giovedì 15 giugno 2017

Druidismo & Cristianesimo: Riflessioni sul tema

di Andrea Romanazzi

Quando iniziai a percorrere il sentiero del Druidismo nell’OBOD, mi soffermai più volte su una affermazione che mi appariva strana: “non importa se sei Buddista, Cristiano, Pagano, etc…” puoi partecipare al corso OBOD...”. Chi si approccia all’inizio del Corso non può capirne il perché…anzi…rimane stupito e si chiede…”ma io sono pagano”…
Invece poi tutto si snoda, durante il cammino la Verità appare attraverso l’Integrazione, il messaggio anche etico del grado Druidico. Ross Nichols affermava che il Druidismo non è tanto una religione ma è piuttosto alla base della spiritualità presente di esse. L’Integrazione è dunque uno dei doni del Corso, la parola chiave del druidismo.
Si tratta però di solo rispetto o c’è qualcosa di più? Può esistere una “fratellanza” spirituale tra il Cristianesimo e il Druidismo?
Secondo Mark Townsend, Matthew Fox e Barbara Erskine e il loro libro  Jesus Through Pagan Eyes: Bridging Neopagan Perspectives, non c’è dubbio. Esaminiamo meglio la questione. Il Druidismo, ma soprattutto il neo-Druidismo non è una via che potremmo definire “pura”, per il semplice motivo che da sempre nessuna Religione o Via Spirituale si è evoluta nell’isolamento ma in qualunque di esse ci sono elementi presi da altre tradizioni. I culti Romani attinsero fortemente a quelli greci ed egiziani, il Buddismo tibetano ha fortissime radici nei culti esoterici del Bon, il Cristianesimo è ricco di tradizioni pagane che ha fortemente fatto proprie. Quale è la “vera e pura” religione? Più indietro andiamo e più troviamo qualche culto precedente a cui quello “nuovo” ha preso in prestito elementi, ovviamente costruendoci attorno rituali e culti che avrebbero da un lato segnato una diversità, dall’altro, spesso, favorito la nuova casta sacerdotale. E’ accaduto nel Cristianesimo come nel mondo egizio. Se così eliminiamo gli orpelli che spesso appesantiscono le religioni “Neo”, Nuove o Antiche, troviamo il nocciolo comune.
Esaminiamo, ad esempio, i due elementi centrali della Cristianità. L’immagine della Vergine Maria è assolutamente uguale a quella di molte dee Greco-Romane, a loro volta simili all’immagine di Iside e Horus. Andando sempre più in dietro troviamo che l’immagine femminile e madriarcale, dalle caratteristiche immortali, e quella del suo Figlio e Compagno, il dio vegetazionale, sono presenti in tutte le cosmogonie e i miti del mondo antico. Il culto del Dio che muore per poter risorgere, simboleggiato dal Cristo, è assolutamente identico alle storie di Attis, Adone, Osiride, Taliesin. A loro volta questi sono questi rivisitazione dei numerosi rituali e miti sciamanici che narrano di rituali di smembramento e della morte, sempre cruenta, del dio, espressione non di una ingiustificata violenza ma, espressione della vita che risorge dalla distruzione da parte dell’uomo dei prodotti dei campi, falciati, battuti e poi ridotti in polvere. Anche l’usanza del cibarsi delle carni e del sangue del dio, mutuata appunto dal Cristianesimo, è antichissima ma non esclusiva.
Quando i primi missionari cristiani scoprirono  in Gallia un gruppo di Celti intenti a venerare una figura femminile nell'atto di dare alla luce un bambino, non tentarono  neppure di modificare le loro concezioni religiose. Si limitavano a spiegare agli indigeni che, senza saperlo, erano già cristiani, e stavano adorando un'immagine della Madonna. Se tutto andava bene, sul luogo sacro veniva costruita una chiesa, e l'idolo pagano, trasferito al suo interno, si trasformava automaticamente in una rappresentazione cristiana e  per giustificare la presenza di figurazioni mariane che, a volte, precedevano la stessa nascita di Maria, i teologi coniarono addirittura un termine "Prefigurazione della Vergine ". Per molti neo-pagani il “vero” culto era quello dei Galli…ma non è questo il culto “primigenio”, a loro volta lo avevano assimilato da ritualistiche e religioni più antiche.
Dunque quale è la Vera Religione? Chi scrive si lascia “ispirare” dalla Natura, espressione di quell’Awen che appartiene a tutti, al di là delle pratiche sacerdotali, quelli si, inventate dagli uomini appannaggio troppo spesso delle caste dominanti.
La terra dei Celti, con la conquista romana, fu presto raggiunta dal Cristianesimo e da quegli “apostoli” che voleva convertire alla Nuova Religione i pagani del nord. In Britannia il Cristianesimo arrivò attorno al 200 d.C., anche se dobbiamo aspettare almeno altri cento anni prima di vederlo radicalizzato sul territorio e trovare Vescovi provenienti da queste terre. Sta di fatto che già nel 360 d.C. Vescovi e Pensatori celti erano diventati eminenti personaggi nelle gerarchie Cristiane. Un esempio può essere Pelagio, pensatore e teologo, amico di sant’Agostino. Egli, permeato da quella cultura che potremmo definire “druidica”, tentò una forte operazione sincretica tentando di piegare il Cristianesimo locale alle più antiche eredità druidiche. Senza entrare nel merito del “pelagismo”, del quale voglio solo sottolineare l’assenza del concetto di “peccato oiginale”, possiamo dire che si avvicinava fortemente ai rituali della chiesa d’Oriente. Ad esempio il Battesimo era esercitato attraverso una completa immersione, retaggio proveniente dagli antichi rituali celtici. Anche il concetto di “trinità”, è stato in qualche modo adattato alla “triplice sacralità” druidica. In quello che potremmo definire, anche se a me non piace ma che rende bene l’idea, “Cristianesimo Celtico” funzione importantissima avevano le Donne. A differenza del Cristianesimo Romano, per cui la donna era peccatrice e soggetto di tentazioni, dunque elemento pericoloso, nell’area britannica, laddove da sempre le donne erano sacerdotesse e/o druidesse, rivestivano un ruolo importantissimo. Pensiamo ad esempio alla badessa del monastero di Kildare, quella che oggi conosciamo come Santa Brigida, una suora missionaria omonima dell’antica Brigid, figlia di Dagda, da sempre venerata dai popoli celti. La leggenda narra che Brigida nacque da una donna mentre trasportava una brocca contenente del latte, particolare importante per il proseguo delle vicende della santa. La bambina infatti aveva la caratteristica di non nutrirsi di cibo comune, ma solo di latte di mucca bianca con le orecchie rosse, animale ricorrente nella mitologia celtica e che appunto ricorda lo stretto legame tra la santa e la dea, sempre rappresentata in compagnia dei suoi magici buoi. Divenuta badessa di Kildare la santa faceva produrre alle vacche del convento grandissime quantità di latte e ceste di burro tanto che in Scozia veniva chiamata “Milkmade Bride”, patrona dei lattai e dei lavoratori caseari. Molto del Druidismo e della Pratica Pagana più in generale è sopravvissuto tra i manoscritti e l’adattamento rituale della Chiesa Cristiana. L’errore comune tra i neopagani odierni è pensare che la loro cultura sia stata cancellata e sradicata dal Cristianesimo, ma questo è fuorviante e spesso basato su una scarsa conoscenza folklorica e delle origini. Il mondo sudamericano ed africano, molto più abituato di quello Occidentale all’accoglimento, non ebbe mai problemi ad assumere i nuovi nomi per non dimenticare i vecchi. Ecco così che divenne facile sovrapporre le divine figure, Cristo sembrava tanto simile ad Oxalà, mentre la Vergine Maria era la perfetta descrizione di Yemanjià. Gli antichi culti animisti africani si rispecchiavano facilmente nel politeismo monoteista cristiano fatto da un dio lontano e da molteplici santi i cui culti, assolutamente personalizzati, li facevano tanto assomigliare agli Antichi Spiriti. Preghiere ed orazioni del resto non venivano utilizzate per ottenere anche aiuti materiali in questa vita? Dunque cosa cambiava se la candela veniva accesa davanti a Oxossì o a Sant’Antonio? Si adoravano così gli antichi dei ma con i nuovi nomi, nulla è mai cambiato per il sudamericano. Gli Orishas, i loro dei, sopravvivevano. Allo stesso modo dovrebbe pensare il “neo”. Questa credo sia una lezione che molte vie neopagane devono ancora apprendere. Ross Nichols già a metà anni novanta lo sottolineava.

venerdì 9 giugno 2017

Il destino del Papa russo. Papa Metodio è il perno del nuovo romanzo di Mauro Mazza. Il futuro della Chiesa di Roma.

tratta da il Giornale, il blog di "Carlo Franza" del 21 maggio 2017

di Carlo Franza

Papi italiani, poi un Papa polacco, poi un Papa tedesco , poi un Papa argentino.  Adesso toccherebbe a un Papa russo   reggere la Chiesa Cattolica Romana. E forse in pieno si svelerebbe quella parte del Segreto di Fatima che vuole la Russia consacrata al Cuore Immacolato di Maria.  Solo dopo questo passaggio  e dopo la resa dell’Islam  schiacciato in più parti del mondo  si potrebbe dare avvio a un periodo di  vera pace.

Sappiamo che a giorni il Papa argentino farà un  Concistorio per l’elezione di nuovi cinque cardinali. La cosa più avveniristica -e non troppo-  è la previsione di un conclave nel 2018; è quanto ipotizza  lo scrittore Mauro Mazza, immagina che questo conclave elegga l’arcivescovo di San Pietroburgo, che assume il nome di Metodio (Il destino del papa russo, Fazi, Roma 2017, p. 256). Mauro Mazza, ex direttore del Tg2, RaiUno e RaiSport, è nato a Roma nel 1955. Ha pubblicato numerosi saggi di letteratura, televisione e cultura politica. Questo è il suo secondo romanzo. Con il primo, L’albero del mondo (Fazi, 2012), ha vinto il premio Acqui Storia.  E torniamo al titolo del romanzo, al Papa russo che ha nome Metodio. Non va dimenticato che  il nome del Papa Metodio si rifà  San Metodio I, detto anche il Confessore o il Grande ( Siracusa 788/800 – Costantinopoli 14 giugno 847), è stato Patriarca di Costantinopoli dal 4 marzo dell’843 al 14 giugno dell’847.

 E badate bene che questo “nuovo”  Papa, a differenza del Papa Argentino  suo predecessore,  non piacerebbe  ai grandi potentati e alla massoneria.  Questo nuovo Papa russo  non piace perché parla concretamente di difesa della Fede,  anziché di  sociale, di migranti, di ecologia e non rincorre sia a  quel vuoto sentimentalismo scandito  dal “buonasera” ,  che a  quel populismo che «aveva annullato ogni specifica differenza tra papa e fedeli, tutto abbracci e scenette, buona domenica e buon pranzo…», quando anche lo stesso Wojtyla «era riuscito a conservare sempre, fino all’ultimo giorno, quel suo carisma che incuteva rispetto e ammirazione in tutti: cardinali, vescovi, preti e laici» (p. 40).

Dopo questo periodo bergogliano , quasi sede vacante con il Papa  Benedetto XVI  rinchiuso nel  monastero vaticano,  ecco che con le sue prediche quotidiane, finalmente Papa  Metodio combatte il modernismo, la deriva laicista e protestante, la dittatura del relativismo: «il Papa, ogni giorno, demoliva molti dei presupposti considerati intangibili del pensiero dominante. Lo faceva così, semplicemente. Conquistava consenso, ma andava accumulando su di sé anche un risentimento diffuso» (p. 145).

