sabato 29 agosto 2020

ALCHIMIA La quintessenza della mente

 tratto da "Il Giornale" del 02/01/2007

Questa falsa scienza è come un fiume carsico nella storia dell'umanità Riemergendo, a esempio, nei rosacrociani o nella New Age. Un'antologia dei «testi della tradizione occidentale»

di Giuseppe Bernardi

Alla parola «alchimia», che si dovrebbe forse pronunciare «alchìmia», associamo subito la medioevale ossessione, ristretta a pochi, della trasmutazione dei metalli, e tendiamo probabilmente a lasciar cadere lì l’argomento. A un gradino successivo d’attenzione possiamo riflettere sul fatto che era un’arte con la quale si credeva di convertire i metalli in oro, il metallo perfetto, e di creare pozioni capaci di guarire qualsiasi malattia. A un livello ulteriore di disponibilità riflessiva, si stabilirà che quest’arte, stata pagana prima che alto- e basso-medioevale, cercava la trasmutazione dei metalli vili attraverso l’individuazione di un unico principio attivo, la «quintessenza», la pietra filosofale, strada che doveva condurre all’elisir di lunga vita, alla sulfurea aspirazione faustiana dell’eterna giovinezza, tutte pratiche sospette che la Chiesa ovviamente s’affrettò a bollare come demoniache.

È forse lecito pensare che tali studi misterici, e le loro pratiche, si svolgessero in ambiti circoscritti e marginali, senza grande risonanza nel mondo, come dire, nel «lavoro» e in tutte quelle attività che esso macinava, dai commerci alle arti. Se Dante nel canto XXIX dell’Inferno si prende la briga di citare un falsario alchimista, da lui conosciuto personalmente e finito male («Sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,/ che falsai li metalli con l’alchìmia;/ e te dee ricordar, se ben t’adocchio,/ com’io fui di natura buona scimia»), è assai dubbio che, nei secoli di fioritura dell’alchimia, fra Tre e Quattrocento, il mercante o il calzolaio fiorentino, o il piccolo armatore veneziano impegnato a battere le coste dell’Istria e della Dalmazia, avessero per la testa l’alchimia. Insomma, del sogno alchemico, falsa scienza che presagiva peraltro la nascita, nella seconda metà del Seicento, di una scienza vera, la chimica, parrebbe di non poter parlare se non in termini storici.

Invece, è da questo nostro ultimo assunto in poi, nel senso di una sua implicita smentita, che sembra partire l’enorme lavoro esegetico, compilatorio, antologico, che è ora depositato in Alchimia. I testi della tradizione occidentale, a cura di Michela Pereira («I Meridiani. Classici dello spirito», pagg. CXXXVI-1566, euro 55). Infatti, come dice nel dottissimo saggio introduttivo la curatrice, la tradizione alchemica, con il suo simbolismo che aspira all’integrazione della mente col mondo, attraverserebbe, come un lungo fiume carsico dalla linfa nascosta, i secoli fino a noi alimentando la nostra cultura, «ma a cui possono attingere solo quanti non hanno paura di avventurarsi nel profondo».

Nelle sue vene, diverse per origine, contenuti, lingua, la tradizione alchemica, partendo dallo scopo originario di perfezionamento della materia, di cura del mondo, di purificazione di sé, si sarebbe col tempo arroccata nel mito, anche per un’orgogliosa diversificazione dalle scienze moderne, e si troverebbe radicata «nei gruppi esoterici ancora vitali e attivi nella realtà politica e nella cultura», come il movimento rosacrociano, per arrivare persino alla New Age. Cosa non si farebbe pur di rimanere abbarbicati all’irrazionalismo? Pur di rifiutare la vetusta ma sempre pericolosa idea di progresso, con le sue scienze sociali? Pur di sfuggire alla delusione delle ideologie per avervi demandato l’esigenza di risposte assolute, come nelle religioni? Pur di non liberarsi da una dolorosa ma seduttiva nostalgia di divino, quella che spingeva gli alchimisti a cercare di ri-creare il Paradiso, a ricevere forse i misteri dell’integrità di sé col mondo attraverso i segreti trasmessi dagli angeli caduti?

