lunedì 7 luglio 2014

La corta memoria della scienza (2 di 4)

di Vito Foschi

L’amnesia del presente


L’uomo ha la strana tendenza a dimenticare e non è un'esclusiva dei nostri avi come si potrebbe pensare, anzi si può dire che questo processo nella nostra epoca “scientifica” stia subendo un’accelerazione. La continua produzione di nuovi saperi costringe l’uomo ad una continua rincorsa del presente dimenticando tutto quello che ha imparato per poter essere “al passo con il tempo”. Ma fra le tante cose che si dimenticano non ci sarà qualcosa di utile? Ma poi, tutta la rincorsa ad essere aggiornati coi tempi è veramente importante? Non sarebbe necessaria una rielaborazione critica di tutta la messe di informazioni prodotta per discernere l’utilità o meno? Mi interessa veramente sapere come funziona l’ultimo modello di telefonino che non comprerò mai, perché ora non ho i soldi e fra un mese quando li avrò, sarà già uscito il modello successivo? O ancora, perché affannarsi con gli aggiornamenti del sistema operativo del computer o del programma di videoscrittura, giusto per non fare nomi, quando per il mio uso corrente quello che ho, è già ottimo? E il risultato qual è? Che perderò tempo a leggere il nuovo manuale del programma di videoscrittura, invece che a leggere il tal libro che mi serve per scrivere un articolo. Questo a livello individuale, mente a livello collettivo si avrà una distruzione sistematica del sapere che diventa veramente “passato”! Si vendono manuali sulle nuove versioni dei programmi a scapito di opere che meriterebbero di essere lette con una graduale sostituzione dei libri buoni con i libri cattivi utilizzando una metafora economica sulla moneta che recita che la moneta cattiva scaccia quella buona. Con una differenza: la moneta buona viene tesaurizzata, mentre i buoni libri finiscono al macero.

I nostri progenitori avevano una cultura orale che si trasmetteva da padre in figlio. Questo ci fa pensare che fosse una cultura che tendesse a dimenticare se stessa. Ma ne siamo proprio sicuri? Gilgamesh non esiste tuttora? E i Veda? E i miti egizi? Quelli greci o romani? E perfino quelli celtici sono sopravvissuti alla sistematica persecuzione dei druidi da parte degli antichi romani!
In passato il mito riusciva a passare indenne attraverso le generazioni, forse modificandosi ma mantenendo intatto il nucleo centrale. Oggi tutto questo non esiste. Esistono le varie soap-opera,  telenovelas, telefims che dopo successi strepitosi svaniscono come neve al solito come se non fossero mai esistiti. Chi si ricorda più di programmi degli inizi degli anni ottanta? Del nome di attori che all’epoca sembravano tenere il mondo in una mano?

Certo delle perdite ci sono state, ma purtroppo ci saranno sempre. Anche nel nostro mondo industrializzato in cui scienza e tecnica sono padrone c’è una spiccata tendenza ad obliare il passato. Quante opere del cinema mute sono andate perse? E quante si sono riuscite a salvare solo con costosi restauri? Per fare un esempio nel campo artistico, ma questo succede ed è ancora più grave perché implica i suoi stessi processi di produzione, nella scienza. Abbiamo accennato alla parentesi medievale in cui il sapere umano ha subito una distruzione sistematica e questo è sicuramente successo in passato in altre civiltà. Basti pensare che ancora non si è grado di capire come sono state costruite opere megalitiche con la semplice forza umana e animale.

L’amnesia programmata della scienza: il processo scientifico si basa sulla distruzione del saper precedente ed alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte

