLE MAGIE ANTICHE

Tutte le strade percorse dall'uomo alla ricerca del proprio benessere

...dai Segnatori all'Olistica...


domenica 13 gennaio 2019

Quando la caccia era una lotta alla pari tra l'uomo e gli dèi

tratto da "Il Giornale" del 17/07/2018

Il libro per l'estate. Eccolo. Non è la bordata di un dandy sfregiato dalla calura: d'estate si vendono i «gialli», i libri del Papa in attesa di conversioni meridiane e i romanzetti sociologici e patetici degli scrittori nostrani, sociopatici

di Davide Brullo

Il libro per l'estate. Eccolo. Non è la bordata di un dandy sfregiato dalla calura: d'estate si vendono i «gialli», i libri del Papa in attesa di conversioni meridiane e i romanzetti sociologici e patetici degli scrittori nostrani, sociopatici.

Roba da ronfare sotto l'ombrellone. Qui, invece, c'è tutto l'eccitabile, narrativamente parlando. Spazi incontaminati, come si dice, lotta, sangue, spiriti, fughe nell'oltretomba, mito, pietà e violenza. Qualcosa che sta tra il bagliore omerico e l'epopea cavalleresca. Credete. Se fate un piccolo sforzo di prospettiva romanzesca (ma chi ci crede a uno che ti racconta l'ennesima storia senza avere nulla da dirti, da darti?) I riti di caccia dei popoli siberiani (Adelphi, pagg. 230, euro 30; con un saggio di Claudio Rugafiori) è il libro adatto per non soccombere alla noia vacanziera. Il tomo, evviva, non è il solito romanzo, ma lo studio più famoso di una antropologa francese, Éveline Lot-Falck (1918-74), una con gli attributi (fa la resistenza presso il Musée de l'Homme e assiste all'uccisione di alcuni colleghi, «fucilati dai tedeschi il 23 febbraio 1942») e con la testa (Claude Lévi-Strauss crea per lei la «cattedra di Religioni dell'Eurasia»), riconosciuta come la massima esperta di sciamanesimo siberiano.


Il libro sui Riti di caccia dei popoli siberiani una pietra miliare, uscito in origine nel 1953, così ci tocca sfogliare una bibliografia pressoché inutile, con testi del 1914, del 1924, del 1905, del 1909... una precedente traduzione italiana è del 1961, per il Saggiatore ci porta in luoghi atavici, dove «il cacciatore considera l'animale almeno come un suo pari», anzi, «l'animale è superiore all'uomo sotto uno o più aspetti: per forza fisica, agilità, finezza dell'udito e dell'olfatto», dove la caratteristica del dio supremo «sembra essere la passività, l'indifferenza», ma tutto, al Nord, dove la natura troneggia e l'uomo è un accidente, ha uno spirito di cui occorre conoscere i nomi, la struttura grammaticale, per così dire. Oltre al paesaggio visibile, bisogna conoscere quello invisibile, fatto da «spiriti erranti, spesso pericolosi», oppure da «defunti divinizzati», in una visione labirintica dell'al di là, dove «strette relazioni uniscono i morti e i vivi». La caccia, così, richiede un rito preparatorio molto lungo («È essenziale che il cacciatore, al momento della partenza, si trovi in stato di grazia, che sia stato purificato da ogni macchia, da ogni contatto con ciò che si lascia alle spalle»), costellato da amuleti, invocazioni, per entrare in sintonia con l'animale da uccidere.

Quando si uccide, bisogna guardare in faccia la bestia, sfidarla senza malizia «Se si attacca l'orso nella sua tana, prima di colpirlo bisogna svegliarlo. Lealtà, purché reciproca: l'orso a sua volta non ucciderà il cacciatore nel sonno» e un'attenzione particolare è dedicata alle armi, sempre le stesse («Un forte legame di simpatia unisce l'arma al suo possessore. L'arma assiste l'uomo come un essere vivente, non lo abbandona mai, annuncia a volte ai parenti la morte del loro congiunto»), tramandate, come in una Iliade artica. L'innovazione tecnica, infatti, facilita la caccia ma distrae dal rito, fino a disintegrarlo. «Col passare del tempo, le tradizioni antiche e moderne si trovano fianco a fianco, il giavellotto coesiste col fucile. Poi si produce una rottura dell'equilibrio. L'uomo abbandona le armi primitive per quelle perfezionate offerte dalla cultura moderna. La tecnica si svuota del suo contenuto magico-religioso, l'uomo perde il contatto con l'altro mondo». La tecnica rende ogni cosa equivalente: una bestia è uguale a un'altra, dalla foresta gli spiriti sono in fuga, la preghiera è un vezzo superstizioso, il mondo sta zitto, è da sfruttare, il cielo è uno sbadiglio che inquieta.

