Si narra, a proposito di streghe e maghi nelle tradizione abruzzese, si annovera, che, tra le fila di queste creature fantastiche, uno dei più grandi ed eclettici artisti dell’antichità:
“Ovidio è nato a Sulmona nel 43 a.C. proprio vicino a questo posto, se è vera la leggenda che si tramanda. Il poeta era il secondo figlio di un signorotto della zona, un gentiluomo di campagna che non aveva grandi ricchezze[…]
Egli lasciò Sulmona quando aveva nove anni per andare a studiare a Roma, ma tornava spesso a Sulmona[…]
La fama di Ovidio ha lasciato profonde tracce attorno a Sulmona. Come aveva predetto, egli è l'orgoglio e la gloria dei Peligni. Poiché Ovidio n on era come tutti gli altri uomini, veniva considerato un semidio o il più grande dei maghi. Tutti i contadini conoscono il suo nome e la sua leggendaria storia.
Una delle più antiche e solenni promesse in uso in questa zona , consiste nel giurare su Ovidio; dice Finamore: "Quando un contadino di Sulmona vuol pronunciare una enorme bestemmia , getta a terra il suo cappello ed urla: "Mann'aggia Uiddiu" (Abbia un malanno Ovidio!)".
Ecco la leggenda che qui si racconta sul gran mago Uiddiu: "Ovidio fuggì da casa e s comparve. Infin e fu trovato nel bosco di Angizia - cioè nel mistico boschetto della sacerdotessa, vicino Luco, sul Lago Fucino. Lì stava imparando le arti magiche da un astrologo o da una strega della Marsica. Quando fu riportato a casa, egli cominciò a fare miracoli indicibili. Appena apriva bocca tutti restavano incantati dalle sue parole, poiché sapeva imitare il canto degli uccelli; e ognuno ascoltava il canto che gli piaceva di più. Crescendo, diventò un grande mago. In un a notte costruì sul Morrone una magnifica villa, circondata da giardini, vigne e frutteti e bagnata dalle acque di una fonte che oggi si chiama Fonte d'Amore.
La villa era stupenda, aveva i porticati, logge, terrazze, bagni e magnifici affreschi. Poiché quel posto in precedenza era solo un pendio roccioso e frastagliato, pieno di picchi e burroni, adesso una gran quantità di gente vi accorreva per ammirare quella meraviglia.
Allora Ovidio, per punire la loro curiosità, trasformò con una sola parola tutti gli uomini in uccelli e le ragazze in lunghi filari di pioppi. Quando si venne a sapere di tale portento, tutta la campagna fu terrorizzata, molti si recarono dalla madre di Ovidio e la pregarono di chiedere al figlio che avesse pietà del luogo in cui era nato.
Poi Ovidio fece apparire un grande cocchio con cavalli di fuoco e, salitovi sopra , raggiunse Roma in un batter d'occhio. Lì operò per lungo tempo come mago; con i denti di un enorme mostro e con le scintille del fuoco egli creava guerrieri, dava vita alle statue, trasformava gli uomini in fiori, ed i cervi in porci neri. Mutò anche i capelli di una donna in serpi e le gambe di altre in code di pesci. Ci fu gente che egli trasformò addirittura in isole! Ad una sua parola le pietre parlavano e tutto ciò che egli toccava diventava oro. Le fiamme divoravano la terra ed il mare si popolava di belle donne. Un giorno la figlia del re si innamorò del mago e questi di lei, ma al sovrano ciò non faceva piacere; allora Ovidio disse al re: "Se tu non ci dai il tuo consenso, ti trasformerò in un caprone con sette corna !". Il re non gli rispose, ma una notte mandò i suoi soldati a casa del mago dove essi gli rubarono la bacchetta magica, lo incatenarono e portarono via in una terra lontanissima, dove vivevano solo lupi ed orsi, dove nelle foreste e sulle montagne c'era sempre neve e non faceva ma i caldo. Lì il povero mago spirò, ma dopo la s u a morte ritornò alla villa ed ogni sabato notte va con le streghe all'albero di noce che si trova a Benevento.
Questa leggenda, che per il fatto di essere completa costituisce un'eccezione, dà una spiegazione dei principali eventi della vita del poeta. Ci sono altri racconti sulla vita di Ovidio, ma sono frammentari e incongruenti: per esempio egli predisse la venuta di Cristo - però professava anche la dottrina cristiana nella chiesa della Tomba ed amava sentire la messa nella chiesa di san Francesco. Forse fu verso la fine della sua vita che egli abbracciò la stregoneria e si costruì la villa su un eremo.
Egli era anche in grado di leggere coi piedi e se voleva tirar fuori l'essenza di un libro, bastava che si mettesse in piedi su di esso. Questo spiega perché la statua a Sulmona lo rappresenta in piedi sopra un grosso volume. Oggi tutti i suoi scritti sono andati persi e l'unico libro Sopravvissuto fu preso in prestito da un generale francese dell'esercito napoleonico, che non lo restituì mai. Con l'aiuto di tale libro i francesi hanno fatto grandi imprese.
È stato a Fonte d'Amore che Ovidio conobbe l'amore. A questo proposito i pareri si dividono fra chi pensa che si trattasse della figlia di Cesare e chi dell'incantatrice proveniente da S. Lucia. Ovidio nascose da qualche parte nella Villa tutta la ricchezza accumulata con le arti magiche e a volte questo tesoro è stato anche visto, alla Vigilia dell'Annunciazione. Ma è chiaro che solo un uomo ha posseduto l’efficace libro del comando, cioè San Pietro Celestino, il quale, dopo tutto, non aspirava al tesoro di Ovidio. Ecco la leggenda del Papa eremita e del tesoro del mago Ovidio: "Mentre era Papa, San Pietro Celestino studiò le opere di Ovidio e appurò che tra le macerie della villa del poeta, alle falde del monte Morrone, era nascosto un gran tesoro.
Egli pensò di costruire la Badia di Santo Spirito vicino Sulmona e si fece fare perciò un disegno bellissimo. La gente che vedeva il disegno diceva: "Santo Padre, come farete a terminare una fabbrica tanto grande?".
Il Papa rispondeva: "Pietre e calce potranno mancare, ma non ci mancheranno i soldi". Nessuno sapeva che il Papa poteva disporre di un tesoro che non finiva mai. Il Papa rinunciò ad essere Papa, partì da Roma e tornò alle falde del monte Morrone, dove aveva fatto penitenza. Poi di notte andò a scavare il tesoro e trasportò i denari nel luogo dove doveva costruire la Badia. Si cominciò la fabbrica.
Ci volevano quattrini con la pala, ma i quattrini non mancavano. San Pietro, ogni sabato che doveva dare la paga agli operai, andava a prendere tre sacchetti d'oro e tre d'argento. Quando la Badia fu terminata il tesoro si richiuse. E da allora nessuno ha mai potuto sapere il punto preciso dove sta e come si fa a prenderlo. […]”(1)
[1] MAC DONNEL, Anne
op.cit. pags. 133,134,135,136,137.
Nessun commento:
Posta un commento