In quel «quanti non hanno paura di avventurarsi nel profondo» c’è quasi una velata minaccia, un affettuoso avvertimento paterno, anzi materno, trattandosi di una emanazione dello spirito junghiano, cui la curatrice pare particolarmente devota. Benché sembri che siano passati secoli (e per la fine dell’alchimia millenni) da quando una sessantina d’anni fa Carl Gustav Jung scrisse mirabili testi sullo spirito Mercurio, sui rapporti tra psicologia e alchimia, o meglio sugli apporti dell’alchimia alla psicologia, i suoi concetti fondamentali, secondo cui la simbologia alchemica riusciva a portare in superficie le strutture archetipiche della personalità umana utili alla rigenerazione dell’io, paiono resistere al tempo anche nella loro traslata applicazione. E chi ha avuto l’occasione di visitare la casa di Jung sulle rive del lago, a Küsnacht, vicino a Zurigo, e di vedere dipinte sulle pareti le sue figurazioni orientali, piene di sogno e di simbologie indiane e tibetane, non può non sentire ancora la suggestione del luogo e dell’uomo che l’abitò. E viene anche in mente un passo che concentra e relativizza il pensiero di Jung sull’alchimia: «Certo la produzione dell’oro e in genere l’indagine della natura chimica era una grande istanza dell’alchimia. Ma ancora più grande, più appassionante, sembra esser stata, non si può dire "l’indagine", ma piuttosto l’esperienza dell’inconscio. Che per tanto tempo non si sia capita questa parte dell’alchimia - la sua mistica - dipende puramente dal fatto che nulla si sapeva dell’inconscio sovrapersonale e collettivo».

Lo sforzo prodigioso della curatrice di presentare e commentare una vastissima e significativa scelta di testi della tradizione alchemica, dallo pseudo-Democrito e da Zosimo di Panopoli a Giabir ibn Hayyan con tutta la sua scuola, da Ermete Trismegisto a Michele Scoto, da Stefano d’Alessandria a Ruggero Bacone, da Raimondo Lullo a Paracelso, e a decine d ‘ altri autori, è inteso proprio nel senso di fornire un contributo al «significato filosofico della quête alchemica e del suo ruolo nella cultura europea», ruolo evidentemente ritenuto vivo e fluente. «Dire l’indicibile» sembra essere al fondo di questa quête, che, accanto a un atteggiamento di mistero e a una volontà di occultazione, presenta una proliferazione di testi, ripetitivi, apparentemente didascalici, ciascuno con apporti propri, tendenti tutti a un sapere che lotta di continuo con la sua intraducibilità in linguaggio, perché è un sapere che si può ottenere eventualmente attraverso l’esperienza intuitiva, attraverso una specie di aspirato donum Dei, che consentirebbe di penetrare la materia, di condurre la mente dentro le dinamiche naturali, nell’afflato di una trasformazione della realtà, di una riunificazione e scambiabilità di corpo e spirito, di alto e basso, di maschio e femmina.

Ma tutto ciò rimase, nella tradizione alchemica finché durò, una lotta, non riservata all’alchimia soltanto. Senza nostalgia dell’Eden, non hanno cercato forse di dire l’indicibile don Chisciotte, la signora Bovary, Gregor Samsa, Bloom?



sabato 22 agosto 2020

Alchimia, Ufo o beffa? E' il libro più misterioso

 tratto da Il Giornale del 5 marzo 2009

Il manoscritto Voynich: scritto in una lingua sconosciuta, illeggibile da 500 anni. Ha sconfitto crittografi, archeologi e computer. Uno studio scientifico rilancia l’enigma

di Luigi Mascheroni

Ha fatto impazzire storici e linguisti di ogni Paese, ha resistito agli attacchi dei crittografi di eserciti e servizi segreti di mezzo mondo, ha sconfitto i più sofisticati software di decifrazione di codici, ha ammutolito scienziati e filosofi.

È un piccolo volume formato da un centinaio di fogli scritti a mano, di cui non si conosce l’autore, né la data né il luogo di composizione: è conosciuto come «manoscritto Voynich», dal nome inglesizzato dell’antiquario russo di origini polacche Wylfrid Wojnicz che lo acquistò per il suo negozio londinese dai gesuiti del collegio di Villa Mondragone, a Frascati, nel 1912. Ed è considerato l’enigma letterario più sorprendente di tutti i tempi, il libro più misterioso della storia. Che nessuno è in grado di leggere.