Il cuore dell'uomo, ora, è un groviglio di enigmi. Così la Siberia diventa una magione dell'Occidente, una terra senza nomi.

mercoledì 18 luglio 2018

SCIAMANESIMO E PAGANESIMO NORDICO

di Andrea Romanazzi


" Tibi serviat ultima Thyle". Con questo verso il poeta latino Virgilio nelle Georgiche immortalava nella storia non solo le grandezze del principato di Augusto ma anche la storia di Thule, la mitica isola descritta dal navigatore greco Pitea di Marsiglia mentre compiva un viaggio nel nord Europa, fino ai limiti del mondo allora conosciuto, ovvero l’isola di Tule. Thule e Paganesimo Artico hanno legami con lo Sciamanesimo?
La tradizione sciamanica è ovviamente fortemente presente in tutta l’area nord del globo, dalle popolazioni Inuit e Inupiat dell’Alaska e dei territori nord americani e canadesi, alle tradizioni dei Kalaalit della Groerlandia ed Islanda, fino alle terre siberiane artiche abitate dai Sami, dai Nganasan, dagli Jacuti e dai Ciukci, solo per citare alcune delle più importanti etnie.
Una prima interessante tradizione sciamanica è quella degli angakkut, diffusa in tutta l’area della Groerlandia. Il termine deriverebbe dalla parola agakkiq, ovvero “visionario” o “sognatore”. Per molti questa tradizione magico-spirituale, come quella diffusa nell’area islandese, sarebbe quello che rimane degli antichi culti della Thule la mistica e mitica isola dove il sole non tramonta. Discendenti diretti delle popolazioni della Thule sono gli Kalaalit, abitanti delle regioni costiere artiche, spesso identificati con il dispregiativo termine “eschimese”, ovvero “mangiatori di carne cruda”.  Essi credono tutt’oggi in una energia o inua, che pervade tutte le cose.
Un famoso detto Kalaalit recitava che “Il grande pericolo della nostra esistenza risiede nel fatto che la nostra dieta è costituita interamente da anime”. Credono infatti che tutte le cose, animali compresi, sono dimore di Spiriti. In questa comunità, gli Angakkut, sia uomini che donne, diventano gli eroi della comunità, coloro che potevano dialogare con gli Spiriti, il ponte tra i due mondi. Viaggiavano negli altri mondi alla ricerca dei pezzi perduti dell’anima dei loro “clienti” rubate dai ilisiitsoq, stregoni malvagi, o persa per motivi naturali. La prime descrizioni di tali rituali le abbiamo verso la fine del ‘800 quando iniziano ad arrivare nell’area i missionari danesi. Il più noto di questi, Hans Egede, inviato dal re di Danimarca in persona, descrive una delle tante cerimonie sciamaniche
“…A number of spectators assemble in the evening at one of their houses, where, after it is grown dark, every one being seated, the angekkok causes himself to be tied, his head between his legs and his hands behind his back, and a drum is laid at his side; thereupon, after the windows are shut and the light put out, the assembly sings a ditty, which, they say, is the composition of their ancestors; when they have done singing the angekkok begins with conjuring, muttering, and brawling; invokes Torngarsuk [a major spirit], who converses with the angekkok…In the meanwhile he works himself loose, and as they believe, mounts up into Heaven through the roof of the house, and passes through the air till he arrives into the highest heavens, where the souls of angekkut poglit, that is, the chief angekkuts, reside, by whom he gets information of all he wants to know. All this is done in the twinkling of an eye…”