La scienza è un continuo processo di affinamento della conoscenza e questo implica la necessità di cancellare gli errori del passato per far spazio agli ultimi risultati ritenuti più corretti. «L’oblio è costitutivo della scienza. Impossibile per lei conservare la memoria di tutti i suoi errori, la traccia di tutte le sue erranze. La pretesa di dire il vero costringe a dimenticare il falso». Dal libro di Lévy-Leblond.
Banalmente la teoria eliocentrica ha cancellato la teoria tolemaica ormai dimenticata. Questo processo è giusto e necessario, ma comporta dei rischi. Abbiamo visto come in passato la scienza è dovuta ritornare sui suoi passi per riscoprire ciò che si sapeva secoli prima, ma questo accade tutt’ora. È insito nell’attività scientifica la distruzione delle vecchie ricerche per far posto alle nuove. Ma in tutto questo scarto non ci sarà qualcosa che meritava di essere salvato? Sono molteplici gli esempi di ricerche non proseguite perché le necessità o le mode del momento, perché anche nella scienza esistono le mode, hanno spostato l’attenzione su altri settori e poi sono state riprese decenni dopo. Questo potrebbe sembrare un problema da poco, ma oggi la produzione scientifica è su una scala molto vasta e lo scarto è a sua volta su una scala altrettanto vasta. Non esistono più i pochi studiosi che si conoscevano tutti quanti e che si incontravano in qualche congresso mondiale, ormai a livello mondiale possiamo parlare di milioni di persone impegnate nella ricerca. Basti pensare al moltiplicarsi delle università italiane e della conseguente moltiplicazione dei professori, che volenti o nolenti per esigenze di sopravvivenza devono produrre o almeno dimostrare di fare ricerca pubblicando articoli su apposite riviste. Anzi, il loro avanzamento di carriera è anche ancorato al numero di articoli pubblicati con tutte le conseguenze del caso sull’inflazione produttiva di articoli. Alcuni vengono scritti solo per allungare un curriculum senza contenere nulla di interessante sul piano scientifico.
L’accumularsi di tutta questa produzione pone problemi di spazio alle biblioteche che tendono ad accumulare in modo disordinato le riviste scientifiche, strumento principe dell’attività scientifica, e recuperare ricerche del passato è a volte quasi impossibile. Oltre a questo problema logistico, esiste il ben più grave problema culturale, che chi ha condotto studi specialistici, trova difficoltà a prendere in mano nuovi saperi in branche completamente nuove: di fatto è impreparato! Il lavoro scientifico si basa su una specie di allenamento fatto di letture di articoli di settore, nel padroneggiare certi procedimenti matematici e determinati strumenti, se tutto questo manca è come ritrovarsi a leggere un libro in un’altra lingua. Si è grado di leggere, cioè si hanno le conoscenze scientifiche di base, ma non si conosce la lingua cioè gli strumenti specifici di quella particolare materia. Non è un lavoro da poco. Ne ho fatto esperienza personale con la mia tesi. Ho dovuto passare mesi per familiarizzare con l’argomento e padroneggiare un programma di simulazione matematica per poter incominciare a lavorarci. Immaginate la difficoltà a riprendere studi di decenni fa, che trattano di teorie completamente diverse e dimenticate. Ancora Lévy-Leblond:
«…i meccanismi di rimozione e occultamento, costitutivi del funzionamento della ricerca, conducano ormai a degli effetti perversi o, se non altro, controproducenti. […] Il fatto è che l’eliminazione delle foglie morte della scienza, il rigetto dei suoi rifiuti opera ormai sulla stessa scala industriale della sua produzione. […] Più precisamente, come esser certi che, in quelli che consideriamo oggi lavori secondari o senza sbocchi, abbozzi o doppioni, non giacciono, invisibili nel contesto attuale, un punto di vista, un metodo, un risultato ricchi di implicazioni future?».
Ecco alcuni esempi di scoperte dimenticate e poi ritrovate.
La malattia dell’olmo che ha portato alla distruzione di milioni di piante è stata affrontata coi metodi della biologia moderna senza alcun risultato, mentre nell’ottocento si sapeva come affrontarla. Ci si era dimenticati degli studi condotti dal 1843 al 1859 di un certo Eugène Robert che permisero all’epoca di fermare l’epidemia! Vi riporto una frase dell’articolo di Didier Fleury che ha riscoperto il metodo:«Avendo a disposizione mezzi di indagine di una potenza senza uguali nel passato, la biologia ha tendenza a vedere questioni nuove laddove di fatto c’è ben poco di nuovo!»(3)
Per anni si è pensato che lo stomaco non potesse ospitare batteri patogeni cronici non riuscendo a capire l’origine dell’ulcera gastrica. Invece da pochi anni si è “scoperto” che la causa è proprio un batterio, l’Helicobacter pilori. Di fatto si sono trascurate osservazioni di un secolo fa che affermavano la presenza di batteri nello stomaco.

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