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mercoledì 30 settembre 2020

Jacques Bergier: «Come nacque “Il mattino dei maghi”»

tratto da: http://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2019/11/24/jacques-bergier-come-nacque-il-mattino-dei-maghi/

di Andrea Scarabelli


È appena uscita, per Edizioni Bietti, la traduzione italiana di Io non sono leggenda, l’autobiografia di Jacques Bergier, il mitico autore de Il mattino dei maghi, manifesto del “realismo fantastico” scritto a quattro mani con Louis Pauwels e pubblicato da Gallimard nel 1960. L’edizione dell’autobiografia dell’“Amante dell’Insolito e Scriba dei Miracoli” (come lui stesso aveva fatto scrivere sul suo biglietto da visita) comprende vari materiali aggiuntivi, molti dei quali pubblicati in prima edizione mondiale. Oltre a un ricordo dell’autore ad opera di Sebastiano Fusco, che lo incontrò in varie occasioni, il volumetto contiene un ricco apparato di note, un capitolo tagliato nell’edizione francese (Retz, 1977) e il progetto editoriale di una delle opere che avrebbe dovuto costituire il seguito di un libro epocale come pochi altri. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo qui un estratto del capitolo di Io non sono leggenda dedicato all’incontro tra Jacques Bergier e Louis Pauwels – il primo, scienziato e fisico comunista, il secondo, amante della spiritualità e discepolo di Gurdjieff, nonché uomo di destra – contenente anche informazioni su come nacque Il mattino dei maghi, nonché sulle reazioni “a caldo” del pubblico di fronte alla sua comparsa.

Non sempre riesco a decifrare le tracce del futuro. Mi capita di fare previsioni con una tale esattezza che sfiora il paradosso temporale, ma spesso ciò non succede. Quando incontrai Louis Pauwels, nel 1959, non avrei mai immaginato che ciò avrebbe cambiato molte vite. Grazie agli studi di cui ho già parlato, entrai in contatto con l’alchimista René Alleau, che mi presentò Pauwels. Ciò che mi colpì – e continua a colpirmi – è la sua curiosità. Pauwels è di una curiosità indomita, una disposizione naturale frequente tra i russi e gli europei dell’Est ma molto rara in un europeo occidentale.

Quando lo conobbi, aveva appena concluso Monsieur Gurdjieff. Ci scambiammo riflessioni e idee, e progettammo un’opera che non avrebbe mai visto la luce: uno studio globale sulle società segrete. Tale progetto – come scoprimmo solo dopo – era del tutto impossibile, per il semplice fatto che se una società è davvero segreta è impossibile studiarla.

Il progetto morì dunque di morte naturale, ma io e Pauwels continuammo a collaborare. Andavo da lui, a Mesnil, e passavamo intere giornate a parlare, dopodiché si svegliava alle quattro del mattino e cominciava a dattiloscrivere le nostre conversazioni. Tale metodo – che usiamo tuttora – è anche alla base del suo libro L’ammirevole Blumroch. Ovvero, la colazione del superuomo. Tutto parte da uno scambio di riflessioni e informazioni. Mi duole non aver conservato i fascicoli che costituivano il punto di partenza delle mie storie, ma non potevo prevedere che i nostri lavori sarebbero stati analizzati e commentati da cima a fondo. Alcuni di questi fascicoli si trovano a casa di Pauwels, altri nella camera blindata del ristorante Quick-Élysées (Champs-Élysées, 114), che funge da magazzino, ma purtroppo la maggior parte di essi è andata perduta.

Mentre Il mattino dei maghi cresceva, ci accorgemmo che la sua struttura era altrettanto bizzarra e unica: vi avevamo inserito lunghe citazioni, ma anche storie di pura immaginazione – cosa che, per quanto ne so, non è mai stata fatta da nessuno. Quando ci mettemmo alla ricerca di un titolo, io proposi Approcci generali, che però avrebbe generato confusione, avendo un taglio, per così dire, umoristico. Suggerii allora Il Graal e la Galassia, ma Claude Gallimard, futuro editore dell’opera, ci fece notare che pochissimi sapevano cosa fossero il Graal e le galassie (e come dargli torto, pensando ai lettori di Sartre e Gide?). Fu Pauwels a trovare Il mattino dei maghi, titolo definitivo del libro, che uscì nel 1960.