Ma fila  tutto liscio, perchè  com’è da aspettarsi l’alta massoneria gli scatena contro la stampa; un giornale tedesco – vicino a certi ambienti progressisti vaticani – lo accusa di essere un accentratore e di parlare troppo di fede: «Cerca di riproporre una sacralità d’altri tempi. Nelle sue prediche contesta i valori laici e i diritti civili conquistati. Come se non bastasse, accentua le tradizionali riserve sulla democrazia. Molto presto l’effetto del suo operato si rivelerà destabilizzante» (p. 147). Romanzo profondo, illuminante, storico, radicato nel nostro tempo,  e l’attacco al nuovo Papa per il suo operato  destabilizzazione  nasce dal fatto che combatte finalmente il mondialismo, la globalizzazione,  il gender, l’arretramento e la paura  di fronte  all’incalzare dell’islam e dell’islamismo, e perfino  l’imposizione dell’ecologia «come nuova religione, l’essere umano non più al vertice della piramide della creazione bensì abitante del pianeta con gli stessi diritti degli “altri” animali» (p. 108).


E  predisposto e consapevole della  consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria e alla riunificazione degli Ortodossi con la Chiesa di Roma,  Papa  Metodio incontra Putin, il quale lamenta. «Gli Inglesi fanno quello che ordinano gli Americani. Tedeschi e Italiani sono oscillanti e instabili» (p. 134).E gli Americani seguono,  in modo mirato e ossequioso , le decisioni della “Fratellanza”, un’organizzazione massonica votata al pensiero unico: «il governo mondiale, la moneta unica (il bancor) e un’unica religione che le riunisca tutte, superandole» (p. 120).

Libro catastrofico eppure illuminante, che dovrebbero leggere tutti i vescovi italiani. Nel romanzo si fa cenno che  tra tanti cardinali manovrabili da parte della “Fratellanza ”, come lo stesso predecessore di Metodio, ce ne sono addirittura tre arruolati tra le sue fila: ecco perché si diffonde anche nella Chiesa una nuova etica cosmica, «un miscuglio di gnosi e new age che basterebbe un minimo di approfondimento non per sconfiggere, ma per ridicolizzare», una visione che ha reso gli esseri umani simile a tutti gli altri animali, ma «con l’aggravante di poter praticare liberamente l’aborto e l’eutanasia» e, lamenta il nuovo Papa  russo Metodio, «perfino alcuni vescovi, per superficialità o perché incredibilmente convinti, pensano che il futuro possa vedere il cattolicesimo mescolato e parificato con altre religioni o con loro assurde parodie» (p. 108).

Il romanzo che pure ha una base di partenza interessante e nuova, carica di profezia e di fede e quindi anche ottimista nell’esemplare il  tragitto  del papato innovativo  che mira a una vera predicazione  del Vangelo,   si avvia  ben presto  ad incorniciare il realismo più crudo  lasciando leggere anche scenari forti, concreti e cupi.   Storia fantastica, romanzo surreale? Non proprio. Il panorama è certo di una storia affascinante, ma si legge dentro anche un mondo ecclesiastico, ovvero una Chiesa  di vescovi e cardinali lontani dalla fede e da Dio, anzi dediti a seguire le leggi e le regole non di Dio ma della “Fratellanza”.

domenica 4 giugno 2017

I droni scoprono un (nuovo) mistero di Tiahuanaco

tratto da il Giornale del 17/05/2017

Gli archeologi hanno trovato in Bolivia due piattaforme sotterrate che apparterebbero a un'antica piramide e che dimostrerebbero come l'insediamento fosse più grande di quanto crediamo oggi

di Giovanni Vasso

Gli scavi a Tiahuanaco, in Bolivia, a quanto pare sono appena iniziati. Una missione archeologica svela che dietro all’antica città precolombiana c’è un tanto altro, e in questo caso c'è tutto un (nuovo) affascinante insediamento ancora da scoprire.

La scoperta è stata fatta grazie alle analisi topografiche e agli elementi raccolti grazie al satellite e al volo di un drone che hanno proceduto alla mappatura dell’area del sito Unesco, che sorge a poco meno di settanta chilometri dalla capitale di La Paz. L’équipe di ricerca guidata dall’archeologo spagnolo José Ignacio Gallegos ha scoperto che nel terreno dove sorge Tiahuanaco c’è ancora tanto da portare alla luce. Nel caso specifico, come riporta il Latin American Herald Tribune, ci sono da disseppellire due piattaforme che potrebbero essere collegabili a una piramide e una grande piazza. E che dimostrerebbero come l'area di Puma Punku nel sito archeologico boliviano non sia (solo) limitata alla presenza di una piramide ma che ci sia stato un vero e proprio insediamento che si estendeva su un'ampiezza di almeno quattordici ettari.

Si ipotizza che sepolte dal terreno e dal tempo vi siano da riportare un tempio e un ingegnoso sistema di canali di irrigazione. Le autorità boliviane avrebbero già manifestato l’intenzione di voler andare fino in fondo a questa storia e di proporre subito degli scavi.

Dallo studio di queste evidenze, gli archeologi potrebbero ricavare materiale interessante per far luce su una delle civiltà più misteriose della storia antica mondiale. La fondazione di Tiahuanaco viene fatta risalire attorno al 1580 avanti Cristo, la fine della città – invece – è datata 1187 dopo Cristo. Il fascino della civiltà scomparsa molto prima dell'arrivo di Colombo e le (poche) notizie certe che si hanno hanno contribuito al fascino del sito archeologico boliviano. Ed è stato forse per questo, per il fascino del mistero ancora tutto da scoprire, che Tihuanaco è diventata una delle suggestioni più forti per i “cacciatori di misteri”.

domenica 28 maggio 2017

Via iniziatica e via mistica

in collaborazione con la rivista Lettera e Spirito:
http://acpardes.com/letteraespirito/via-iniziatica-e-via-mistica/

di René Guénon

La confusione tra il dominio esoterico e iniziatico e il dominio mistico, o, se si preferisce, tra i punti di vista che rispettivamente vi corrispondono, è una di quelle che più frequentemente si commettono oggi, e questo, sembra, in un modo che non è sempre interamente disinteressato; v’è in ciò, del resto, un atteggiamento piuttosto nuovo, o che almeno, in certi ambienti, è andato molto generalizzandosi in questi ultimi anni, ed è per questo che ci pare necessario incominciare con lo spiegarci chiaramente su tale punto. Va ora di moda, se così si può dire, qualificare come “mistiche” persino le dottrine orientali, ivi comprese quelle in cui non v’è neppure l’ombra di un’apparenza esteriore che possa, per coloro che non vanno oltre, dar luogo a una tale qualifica; l’origine di questa falsa interpretazione è naturalmente imputabile a certi orientalisti, che pos­sono d’altronde non esservi stati indotti innanzitutto da un secondo fine chiaramente definito, ma soltanto dalla loro incomprensione e dal partito preso più o meno incosciente, che è loro abituale, di ricondurre tutto a dei punti di vista occidentali[1]. In seguito ne sono però venuti altri, che si sono impadroniti di quest’assimilazione abusiva e che, vedendo i vantaggi che ne poteva­no trarre per i propri fini, si sforzano di propagarne l’idea al di fuori del mondo particolare, e tutto sommato abbastanza circoscritto, degli orientalisti e della loro clientela; e questo è più grave, non soltanto perché è soprattutto così che tale confusione si diffonde sempre più, ma anche perché non è difficile vedere in ciò dei segni non equivoci di un tentativo “annessio­nistico” contro il quale è opportuno stare in guardia. Infatti, coloro cui ci riferiamo sono quelli che si possono considerare come i negatori più “seri” dell’esoterismo, vogliamo dire con ciò gli exoteristi religiosi che rifiutano d’ammettere alcunché fuori del proprio dominio, ma che riten­gono probabilmente tale assimilazione o “annessione” più abile di una brutale negazione; e, a giudicare dal modo in cui alcuni di loro si danno da fare per travestire da “misticismo” le dottrine più nettamente iniziatiche, sembrerebbe davvero che questa bisogna rivesta ai loro occhi un carattere particolarmente urgente[2]. A dire il vero, vi sarebbe pure, in questo stesso ambito religioso cui appartiene il misticismo, qualcosa che, sotto certi aspetti, potrebbe prestarsi meglio a un accostamento, o piuttosto a un’apparenza d’accostamento: è ciò che viene designato col termine “ascetica”, giacché si tratta almeno di un metodo “attivo”, invece dell’assenza di metodo e della “passività” che caratterizzano il misticismo e sulle quali dovremo ritornare tra poco[3]; ma è ovvio che queste similitudini sono del tutto esteriori, e, d’altra parte, questa “ascetica” ha forse scopi solo troppo visibilmente limitati per poter essere utilizzata con van­taggio in quel modo, mentre, con il misticismo, non si sa mai molto esattamente dove si va, e proprio tale vaghezza è sicuramente propizia alle confusioni. Soltanto, coloro che si dedicano a tale lavoro con proposito deliberato, come pure quelli che li seguono più o meno inconsape­volmente, non paiono rendersi conto che, in tutto ciò che ha attinenza con l’iniziazione, non v’è in realtà niente di vago né di nebuloso, ma si tratta al contrario di cose molto precise e molto “positive”; e, in realtà, l’iniziazione è, per sua stessa natura, propriamente incompatibile con il misticismo.

Tale incompatibilità, d’altronde, non deriva da ciò che la stessa parola “misticismo” implica originariamente, che è anzi manifestamente apparentato all’antica denominazione dei “misteri”, vale a dire di qualcosa che appartiene al contrario all’ordine iniziatico; ma tale parola è una di quelle per le quali, lungi dal potersi riferire unicamente all’etimologia, si è rigorosamente obbli­gati, se ci si vuol far comprendere, a tener conto del senso che è stato loro imposto dall’uso, e che è, in realtà, il solo che gli si attribuisca attualmente. Ora ciascuno sa che s’intende con “misticismo”, ormai già da molti secoli, cosicché non è più possibile servirsi di questo termine per designare qualcos’altro; ed è questo che noi diciamo non ha e non può avere niente in comune con l’iniziazione, in primo luogo perché questo misticismo appartiene esclusivamente al dominio religioso, vale a dire exoterico, e poi perché la via mistica differisce dalla via iniziatica in tutti i suoi caratteri essenziali, e questa differenza è tale che ne risulta tra di loro una vera incompatibilità. Precisiamo d’altronde che si tratta di un’incompatibilità di fatto piuttosto che di principio, nel senso che non si tratta da parte nostra di negare il valore almeno relativo del misticismo, né di contestare il posto che gli può legittimamente competere in certe forme tradizionali; la via iniziatica e la via mistica possono dunque coesistere perfettamente[4], ma quel che vogliamo dire, è che è impossibile che qualcuno segua sia l’una sia l’altra, e questo senza neppure pronunciarsi sullo scopo cui possono condurre, benché del resto si possa già prevedere, in ragione della differenza profonda dei domini cui si riferiscono, che tale scopo non può essere lo stesso in realtà.