Risalente a un periodo compreso fra la fine del Quattro e la prima metà del Cinquecento, scritto in una lingua misteriosa e indecifrabile, arricchito da numerose illustrazioni a colori di piante ignote ai botanici, animali rari, strane figure femminili, stelle e diagrammi, il «manoscritto Voynich» resiste da mezzo millennio a ogni tentativo di decodificazione e traduzione: ha battuto i geroglifici egizi, la scrittura cuneiforme, persino la leggendaria Lineare B minoica. Il suo silenzio è impenetrabile. Pochissimi lo hanno potuto maneggiare - il manoscritto è custodito alla Beinecke Rare Book Library dell’università di Yale -, qualche studioso lo conosce attraverso la riproduzione pubblicata dall’editore francese Jean-Claude Gawsewitch nel 2005, i più ne hanno solo sentito parlare, tramandando il «mistero» attraverso studi specialistici, siti internet, persino romanzi fantasy.

Oggi la storia di questo occulto rompicapo letterario è raccontata, insieme ai numerosi tentativi di decifrazione e alle più fantasiose ipotesi interpretative - un messaggio in codice di una civiltà extraterrestre, un clamoroso falso rinascimentale, un’“enciclopedia” di arcani saperi per una setta di iniziati... - è ripercorsa dal primo saggio scientifico dedicato all’argomento mai apparso in Italia: L’enigma del manoscritto Voynich dello studioso argentino Marcelo Dos Santos (Edizioni Mediterranee).

Secondo una lettera in latino, datata 1666 e trovata allegata al testo, il volume fu acquistato nel 1568 dall’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, collezionista di nani per il divertimento della corte e di libri esoterici ed altre mirabilia per il proprio piacere. Poi nel XVII secolo scomparve, per riapparire agli inizi del ’900 nella biblioteca gesuita dove lo trovò Wojnicz.

Ma chi l’ha scritto, e perché? Nel 1921 il filosofo statunitense William R. Newbold, specialista in codici cifrati nella Prima guerra mondiale, sostenne che il manoscritto fosse opera del filosofo Ruggero Bacone (1214-93). Altri, confondendo il cognome di Ruggero Bacone, del filosofo rinascimentale Francis Bacon. Negli anni Cinquanta il crittografo americano William Friedman individuò una serie di “ridondanze”, ossia ripetizioni di alcune parole, simili alle formule chimiche, ipotizzando si trattasse di un antico erbario. Nel 1962 Edith Sherwood fece notare la similitudine fra la calligrafia del manoscritto e la scrittura speculare di Leonardo da Vinci; nel 1978 il linguista John Stojko considerò il testo una raccolta di lettere scritte in ucraino, successivamente codificate, ma senza capirne il senso; mentre negli anni Ottanta il fisico Leo Levitov assicurò che il manoscritto fosse opera degli eretici Catari e che celasse i segreti del Giardino dell’Eden. Infine lo psicologo inglese Gordon Rugg, docente di Scienze del calcolo all’Università di Keele, nel 2003 è giunto alla conclusione che si tratti di un falso cinquecentesco, realizzato dall’avventuriero elisabettiano Edward Kelley con la complicità dell’alchimista John Dee per vendere, dietro un compenso di 600 monete d’oro, un testo incomprensibile abilmente contraffatto all’imperatore Rodolfo II. Senza però riuscire del tutto a convincere esperti e profani della reale natura dell’unico libro esistente che nessuno sa leggere: un trattato di alchimia in codice, il delirio di un pazzo, una scrittura perduta o una beffa d’artista?



mercoledì 19 agosto 2020

In Ungheria per scoprire i Garabonciás diák

In collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/garaboncias-diak-i-maghi-erranti-della-tradizione-ungherese/

Garabonciás diák i maghi erranti della tradizione ungherese


Perso in alcune ricerche sulla magia e religiosità popolare ho incontrato sulla mia strada i Garabonciás diák. Approfondirò questo argomento in ulteriori più dettagliati articoli, oggi ti riporto il video sui Garabonciás diák. Mi sono imbattuto in questi maghi erranti, quasi per caso, ero partito studiando alcuni fenomeni magico religiosi del sul Italia e risalendo lo stivale dopo aver incrociato i Benandanti in Friuli ho trovato i Grabancijaš dijak subito dopo il confine ed arrivare in Ungheria è stato quasi fisiologico.

Come noterai dall’immagine di copertina questo video fa parte di un mio nuovo progetto: La valigia di Hermes. 

La valigia di Hermes diventerà una sezione di questo sito e al tempo stesso è pensata come un programma dal vivo e in studio, sia video sia in podcast. Per ora le dirette sono su Facebook, per le puntate in studio mi sto organizzando e spero in autunno di saperti dire qualcosa di più, stesso discorso per i podcast.