La sua pubblicazione ha suscitato numerose reazioni. Jean Paulhan e Raymond Queneau mi dissero che, se avessero letto il manoscritto, per consentirne la pubblicazione l’editore sarebbe dovuto passare sul loro cadavere.

Impossibile ricordare tutti gli attacchi. Un integralista (l’estrema destra della Chiesa cattolica) scrisse un libro in cui dimostrava che Il mattino dei maghi ci era stato dettato da Satana in persona. Comunisti e uomini di sinistra pubblicarono studi dimostrando che era una macchinazione per distogliere il popolo francese dai veri problemi. Un autore tedesco di fantascienza, Walter Ermsting, spiegò che il libro ci era stato trasmesso telepaticamente dal sistema solare di Altair. Quanta immaginazione…!

Lavorando con Louis Pauwels forse non avrò penetrato i grandi segreti cosmici, ma ho imparato due cose. Anzitutto, che un non-scienziato può essere un uomo valido e degno di amicizia; prima di conoscerlo, consideravo questa tipologia al di sotto del livello umano. In secondo luogo, il nostro rapporto mi ha insegnato l’importanza dello stile. L’enorme successo de Il mattino dei maghi è dovuto in gran parte allo stile di Pauwels. Per quanto mi riguarda, non nutro l’ambizione di essere uno scrittore, ma so di avere un gran talento nel raccontare storie. Quando discutevo con Pauwels, gli parlavo come se mi trovassi davanti al fuoco del campo coi miei compagni di lotta, o nei campi di concentramento cogli altri deportati.

Di recente, agli inizi del 1976, ho esaminato l’ultima edizione de Il mattino dei maghi. Il novantadue per cento dei fatti indicati all’interno del libro è esatto; purtroppo non siamo riusciti a verificare la restante parte, essendo coperta dal segreto militare: ebbene, la veridicità del nostro libro è superiore a quella di qualsiasi altra opera scientifica contemporanea. L’esattezza dei migliori libri scientifici non supera in media il cinquanta per cento, vale dire che un fatto su due è falso. Nemmeno i dubbi degli scienziati cambiano nulla. Quando sono al potere, come gli antropologi nella Germania hitleriana o Lyssenko nella Russia di Stalin, spediscono chi contraddice le loro teorie nei campi, inverando le parole di Max Planck: «La verità non trionfa mai, ma i suoi avversari hanno il brutto difetto di morire sempre». Non amo affatto il termine “divulgazione” e credo sia impossibile “divulgare senza volgarizzare”, come recita il motto di una nota casa editrice. Ma si può certamente spiegare, anche se ciò implica un tradimento: infatti, il solo linguaggio della verità è di tipo matematico, e la matematica non può essere espressa a parole. Mi sono dovuto sforzare parecchio per inserire ne Il mattino dei maghi una sola formula matematica. Anche Jacques Monod ce l’ha fatta, nella sua celebre opera Il caso e la necessità, antitesi (o antidoto?) de Il mattino dei maghi. Tuttavia, se è giusto difendere ciò che si crede vero, bisogna essere anche capaci di evitare l’errore. Ebbene, l’unica formula inserita da Monod nel suo libro è sbagliata…

Sono convinto che gli aspetti più favolosi del mondo possano essere formulati solo a partire dalla matematica, ma che sia altrettanto necessario parlarne con uomini come Pauwels, dotati di una certa dote poetica. Ho avuto un’esperienza analoga – piuttosto deludente – con il cineasta Alain Resnais, a cui ho esposto le teorie matematiche moderne sul tempo. Non ci ha capito nulla, ma qualcosa è passato, generando film come L’anno scorso a Marienbad, in cui un uomo incontra una donna ben prima di averla vista, e Je t’aime, je t’aime, storia di un viaggiatore nel tempo che orbita sempre intorno a un istante (la sua destinazione), prima di fermarsi.