Conosciamo così i principali elementi del rito angakkoq: Lo sciamano, attraverso il suono del mistico tamburo, canti e danze, inizia il suo viaggio nel mondo degli Spiriti, in uno stato alterato di coscienza, da dove cerca e trae le informazioni richiesta dai membri della propria comunità.
Tra i più comuni viaggi vi era quello per propiziare la pesca. Era l’incontro con la temibile Madre del Mare, Sedna, per avvicinarsi alla quale lo sciamano aveva bisogno del potere e della protezione di tutti i suoi animali guida, o Tartok. Il viaggio era necessario per placare questo spirito perché ella veniva “insudiciata” dalle trasgressioni umane e dalle loro cattiverie svolte durante la pesca, e quindi compito del angakkoq era di pulirla.  Solo in questo modo si sarebbe assicurato nuovo cibo alla comunità. Lo sciamano, dopo aver combattuto per penetrare nella sua casa e vinto la sua resistenza, le doveva lavare il viso e pettinare i capelli. Solo dopo tali operazioni gli animali marini sarebbero stati resi liberi di cadere nelle reti degli Kalaalit.
Tutto questo avveniva all’incessante suono del tamburo, realizzato rigorosamente in pelle di orso mentre lo sciamano, seminudo, danzava scuotendo di tanto in tanto il sonaglio, avvisando dell’arrivo di uno spirito.
Altro pericoloso compito dello sciamano era la sua lotta con il Tupilak una creatura creata da sciamani neri dediti alla stregoneria con parti di animali o cadaveri quali ossa o capelli, muschio, pelle, alghe, manicotti di kayak, a cui era stata donata la vita attraverso antichi rituali magici che contemplavano l’utilizzo di acqua marina e il cui scopo era risucchiare l’energia vitale della sua povera ed inconsapevole preda. Il compito del Angakkoq era quello di scovarlo e distruggerlo in una tremenda battaglia.
“…Immediately the spirits were invoked with the cries: “Goi! goi goi goi”—now one voice, now more, sometimes from one end of the house sometimes from another. During this the Angakok grunted, puffed and sighed loudly.  Suddenly, the skin at the door started to rustle as if it was moved by a strong wind. The drum began to beat first slowly then gradually more rapidly. . . . During the most terrible noise the platform and the window-sill were sometimes shaken. Now the Angakok was heard lying under a heavy superior force, groaning, wailing, screaming, whining, whispering, now the spirits were heard some of whom had coarse, others tiny, others lisping or whistling, voices. Often a demonical, screeching, mocking laughter was heard. The voices sometimes came from above, sometimes from under the ground, now from one end of the house, now from the other, now outside the house or in the entrance passage. Cries of: “hoi! hoi! hoi!” faded away as if into the remotest abyss. With immense skill the drum was beaten, often moving round in the house, and especially hovering above my head. The drum often accompanied singing, which at times was subdued as if coming from the Underworld. Beautiful singing by women sometimes came from the background…”
(Holm 1888, in Jakobsen 1999, 124–126)
Lo Sciamanesimo inuit presenta molte similitudini con quello appena descritto. Chiamato Angakunig, era diffusissimo in tutte le aree artiche fino al 1936 data dell’arrivo dei primi missionari cristiani. Costante anche in questa area è la presenza di Sedna, ma molteplici sono gli altri Spiriti naturali che circondano l’uomo. Ancora importante funzione hanno i tarniit, le anime degli uomini o animali defunti, ijirait lo spirito delle montagne e molti altri.
Chiunque poteva divenire uno sciamano, uomo o donna, era però indispensabile avere il dono della visione, Spiriti Guida, o tuurngait, in questa tradizione tra i sei e i dieci, ognuno dei quali aveva le sue qualità specifiche. Strumento essenziale per lo sciamano era l’angaluk, una cintura sciamanica, fatta della pelliccia bianca della la pancia di un caribù, nonché numerosi coltelli che sarebbero serviti nella lotto contro il tupilak. Funzione importante avevano anche i cristalli, utilizzati anche nelle pratiche di guarigione secondo istruzioni date in viaggio direttamente allo sciamano. In Alaska e nell’area più orientale della Siberia, la maggioranza etnica è invece detenuta dagli Yupik e dai Chukchi. Gli Yupik sono anch’essi fortemente animisti, ogni fenomeno naturale, la pioggia, il tuono, il lampo, l’aurora boreale, ma anche i corpi celesti e le formazioni terrestri, sono espressione dello spirito.
