domenica 6 luglio 2014

La corta memoria della scienza (1 di 4)



pubblicato su Mystero n. 56, gennaio 2005 (rivista edita da Luigi Cozzi)

di Vito Foschi

Introduzione


Noi viviamo in un mondo tecnologico, in cui tecnica e scienza sono dominanti ed anche in un paese poco attento a tali tematiche com'è l’Italia, siamo indotti a pensare di vivere in un mondo lineare in cui il progresso scientifico sia un processo chiaro e lineare, in cui le scoperte dell’oggi migliorano le nostre conoscenze in un continuo affinamento tendente al raggiungimento della verità. Ma è proprio cosi? Né dubitiamo…

Se volessimo descrivere il progresso scientifico con una metafora non è certamente possibile usare né una linea retta né una linea di trend, tipo l’indice di borsa con locali discese e salite ma con una tendenza di lungo periodo al rialzo. È più corretto usare l’immagine usata da Lèvy-Leblond nel suo libro “La Pietra di Paragone, la scienza alla prova…”: «Alla visione tradizionale di un sapere scientifico stabile, che cresce per estensione sistematica e concentrica, deve allora sostituirsi l’immagine frattale di un ambito parcellizzato, costituito da saperi differenziati, pseudopodi in perpetua ramificazione, che lasciano negli interstizi golfi di ignoranza e al loro interno vacuoli di dubbio».

Ci capita di pensare al passato immaginando un’epoca barbara in cui dominava la superstizione e l’ignoranza. Ma ancora una volta: è proprio così? Noi abbiamo effettivamente più conoscenze dei nostri antenati? O più precisamente: ogni generazione aumenta la conoscenza della generazione precedente? O, accanto a nuove scoperte, distrugge parte della conoscenza acquisita dai propri avi? È vera l’immagine di Lévy-Leblond di un sapere parcellizzato incuneato di profonde sacche di ignoranza?

L’amnesia del passato


La parte di passato che conosciamo con una certa accuratezza coincide sostanzialmente con l’inizio della produzione di testi scritti, mentre del periodo precedente, chiamato preistoria, abbiamo solo conoscenze indiziarie e congetture basate sul lavoro degli archeologi. È da notare però, che questo schema è vero in parte, perché in realtà la nostra conoscenza del passato parte da un periodo all’incirca coincidente con la nascita di Roma; del periodo antecedente si posseggono comunque documenti scritti come le scritture egizie e le tavolette d’argilla mesopotamiche, però spesso non sono considerate attendibili ma riferentesi ad eventi mitici. L’assurdo si ha con alcuni documenti,  che sono considerati esatti quando si riferiscono ad eventi recenti ed inattendibili quando si riferiscono ad eventi più remoti. Ma si tratta dello stesso documento! Questo è un altro argomento, però già da questo si incomincia ad intuire che l’uomo ha la tendenza a dimenticare il proprio passato.