Lavorare con Pauwels è piacevole. È al tempo stesso entusiasta e critico – il solo atteggiamento possibile quando, come disse Talbot Mundy, si attraversano frontiere in cui «gli avvenimenti, come le sentinelle, aprono il fuoco senza preavviso». Ecco perché ne Il mattino dei maghi non si trovano (e solo Dio sa quante ne abbiamo vagliate!) truffe come dischi volanti, astrologia, radioestesia, ectoplasmi, guaritori filippini… I nostri emulatori non hanno avuto la stessa onestà, ma non possiamo farci nulla.

È difficile spiegare come mai io e lui non abbiamo mai litigato, cosa che accade spesso durante le collaborazioni. Penso sia dovuto al fatto che la nostra relazione non è competitiva. Ciò che interessa a me non importa a lui, e viceversa, facendo sì che la nostra sia una visione binoculare dell’universo, a cui teniamo parecchio (come noto, lo sguardo binoculare è reso possibile dalla distanza che separa gli occhi). Per continuare con questa metafora, potrei dire che il nostro sguardo intercetta radiazioni che di norma l’occhio non percepisce. Risiede qui il nucleo del realismo fantastico.

L’espressione risale allo scrittore belga Franz Hellens e si applica perfettamente al nostro percorso – anche se tengo a precisare che non è una filosofia in senso vero e proprio, quanto piuttosto un atteggiamento di fronte alle cose. È infatti impossibile, al contrario di quanto ripetuto giorno e notte dagli sciocchi, “aderire” al realismo fantastico. A questo proposito, ricordo sempre l’aneddoto del segretario di Darwin.

«Signore» gli disse, «c’è qui una che ha letto la sua opera. Vorrebbe dirle che ha finalmente accettato l’universo!».

«Alla buon’ora!» tagliò corto Darwin.

Il realismo fantastico rende l’universo più gradevole, ma è impossibile che dia i natali a una religione o una filosofia. Il mattino dei maghi uscì nel 1960. Allo stato attuale delle cose, gli manca solo l’indice dei nomi. Ma Pauwels e io non ne possiamo davvero più. Io credevo che l’opera passasse inosservata. Pauwels, più ottimista, sperava di raggiungere le mille copie. Entrambi avevamo fatto male i conti…


sabato 19 settembre 2020

Libri che uccidono, alchimia ed energia atomica

tratto da http://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2020/01/21/libri-che-uccidono-alchimia-ed-energia-atomica/

di Andrea Scarabelli

La sera del 21 marzo 1919, a Parigi viene presentato un singolare poema in prosa dadaista, dal titolo Voyages en Kaléidoskope. Pubblicato cinque mesi prima dalla casa editrice di Georges Cres e tutt’ora inedito in italiano, è firmato da Irene Hillel-Erlanger, poetessa ebrea già autrice di varie antologie con lo pseudonimo di Claude Lorrey nonché collaboratrice di Germaine Dulac, regista del cinema muto francese. Nata il 30 giugno 1878, era tra le promotrici del neonato movimento dadaista, amica di Breton e Aragon (si vocifera, tra l’altro, che il racconto erotico, firmato dal secondo, Le con d’Irène, fosse dedicato proprio a lei…). Sta di fatto che, come racconta Serge Hutin nel suo libro Governi occulti e società segrete, tradotto negli anni Settanta all’interno della mitica collana di Mediterranee “la Biblioteca dei Misteri”, durante quel cocktail, dopo aver distribuito copie omaggio del libro ai giornalisti e agli amici presenti, l’autrice muore per una singolare intossicazione da ostriche. Nessun altro invitato registra il benché minimo malessere; in compenso, il giorno dopo qualcuno acquista tutte le copie in circolazione del Voyages, facendolo così sparire dalle librerie.