Ve non conosci la mia pagina Facebook ecco il link per scoprirla e spero seguirla: Michele Leone: Esoterismo e Società Segrete


Ti riporto il link al mio canale Youtube: Michele Leone


Ecco il video sui Garabonciás diák:


Se conosci qualche tradizione popolare o particolare legata alla magia, alla preghiera, a riti particolari, se ne sei stata/o  testimone, se hai ricevuto dalla nonna o da qualche zia formule o ricette particolari sarei felice di conoscerle. Puoi inviarmi una mail a questo indirizzo info chiocciola micheleleone.it o compilare il form che trovi qui nel sito.

Torno alle mie esplorazioni, non mi resta che augurarti  

Gioia – Salute – Prosperità

martedì 11 agosto 2020

Il mistero dell’Ufo che spaventò Mussolini e sparì in America

tratto da "Il Giornale" del 20 marzo 2017

Nel giugno del '33 un Ufo si schianta in Italia. Il regime di Mussolini insabbia tutto. Ma secondo Pinotti, del Centro ufologico nazionale, quell'avvenimento spinse il Duce ad allearsi con Hitler

di Gabriele Bertocchi


C'è una storia misteriosa di Ufo tenuta nascosta e seplata dal regime fascista, guidato da Benito Mussolini.

È quella di un velivolo non identificato che si schiantò nei pressi del Lago Maggiore, in Italia.

Un avvenimento che, secondo Roberto Pinotti, fondatore e segretario del Centro ufologico nazionale, potrebbe ridefinire la storia del periodo pre-bellico e l'alleanza tra Mussolini e Hitler. L'Ufo - termine che al tempo dei fatti non era stato ancora coniato - si è schiantato al suolo il il 13 giugno 1933 al confine tra Piemonte e Lombardia, più precisamente a Vergiate, in provincia di Varese, non troppo distante dall'aeroporto di Malpensa. Tra i resti di quel velivolo, non solo rottami: vengono rinvenuti anche i corpi dei piloti.

La paura di Mussolini

L'unica traccia e testimonianza del primo caso ufologico in Italia è un dispaccio dell’agenzia Stefani, di carattere "riservatissimo". La vicenda venne immediatemente secretata, anche se un ufficio, il Gabinetto RS/33, di cui faceva parte anche Guglielmo Marconi, continuò a occuparsi. Ora a provare a fare chiarezza è Roberto Pinotti, durante il convegno "Ufologia" ad Arona. Il professore ha spiegato che "i resti dell’Ufo, che nei disegni viene descritto come un velivolo cilindrico, con una strozzatura poco prima del fondo, con oblò sulla fiancata, da cui uscivano luci bianche e rosse, furono portati nei capannoni della Siai-Marchetti a Vergiate, dove rimasero per 12 anni. Così come i corpi dei piloti, conservati in formalina, a lungo studiati. Si sa che erano alti 1,80, avevano capelli e occhi chiari".

Dalle fattezze dei corpi rinvenuti, Pinotti, come riportato su La Stampa, avanza la sua personalissima ipotesi, fondata sulla somiglianza tra i due alieni e i piloti tedeschi. "Il Duce credette, forse, che sarebbe stato opportuno allearsi con una potenza militare come quella della Germania nazista, capace di produrre un velivolo mai visto prima, piuttosto che averla come nemica", afferma il segretario Centro ufologico nazionale.

I resti spediti negli States

Il mistero però negli anni è rimasto tale. Infatti, a guerra finita gli Alleati hanno preso in custodia quelle case e le hanno spedite in America. Ma il giallo non si risolve, anzi, come fa notare Pinotti si infittisce: "Stranamente le tre persone che erano a conoscenza del trasporto di quelle casse negli Usa sono morte, due in incidenti di mare, una suicida".

Come è evidente ci sono ancora tante risposte mancanti. Ciò che è certo è che gli esperti sono concordi nel sostenere come la zona tra Lago Maggiore e Ticino è tra quelle con più segnalazioni di oggetti non identificati

sabato 8 agosto 2020

La Cia pubblica i suoi "X-Files"

 tratto da Il Giornale del 31/01/2016 

La Cia pubblica i suoi "X-Files", concedendo al pubblico la possibilità di guardare alle indagini sugli Ufo e gli alieni fra il anni 1940 e gli anni 1950

di Andrea Riva


La Cia pubblica i suoi "X-Files", concedendo al pubblico la possibilità di guardare alle indagini sugli Ufo e gli alieni fra il anni 1940 e gli anni 1950.