In particolare il lupo, la balena e il corvo imperiale sono tra gli animali più sacri e non possono essere uccisi, le orche sono considerate come protettori dei cacciatori, mentre speciali cerimonie si svolgono per placare gli Spiriti degli animali prima della caccia o della pesca.
Ancora una volta, dunque, ruolo predominante aveva lo sciamano, detto angalkuq, colui che poteva dialogare con le potenze dei mondi.
Non esisteva una vera e propria iniziazione, se non quella “donata” dagli Spiriti, che però doveva essere sigillata con un patto. Tra gli strumenti più utilizzati, oltre all’indispensabile tamburo, troviamo molteplici amuleti, ad esempio la testa di corvo appeso all'ingresso della casa serviva da protezione, statue con la forma della testa di tricheco o di testa di cane erano invece utilizzati come amuleti individuali. Estremamente importante era poi la funzione della maschera, dalle sembianze umane, di animale o di spirito marino.
Molto interessante è poi la tradizione sciamanica Sami che io stesso ho avuto la fortuna di studiare durante uno dei miei viaggi.
L’antica religione Sami si basava su una percezione animistica e una forma di culto di stampo sciamanico nel quale battere il tamburo ed eseguire lo joink rivestivano un ruolo fondamentale. Il tamburo era per i sami l’equivalente dell’Altare di una chiesa, su di esso venivano svolte le cerimonie e grazie ad esso lo sciamano poteva viaggiare. Era battuto attraverso un martelletto o Allem, a forma di “T” o “Y”, ricavato dalla larga punta di un corno di renna non castrata.
Lo sciamano, chiamato Noaidi, batteva il tamburo fino a che non cadeva in trance per intraprendere così il viaggio verso gli Altri mondi. Inoltre, poggiando l’orecchio sul tamburo e “ascoltando” le sue parole era in grado inoltre di predire il futuro.
Le prime descrizioni del tamburo magico e delle sedute dello sciamano si devono all’Historia Norvegiae della fine del XII secolo nel capitolo intitolato De Finnis (gli abitanti del Finnmark): “…Ora il mago prende un tappeto e lo srotola e su di esso si prepara ad eseguire i suoi riti. Poi prende un oggetto, che ricorda un sole, e lo solleva in alto tenendolo con entrambe le mani. L'oggetto è adornato con piccole figure di balene e renne, con redini e piccoli sci, e anche una piccola barca a remi. Questi strumenti serviranno allo spirito assistente del mago per passare nella neve alta, scalare montagne ripide e attraversare acque profonde. Dopo aver danzato a lungo con questi oggetti, il mago si accascia a terra, nero in volto da sembrare un negro, con la bava alla bocca, come far intendere che portasse un morso (la briglia). Infine, mentre sembra che stia per spezzarsi in due all'altezza dello stomaco, l’uomo finalmente muore emettendo un urlo terribile. A quel punto, viene domandato ad un altro uomo, che si intende di magia, cosa fosse accaduto ai due. L’uomo si accinge, a sua volta, a compiere lo stesso rituale, ma con un risultato diverso. Riesce a riportare lo spirito in vita e racconta loro il motivo della morte del mago…”.
Al culto dei “Mondi” era associato quello delle divinità naturali, Haragallis, il dio delle Tempeste, portatore di pioggia ed abbondanza, Beaivi, il dio Solare, Bieggolmmai, il dio del Vento, Varaldenolmmai, la dea della Fertilità. Importantissimo era poi il culto degli Antenati legati alla Montagna Ancestrale Saivù, il luogo dove i defunti vivevano una vita beata. Le montagne erano infatti per i Sami sacre presentando dimensioni tali da non poter essere paragonate ad alcun altro luogo. Non tutte però sono ritenuta sacre, solo quelle poste in posizione isolata e che terminano con cime a punta o creste che si stagliano nel cielo blu o tra le nuvole. Un esempio è Haldi è il nome di una montagna sacra che si trova ad Alta e che appartiene ad un imponente massiccio montuoso. Qui si trova la roccia sulla quale venivano sacrificate le renne o grasso di pesce.
Insomma, i culti nordici sono fortemente permeati di sciamanesimo e pratiche proto-sciamaniche. L’indagine continua….