Abbiamo detto che la confusione che fa vedere a certuni del misticismo là dove non ve n’è la minima traccia ha la sua origine nella tendenza a tutto ridurre ai punti di vista occidentali; si è che, infatti, il misticismo propriamente detto è qualcosa d’esclusivamente occidentale e, in fon­do, di specificamente cristiano. A tal proposito, ci è capitato di fare un’osservazione abbastanza curiosa perché la riportiamo qui: in un libro di cui abbiamo già parlato in altra sede[5], il filosofo Bergson, opponendo quelle che egli chiama la “religione statica” e la “religione dinamica”, vede la più alta espressione di quest’ultima nel misticismo, che d’altronde non capisce molto, e che ammira soprattutto per ciò che noi potremmo al contrario trovarvi di vago e persino di difettoso sotto certi aspetti; ma quel che può sembrare veramente strano da parte di un “non cristiano”, è che, per lui, il “misticismo completo”, per quanto poco soddisfacente sia l’idea che se ne fa, è comunque quello dei mistici cristiani. Per la verità, come conseguenza necessaria della poca stima che prova per la “religione statica”, egli dimentica un po’ troppo che questi ultimi sono cristiani ancor prima d’essere mistici, o almeno, per giustificarli d’essere cristiani, pone indebi­tamente il misticismo all’origine stessa del Cristianesimo; e, per stabilire a tal proposito una sorta di continuità tra quest’ultimo e l’Ebraismo, arriva al punto di trasformare in “mistici” i profeti ebraici; evidentemente non ha la minima idea del carattere della missione dei profeti e della natura della loro ispirazione[6]. Comunque sia, se il misticismo cristiano, per quanto defor­mato o sminuito sia il concetto che se ne fa, è così ai suoi occhi il tipo stesso del misticismo, la ragione ne è, in fondo, ben facile da capire: si è che, in realtà e rigorosamente parlando, non esiste altro misticismo che quello cristiano; e anche i mistici che si chiamano “indipendenti”, e che noi diremmo più volentieri “aberranti”, s’ispirano in realtà soltanto, fosse pure a loro insa­puta, a idee cristiane snaturate e più o meno interamente svuotate del loro contenuto originario. Ma anche questo, come tante altre cose, sfugge al nostro filosofo, che si sforza di scoprire, anteriormente al Cristianesimo, degli «abbozzi del futuro misticismo», mentre si tratta di cose totalmente diverse; vi sono segnatamente sull’India alcune pagine che rivelano un’incompren­sione inaudita. Vi sono anche i misteri greci, e qui l’accostamento, fondato sulla parentela eti­mologica che segnalavamo sopra, si riduce insomma a un ben brutto gioco di parole; del resto, Bergson è obbligato a confessare lui stesso che «la maggior parte dei misteri non ebbe nulla di mistico»; ma allora perché parlarne sotto questo vocabolo? Quanto a quel che furono quei misteri, egli se li rappresenta nel modo più “profano” possibile; tutto ignorando dell’iniziazione, come potrebbe capire che vi fu lì, così come nel caso dell’India, qualcosa che per prima cosa non era assolutamente d’ordine religioso, e poi andava incomparabilmente più lontano del suo “misticismo”, e, bisogna pur dirlo, anche del misticismo autentico, che, per il fatto stesso che si confina nel dominio puramente exoterico, ha necessariamente anch’esso le sue limitazioni[7]?

Non ci proponiamo affatto al presente d’esporre in dettaglio e in modo completo tutte le differenze che separano in realtà i due punti di vista iniziatico e mistico, giacché solo questo ri­chiederebbe un intero volume; la nostra intenzione è soprattutto d’insistere qui sulla differenza in virtù della quale l’iniziazione, nel suo stesso processo, presenta caratteri completamente di­versi da quelli del misticismo, se non addirittura opposti, il che basta a mostrare che di fatto si tratta di due “vie” non soltanto distinte, ma incompatibili nel senso già da noi precisato. Ciò che più spesso si dice a questo proposito, è che il misticismo è “passivo”, mentre l’iniziazione è “attiva”; ciò è d’altronde verissimo, a condizione di determinare bene l’accezione nella quale si deve intenderla esattamente. Ciò significa soprattutto che, nel caso del misticismo, l’individuo si limita a ricevere semplicemente quel che gli si presenta, e come gli si presenta, senza interve­nire per nulla; e, diciamolo subito, è in ciò che sta per lui il principale pericolo, per il fatto che è così “aperto” a tutte le influenze, di qualunque ordine siano, e che per di più, in generale e salvo rare eccezioni, non ha la preparazione dottrinale che sarebbe necessaria per permettergli di stabilire tra di esse una qualsivoglia discriminazione[8]. Nel caso dell’iniziazione, al contrario, è all’individuo che compete l’iniziativa di una “realizzazione” che perseguirà metodicamente, sotto un controllo rigoroso e incessante, e che dovrà normalmente condurre al superamento delle possibilità stesse dell’individuo come tale; è indispensabile aggiungere che tale iniziativa non basta, giacché è ben evidente che l’individuo non può andare al di là di se stesso con i pro­pri mezzi, ma, ed è ciò che per il momento ci importa, è essa a costituire obbligatoriamente il punto di partenza di qualsiasi “realizzazione” per l’iniziato, mentre il mistico non ne ha nessuna, sia pure per cose che non vanno assolutamente al di là del dominio delle possibilità individuali. Questa distinzione può già parere abbastanza netta, poiché fa vedere bene come non si possano seguire contemporaneamente le due vie iniziatica e mistica, purtuttavia non può bastare; po­tremmo anzi dire che essa corrisponde ancora soltanto all’aspetto più “exoterico” della questio­ne, e, in ogni caso, è troppo incompleta per quanto riguarda l’iniziazione, di cui è molto lontana dall’includere tutte le condizioni necessarie; sennonché, prima d’affrontare lo studio di tali con­dizioni, ci restano ancora da dissipare alcune confusioni.



René Guénon

[1] È così che, specialmente da quando l’orientalista inglese Nicholson si è azzardato a tradurre taçawwuf con mysticism, si è convenuto in Occidente che l’esoterismo islamico è qualcosa d’essenzial­mente “mistico”; anzi, in questo caso, non si parla più del tutto d’esoterismo, ma unicamente di misti­cismo, vale a dire si è arrivati a una vera e propria sostituzione di punti di vista. Il più bello è che, su questioni di quest’ordine, l’opinione degli orientalisti, che queste cose le conoscono solo attraverso i libri, conta manifestamente molto di più, agli occhi dell’immensa maggioranza degli Occidentali, del parere di coloro che ne hanno una conoscenza diretta ed effettiva!

[2] Altri si sforzano pure di travestire le dottrine orientali da “filosofia”, ma questa falsa assimilazione, in fondo, è forse meno pericolosa dell’altra, a causa della stretta limitazione dello stesso punto di vista filosofico; costoro d’altronde non riescono molto, per il modo speciale in cui presentano tali dottrine, se non a ridurle a qualcosa di totalmente privo d’interesse, e quanto sprigiona dai loro lavori è soprattutto una prodigiosa impressione di “noia”!

[3] Possiamo citare, come esempio di “ascetica”, gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio da Loyola, il cui spirito è incontestabilmente quanto c’è di meno mistico, e per i quali è almeno verosimile che egli si sia in parte ispirato a certi metodi iniziatici, d’origine islamica, ma, beninteso, applicandoli a uno scopo intera­mente diverso.

[4] Potrebbe essere interessante, a tale proposito, fare un confronto con la “via secca” e la “via umida” degli alchimisti, ma ciò esulerebbe dal quadro del presente studio.

[5] Les deux sources de la morale et de la religion. – Vedere sull’argomento Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, cap. XXXIII.

[6] In realtà, si può trovare un misticismo ebraico propriamente detto soltanto nello Hassidismo, vale a dire in un’epoca molto recente.

[7] Il sig. Alfred Loisy ha voluto rispondere a Bergson e sostenere contro di lui che v’è una sola “fonte” della morale e della religione; nella sua qualità di specialista di “storia delle religioni”, preferisce le teorie di Frazer a quelle di Durkheim, e anche l’idea di una “evoluzione” continua a quella di una “evoluzione” per brusche mutazioni; per noi tutto ciò che si equivale; ma v’è almeno un punto sul quale dobbiamo dargli ragione, e lo deve certamente alla sua formazione ecclesiastica: grazie a quest’ultima, egli conosce i mistici molto meglio di Bergson, e fa notare che essi non hanno mai avuto il minimo sospetto di qualcosa che assomiglia anche soltanto un poco allo “slancio vitale”; evidentemente, Bergson ha voluto fare di loro dei “bergsoniani” ante litteram, ciò che non è molto conforme alla semplice verità storica; e il sig. Loisy si stupisce anche giustamente di vedere Giovanna d’Arco annoverata tra i mistici. – Segnalia­mo di sfuggita, giacché vale la pena di registrarlo, che il suo libro si apre con un’ammissione assai di­vertente: «L’autore del presente opuscolo», egli dichiara, «non si riconosce particolari inclinazioni per le questioni d’ordine puramente speculativo». Lodevole franchezza; e, poiché è lui stesso che lo dice, e in modo del tutto spontaneo, gli crediamo volentieri sulla parola!

[8] È anche questo carattere di “passività” che spiega, benché non li giustifichi, gli errori moderni che tendono a confondere i mistici, vuoi con i “medium” e altri “sensitivi”, nel senso attribuito dagli “psichisti” a tale parola, vuoi addirittura con dei semplici malati.

domenica 21 maggio 2017

“TEONANACATL: STORIA, MITO E ATTUALITA’ DEI FUNGHI SACRI DEL MESSICO” – (Prima Parte)

Sabato 10 Giugno 2017 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “Dialoghi di Esoterismo”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi alla prima di due imperdibile serate in compagnia di MARZIO FORGIONE che ci parlerà sul tema:

“TEONANACATL: STORIA, MITO E ATTUALITA’ DEI FUNGHI SACRI DEL MESSICO” – (Prima Parte)