"Guardate i nostri X-Files. Abbiamo deciso di mettere in evidenza alcuni documenti che sia gli scettici sia coloro che credono" negli Ufo "troveranno interessanti" afferma la Cia sul proprio sito internet, dividendo i documenti in due categorie.

Ispirandosi alla serie tv di successo '"he X-Files" e ai suoi protagonisti, gli agenti Fox Mulder e Dana Scully, la Cia divide i documenti proprio in base a loro: in quelli che l'agente Mulder userebbe per cercare di persuadere gli altri sull'esistenza di attività extraterrestre, e quelli che l'agente Scully userebbe per offrire spiegazioni scientifiche alla visione degli Ufo.

Uno dei casi della Cia nel file dell'agente Mulder risale al 1952, quando un oggetto "simile a una grande padella volante" è atterrato in Germania. La Cia cita un testimone oculare che, una volta avvicinatosi al luogo dell'atterraggio dell'oggetto, ha visto due uomini con indosso una tuta metallica brillante. I due si sono chinati verso il testimone oculare, per poi tornare alla "grande padella volante" e spuntare il volo. "L'oggetto ha iniziato a sollevarsi lentamente da terra e a ruotare" riferisce il testimone alla Cia, sottolineando che anche se inizialmente pensava di sognare poi avvicinandosi al terreno ha visto l'impronta circolare dell'oggetto volante.

Fra i file anche i documenti e i pareri della commissione scientifica sugli Ufo. I ripetuti avvistamenti nel 1952 non avevano dati nè prove solide per poter essere spiegati e la commissione ha concluso all'unanimità che non c'era una diretta minaccia alla sicurezza nazionale con gli avvistamenti. Molti infatti non erano altro che aerei militari, luce riflessa da cristalli di ghiaccio e chiari raggi di luce.

giovedì 6 agosto 2020

Tradizioni e Misteri vol. 3



Vi presentiamo il terzo volume di Tradizioni e Misteri con articoli di Nicoletta Travaglini, Cavaliere Vermiglio e Vito Foschi, una pubblicazione non periodica dedicata alle tradizioni e ai misteri. La pubblicazione è aperta alla collaborazione di altri. Per chi volesse proporre dei testi, l'indirizzo mail di riferimento è il seguente: tradizioniemisteri@gmail.com.


L'indice del terzo volume:

MILLE VOLTE DONNA  
BREVE RECENSIONE A "L'ALTRA EUROPA" DI PAOLO RUMOR  
LE FATE  
BREVI NOTE SUL SIMBOLISMO DEL POLPO  
I MISTERI DI ROCCASCALEGNA
LA LEGIONE PERDUTA  
BREVI NOTE SUL FILM NOAH  
LA LEGGE DEL RITMO: ESPANSIONE E CONTRAZIONE 


Sperando che l'opera possa risultare gradita ai più, precisiamo che è liberamente scaricabile e distribuibile senza apportare modifiche:

domenica 2 agosto 2020

X° Convegno di Ufologia città di Pomezia


“X° Convegno di Ufologia città di Pomezia” si terrà il 6 settembre 2020 presso la bellissima terrazza attico del Simon Hotel organizzato dalla sempre attiva Francesca Bittarello. In seguito alle nuove Direttive sugli eventi dovute all’Epidemia del Covid- 19 ecco le regole basilari per i tanti spettatori che giungeranno a Pomezia per assistere al Convegno ovvero:

1) misurazione della temperatura obbligatoria per poter accedere in sala
2) uso mascherina per accedere in sala 
3) prenotazione anticipata e obbligatoria sino ad esaurimento posti. 

La prenotazione è obbligatoria perché ci sarà un distanziamento a norma di legge tra gli spettatori quindi anche se la sala attico è molto ampia in seguito al distanziamento delle sedie ci saranno ovviamente meno posti.
La prenotazione obbligatoria su whatsapp o via sms al cellulare 329.4218323 o su Messanger al  nominativo Francesca Bittarello. Costo di entrata al Convegno 6 € a persona comprensivo di un gadget personalizzato.
Poi relatori quali oltre a Francesca Bittarello, Pablo Ayo, Maurizio Baiata, Dario Del Buono, in Videoconferenza diretta Antonio Chiumiento, un Vigile del Fuoco che parla dell’ alieno di Pescara, e Filiberto Caponi e Carlo Daniele.
Must del Panino Alieno per tutti.