sabato 20 agosto 2016

SCIAMANESIMO E DRUIDISMO: UN UNICO PERCORSO - parte 2

di Andrea Romanazzi

Nelle tradizioni celtico-druidiche appare poi il culto dell’albero universale.
Quando si studiano le religioni di stampo sciamanico in quasi tutte si incontra un riferimento più o meno esplicito al culto dell’Albero: L’Asse Cosmico, il pilastro centrale attorno a cui si organizza l’Universo. Con il passare del tempo ha acquisito molteplici nomi, Albero Cosmico, Asse del Mondo, Albero Rovesciato, Albero della Vita, Albero della Conoscenza, Albero Alchemico, Albero Mistico, Albero della Libertà e molti altro ancora.
Nella tradizione nordica troviamo il frassino Yggdrasill, l’asse del Mondo, ma anche cavallo ad otto zampe la cui scalata dona ad Odino il potere della Conoscenza. Tra i Sassoni l’universalis columna quasi sustinens omnia è chiamata Irminsul, mentre in Mesopotamia l’albero della vita era noto con il nome di Kiskadu. Buddha raggiunge l’Illuminazione sotto un albero di Ficus, mentre Adamo vuole la conoscenza del Dio Monoteista sotto l’albero piantato da Jahveh che nel giudaismo diviene poi la Menorah, il candeliere a sette bracci che riproduce l’Albero dei Sette Cieli mesopotamico. Nella tradizione araba l’abero universale è la Palma, l’albero con la testa nel fuoco del cielo e i piedi nell’acqua. Per gli Altaici sull’ombelico della Terra spunta un gigantesco albero i cui rami si allungano fino alla dimora di Bai-Ulgan, il Dio Progenitore, mentre tra gli Jacuti l’asse-albero primordiale è Yjyk-Mar che si innalza fino al nono cielo dove dimorano le anime degli sciamani. Nell’Asia settentrionale l’albero cosmico è una betulla detta Udeshi Burkjan, ovvero “il guardiano della Porta”, mentre in Cina l’albero dei “nove Cieli” è chiamato Quian mù. Nella sua opera Storia delle idee e delle credenze religiose, Eliade scrive:
“L'asse del mondo si rappresenta concretamente, a volte attraverso i pali che sostengono le abitazioni e altre volte come aste isolate, chiamate “colonne del mondo”. Quando la forma dell'abitazione subisce delle modificazioni (come il passaggio dalla capanna dal tetto conico alla yurta), la funzione mitico religiosa del palo viene trasferita all'apertura
Superiore da cui esce il fumo. Questo simbolismo è molto diffuso. Ad esso è condizionata la credenza nella possibilità di una comunicazione diretta con il Cielo. Nel piano macrocosmico, questa comunicazione è rappresentata da un asse (colonna, montagna, albero, etc.); nel piano microcosmico è raffigurata dal palo centrale dell'abitazione o dall'apertura Superiore della tenda, volendo significare che ogni insediamento umano si proietta sul “centro del mondo” e che ogni altare, negozio o casa offre la possibilità di una rottura di livello e come risultato quella di mettersi in contatto con gli dèi o compreso, nel caso degli sciamani, di ascendere al cielo…..In quanto all'albero del mondo, ve ne è testimonianza in tutta l'Asia e svolge un ruolo importante nello Sciamanesimo. Cosmologicamente, l'albero del mondo si trova al centro della terra, nel suo stesso “ombelico”, contemporaneamente i suoi rami superiori toccano le regioni celesti. L'albero unisce le tre regioni cosmiche, poiché le sue radici affondano nella profondità della terra. Secondo i mongoli e i buriati, gli dèi (tengri) si nutrono dei frutti di questo albero. Si presume che lo sciamano fabbrichi i suoi tamburi con il legno dell'albero del mondo. Davanti la sua yurta e all'interno della stessa si trovano alcune riproduzioni di alberi, la cui immagine si rappresenta anche sul tamburo. Inoltre lo sciamano, nella sua scalata alla betulla rituale, non fa altro che arrampicarsi sull'albero cosmico…”.
L’albero universale è presente dunque anche nella tradizione druidica.
Più volte esso è richiamato all’interno dei Gwersu, dal richiamo al Craeb, il sacro palo che sorregge le abitazioni circolari dei druidi, alla Bacchetta.
Richard Gordon, esoterista e neosciamano afferma: “The wand as used in many modern day esoteric practices is in fact a symbolic drum stick, directionally beating our concentrated willed intent against the energetic surface of creational reality”. Utilizzata come estensione del dito, essa è anche simbolo e rappresentazione dell’Axis Mundi miniaturizzato, ma anche rappresentazione dell’energie maschili e falliche. Tornando al “Macro”, ovvero all’albero, lo stesso Merlino raggiunge il potere della Conoscenza, della Veggenza, della Metamorfosi e del Linguaggio solo dopo aver scalato il sacro Pino di Barenton: l’albero cosmico. I suoi rami si protendono radiosi verso il cielo, e le sue radici affondano nella terra scura, nella quale scorrono le acque della fonte.  Per chi volesse vedere questo sacro albero, nella cittadina gallese di Carmarthen esiste una quercia risalente al XVII secolo, conosciuta come appunto come Merlin’s Tree.
