Comunicazione e metodologia della trasmissione del sapere
Un altro fattore da non trascurare è la metodologia della
trasmissione del sapere. Anche oggi in un mondo in cui l’informazione sembra a
portata di mano esistono zone oscure in cui è impedito l’accesso. Basti pensare
a quanta tecnologia militare è chiusa in sicuri bunker inaccessibili ai più. O
un esempio, più banale, ma forse più emblematico, la formula della Coca Cola,
uno dei segreti meglio custoditi del mondo. Anche in passato la trasmissione
del sapere è stata soggetta a questi vincoli. E così l’artigiano trasmetteva le
sue scoperte ai suoi allievi, che avrebbero fatto lo stesso, mantenendo un
vincolo di segretezza. Le corporazione medievali ne sono una chiara
testimonianza. Un altro esempio è l’arte della metallurgia ammantata da oscuri
simbolismi dai sacerdoti egizi per mantenere il loro segreto e il loro potere.
Naturalmente questa segretezza ha permesso ad alcune
conoscenze di attraversare i secoli sottraendosi all’occhio di severi censori
che accendevano falò su cui bruciare i libri, ma aumentando anche il rischio di
vedere dimenticate certe conoscenze.
Effetto collaterale: esoterizzazione della cultura moderna
Come accennato prima per la scienza, che subisce un processo
di esoterizzazione, sta avvenendo per la cultura in genere. Ormai si è creata
una sovrastruttura informativa formata dai media quali stampa, radio, TV ed
Internet che invece di facilitare l’accesso alla conoscenza finisce per
occultarla in un bombardamento continuo di notizie e informazioni che finiscono
per occupare tutto lo spazio mentale rendendo impossibile un pensiero ed una
rielaborazione critica.
Un’altra sovrastruttura che apparentemente dovrebbe
facilitare ma che in realtà nasconde è il commento dei testi classici. Con la
scusa di renderli leggibili per i lettori moderni, si finisce di infarcirli
tanto con introduzioni, note, commenti, glosse da nascondere l’opera. Inoltre,
il numero di pagine di questi “aiuti alla lettura”, a volte, supera
abbondantemente quelle dell’opera stessa, con il risultato finale di libri di
centinaia di pagine che scoraggiano alla lettura, quando in realtà, l’opera
originale è di poche pagine. E poi, perché è necessario il commento? Perché la
cultura ha subito una destrutturazione ed una specializzazione. Prima
esistevano le materie del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del
quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica) e la loro conoscenza era
sufficiente ad accedere a tutto il sapere. Ora questa struttura non esiste più,
esistono le specializzazioni, che rendono sì possibile dei risultati, ma al costo
di vivere nella propria gabbia specialistica e di non riuscire più ad accedere
alle diverse branche del sapere.
Un altro fattore che rende difficile la lettura di testi
antichi è la cancellazione della religione dalle materie d’insegnamento. Sarà
stata una conquista dello stato laico, ma, di fatto, impedisce l’accesso alla
cultura antica tutta impregnata di religione e misticismo.
Come ho detto prima, viviamo in una continua rincorsa per
stare a passo coi tempi imparando cose inutili e dimenticando spesso conoscenze
utili. Gli esempi li viviamo noi stessi. Vi chiedo: sapreste riconoscere un
santo che vedete raffigurato in una chiesa? Credo che la maggior parte di noi
eccetto per i santi più noti avrebbe delle difficoltà. Sembra una sciocchezza,
ma questo è un esempio concreto a noi vicino della distruzione della conoscenza
del passato. E non crediate che sia un problema di poco conto. Quanti studiosi
stanno lì a lambiccarsi il cervello per interpretare una raffigurazione
religiosa cercando di capire che santi sono rappresentati? La cosa
demoralizzante è, che un qualsiasi nonno, anche un po’ svanito, sarebbe in
grado di riconoscerli, perché venendo da una società in cui la scrittura non
era ancora dominante, al catechismo gli hanno insegnato a riconoscere i santi
dai particolari della loro rappresentazione. San Rocco dalla piaga alla gamba e
dal cane, per farvi un esempio concreto a me noto.
Conclusioni
Possiamo ben dire come afferma Hancock nel suo libro “Le
impronte degli dei”, di essere una specie affetta da amnesia e, aggiungiamo,
che i moderni sistemi di comunicazione e memorizzazione delle informazioni non
rendono più facile il compito di ricordare; anzi, sono loro la causa principale
della crescita esponenziale della produzione di documenti, spesso privi di
qualsiasi utilità, che essendo più veloce della capacità di immagazzinamento,
lo rendono più difficile. Senza contare, che anche se si riuscisse ad
immagazzinare tutto, rimarrebbe il problema di come accedere a tale sconfinata
massa di informazioni e se qualcosa rimane inaccessibile è come non averla
affatto.
Questo in termini generali, ma è ancor più necessario un
ripensamento di tutto il processo scientifico, affinché la scienza non diventi
un’inutile fatica di Sisifo, impegnata a scoprire per poi dimenticare più e più
volte. Sarebbe necessario, forse, che gli stessi scienziati dedicassero parte
del loro tempo a ricerche d’archivio, esercizio che permetterebbe loro di aver
un’apertura mentale ed una flessibilità di pensiero più ampia ed, a volte, di
evitare l’inutile sforzo di riscoprire cose già note. Questo permetterebbe di
risparmiare risorse da impegnare in “vere” nuove scoperte.
Note:
1) Salvatore
Settis, Le officine di Archimede, Il Sole 24 Ore del 18 gennaio 2004;
2) Rick
Sanders, “ll”, Graal n.8, marzo-aprile 2004, Hera Edizioni;
3) Articolo
riportato parzialmente sul libro di Jean-Marc Lévy-Leblond, “La Pietra di Paragone La
scienza alla prova”, CUEN 1998;
4) Giorgio
Nebbia, “Innovazione in Italia? Si provveda di ufficio”, “La Gazzetta del Mezzogiorno”
del 12/3/2000.
5) Jean-Marc
Lévy-Leblond, “La Pietra
di Paragone La scienza alla prova”, CUEN 1998, pag. 94;
6) Per
chi volesse avere qualche informazione in più può leggere l’articolo “Albert
Einstein e Olinto De Pretto: un dimenticato precursore italiano
dell’equivalenza tra massa ed energia” di U.
Bartocci, M. Mamone Capria, reperibile in Internet all’indirizzo: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/depre.html.
Bibliografia:
Jean-Marc Lévy-Leblond, “La Pietra di Paragone La
scienza alla prova”, CUEN 1998;
AA. VV. Episteme, Physis e Sophia
nel III millennio, Perugia, n. 1 – 6, 2000 – 2002;
Paolo Rossi, “Origini di una
favola clericale”, IlSole-24ore di domenica 6 giugno 2004.