In Messico è nota la presenza di diverse specie di funghi allucinogeni (Psilocybe, Conocybe e Panaeolus, tutti appartenenti alla famiglia delle Agaricaceae) che gli antichi Maya e gli Aztechi assumevano durante alcune cerimonie religiose. Venivano chiamati Teonanacatl, “carne degli Dei” in lingua Nahuatl, e venivano principalmente utilizzati per interrogare gli dei o per scacciare le forze del male, oltre che per certe procedure di carattere iniziatico. Questi funghi provocano potenti allucinazioni e inducono uno stato sognante senza perdita di coscienza, in cui il consumatore diventa totalmente indifferente ed inconsapevole dell’ambiente circostante. A questa fase iniziale ne segue poi una seconda, in cui insorge una grande stanchezza, fisica e mentale, oltre che un’alterazione della percezione dello spazio e del tempo. Durante gli stati di trance visionaria indotti dai funghi si possono osservare animali selvatici, disegni astratti e coloratissimi ed enormi funghi antropomorfi. Come succede anche per il Peyote, sembra che gli indios fissino nella mente i geometrici e variopinti motivi osservati durante i loro «viaggi» nel mondo degli spiriti per poi riprodurli su tappeti e vestiti.
E probabilmente anche i Maya degli altipiani del Guatemala, 3000 anni fa, facevano la stessa cosa e ci lasciarono testimonianza delle loro pratiche “teofaghe” realizzando le famose statuette note con il nome di “Pietre Fungo”, raffiguranti figure totemiche umane e animali sormontate da un’ampia cappella fungina che hanno sconcertato gli archeologi per lungo tempo.
Oggi questi reperti sono interpretati come una sorta di icona associata ai rituali di un’antica religione fondata sull’uso sacramentale di questi funghi, che, si ipotizza, furono la prima pianta allucinogena utilizzata ritualmente. Gli Aztechi sostenevano inoltre che i funghi fossero in grado di parlare e questo può essere spiegato dal fatto che le allucinazioni indotte dai funghi si manifestano, oltre che attraverso visioni colorate, con suoni di varia natura. Se l’opposizione spagnola verso l’uso sacramentale dei vegetali enteogeni fu massiccia, il Teonanacatl fu sicuramente l’obiettivo più odiato.
L’ intolleranza religiosa dei conquistadores aumentava il loro disprezzo e la loro paura nei confronti di questa pianta, che con la sua azione allucinogena era in grado di mettere gli indios in diretto contatto con il loro Dei. Gli Spagnoli scoprirono che i Funghi Sacri usati in questi riti venivano definiti dagli Indios col nome di teonanàcatl, vocabolo che il lingua nauhatl significa, come già detto, “carne degli dei”; a seconda poi delle diverse culture in seno alle quali si svolgevano questi riti, essi potevano essere assunti dal solo sciamano/curandero, oppure distribuiti anche ai partecipanti alla cerimonia. Non è difficile cogliere la somiglianza fra la somministrazione di questi funghi ed il rito dell’Eucarestia nella liturgia cattolica. Per questo motivo i missionari al seguito dei conquistadores interpretarono queste pratiche nella chiave di una parodia, diabolica e disgustosa, della comunione e dell’ostia consacrata. Tuttavia, nel tentativo di reprimere questa particolare usanza, gli spagnoli riuscirono solamente a relegare questa pratica nelle zone più inaccessibili dell’entroterra, dove ha prosperato sino ad oggi, anche se con modalità diverse e ragioni differenti. E spesso in ambiti segreti preclusi a chi non è parte di queste culture.
Anche se gli sciamani hanno da sempre scelto i diversi tipi di fungo in base alla loro esperienza personale, allo scopo e alla disponibilità stagionale, il Fungo Sacro più utilizzato risulta essere la Psilocybe mexicana (contenente numerosi alcaloidi indolci, soprattutto psilocybina), un piccolo fungo che cresce sulle alture e nei prati umidi del Messico meridionale. I curanderos (soprattutto le donne — e la celebre Maria Sabina di cui si parlerà ne fu un esempio straordinario), lo consumano in cerimonie di guarigione — particolarmente intrise di un sincretismo religioso fatto di paganesimo e cattolicesimo — per entrare in contatto con gli spiriti benevoli e convincerli a guarire le malattie.
Di tutto questo e di moltissimo altro ancora si parlerà in questa imperdibile conferenza a cui siete tutti invitati.

Anche questa volta il nostro Centro si pregia quindi di invitarvi ad una serata straordinaria a cui, naturalmente, non dovete assolutamente mancare!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.

Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.

— ATTENZIONE : LA SECONDA PARTE DI QUESTA CONFERENZA SI TERRA’ SABATO 17 GIUGNO —


sabato 13 maggio 2017

Piogge fuori posto

Charles Hoy Fort (1874-1932) e l’archivio dei 25.716 eventi fenomeni dell’ impossibile «Il mio prozio, Charles Hoy Fort, studiò a fondo il fenomeno delle piogge anomale. Ovvero precipitazioni dal cielo di “cose” davvero singolari, quali latte, fuoco, sangue, pietre, sostanze ignote all’uomo... e altra roba come uova, frutta e animali: rane, pesci, addirittura mucche.» «Mi prendi per scemo, Kyle? Esistono cose di questo tipo? E come mai noi uomini della strada non ne sappiamo un cavolo?» «Beh, tutti i fenomeni “scomodi” da spiegare sono poco noti al grande pubblico... ma la cosa e stata riscontrata in tutto il globo terrestre, fin dal passato più remoto. Fort, caso per caso, riportò meticolosamente la fonte, la rivista scientifica dove aveva trovato la descrizione dell’accaduto. E catalogò 25.716 eventi apparentemente impossibili! Ma i Fenomeni Fortiani continuano anche ai giorni nostri, che credi?» Kyle Harness, nipote ed erede di Fort, indagando sulle teorie dello zio, vedrà la sua vita sconvolta da un orribile segreto…

sabato 29 aprile 2017

Guida alla Massoneria. Un viaggio nei misteri dell’iniziazione

Guida alla Massoneria
Un viaggio nei misteri dell’iniziazione
di Michele Leone
Odoya edizioni 2017
In libreria dal 20 Aprile, 384 pagine, 20 euro, collana Odoya Library






Michele Leone nel realizzare questa guida alla massoneria “3.0” ha unito esigenze differenti. La prima è quella di attualizzare un "fenomeno" che compie trecento anni proprio nel 2017 e l’altra quella di organizzare e descrivere nel dettaglio il suo background. Benché l’anniversario sia ghiotto: nel 1717 si costituisce la più importante Grande Loggia ovvero quella londinese, Leone critica l’influenza che questa ha oggi sulle massonerie europee, fino a chiedersi se l’immobilismo inglese non abbia "ucciso" lo spirito massone. Oltre a questo attacco frontale, l’autore si fa latore anche di una battaglia: l’ingresso delle donne a pieno titolo nella latomistica istituzione.
Ma Leone è prima di tutto un teorico in grado di spaziare tra mito e contemporaneità, rendendo nota non solo la storia della Massoneria, ma anche la sua protostoria. Partendo dal presupposto che capire a fondo la materia è proprio solo degli iniziati (“sarebbe come spiegare un bacio”) prova a fornire un filo di Arianna utile per tutti, anche per chi non ha intenzione di diventare Apprendista.
Bisogna quindi seguirlo nel doppio presupposto materiale e spirituale della Massoneria: da un lato traccia quindi le storie delle Corporazioni, Gilde e poi Logge di muratori e architetti, mentre dall’altro si addentra nella storia delle scuole iniziatiche perché, tra le tante cose che metterebbero d’accordo ogni massone c’è il fatto che la Massoneria sia eminentemente una scuola iniziatica.
L’ambizioso lavoro su simboli, riti e miti è puntellato da una foltissima messe di citazioni da Leon Battista Alberti , Apuleio, Umberto Eco, Le Goff, Jung, René Guénon, la Bibbia e tante altre fonti eccellenti. Se seguire simbologie e rituali a volte diventa ostico per il neofita, è invece veramente utile per capire il “fenomeno” in genere conoscere la narrazione alla base di tutti i credo delle logge, ovvero il mito di Hiram. Coloro ai quali non fosse familiare la storia dell’edificazione del tempio di Salomone e del semidivino architetto che introdusse la divisione tra Apprendisti, Compagni e Maestri — in grado di riconoscersi
tramite parole, toccamenti e segni — troveranno interessante il suo racconto in questo libro addirittura in differenti versioni. La narrazione della storia di Hiram è in questo caso completa di liaison con ritualità e simbologie ancora in uso.
Per quanto sempre al limite del “libro per iniziati”, il pregio della Guida alla Massoneria è quello di organizzare l’armamentario concettuale massone per la prima volta secondo un’ottica italiana.
Basti aggiungere la presenza nel volume di materiali utili quali il succoso capitolo “E se volessi diventare Massone?” e alcune costituzioni in appendice come quella legata a Federico II e si capisce come di una Guida alla Massoneria così aggiornata e completa ce ne fosse proprio bisogno.
Michele Leone dalla fine degli anni Novanta ha indirizzato le sue ricerche prevalentemente nell’ambito delle “scienze tradizionali”, con peculiare riferimento alla Tradizione Ermetica e alla Massoneria. È responsabile della collana “I Ritrovati” per Mondi Velati Editore. Collabora con alcune testate periodiche e per Delta, Rassegna di Cultura Massonica, per la quale è direttore del comitato di redazione. Numerose le sue pubblicazioni: Il linguaggio simbolico dell’esoterismo (2013, con M. Centini); Le Magie del Simbolo (2014, con G. Zosimo); Misteri Antichi e Moderni. Indagine sulle società segrete (2015), oltre alle curatele di volumi di Enrico Queto, Giovanni de Castro, Eugène Goblet d’Alviella e altri. www.micheleleone.it



mercoledì 26 aprile 2017

Templar order. Il cammino dei templari. La via verso la saggezza.

Dalla prefazione del libro:

Ringraziando dell’attenzione per aver iniziato a leggere questo libro, segnalo che il ricavato delle vendite verrà devoluto attraverso l’associazione Monegasca “Ordre des Templiers de Jerusalem” di cui sono Presidente e Socio Fondatore, in aiuto all’attività della Amade-Monaco, per aiutare i bambini. Per seguirne le attività è possibile consultare la pagina www.facebook.com/ordredutemplemonaco oppure il nostro web-site: www.cavalieri-templari.com; è possibile anche consultare il video di presentazione della ONG sulla web tv: http://www.canaleeuropa.tv/fr/primo-piano/templari-a-monaco.html
Il Priorato di Monaco ha inoltre lanciato l’iniziativa: «Templari al lavoro per la vita».
PRESENTAZIONE dell’azione umanitaria:
L’associazione “Ordre des Templiers de Jerusalem”, Gran Priorato del Principato di monaco, autorizzato dal Governo, iscritto all’Ecosoc delle nazioni unite n° 646768, è un Ordine ecumenico, avente tra i suoi scopi la creazione di un’azione coordinata in favore della fratellanza tra gli uomini ed i popoli.
Il Gran Priorato ha istituito un programma di collaborazione/cooperazione per il restauro di edifici rurali dismessi con congiunta attività agricola.
Questi interventi saranno atti all’accoglienza ed alla vita in comunità agricole, a sostegno delle persone indigenti o bisognose. Con questo programma si creeranno numerosi posti di lavoro per i giovani formatori, si riqualificheranno strutture dismesse creando social co-housing e verranno create delle cooperative sociali di produzione agricola con prodotti a chilometro zero.
Dei corsi scolastici, inoltre, sensibilizzeranno ad una alimentazione intelligente.

Tutti le persone e gli enti interessati sono invitati alla coesione.
I templari, come allora, adesso. Che dire di più.

mercoledì 19 aprile 2017

Alfitomanzia e mantica

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/alfitomanzia/

Alfitomanzia, Critomanzia e Mantica: una definizione

L’ Alfitomanzia è una delle discipline legate alle Arti Mantiche, già ma cosa è la mantica? La mantica può essere definita come l’Arte della divinazione. La divinazione con il suo sistema di relazione uomo – Mondo Universo è una pratica antichissima e si è evoluta nella storia in molteplici modi. Oggi possiamo enumerare oltre cento tipi di possibili tecniche divinatorie. Superando il dilemma se queste tecniche abbiano una qualche efficacia o siano pratiche da azzeccagarbugli, questione che rimando alle coscienze e credenze di ognuno, il loro studio e la loro conoscenza diventa indispensabile quando si voglia studiare il rapporto dell’uomo con il sacro ed affrontare i così detti esoterismi con gli strumenti dell’antropologia, della Storia delle Religioni e via dicendo. Della mantica parlava Platone, questa è la capacità “divinatrice” delle anime più elevate.

L’ Alfitomanzia è spesso associata ad altre pratiche come ad esempio Aleuromanzia (o Alveromanzia) o Critomanzia. Della Critomanzia abbiamo una definizione nel Nuovo Dizionario Scientifico Curioso Sacro-Profano di Pivati del 1746.

Critomanzia: Specie di divinazione, che consisteva nel- considerare la pasta o materia delle focacce, che si offrivano ne’ sacrifici, e la farina che si spargeva sulle vittime, che dovevano scannarsi; e perché si servivano sovente della farina d’orzo; in tali cerimonie superstiziose, così hanno chiamata questa specie di divinazione Critomanzia da κριθή, orzo, e da μαντεία, cioè divinazione.