Non mancano poi i riferimenti ai “mondi” che comporrebbero l’Universo del Druido-Sciamano, presenti nel folklore celtico. Si sprecano i racconti sul popolo delle fate, in molti casi noto come “piccolo popolo”, e su ignare persone che, attraversando anche involontariamente un “cancello” si trovavano in questa terra che potremmo definire un onirico “Mondo di Sotto” popolato da creature meravigliose e, in alcuni casi, anche pericolose. Non manca poi il metamorfismo sciamanico.
La figura che più di tutte può essere evocativa, in questo caso, è quella di Kernunnos, il dio-signore degli animali raffigurato con un palco di corna sulla testa. La sua più nota raffigurazione è quella presente sul calderone di Gundestrup. In realtà per molti studiosi la figura rappresentata sul calderone rappresenterebbe non un dio ma uno sciamano.
La capacità dei druidi di trasformarsi in animali e/o di essere con essi interconnessi è diffusissima. Nella saga di Talielsin, Gwyrhyr è noto per conoscere il linguaggio degli animali, nonché per le sue molteplici trasformazioni e esperienze di trasmutazione. Mutazioni animali le troviamo anche nei racconti di Oisin e Amergin che non solo si trasformano in animali ma trascorrono un lungo periodo sotto tali sembianze riportando nel mondo reale, una volta terminata l’esperienza della trasformazione, tutte le conoscenze acquisite in questo stato di realtà non ordinaria.
Lo stretto legame con l’animale sacro, che dunque poi nel tempo muterà da Spirito Guida ad elemento totemico caratterizzante del clan, è fortemente diffuso in tutta la cultura celtica. Lo stesso nome delle tribù esprime il legame con il mondo naturale e con l’animale che diviene simbolo del sacro.
L’usanza dei sacerdoti celtici di adornarsi con corna di cervo è descritta ancora nel 300 da Sant’Agostino che scrive dell’ “orribile usanza di travestirsi da stallone o da cervo”.
Altri elementi comuni tra la figura del druido e dello sciamano sono i poteri sugli agenti atmosferici, la capacità di chiamare tempeste e piogge, nebbia e sole, ma anche la loro attitudine alla divinazione. Ad esempio Diodoro Siculo e Tacito ci descrivono l’intervento di bardi sul tempo meteorologico in una famosa battaglia contro i romani sull’isola di Mona. Forte è anche il legame con la tradizione degli Antenati, i Celti utilizzarono spesso per i loro rituali luoghi megalitici costruiti da popolazioni precedenti, che seguivano particolari percorsi energetici o leys.
La Letteratura celtica è poi ricca di descrizioni di territori e mondi che si sviluppano in una realtà non ordinaria. Molte sono le storie e i racconti che narrano di viaggi in terre e reami presenti in un mondo assolutamente onirico o comunque non reale, come nelle avventure di San Brendano. La sua leggenda è raccontata nella Navigatio sancti Brendani, dove per l’appunto vengono descritti luoghi e mitici animali in quello che può essere considerato un viaggio interiore. In alcuni casi, come nella descrizione della vita del druido MacRuith, si narra proprio di “voli” a cavallo di fiamme che avrebbero portato il sacerdote in non meglio precisato un “mondo di sopra”. Non mancano le descrizioni di druidi vestiti con le piume di uccelli proprio ad indicare il volo spirituale, abitudine diffusissima nella tradizione sciamanica.
Altre esperienze non ordinarie sono descritte nelle saghe di Peredur ab Efrawg, poi trasformato nel Percival, o nelle avventure epiche irlandesi di Maelduin che narrano le imprese di questo personaggio durante un viaggio per vendicare la morte del padre ucciso da un pirata. Infine un ultimo esempio potrebbe essere la permanenza di Oisin a Tir-na-Nog. Dopo l’incontro con Niamh, una bellissima fata, Oisin fu portato nella terra dell’eterna giovinezza, Tir-Na-Nog appunto, un Oltremondo ove il tempo non esiste. Quando egli, proprio come uno sciamano immerso nel suo viaggio, si risveglierà nella realtà ordinaria, si ritroverà tremendamente invecchiato proprio come spesso accadeva ai mistici orientali in meditazione. Anche il concetto che si nasconde dietro l’Awen, o imbas in irlandese, l’ispirazione divina, l’energia che pervade le cose, che dona la capacità di poter dialogare e prender forma di animale è tipicamente sciamanica.
In aggiunta le narrazioni del Calderone di Cerdiwen e della nascita di Taliesin, attraverso il mistico fluido dell’Awen preparato dalla dea in persona per donare saggezza al figlio Afagddu, rimanderebbero ad antiche tecniche di apertura della “porta percettiva” attraverso sostanze allucinogene e psicotrope, come ad esempio l’Amanita Muscaria che effettivamente erano utilizzate dagli sciamani.
Il Druido dunque   è uno sciamano, come afferma anche Patricia Monaghan in The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore, nella sua funzione di colui che diviene intermediario con il mondo magico, colui che gestisce la driudheachd, ovvero l’arte magica.




