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lunedì 24 settembre 2012

La caccia al numero perfetto per trovare il senso della vita

Tratto da "Il Giornale" del 31 dicembre 2010


di Matteo Sacchi

Milano - Armonia, proporzione. Quel qualcosa che consente a una forma, a un oggetto o ad un essere vivente, di espletare al meglio le sue funzioni e, perché no, di avvicinarsi il più possibile all’ideale della bellezza. Quella bellezza che l’occhio percepisce istintivamente e il cervello fa così fatica a trasformare in concetto razionale e replicabile.

Ecco quello che gli uomini, in qualità di artefici, cercano da sempre e che la natura, ed eventualmente il suo Grande architetto, portano nascosto dentro di sé. E così per secoli, anzi per millenni, si è scatenata la caccia alla formula, al numero perfetto che spiegasse il meccanismo del creato, la sua «divina proporzione». Un numero che, una volta scoperto, avrebbe consentito di fare propria la logica creatrice che sovrintende al mondo come lo conosciamo.
Così gli antichi pitagorici si misero a studiare le proprietà del cinque e del pentagono. Così i cabalisti, prima, e gli alchimisti, poi, si misero a studiare il rapporto tra testo sacro e numeri (in ebraico ogni lettera equivale anche a una cifra). Senza contare i pittori-filosofi dell’umanesimo che cercarono di trasformare un preciso rapporto numerico conosciuto come «sezione aurea» e corrispondente a 1,618 in una sorta di metro del mondo.
Tutte semplici leggende? Tentativi rudimentali, ben diversi dalla scienza sperimentale contemporanea, di trovare una regola occulta in un caotico mondo dove regola non c’è?
No. È di questi giorni la notizia che una serissima università austriaca ha compiuto uno studio che dimostrerebbe che vive molto più a lungo chi ha un rapporto tra pressione minima e massima pari a 1,618 (insomma per intenderci sta gran bene chi fa 74 di minima e 120 di massima oppure chi fa 77 di minima e 125 di massima). Guarda caso proprio quel numerino che corrisponde alle proporzioni dell’uomo leonardesco e alle ricerche che, dai pitagorici in poi, hanno portato sino alla dottrina degli gnostici del rinascimento. Non solo: il magico 1,618 compare nei rapporti che determinano la struttura di molti altri esseri viventi. Tanto per dire detta la regola logaritmica che spiega la crescita del guscio dei molluschi o delle chiocciole o anche il modo in cui le piante «scelgono» quanti petali avere.
Abbastanza da far spalancare, metaforicamente, la bocca a Vittorio Messori che ne ha dato notizia sul Corriere della sera, e abbastanza per chiedersi se quel numero non sia l’impronta digitale del Deus Absconditus che da sempre un po’ si nega un po’ si rivela all’uomo (divertendosi a lasciarlo lì, indeciso). La questione di Dio non la risolveremo certo qui, sulla presenza di un numero perfetto (o di più numeri magici e perfetti), invece, qualcosa si può dire.
Il primo dato di fatto è semplice: ci sono dei rapporti numerici che davvero identificano «qualcosa» di importante e senza i quali le cose non funzionano. Alcuni sono nascosti ed altri no. Alcuni sono noti dall’antichità, magari in maniera intuitiva, altri da molto meno tempo. Un esempio abbastanza recente. La materia trova la sua «pace» sulla base del numero otto. I chimici la chiamano regola dell’ottetto: se un atomo ha otto elettroni nella sfera esterna smette di reagire con gli altri elementi (succede ai gas nobili). Otto in quel contesto è il solo numero che va bene, quello che regola la chimica, il numero dell’equilibrio. Se il neon non brucia al passaggio della corrente lo dovete a questo.
Un esempio antico: esiste una costante matematica conosciuta come numero di Nepero o di Eulero (per lo più approssimata a 2,71828182845905) che è fondamentale per svolgere calcoli logaritmici. Ma molto prima che i cervelloni del Seicento e del Settecento la «scoprissero» gli antichi greci la utilizzavano per dare proporzioni gradevoli ai templi (il Partenone è lungo 69,5 metri e largo 30,9, dividendo la prima per la seconda si ottiene un 2,24 periodico che era l’approssimazione antica al numero di Nepero).
Quanto al famoso 1,618 (altre parti del Partenone rispondono alla sua proporzione) è l’unico numero noto che consente di ottenere un rapporto fra due grandezze disuguali, «tale che la maggiore sia medio proporzionale tra la minore e la somma delle due, mentre lo stesso rapporto esiste anche tra la grandezza minore e la loro differenza». Non avete capito?
Bene in soldoni è un rapporto in grado di generare serie numeriche con un preciso ordine interno. Non è misterioso il fatto che le conchiglie decidano di crescere secondo questo schema: è semplicemente lo schema più comodo. Crea gruppi di numeri chiamati serie di Fibonacci (dal nome del matematico che le scoprì) che piacciono molto anche alle piante. Il numero di petali dei fiori più comuni dal giglio alla cicoria è quasi sempre regolato da questo schema: 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55... (e se dividete 55 per 34 e approssimate ecco il solito 1,618 e così via). La natura lo usa perché è armonico (una bella infiorescenza in cui i petali o i semi stanno alla giusta distanza l’uno dall’altro) e gli uomini lo hanno copiato per creare edifici armoniosi ma anche musica (Bach creava serie di note «alla» Fibonacci) o oggetti (il vostro badge dell’ufficio è un’approssimazione del rettangolo aureo costruito sul numero 1,618). Gli antichi guardando la natura ebbero l’intuizione e la trasformarono in regola, noi continuiamo a trovare le prove che la regola funziona anche dove non c’è la mano dell’uomo.
Se invece ci chiediamo perché proprio un determinato numero e non un altro regola certi rapporti trovare una risposta diventa più difficile. Seguendo Pitagora e anche i costruttori di cattedrali del medioevo (quelli del quadrato magico per intenderci), si può però prendere atto che «tutto è numero».
Non nel senso dell’astrazione pura ma nel senso che i numeri esprimono anche dei concetti funzionali. Altro esempio scemo? La visione funziona bene in stereoscopia. Gli animali vedono con due occhi tranne qualche rara eccezione (i ragni ne hanno da 2 a 12). Nessuno ha optato per una visione basata su numeri dispari (i dispari funzionano male anche per fare le gambe e camminarci sopra). Non se ne abbia Pitagora che li preferiva ai pari.