Ora la definizione di Alfitomanzia con interessanti aneddoti annessi.

Alfitomanzia: Divinazione che si fa col pane d’orzo. Fino dai tempi più antichi si conosceva questa divinazione importante. I nostri padri, quando volevano in diversi accusati distinguere il colpevole ed ottenere da lui la confessione del suo delitto, facevano mangiare agl’imputati un pezzo di pan d’orzo. Colui che lo digeriva senza fatica era riconosciuto innocente, mentre il reo si palesava con un’indigestione. Egli è pure da questo uso, che era ricevuto dalle leggi canoniche, ed impiegato nelle prove del giudizio di Dio, che derivò questa imprecazione popolare: <<Se io t’inganno, voglio che questo pezzo di pane mi strozzi!>>. – Ecco come si procede a questa divinazione che serve del resto a scoprire ciò che un uomo ha di nascosto nel cuore: si prende pura farina di orzo; si impasta con latte e sale, senza mettervi lievito; si avvolge in una carta untuosa, e si fa cuocere sotto la cenere; si strofina poscia con foglie di verbena, si fa mangiare a colui da cui uno si crede ingannato, e che non lo digerisce se la presunzione è fondata. In tal guisa un amante può sapere se la fidanzata gli è fedele, ed una donna, se suo marito non gli fa delle perfidie. — Esisteva presso Lavinio, un bosco sacro ove si praticava l’alfitomanzia. Alcuni sacerdoti nutrivano in una caverna un serpente secondo alcuni, un drago, se si crede ad altri. In certi giorni dell’anno, si mandavano delle giovinette a portargli da mangiare; elle avevano gli occhi bendati e andavano alla grotta, tenendo in mano una focaccia fatta da loro, con mele e farina d’orzo. <<Il diavolo, dice Delrio, le conduceva per diretto cammino. Quella di cui il drago ricusava di mangiare la focaccia era riconosciuta non essere più Vergine>>.

Definizione presa da: Dizionario Infernale, edizione compendiata e tradotta da Francesco Piquè, Milano 1874

sabato 15 aprile 2017

Cerchi nel grano: effimeri e fugaci, eppure immortali

di Leonardo Dragoni

Con i suoi 68 esemplari, l’ultima stagione di cerchi nel grano (2016) è stata la più avara dell’ultimo trentennio.
Per coloro che non sapessero di cosa si tratta, i cerchi nel grano (alias pittogrammi, agroglifi, formazioni) sono aree di coltivazione (generalmente grano, ma anche mais, colza, erba) appiattite in modo tale da formare delle figure geometriche (non soltanto cerchi) pienamente apprezzabili solamente dall’alto.
Fino a non molti anni fa, questo fenomeno era considerato un mistero inspiegabile, l’enigma del secolo, la possibile e tangibile dimostrazione della presenza di intelligenze aliene.
Questo mistero è oggi in graduale declino, eppure sopravvive ancora a mille avversità, riproducendosi ogni volta in condizioni proibitive, come un lichene su Marte o un arbusto spontaneo tra gli interstizi dell’asfalto rovente.
Il mistero ha resistito quando il 16 Giugno del 1990 il gruppo ufologico francese “Comité Nord-Est des Groupes Ufologiques” (CNEGU), già presente nell’estate precedente a Cheesefoot Head col nome di Gruppo VECA,  aveva realizzato in Francia presso Verdes uno splendido cerchio con doppio anello, circondato da quattro piccoli satelliti perfettamente disposti a croce celtica. Per creare questo pittogramma era stato assunto un esperto di effetti speciali cinematografici, che a sua volta si era avvalso di due collaboratori. Ai tre era stato chiesto di concludere il complesso lavoro in breve tempo, senza lasciare tracce, alla presenza di un notaio e mentre venivano fotografati da un velivolo ad alta quota. L’incaricato entrò così nel campo insieme ai suoi due collaboratori, utilizzando le tramlines (solchi del passaggio dei mezzi agricoli), armato di un rullo da giardiniere, un picchetto, una corda. Il crop circle fu replicato, con le caratteristiche richieste, in una sola ora. Il resoconto di questo articolo sarebbe stato successivamente pubblicato nel Novembre 1990 sulla rivista “Science et Vie” col titolo “La folle storia dei cerchi nel grano”.  Splendide fotografie della creazione furono pubblicate anche da Robè sul sito del C.N.E.G.U.

Il mistero ha resistito alle dimostrazioni  fornite nel 1991 da due pensionati di Southampton (Douglas Bower e David Chorley), autori di molte di queste formazioni che apparivano nei campi inglesi da circa un decennio. Quando l’esperto nazionale Pat Delgado aveva visitato il crop circle realizzato da Bower e Chorley, aveva dichiarato: “Questa non può in nessun modo essere una bufala. È il miglior momento della mia ricerca”. Alcuni minuti dopo realizzò di essere stato raggirato e telefonò all’amico e collega Colin Andrews: ““Siamo stati tutti imbrogliati... Questa cosa distruggerà migliaia di vite”.
Per qualche giorno sembrò tutto finito. Invece no: giusto il tempo di incassare il colpo, metabolizzarlo,  e i believers serrarono i ranghi e tornarono alla carica, con l’intento di screditare  Bower e Chorley, facendoli apparire come due imbroglioni, che avevano interesse a squalificare e insabbiare l’autentico mistero dei cerchi nel grano.

Il mistero ha resistito anche alla “Crop Circle Making Competition” dell’anno successivo, organizzata da John Michell, Richard e John Adams, e Rupert Sheldrake, grazie anche al finanziamento della “Koestler Foundation” e della rivista tedesca “PM”, e alla co-sponsorizzazione del “The Guardian” e del “The Cereologist”. Lo scopo era proprio mettere un punto sulla possibilità che alcuni artisti dotati di mezzi di lavoro rudimentali, potessero (oppure no) realizzare simili opere.
Durante la notte dell’11 Luglio 1992, presso West Wycombe, nel Buckinghamshire, i concorrenti (da soli o in team), agirono sorvegliati e fotografati da un velivolo che sorvolava la zona. Nel campo di gara potevano accedere soltanto i circlemakers (artisti che realizzano le formazioni) e cinque giudici. Parteciparono, tra gli altri, Adrian Dexter e Jim Schnabel, che negli anni successivi sarebbero diventati circlemakers molto in voga. I risultati furono sorprendenti, e decretarono che era sufficiente un buon ingegno e una strumentazione dozzinale, per realizzare autentici capolavori in poche ore, durante la notte.
Eppure, neanche questa dimostrazione riuscì a incrinare le solide certezze degli ufologi e dei believers, secondo i quali i cerchi nel grano autentici presentavano delle peculiarità e delle alterazioni chimico-fisiche che le altre formazioni (quelle replicate dall’uomo) non potevano possedere. A dare nuova linfa ai credenti fu l’emergere di un gruppo di ricerca americano noto come “BLT” dalle iniziali dei suoi esponenti: Burke, Levengood, Talbott. Questo gruppo, finanziato anche da Laurence Rockefeller, e capitanato dal biofisico William C. Levengood, produsse negli anni Novanta una incredibile quantità di documenti e di report elaborati su molti campioni di grano prelevati in vari crop circles in giro per il mondo.
Si giunse al culmine della cosiddetta “fase scientifica” del fenomeno dei cerchi nel grano, quando nel 2001 fece scalpore la pubblicazione di un articolo a firma del fisico Eltjo H. Haselhoff, il quale propendeva per l’ipotesi del coinvolgimento di misteriose sfere di luce (una particolare tipologia di UFO) nel processo di creazione dei crop circles.
Sarebbe qui complicato approfondire in poche pagine tutta a documentazione scientifica e parascientifica prodotta in quegli anni dal BLT e da Haselhoff, insieme a tutte le altre ipotesi e teorie avanzate in ordine sparso da ufologi, ricercatori, neofiti e  appassionati del fenomeno. Tutto questo viene sviscerato e confutato in ogni dettaglio nel libro “Cerchi nel grano. Tesi e confutazione di un fenomeno discutibile” (YouCanPrint, 2017), da poco uscito in commercio.


Cartaceo: http://www.youcanprint.it/fiction/scienze-sociali-generale/cerchi-nel-grano-tesi-e-confutazione-di-un-fenomeno-discutibile-9788892651166.html ;
Epub e Pdf: http://www.youcanprint.it/fiction/fiction-fantasy-paranormale/cerchi-nel-grano-tesi-e-confutazione-di-un-fenomeno-discutibile-9788892653481.html
Mobi/Kindle: https://www.amazon.it/dp/B06XNM7MQC/
Diciamo però fin da subito che negli anni seguenti tutto l’impianto probatorio messo in piedi dal BLT e da Haselhoff venne smontato da una importante pubblicazione scientifica (“Balls of Light: The Questionable Science of Crop Circles”) apparsa nel 2005 sul Journal of Scientific Exploration. In questo documento, firmato dal ricercatore italiano Francesco Grassi e dai suoi colleghi Cocheo e Russo, si metteva in evidenza l’inconsistenza della letteratura scientifica sui crop circles fino a quel momento.

Negli anni successivi numerosi circlemakers diedero ulteriori e grandiose dimostrazioni della loro arte, spesso anche di fronte alle telecamere di alcune emittenti televisive.
Eppure attorno ai cerchi nel grano, ancora oggi aleggia un alone di mistero.
Solo pochi giorni fa è uscito sui media americani e in molti siti internet un articolo di Horace Drew, conosciuto da anni nella comunità dei cerchi come “Red Collie”, il quale sostiene che i cerchi nel grano siano dei messaggi da decifrare, lasciati da civiltà aliene e da viaggiatori dello spazio.
Non è però grazie alle bislacche teorie di ufologi imbonitori che questo mistero sopravvive ancora. I motivi per cui non ci si arrende all’evidenza son ben altri, e vanno ricercati nel fascino che queste creature sono in grado di suscitare negli spettatori,  nella potente seduzione che ingenerano tra gli astanti e nella platea. Chiunque si sia imbattuto di persona in un crop circle, è stato certamente pervaso da un senso di maestosità, di grandezza e di armonia trasmesso da quel disegno geometrico che viene percepito come qualcosa di vivo. Al suo cospetto si viene investiti da un senso di pace e di sacralità, al punto che si rifiuta una spiegazione profana e meramente razionale.
Questa è, del resto, l’essenza di un’opera d’arte.
Tanto più apprezzabile nella misura in cui è anonima ed effimera, nata ed impressa nella natura. E nella natura sarebbe destinata anche a morire, senza lasciare traccia di sé, se non fosse catturata dagli obiettivi delle macchine fotografiche dei passanti.


Leonardo Dragoni dirige il sito web cropfiles.it dedicato ai cerchi nel grano. Ha pubblicato numerosi articoli sul tema, oltre ai libri: Storia dei cerchi nel grano. Le origini (2013); Storia dei cerchi nel grano. Gli anni Novanta (2016); Cerchi nel grano. Tesi e confutazione di un fenomeno discutibile (2017).

mercoledì 12 aprile 2017

La Magia del Corallo, ovvero quando Gesù necessitava di un amuleto

di Andrea Romanazzi


Se facciamo un giro per castelli e musei marchigiani ci troveremo spesso di fronte a bellissimi dipinti rinascimentali a sfondo sacro che però sono caratterizzati dalla presenza di un curioso particolare: un amuleto in corallo.
Il più famoso di questi dipinti, noto con il nome di Madonna di Senigallia dall’ultimo luogo conosciuto di provenienza, si trova nel Palazzo Ducale di Urbino (Fig.1). Si tratta di un olio realizzato da Piero della Francesca tra il 1470 e il 1485. L’artista è stato una delle più emblematiche figure del Rinascimento italiano, e non sono pochi i misteri nascosti tra le sue tele.