Bibliografia:

Cowan T., Sciamanismo, una pratica spirituale per la vita quotidiana, Edizioni Crisalide, Spigno Saturnia, 2000

De Martino E., Il Mondo Magico, Prolegomeni ad una storia di magismo. Edizioni Einaudi, 1948.

Drago F., La via sciamanica e le ruote di Medicina, Xenia Editrice, 1996, Milano

Eliade M., Lo Sciamanismo e le tecniche dell’Estasi, Fratelli Bocca Editori, 1953

Harner m., La via dello sciamano. Edizioni Mediterranee, Roma 1999

Matthews J., Sciamanesimo Celtico, Età dell’Acquario, 2007, Torino

Polia M., Il Sangue del Condor, Sciamani delle Ande. Xenia editori, 1997

Romanazzi A., La Borsa Dello Sciamano, Anguana Edizioni, 2016

Romanazzi A., Lo sciamanesimo afro-amerindio, Anguana Edizioni, 2014









sabato 13 agosto 2016

SCIAMANESIMO E DRUIDISMO: UN UNICO PERCORSO - parte 1

di Andrea Romanazzi

All’interno del percorso dell’OBOD, l’Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi, fin dal grado bardico, si parla di sciamanesimo in relazione al percorso druidico, una sorta di filo conduttore che, attraverso i vari gradi, appare durante tutto il lavoro. Si parla spesso di “Mondi Superiori”, “Mondi Inferiori” e “Mondi di Mezzo” in una chiara visione sciamanica e neo sciamanica della Realtà non Ordinaria.
In tale ottica ho così voluto così approfondire questo legame, ovvero capire se esiste uno sciamanesimo celtico-druidico e se il Druido può essere considerato davvero uno sciamano.
Una delle poche certezza che abbiamo sugli “sciamani” è legata all’etimologia. Il termine deriverebbe da una parola tungusa, shaman, ovvero “uomo saggio”, colui che sa “emettere suoni”, il che lo lega alla musica primitiva e al “verbo”. In realtà questo termine non è universale ed è stato utilizzato in maniera globale solo negli anni ’50 per indicare il fenomeno religioso da esso sotteso. Chi è però in pratica lo sciamano.
Mircea Eliade, nella seconda metà del Novecento, scrive il famoso testo Lo Sciamanesimo e le Tecniche dell’Estasi. Per Eliade lo sciamano è coLui che può e sa compiere il “viaggio”. In uno stato alterato di coscienza lo sciamano si muove in un Oltremondo onirico nel quale può controllare le proprie azioni ed esser padrone della propria volontà. Questa definizione, però, alla luce dei successivi studi etno-antropologici, nonché dei movimenti neo-sciamanici odierni, sembra fortemente superata. Infatti, ad esempio, sembrerebbe escludere stregoni, medicine-man, guaritori, e altre figure magiche che sono legate a pratiche che oggi definiremmo “sciamaniche” ma non rientrano nella definizione sopra data. Una definizione assolutamente agli antipodi è invece quella di Mihaly Hoppàl che ritiene lo sciamano, oltre che un uomo che possiede le tecniche dell’estasi, un portavoce delle tradizioni del suo gruppo, una sorta di eterna memoria del clan, e dunque un personaggio dall’importante valenza sociale. Se la definizione di Eliade è forse troppo limitante, quest’ultima appare forse troppo fluida. Alexander Mcdonald li definisce “gli interpreti del Mondo”, mentre per Joan Townsend è un uomo che ha la capacità di dialogare direttamente con gli Spiriti e di averne il controllo in stati alterati di coscienza. Michael Harner, definisce lo sciamano come colui che  conosce le tecniche  per aprire la porta ed entrare in una differente realtà.
John Matthews, nel suo Taliesin, Shamanism and the Bardic Mysteries in Britain and Ireland afferma, "…Gli Sciamani erano gli interpreti degli dèi, i dottori e le guide interiori del loro popolo; loro conservavano i ricordi (oralmente) di ogni famiglia della loro tribù,  importante nel caso in cui un matrimonio tra consanguinei poteva facilmente accadere in piccole comunità - e loro erano gli archivisti della vita della tribù stessa…".
Oggi, anche in funzione dei numerosi movimenti neosciamanici che stanno spingendo più verso quello che potremmo definire una forma di Sciamanesimo “trans-culturale”, sembra corretto dare una definizione più “dilatata” di sciamano, individuando con tale termine colui che ha un rapporto con il mondo degli Spiriti ed esercita un ben preciso controllo sugli stati alterati di coscienza.
Diviene però utile capire chi è lo sciamano non attraverso definizioni ma attraverso le sue capacità e compiti.
Egli non è un sacerdote, ma qualcosa di molto differente, è l’interprete degli dei, colui che può viaggiare nell’Oltromondo per unirsi agli Spiriti e portare di lì informazioni e consigli per se stesso e la comunità. E’ un esperto in trance estatica e conosce il linguaggio degli Spiriti.
Se dovessimo riassumere, le caratteristiche principali dello sciamano sono
1.    Capacità di viaggiare nell’Oltremondo o in Altri Mondi
2.    Conoscenza delle danze rituali e di mimesi naturale
3.    Conoscenza delle Erbe e delle loro proprietà
4.    Essere maestro di animali selvatici e delle iniziazioni
5.    Funzioni di psicopompo.