La trama del prose-poem è, in realtà, molto semplice: sintetizzando chimicamente misteriosi fluidi e metalli, lo scienziato e occultista Joel Joze mette a punto un caleidoscopio capace di rivelare la natura nascosta delle cose. Così come nella Fosca del nostro Iginio Ugo Tarchetti, Joel è infatuato di due donne: la Contessa Vera, stella della Parigi notturna, spregiudicata e crudele, e la più discreta Grace, che indossa sempre un velo. Lo scienziato sceglie ovviamente la prima, che però lo riduce sul lastrico, fino a quando viene a salvarlo Grace. Quando questa si toglie finalmente il velo, Joel scopre che lei e Vera sono in realtà sorelle, per così dire due emanazioni della stessa persona. La prima è il tempo, la seconda l’eternità; l’una è la realtà, l’altra la verità.

Incastonato in fronte, celato dal velo, Grace porta un diamante bianco, che nel corso della tenzone ingaggiata con la rivale genera un’immane quantità di forza “sottile” (una sinistra anticipazione dell’energia atomica?), radendo al suolo l’intera Ville Lumière. Una trama singolare, che secondo molti celerebbe tracce ermetiche dalla prima all’ultima pagina, su come preparare la Pietra dei Filosofi, portando a compimento la Grande Opera. Difficile dire se l’autrice si occupasse operativamente di alchimia – certo è che conosceva quell’ambiente, assai florido nella Belle Époque. Fu molto probabilmente da queste frequentazioni che nacque quello che è e rimane un autentico testo a chiave. D’altronde, nel dicembre 1919, tre mesi prima di morire, sulla rivista Literature lei stessa aveva offerto una chiave di lettura, scrivendo che «enigmi e segni si trovano ovunque. Basta solo saperli leggere».


Col passare degli anni, dopo quel cocktail fatale nessuno parlò più di lei. Fino al 1945, quando Eugen Canseliet, discepolo dell’enigmatico Fulcanelli, scrisse nei Due luoghi alchemici di aver ricevuto dal suo maestro il compito di recuperare copia di quel testo. Come noto, uno dei dettami alchemici prescrive il cosiddetto “segreto iniziatico”, ossia di non rivelare mai ai profani gli enigmi dell’Ars Regia. E quel libro pullula di enigmi cifrati, tra cui un termometro che secondo alcuni indicherebbe il “segreto alchemico delle temperature”. Che qualcuno avesse voluto punire l’autrice, avvelenandola e incaricandosi poi di ritirare tutte le copie del libro incriminato dalla circolazione? O che lei stessa avesse voluto lanciare un monito agli apprendisti stregoni dell’era atomica, anticipando di un paio di decenni i macelli di Hiroshima e Nagasaki?

Nessuno lo saprà mai. E chi sa è meglio che non dica nulla. Concludo con un piccolo aneddoto: nel 1971, Jacques Bergier pubblicò in Francia I libri maledetti, tradotto in italiano l’anno dopo sempre ne “la Biblioteca dei Misteri”. La tesi del libro è molto semplice: dall’inizio dei tempi, esisterebbe una misteriosa congrega (gli Uomini in Nero) che si occuperebbe di far sparire dalla circolazione quei libri che potrebbero portare l’umanità a un repentino sviluppo evolutivo. Altro che censori! Considerando la scarsa responsabilità mostrata da certi uomini di potere alle prese con gli enigmi della materia, i membri della setta, in sostanza, avrebbero come compito quello di salvare l’umanità da se stessa. Ebbene, nel Fondo Jacques Bergier (Biblioteca di Saint-Germain en Laye) è contenuto il manoscritto dell’indice originario del libro, pubblicato da Marc Saccardi nel suo ricco libro Amateur d’insolite et scribe des miracles (L’OEil du Sphynx, Paris 2008). Nel manoscritto compaiono tutti i capitoli poi finiti nell’edizione stampata. Tutti, salvo uno, cancellato nervosamente a penna dall’autore. Ecco il suo titolo: «Chapitre IX. Le “kaléidoskope” d’Irene Erlanger».