Figura 1

Figura 2

Figura  2 - particolare
E’ sempre Piero della Francesca che dipinge ancora una volta l’amuleto di corallo al collo di Gesù nella  La Pala di Brera, o Pala Montefeltro,  oggi conservata nella Pinacoteca di Brera (Fig.2). Qui l’opera presenta  un Gesù bambino in una curiosissima posizione, ovvero addormentato sul suo grembo della Madre e al collo il rosso amuleto. Sembrerebbe un vezzo dell’artista, una sorta di sua curiosa “firma”, ma non è così.
Se infatti poniamo attenzione, già nello stesso palazzo ducale di Urbino troviamo molte altre tele con questo curioso particolare (Fig.3).

Figura 3
Ancora l’amuleto di corallo è presente nella pala d’altare realizzata da Andrea Mantegna nota come Madonna della Vittoria, oggi esposta al Louvre di Parigi. Qui, in una sorta di “tripudio di colori” in onore della cacciata, per quanto temporanea, dei francesi dall’Italia ad opera della Lega Santa guidata da Francesco II Gonzaga, troviamo, in bella mostra, pendente sul capo del Cristo, un enorme amuleto di corallo (Fig.4-5).
Figura 4
Figura 5
Meno conosciute sono invece la Madonna con Bambino di Jacopo Bellini e la Madonna del Solletico di Masacico (Fig.6), custodita all’interno della Galleria degli Uffizi di Firenze. In quest’ultima il corallo intorno al suo collo del bambino è spostato sulla spalla dello stesso nel tentativo del Cristo di districarsi per cercare di evitare le dita giocose della madre.
Figura 6
L’elenco di quadri e tavole riportanti questo curioso particolare potrebbe continuare, numerosi sono gli affreschi del XV e XVI secolo, specie di chiese di campagna, dove è facile trovare il bimbo Gesù che stringe tra le mani o indossa al collo un rametto di corallo. In altri casi  collane e cordoncini che legano un rametto di corallo sono messi in bella mostra al polso del divin bambino.
Pensiamo al trittico Madonna tra i santi Sebastiano e Rocco eseguito nel 1509 per la chiesa di San Silvestro e oggi visibile nel Museo Nazionale d'Abruzzo o alla Madonna col Bambino, attribuito a Silvestro dall’Aquila del XV secolo. Sempre abruzzese era il De Litio  che realizza per la chiesa di Sant’Agostino ad Atri, l’affresco della Madonna delle Grazie nel quale è presente Gesù ornato di una bella collana di coralli.
Interessante e degna di citazione è poi la Tavola, attribuita alla scuola di Fiorenzo di Lorenzo, che raffigura la Madonna del Libro. Qui la Vergine, fiera, tiene sulle gambe il Cristo che, guardandola, mostra al collo il prezioso amuleto.
Molti altri sono i nomi illustri che hanno raffigurato questi elementi superstiziosi nelle loro tele. Raffaello, propone, nella sua “Sacra Famiglia con agnello” (Fig.7), visibile nel Museo del Prado, a Madrid, un divin bimbo a cavallo di una pecora con tanto di amuleto apotropaico.

Figura 7
Il Pinturicchio rappresenta un  san Bernardino orante innanzi al Bambino con collanina e rametto di corallo al collo, mentre Cosmè Tura raffigura una Circoncisione addobbata da “festoni di corallo” (Fig.8).

Figura 8
Dall’estrema diffusione di questo curioso simbolo si può intuire  che, più che un “capriccio” personale di un artista dunque, l’amuleto di corallo sembra avere un significato ben preciso. Quale?
Ebbene, molti nel descrivere queste opere, trattano davvero sbrigativamente il particolare dell’amuleto, rappresentazione metaforica del sangue del Cristo e della funzione salvifica.
In realtà forse dietro a tale simbolo si nasconde qualcosa di molto più semplice ma ovviamente che meno si addice all’immagine “cristiana” insita nell’opera: la magia popolare rinascimentale.
L’uso di amuleti si perde nella notte dei tempi, il termine dal latino amoliri, “allontanare”, indica un oggetto che è sacro di per sé, poiché la natura stessa vi infonde le particolari virtù di cui è dotato. L’amuleto è dunque una tipica espressione della credenza religiosa animistica. Non è facile dare una vera e propria classificazione degli amuleti. Una prima e semplicistica suddivisione potrebbe ricollegarsi alla loro efficacia e alle virtù attribuitevi.
Potremmo così suddividere gli amuleti in quattro classi o gruppi:
- Amuleti atti a impedire o ad allontanare la manifestazione di particolari fenomeni naturali e a proteggere persone, cose o animali;
- Amuleti dalla virtù preventiva e curativa di alcune malattie;
- Amuleti protettivi contro i malefici indotti da streghe, demoni o altre entità nefaste;
- Amuleti utilizzati per proteggere i neonati e donne in gravidanza.
E’ proprio tra quest’ultimi che ritroviamo il corallo, il cui nome deriverebbe dal greco koraillon cioè "scheletro duro", o da kura-halos cioè "forma umana". Per altri deriverebbe  dall’ebraico goral, ovvero il nome dato alle pietre utilizzate per gli oracoli in Medioriente e dunque già di per sé legato all’elemento magico.
Fin dall’epoca preistorica il corallo rosso è stato considerato potente elemento apotropaico contro le negatività.  Per i greci il corallo nacque dal sangue  sgorgato dalla testa di Medusa recisa da Perseo che, cadendo in mare, si tramutò nel preziosissimo ramoscello acquatico. Era spesso utilizzato dalle donne allo scopo di favorire la produzione di latte, essendo tale materiale anche galattoforo. Collane tramate di corallo erano anche indossate dalle ragazzine in periodo puberale per favorire la regolarità del flusso mestruale. L’utilizzo più comune era però quello di proteggere i bambini dagli influssi negativi e dalle streghe. “E’ comune opinione che certe vecchie, che chiamiamo streghe, sugano il sangue de’ bambini, per ringiovanirsi quanto possono” (M. Ficino). Sul corallo venivano spesso incisi ghiande, pigne, melograni, rose, perline dette “zingarelli”, tutti simboli di fertilità che aumentavano il potere apotropaico dell’elemento. Nelle figure 9 e 10 possiamo vedere degli esempi in mostra al Museo di Tradizioni Popolari di Roma, che dimostra l’enorme diffusione sul territorio nazionale.
In realtà queste collanine avevano anche una funzione igienico-sanitaria, proteggevano infatti il bimbo dalle piaghe cutanee dovute all’eccessiva salivazione.
Il ricordo di questi amuleti, ben lunghi dallo scomparire con l’avvento della Nuova Religione, ricorre così anche in epoca rinascimentale nelle opere di vari pittori di scuole umbre e marchigiane.
La sua presenza nelle tele sacra, più che indicare il sacrificio del Cristo, è la rimembranza di un’utilizzo protettivo di cui, evidentemente, il Cristo, visto il suo futuro, avrebbe avuto bisogno.
Figura 9
Figura 10

sabato 8 aprile 2017

La ricerca delle origini nella cerca del Graal

di Vito Foschi

Un altro aspetto della cerca di Perceval è la ricerca delle proprie origini, un tema non in primo piano, ma presente nel racconto di Chrétien de Troyes. All’inizio del racconto troviamo l’eroe adolescente recluso nella Guasta Foresta dalla madre che vuole evitare di perderlo, come successo al marito e agli altri figli morti in battaglia perché cavalieri. La madre tiene il giovane all’oscuro del mondo per evitare che sia tentato dalla vita cavalleresca e perciò Perceval è all’oscuro delle proprie origini ignorando che padre e fratelli erano cavalieri. Addirittura il giovane ignora il proprio nome. Gli rivelerà il nome e le sue origini una sua cugina che incontrerà dopo il fallimento della prova nel Castello del Graal. Gli svelerà anche che il Re Pescatore è suo zio da parte di madre. Infine incontrerà un’eremita che completerà la sua formazione spirituale che si rivelerà essere un altro zio sempre da parte di madre. La ricerca del Graal permette a Perceval di scoprire le proprie origini e il proprio lignaggio e di poter succedere al trono del Re Pescatore. Lo Zio Eremita è un maestro per il giovane e il ritrovare la propria famiglia è anche un ritrovare i membri di una catena iniziatica a cui riallacciarsi. In questo senso Perceval è un predestinato o meglio ha le qualificazioni necessarie per essere iniziato, perché se non fosse partito dalla Guasta Foresta e affrontato le mille prove non sarebbe stato pronto ha ricevere gli insegnamenti dallo Zio Eremita e ovviamente non lo avrebbe neanche trovato.


mercoledì 5 aprile 2017

Elitario, nazionalista, occultista: il poeta portoghese era anche questo

tratto da Il Giornale del 1 febbraio 2017

di Brunello Natale De Cusatis

È indiscutibile come la maggioranza della critica italiana provi un certo imbarazzo, oggi come ieri, di fronte alle posizioni ideologiche destrorse di alcune grandi figure letterarie e artistiche del secolo scorso, le quali sono da questi stessi critici idolatrate finché araldi di un movimento estetico ricco e innovativo confinato nei limiti appunto della Letteratura e dell'Arte. È il caso, per intenderci, di un Pound, di un Marinetti.

Nel momento in cui, tuttavia, tali figure sconfinano nel territorio politico-ideologico sono immediatamente viste con malcelata diffidenza, tacciate di stravaganza o, peggio ancora, subiscono quella che Mario Bernardi Guardi ha definito un'«operazione di profilassi».

Ebbene, Pessoa, come Pound, Marinetti e tanti altri importanti esponenti del Novecento letterario e artistico, è stato vittima in Italia di una rimozione riguardo varie componenti della sua sconfinata e multiforme opera. Di quest'opera, e fino a una ventina d'anni fa, era stata divulgata esclusivamente qui da noi la parte legata alla creazione letteraria, tanto ortonima quanto eteronima. Venendo a essere trascurati per completo e, quindi, non divulgati con opportune traduzioni, altri suoi aspetti non meno importanti, in considerazione del fatto che il Pessoa poeta si compenetra nel Pessoa pensatore e viceversa. Il tutto con riferimento, in particolare, sia all'aspetto socio-politico che all'aspetto economico, senza dimenticare quello mitico-profetico, religioso ed esoterico.

Più o meno gli ultimi venticinque anni del mio percorso quarantennale di docente universitario li ho dedicati in massima parte a Fernando Pessoa, in termini tanto di ricerca e studio quanto di divulgazione, per il tramite di svariate pubblicazioni saggi, articoli, traduzioni e curatele e di corsi, conferenze e comunicazioni congressuali. Una scelta che mi ha riservato molte soddisfazioni e riconoscimenti, in Italia e all'estero. Non senza, tuttavia, disappunti e scontri verbali a distanza con alcuni colleghi lusitanisti italiani.