Anche di un’epoca recente come quella greca e romana ci rimane poco ed anche opere di autori come Aristotele sono andate perdute. Di altri abbiamo solo frammenti sopravissuti come citazioni di altri autori, come è accaduto per esempio, ad Eraclito. In epoca medievale si è assistito ad una ampia distruzione del sapere classico, salvatosi in parte, grazie alla civiltà araba allora fiorente e ai monaci, anche se la stessa Chiesa ha, a volte, contribuito alla scomparsa di alcune conoscenze che riteneva pagane.
La distruzione medievale è stata molto più grave di quanto si creda. Semplificando il discorso, la tecnica romana era all’incirca equivalente a quella rinascimentale. Tanto è vero, che alcuni autori hanno potuto affermare che gli uomini del rinascimento hanno semplicemente copiato da antichi trattati greco-romano. Un brano da un articolo de “Il Sole 24 Ore” del 25 gennaio 2004 che recensisce una nuova edizione di un manuale di metallurgia rinascimentale: «All’autore che è medico e filosofo, che nutre una forte passione per lo studio dei minerali, delle miniere, delle tecniche d’estrazione e lavorazione dei metalli, sia le cose sia i nomi appaiono collocati in una sorta d’indistinto caos. Molti minerali, già nel mondo antico, sono stati utilizzati come farmaci, ma l’oblio della lingua greca, la confusione derivante dalle traduzioni dal greco e dal siriano in arabo e dall’arabo al latino, hanno come oscurato le conoscenze, hanno distrutto, accanto alla nomenclatura, anche una traduzione di sapere e una continuità di pratiche. Va fatto il tentativo di introdurre ordine e chiarezza, bisogna classificare e descrivere sia ciò che era noto e mal definito, sia ciò che è nuovo».
Ma questi episodi sono meno eclatanti. Ad esempio tutti pensano che la macchina a vapore sia un’invenzione del ‘700 per opera di Thomas Newcomen e migliorata da James Watt. E si sbagliano. Una macchina che funzionava grazie al vapore esisteva già all’epoca dei romani, la famosa eolipila di Erone di Alessandria, uno dei più grandi ingegneri di tutti i tempi. Una sfera veniva riempita d’acqua che riscaldata produceva il vapore che attraverso due tubi piegati ad angolo retto e diametralmente opposti metteva in moto la sfera libera di girare su un perno.
«Egli [P.M. Schul] ha notato che Erone descrive accuratamente non solo l’eolipila (una piccola macchina a vapore che produce il moto circolare di una sfera), ma anche una versione dell’hodometron da applicarsi alle navi per misurare le distanze percorse mediante una ruota a pale parzialmente sommersa in acqua. Come osserva Schuhl, sarebbe bastato che il meccanismo dell’eolipila di Erone fosse applicato a una o più pale come quello dell’odometro descritto dallo stesso Erone, perché la navigazione a vapore fosse inventata con molti secoli di anticipo»(1). Esistono molti studiosi che si chiedono come mai non ci sia stata la rivoluzione industriale ai tempi dell’impero romano, dato che già esistevano tutte le conoscenze tecniche perché ciò avvenisse ed hanno pensato di trovare la causa di questa mancata rivoluzione nel sistema sociale ed economico dell’epoca con un’economia basata sul lavoro degli schiavi. È emblematico, il titolo “La rivoluzione dimenticata”, che lo studioso Lucio Russo ha voluto dare al suo libro che si occupa della scienza in epoca classica.
Una cosa semplice come la rotondità della terra, i più pensano che sia stata una scoperta moderna e confermata dal viaggio di Cristoforo Colombo. Niente di più sbagliato. La rotondità della terra era stata già ipotizzata ai tempi dell’antica Grecia, da Pitagora nel VI secolo a.C., da Aristotele, Euclide e così via e, se si va ai Fori Imperiali a Roma e si raggiunge il Tempio di Vesta ci si troverà un cartello affisso che recita: «sembra che Numa Pompilio re dei romani abbia costruito il tempio di Vesta rotondo avendo creduto che della stessa forma fosse la terra, da cui dipende la vita degli uomini». Questo semplice esempio dimostra che i nostri antenati non erano così ingenui come li dipingiamo.
D’altro canto, lo stesso Colombo non ha affrontato il viaggio verso le Americhe così alla cieca come a volte si lascia intendere, seguendo una sua brillante intuizione. Sicuramente era conoscenza di queste antiche teorie e si è servito sì del suo intelletto, ma per verificarne la fondatezza e non per inventarsele. Il suo viaggio è stato accuratamente preparato e sicuramente si è documentato su antichi testi dei vari astronomi e geografi dell’antichità.
Rick Sanders, un ricercatore straniero, in un suo lavoro(2) dimostra, che già gli antichi egizi erano in grado di affrontare viaggi intorno al globo, grazie ad uno strumento in grado di calcolare la longitudine, simile al torquetum usato a fine ‘400. In particolare si occupa della spedizione di Rata e Maui, promossa dallo scienziato Erastotene, direttore della Biblioteca di Alessandria nel III secolo a.C., forse allo scopo di dimostrare la sua teoria sulla rotondità della Terra. Si Ricordi, inoltre, che ci sono stati vari studiosi che hanno riprodotto antiche imbarcazioni ed hanno attraversato gli oceani dimostrando la fattività di simili imprese nel passato.
Le stesse idee di Leonardo da Vinci sono state trascurate per cinque secoli, quando un loro attento studio avrebbe potuto aiutare ad arrivare prima a certi risultati. In una puntata di Stargate-Linea di confine, si è visto costruire uno scafandro basato sui disegni di Leonardo dimostrandone la fattività già nel cinquecento, mentre i primi scafandri sono stati costruiti solo nel secolo scorso!
Possiamo affermare che l’uomo ha difficoltà a conservare memoria delle sue scoperte.

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