Sembrano proprio le funzioni del Druido o almeno del neo Druido.
Se dunque la figura del Druido, ma anche del Bardo e dell’Ovate, sembra avere molti punti di contatto con quella dello sciamano, almeno dal punto di vista delle mansioni, cerchiamo di approfondire l’esistenza di uno Sciamanesimo celtico. Approfondiamo per ora le informazioni storiche presenti nel grado Bardo.
Il Druidismo moderno nasce nel 1700 con l’apporto di William Blake associato alla cultura Massonica e Rotariana e al rinato interesse per la storia delle antiche origini e per l’arte antiquaria inglese. Da sempre infatti i siti megalitici come Stonehenge o Avebury avevano attratto la curiosità di vari studiosi, ma fu con l’avvento del Romanticismo che tali costruzioni iniziarono ad interessare direttamente gli storici che cercavano di capirne le origini.
In realtà il metodo della ricerca storico-scientifica non era ancora perfezionato. Molti di costoro, trattandosi di costruzioni pre-romane, le associarono, sbagliando, direttamente ai celti ed ai loro sacerdoti, i druidi. Nasceva così l’accostamento tra Druidi e il Megalitismo.
Il primo ad associare tali siti alle popolazioni celtiche fu un antiquario inglese, John Aubrey, nel suo saggio Templa Druidum, e successivamente un dottore di Lincolnshire, William Stukeley. Stukeley si definì lui stesso un Druido, prendendo il nome di Chyndonax, inciso su una antica stele ritrovata nel 1623 a Digione e realizzò nella propria abitazione un vero e proprio boschetto druidico, un grove, dove svolgeva alcune cerimonie pagane. Creando una sorta di “lignaggio”, Stukeley affermò che i druidi arrivarono in Bretagna dopo il Diluvio universale e sarebbero stati proprio Noè ed Abramo i primi druidi nonché costruttori  dei templi megalitici per il mondo. Sarà sempre Stukeley a definire, in realtà riprendendolo dal famoso testo secentesco Britannia Antiqua Illustrata del 1676, l’archetipo figurativo del druido, caratterizzato da un mantello con cappuccio, un bastone, una tunica corta e una lunga barba bianca. I luoghi di riunione e culto druidici non saranno però solo i nemeton megalitici. Una tradizione orale vuole che nel 1717 nel pub “Apple Tree Tavern” Jhon Toland, una figura chiave per i movimenti neodruidici moderni, avesse radunato i più importanti esponenti dei circoli druidici inglesi, in quello che poi sarà il primo grove ufficiale denominato “Mother grove” di cui Toland divenne Arcidruido, e che fu ufficialmente inaugurato  nell’equinozio di autunno del 1717 a Primrose Hill, una collina situata nella parte nord di Regent's Park, a nord di Londra. Sarà da questo luogo a divenire sacro successivamente per molteplici organizzazioni druidiche. Nel 1747 Edward Williams diede vita al primo movimento druidico gallese, “Gorsedd Beirdd Ynys Prydain”, autoproclamandosi druido con il nome di Iolo Morgannwg. Ancora una volta il luogo scelto per la prima cerimonia avvenuta nel 1792 fu Pilmrose Hill. Fu la prima volta che si ebbe un Eisteddfodau, ovvero una riunione della durata di tre giorni. A Iolo inoltre si devono molti dei rituali druidici moderni tra cui l’importante Invocazione alla Pace che oggi caratterizza la maggior parte dei gruppi neodruidici, nonchè l’utilizzo di particolari oggetti cerimoniali quali la spada, il bastone, la corona, la cornucopia e il famoso corno Gwalad. E’ l’inizio del Revival druidico, nascono i primi groove, letteralmente “boschetti”, ed ordini druidici, in realtà all’inizio più società paramassoniche. Nel 1781 viene fondato l’Ancient Order of Druids, noto con la sigla AOD, nel 1833 The United Ancient Order of Druids e nel 1964 l’OBOD, il moderno Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi. Successivamente, negli Anni ’60, anche grazie all’accostamento della pratica druidica con i nuovi movimenti eco-ambientalisti ed hippies, si riscopre il forte contatto naturale e la sua interconnessione con il mondo sciamanico ed infatti  la maggior parte di coloro che praticano oggi il neo Druidismo utilizzano tecniche sciamaniche. E’ in questo periodo dunque che neo Druidismo e Sciamanesimo iniziano il loro percorso intrecciandosi
Caitlin e John Matthews, membri dell’OBOD dal 1989 al 1992, sono stati i pionieri dell’applicazione di tecniche sciamaniche al celtismo. Un testo davvero molto ben approfondito, di tali autori a cui rimando è Sciamanesimo Celtico.
Successivamente Tom Cowan, nei suoi testi, Sciamanismo: una pratica spirituale per la vita quotidiana e di Il Fuoco nella Testa, cerca di far trasparire dal Druidismo “storico”, di cui effettivamente si conosce poco o nulla a causa della scarsità di documenti e della tradizione di trasmissione orale, la sua primigenia forma sciamanica, cercando anche paralleli con le tradizioni dei nativi americani.
Ma c’è qualcosa che permette di associare ”storicamente” il Druidismo allo Sciamanesimo?
I Celti, durante le loro migrazioni verso Occidente entrarono sicuramente in contatto con le popolazioni proto uraliche assorbendone i sostrati magico-religiosi di stampo sciamanico.
Evidenze sciamaniche riaffiorano nelle saghe irlandesi di Cu Chullinn, nei racconti gallesi del Mabinogion, fino ai più recenti romanzi di Chretien de Troyes.
Alcune di queste letture si trovano nei Gwersu, non solo momenti di lettura ma “indizi” su questo legame spesso celato.
 Si narra così di veggenti chiamati offydd, gli Ovati, che avevano l’abilità di entrare in trance e viaggiare nel mondo degli Antenati. Individui con abilità di channeling li ritroviamo anche nei racconti gallesi con il nome di  awenyddion, ovvero posseduti. Non mancano poi i rituali estatici.
John Matthews in Taliesin: The Last Celtic Shaman, descrive rituali trance-estatici per raggiungere l’illuminazione attraverso l’uso di veri e propri mantra come “Dichetal do chennaib“, (si pronuncia “Diketal de Kenna”).
Questa sorta di stato alterato di coscienza, era anche noto come Imbas forosnai, ovvero il dono di veggenza. Si trattava di una sorta di tecnica di deprivazione sensoriale, per entrare in trance e di ricevere risposte o profezie. Danu Forest nel suo testo Shaman pathways e Robert Wallis in Shamans/Neo-Shamans: Ecstasies, Alternative Archaeologies and Contemporary descrivono approfonditamente questo rituale.
Il druido che doveva entrare in trance, rimaneva al buio assoluto, sotto una pelle di toro per nove giorni o fino a quando non aveva la visione. Mircea Eliade chiama questa cerimonia “bull dream” ovvero Tarbfeis.
Secondo alcuni studiosi oltre al buio il druido era costretto a cibarsi esclusivamente di carne di toro e a bere il suo sangue favorendo così una sorta di ipervitaminosi da vitamina A che a sua volta favoriva vomito, diarrea e dunque una sorta di alterazione fisica che favoriva così la visione. Tracce di questa cerimonia le troviamo nell’archeologia e nel folklore. Alcune divinità celtiche sono raffigurate come antropomorfe dai caratteri taurini, come la testa del dio-toro Taranis ritrovata a Lezoux, in Francia, e datata I sec. a.C. Sono immagini che enfatizzano il legame tra gli Spiriti animali e l’uomo che, fondendosi con essi, diviene druido e sciamano.