Nel dicembre del 1994, uscirono in contemporanea il volume Scritti di sociologia e teoria politica (Settimo Sigillo) e il numero 5 della rivista Futuro Presente, diretta da Alessandro Campi e la cui sezione monografica, da me curata così come il volume richiamato, era dedicata al Pessoa politico e, in parte, occultista. La Repubblica del 30 novembre, per il tramite dell'allora responsabile delle sue pagine culturali, Antonio Gnoli, ne diede l'anticipazione con grande risalto, titolando l'articolo «Pessoa destra e astri». Nell'occhiello si leggeva: «Astrologo, occultista, mistico ma soprattutto critico feroce della democrazia e del cristianesimo. Escono gli scritti politici del grande poeta portoghese e si apre un caso. Era fascista?». Tanto l'articolo quanto il titolo e l'occhiello rispecchiavano nella sostanza le coordinate essenziali del pensiero politico pessoano. Antonio Gnoli, critico e studioso di riconosciuta onestà intellettuale, d'immediato si rese conto di quanto importante fosse il contenuto delle bozze che gli erano state recapitate: disvelavano ai molti italiani interessati a Fernando Pessoa un nuovo, pur se scomodo, aspetto della sua pluripersonalità.

Numerose sarebbero state le recensioni, sia al volume (uscito nel 1995 anche in traduzione tedesca), sia al numero 5 di Futuro Presente, apparse su quotidiani, settimanali e riviste. Altrettanto numerose sarebbero state le reazioni registratesi tanto a destra quanto a sinistra, pur se in alcuni casi spropositate, quando eccessivamente di parte. Ciò rientra, purtroppo, in un costume tipico dell'intellettualità italiana, composta ancora oggi di fazioni, e al quale credo di essere estraneo, poiché non mi sento di condividere appieno alcun tipo d'ideologia codificata. Le ideologie, diceva Goffredo Parise, «hanno tempi molto brevi, ma poi scompaiono. Se per ideologia si intende una personale, individuale visione del mondo, dirò che ogni uomo ne ha una...». Considerazioni che Fernando Pessoa avrebbe di certo sottoscritto in pieno! Invero, quel che ci si dovrebbe attendere dagli addetti ai lavori non è la bassa politica accademica, non è la faziosità di parte, l'anatema, l'insulto, ma stili di pensiero ispirati a onestà intellettuale. Eppure, non mi sono mai illuso che gli intellettuali organici di gramsciana memoria si fossero qui da noi definitivamente eclissati!

Tant'è che il 3 dicembre del 1994, sempre su Repubblica, comparve un intervento polemico del lusitanista Silvano Peloso. Una reazione spropositata, la sua, come ebbi a riferire nella mia risposta del 6 dicembre ancora su Repubblica, poiché accompagnata da riferimenti all'attualità politica italiana che assolutamente nulla avevano a che fare con un'iniziativa editoriale. Il tutto espresso peraltro senza che Silvano Peloso avesse letto né il libro né la rivista, e viziato oltremodo da un equivoco: aver pensato e scritto che volessi classificare Pessoa come un pensatore fascista. Sempre in occasione di quella mia risposta su Repubblica così concludevo l'intervento (mi scuso per l'autocitazione!): «Per quanto sgradevole possa risultare ad alcuni studiosi italiani, non si può trascurare l'esistenza in Pessoa di un vero e proprio nucleo politico-ideologico, caratterizzato da accenti di dura critica alla democrazia, da un ferreo spirito elitario, da una serrata critica anti-borghese, da un tenace nazionalismo e da un'aperta simpatia per i regimi autoritari (il che non gli impedì, lui dapprima pagano e poi cristiano-gnostico, di essere anti-salazarista). Senza naturalmente considerare l'intreccio, a dir poco inquietante, tra sebastianismo e sidonismo, tra l'idea messianica del Quinto Impero e il mito politico-letterario del Super-Camões, tra monarchismo ed ermetismo politico. Elementi che configurano un pensiero politico sicuramente eccentrico e singolare, che ho sintetizzato con la categoria anarchismo di destra (spero che Peloso concordi sull'impossibilità di ridurre il termine destra a quello di fascismo). Può darsi che a Peloso tale categoria appaia inappropriata o fuorviante. Ne trovi un'altra se crede: la sostanza delle posizioni politiche di Pessoa non cambia, così come non cambia il delicato problema interpretativo che esse sollevano».

All'articolo di Silvano Peloso, e ancora una volta su Repubblica, avrebbe fatto seguito di lì a poco, il 24 dicembre, l'intervento nella querelle di Luciana Stegagno Picchio, con un articolo («Pessoa, il poeta degli equivoci») in cui, senza mai citare il mio nome e il titolo del libro da me curato, ricorreva all'anatema, organizzando tra le righe la mia pubblica fucilazione, peraltro con valutazioni discutibili riguardo le idee politiche di Pessoa. Con l'occasione, l'illustre e celebre lusitanista orchestrava anche la promozione di un libricino curato da un suo allievo, Ugo Serani, dal titolo Fernando Pessoa. Ultimatum (e altre esclamazioni) (Biblioteca del Vascello), messo in piedi alla bell'e meglio e viziato nella traduzione e nel commento da errori crassi, completamente privo di un apparato scientifico e con la quarta di copertina in cui si dà Pessoa come nato a Durban, in Sudafrica, allorquando anche i più sprovveduti sanno che lo scrittore portoghese nacque e morì a Lisbona.

Risultava ovvio che avevo toccato qualche nervo scoperto, spiazzando coloro i quali si arrogavano la pretesa di essere i depositari in Italia di Pessoa, gli unici autorizzati a tradurre, curare e interpretare l'opera del grande poeta e scrittore portoghese.

Per nulla condizionato o intimorito, non potevo di certo desistere, anche a rischio della mia carriera accademica, dal continuare quel che mi ero proposto: contribuire con tutte le mie forze e capacità a rimuovere il velo che per tanti anni in Italia era stato steso sul Pessoa cattivo e impubblicabile, traducendolo e proponendo un approccio alternativo alla sua personalità intellettuale, nella fattispecie al suo pensiero politico, ma non solo. Cosicché, supportato da un editore coraggioso, Antonio Pellicani, ho pubblicato un secondo volume di scritti di Pessoa, nel 1996, Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935, più un terzo e un quarto, entrambi nel 1997: le traduzioni, rispettivamente, dell'opera La vita plurale di Fernando Pessoa dello spagnolo Ángel Crespo (biografia da me riproposta, nel 2014, per la Bietti di Milano, in una nuova edizione ampiamente annottata) e quella dell'ode pessoana Alla memoria del PresidenteRe Sidónio Pais (con una nuova versione riveduta, data alle stampe nel 2010 dalle Edizioni dell'Urogallo di Perugia, e corredata di un mio saggio introduttivo), tra le più belle elegie mai scritte in lingua portoghese e dedicata al dittatore portoghese assassinato nel 1918. Infine, nel 2000, ho pubblicato il volume Fernando Pessoa. Economia & commercio impresa, monopolio, libertà (Ideazione Editrice), corredato, a mo' di postfazione, di un interessantissimo e illuminante saggio, L'«evoluzionismo commerciale» di Fernando Pessoa, del compianto Alfredo Margarido, scrittore, critico e accademico portoghese di fama, universalmente ritenuto uno dei massimi esperti di Pessoa, in particolare quanto al versante socio-politico ed economico della sua opera. Il volume, riproposto nel 2011 in una nuova versione riveduta (Edizioni dell'Urogallo), raccoglie tutti gli scritti da Pessoa dedicati all'economia, al commercio, all'industria, all'editoria e alla pubblicità.

Anche questi ultimi miei lavori hanno suscitato curiosità e interesse, con numerosissime recensioni e praticamente con due unici commenti negativi, entrambi espressi da Antonio Tabucchi in altrettanti articoli apparsi sul Corriere della Sera. Il primo, «Pessoa schiavo delle stelle. Fuga nell'occultismo per dimenticare Salazar» (luglio del 1997), era volto a recensire il volume Pagine esoteriche di Pessoa (Adelphi), curato da Silvano Peloso; ma un articolo nel quale, con l'occasione, a mo' di contraltare, l'illustre scrittore e lusitanista Tabucchi discettava al negativo del mio Politica e profezia, definendo il volume in cui ho raccolto, tradotto e commentato, tra appunti e frammenti di Pessoa, centoventinove testi una «manciata di pagine»; quando in realtà, con questo volume e con i restanti due già citati, Scritti di sociologia e teoria politica (1994) ed Economia & commercio (2000), avevo messo per la prima volta a disposizione del lettore italiano la traduzione integrale di oltre centottanta scritti pessoani, per un totale, fra i tre volumi, inclusi i vari apparati, di ottocentocinquanta pagine. Con il secondo articolo, «Pessoa. Un poeta contro il dittatore Salazar», apparso a fine maggio del 2001, Antonio Tabucchi, dall'alto della sua baronia accademica, sostanzialmente si era proposto di stroncare la mia carriera universitaria, sferrando alla mia persona, ai miei lavori e ai miei commenti sul pensiero pessoano un attacco più vicino al linciaggio che al dibattito culturale! Un'operazione talmente infelice e inelegante (semplici eufemismi!) da scandalizzare all'epoca un po' tutti, da destra a sinistra.

Voglio sperare che non si colga in questa mia succinta disamina sul caso Pessoa in Italia uno sfogo dettato da bassi risentimenti personali. Quando in realtà ho solo voluto rimarcare, in senso generale, come sia preferibile, per chi è particolarmente interessato a un determinato autore, acquisire più notizie possibili sulla sua opera e il suo pensiero, così da evitare il grave rischio di avere (o dare) di lui un'immagine parziale, distorta, in qualche modo fuorviante per una sua vera e totale comprensione. Ed emblematici in tal senso sono proprio l'opera e il pensiero di Fernando Pessoa, vista la non sempre possibile separazione del poeta dal teorico-politico, dal sociologo, dall'occultista e dallo scrittore interessato all'economia e al commercio.

Alla fine, ognuno, dopo aver rimosso quella pregiudiziale che vuole che nella cultura, così come nella politica, i buoni stiano tutti da una parte ed i cattivi tutti dall'altra, sarà libero di scegliere il Pessoa che più gli aggrada. E questo, in virtù del fatto che non necessariamente l'artista che si occupa di politica si porta dietro la grandezza letteraria, né chi è interessato al Pessoa poeta deve obbligatoriamente condividere anche la sua posizione ideologica o i suoi ideali.

sabato 1 aprile 2017

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ASPIRAZIONE

in collaborazione con la rivista Lettera e Spirito: https://letteraespirito.wordpress.com/alcune-considerazioni-sullaspirazione/

Albano Martín de la Scala

René Guénon nella sua opera Il Re del Mondo nel capitolo VIII scrive [1]: «Il periodo attuale è dunque un periodo di oscuramento e di confusione; le sue condizioni sono tali che, finché persisteranno, la conoscenza iniziatica deve necessariamente rimanere nascosta; da qui il carattere dei “Misteri” dell’antichità detta “storica” (la quale non risale neppure all’inizio di tale periodo) e delle organizzazioni segrete di tutti i popoli: organizzazioni che conferiscono una iniziazione effettiva là dove sussiste ancora una vera dottrina tradizionale, ma non ne offrono che l’ombra quando lo spirito di tale dottrina ha cessato di vivificare i simboli che non ne sono che la rappresentazione esteriore, e questo perché, per ragioni diverse, ogni legame cosciente con il centro spirituale del mondo si è ormai rotto, ciò che è il senso più specifico della perdita della tradizione, quello che concerne in particolar modo questo o quel centro secondario, che cessa di essere in relazione diretta ed effettiva con il centro supremo. Si deve dunque, come già dicevamo sopra, parlare di qualcosa di nascosto piuttosto che veramente perduto, poiché non per tutti è perduto e certuni lo posseggono ancora integralmente; e, se così è, altri hanno sempre la possibilità di ritrovarlo, purché lo cerchino come si conviene, vale a dire la loro intenzione sia diretta in modo che, attraverso le vibrazioni armoniche che risveglia secondo la legge delle “azioni e reazioni concordanti” [2], essa possa metterli in comunicazione spirituale effettiva con il centro supremo [3]. Questa direzione dell’intenzione ha d’altronde, in tutte le forme tradizionali, la sua rappresentazione simbolica; intendiamo parlare dell’orientazione rituale: essa, infatti, è propriamente la direzione verso un centro spirituale che, qualunque esso sia, è sempre un’immagine del vero “Centro del Mondo” [4]».

Può essere che fra i lettori di queste righe ve ne siano che sono entrati in contatto con la magistrale opera di Guénon. Forse qualcuno di loro, leggendo tali scritti, ha sentito che questa esposizione in realtà non gli era veramente estranea ma che anzi non faceva altro che esprimere in modo chiaro ciò che in realtà egli già sentiva, magari in modo ancora un po’ confuso, nel proprio foro interiore. E ci riferiamo in particolare alla dottrina metafisica quivi esposta, laddove vengono trattati argomenti come: la non dualità, la Possibilità infinita, l’Identità suprema, gli stati molteplici dell’essere e la loro gerarchia. Principi questi che, per essere intuiti con evidente chiarezza, implicano un orizzonte intellettuale certamente non comune al giorno d’oggi.

Altri magari hanno sentito il bisogno impellente e profondo di consacrare la loro vita a qualcosa che la rendesse degna di essere vissuta. Essi possono aver riconosciuto che solo ciò che trascende l’esistenza può realmente darle un senso e aver quindi sentito la necessità di prendere contatto cosciente ed effettivo con questo grado superiore di realtà.

Ci può essere chi, eventualmente anche solo una volta nella vita, abbia sentito che nella parte più intima e profonda del proprio essere vi è un qualcosa che nulla ha a che fare con la vita ordinaria, caratterizzata dai suoi condizionamenti e limitazioni, e che chiede con potenza di ricongiungersi a ciò che è della sua stessa natura. Egli può aver avuto la sensazione che questa presenza fosse troppo grande per essere contenuta in un essere individuale e forse questa fortissima percezione lo ha spinto a cadere in un pianto dirotto [5].

Qualcuno forse ha avvertito, con grande sofferenza, la necessità di gridare la gloria del proprio Signore ma in un modo che la sua condizione individuale non permetteva di esprimere. In tutto ciò che precede vi è come la presenza di una “nostalgia” verso ciò che è spirituale ed eterno. Queste e molte altre possono essere le modalità con le quali si manifesta l’aspirazione intellettuale.

Il termine aspirare ha origine latina ed è composto dalla particella “ad”, verso e “spirare”, soffiare, tirare il fiato e anche mandarlo fuori. Il significato che questa parola ha preso nel linguaggio comune è anche quello di: inspirare, trarre a sé, tirare, risucchiare o pompare. In senso figurato l’accezione è quella di desiderare vivamente una cosa cercando di ottenerla, bramare, tendere verso. Tutti questi concetti, in apparenza anche contrastanti possono concorrere ad aiutarci a comprendere quale valenza debba essere data all’aspirazione intesa in senso intellettuale. Riteniamo che fare chiarezza su tale punto sia essenziale per poter vivificare e sviluppare questa attitudine fondamentale.

Il senso più immediato che si può dare al termine in questione è quello del desiderio ardente per la vera conoscenza [6], desiderio che coincide con una tendenza dell’essere verso l’universale. Da qui la vicinanza con il termine sospirare che richiama la nostalgia verso ciò che si ama e da cui si è separati. L’ardente attitudine di cui parliamo, infatti, non è altro che il vero amore. A questo proposito facciamo notare come nella lingua italiana i termini “amore” e “aspirare” siano quasi sinonimi. Entrambi infatti sono composti dalla particella “a”, che può avere valenza negativa e rispettivamente da “more” o morte e “spirare” o morire. Nei due casi il senso può essere quindi quello di senza morte, richiamando l’affinità dei termini citati con ciò che è eterno e immortale.

Se consideriamo la parola aspirare nel senso della respirazione, cioè immettere nei polmoni inspirando attraverso la bocca o il naso, possiamo far notare come per compiere questa operazione, prima bisogna almeno in parte aver espirato, vale a dire, aver fatto uscire l’aria che vi si trovava in precedenza [7]. Volendo applicare questo principio alla condizione individuale si può intuire come il percorso che porta allo sviluppo dell’aspirazione debba andare di pari passo con un processo di svuotamento interiore che corrisponde all’indispensabile abbandono degli attaccamenti mondani. Solo operando in tal modo si potrà permettere all’alito del respiro divino di penetrare nell’essere vivificandolo così come accadde simbolicamente ad Adamo nella Genesi [8].

Da un punto di vista principiale, viceversa, questa aspirazione può essere simbolicamente immaginata come un vortice che si sviluppa dal Centro, Principio e origine di ogni cosa, e attrae a sé tutti coloro che sono rettamente orientati verso di Lui. I numerosi riti di circumambulazione che si ritrovano nelle più diverse forme tradizionali richiamano proprio questo simbolismo.

Per l’essere che senta la necessità di sfuggire alla limitata condizione individuale in cui si trova e ricongiungersi con ciò che è universale, si pone il problema non da poco di individuare il modo per poterlo fare. La risposta a questo quesito, anche se in modo sintetico, si trova nella citazione introduttiva. Egli non deve fare altro che orientare in modo coerente e corretto la propria intenzione. Di fatto, questo atto, apparentemente solo propedeutico a un vero lavoro iniziatico, in realtà coincide con il mettersi in comunicazione spirituale effettiva con il centro supremo e contiene quindi già in se stesso una portata operativa portentosa. Il retto orientamento permette infatti all’azione divina di agire nella sua pienezza eliminando gli ostacoli e i limiti individuali. In esso vi è quindi il segreto per progredire nella Via.

La forza della Verità che proviene dal Centro può far superare tutti gli ostacoli, anche i più ardui, purché la si riconosca effettivamente e se ne traggano le dovute conseguenze, perché tutti gli squilibri parziali rientrano in essa. E questa non è una semplice frase a effetto ma una realtà tecnica e operativa. Infatti: «anche la minima cosa operata in conformità armonica con l’ordine dei principi porta virtualmente in sé delle possibilità la cui espansione può determinare le conseguenze più prodigiose, e ciò in tutti i campi, e a mano a mano che le sue ripercussioni vi si estendono secondo la loro ripartizione gerarchica e in progressione indefinita» [9]. Qualora ciò avvenga, chi ne è coinvolto potrà prendere atto di come gli eventi si sviluppino in modo del tutto naturale, ma con una potenza straordinaria, e lo portino via via con velocità e forza sempre crescente verso il Centro. Anche un orientamento ancora solo parziale potrà condurre a dei risultati tangibili. Alcuni potranno magari constatare a conferma di ciò, che in varie fasi della loro vita sono stati come trasportati da una condizione periferica a una più centrale, e magari si renderanno conto di non essere stati i veri agenti di questo passaggio.

Tutta la manifestazione trae la sua reale ragione di vita dal legame con ciò che è trascendente e questo avviene anche per gli esseri umani in ogni istante della loro esistenza. Il fatto che in genere non ne siano coscienti non cambia questo stato di fatto. Il vincolo di cui parliamo è sempre reale ma può essere vivificato e potenziato. In molti casi il cuore è come un camino la cui canna fumaria non è stata pulita da lungo tempo. Il soffio dell’aspirazione libera questo canale, mette l’essere in relazione diretta con il Centro del mondo e può creare delle conseguenze straordinarie riattizzando il fuoco dell’amore per il divino. Qualora quest’attitudine sia pura produce nuovi rapporti con le influenze spirituali dal cui intervento dipende qualsiasi realizzazione effettiva. Quando un essere manifesta una vera aspirazione intellettuale, ciò implica un cambiamento profondo della sua situazione. Il modificarsi dei rapporti con il trascendente crea delle condizioni nuove che vanno nella direzione del progresso spirituale e questo sovente anche in maniera inaspettata.

In tutti gli esseri viventi, nella loro parte più intima e profonda, nel luogo più nascosto e protetto, simbolizzato dal più piccolo ventricolo del cuore [10], vi è la presenza di una cosa che è allo stesso tempo la più piccola e la più grande di tutte. La più piccola poiché è la meno visibile dall’esterno e la più grande perché in realtà è il Principio infinito e illimitato che contiene tutto e di cui ogni cosa non è che una manifestazione limitata. Come noto esiste identità fra il Sé interiore e il Principio. La relazione fra macro e microcosmo sarà essenziale per il processo spirituale di cui parliamo. Questa presenza trascendente che è viva nel cuore, se svelata, anche solo parzialmente, chiederà infatti con sempre maggior insistenza di liberarsi, sciogliere i legami individuali e ricongiungersi a ciò che è della sua stessa natura. Parallelamente, la crescita dell’aspirazione con conseguente avvicinamento al Centro, produrrà un maggiore svelamento interiore creando quindi un circolo virtuoso che porterà verso la luce della conoscenza.

Per l’essere che sia stato attratto si svilupperanno inevitabilmente degli eventi obbligati quali l’adesione a una forma tradizionale e successivamente il ricollegamento a una catena iniziatica regolare e ininterrotta che lo unirà in modo attivo con il Centro del mondo, offrendogli anche i mezzi “tecnici” per ritornarci [11].

L’incontro con un’autorità tradizionale legittima e l’esecuzione di riti di incantazione andranno esattamente in questa direzione permettendo all’aspirazione proveniente dal centro di agire su di lui attirandolo verso le realtà spirituali che lungo il cammino gli si sveleranno. L’incantazione, infatti, è proprio un’aspirazione dell’essere verso l’Universale, attraverso la quale egli tende a elevarsi allo spirituale. Riti quali i mantra della tradizione indù, o il dhikr di quella islamica, permettono di determinare delle vibrazioni ritmiche con ripercussioni su tutti i piani di esistenza e in tal modo risvegliare il “ricordo” del trascendente che è presente nel cuore di ogni essere [12]. Ritornando all’analogia del camino, possiamo dire che queste tecniche e queste vibrazioni ritmiche possono sicuramente concorrere a ripulire la simbolica canna fumaria di cui parlavamo. Aggiungiamo che non è certo un caso se la corretta respirazione è essenziale per l’efficacia di questi riti. Esiste un respiro universale con il quale è possibile entrare in sintonia profittando dei benefici influssi in esso contenuti.

In realtà, oltre alla tensione verso l’alto o verso il centro di cui abbiamo sinora parlato, ve ne sono purtroppo altre che spingono verso la dispersione e verso il basso, o semplicemente ancorano l’essere alla sua attuale realtà, con le quali bisogna inevitabilmente confrontarsi.

Possono esserci tendenze distruttive che sono come delle caricature del vortice di cui parlavamo e che portano l’essere verso la sua disgregazione. Basti pensare alle droghe, all’alcool, alle perversioni sessuali, al gioco d’azzardo e alle varie dipendenze da internet solo per citare alcuni casi di attaccamenti negativi e disgreganti. Un capitolo a parte meriterebbero a questo proposito le realtà pseudo o contro iniziatiche, parodie per antonomasia di tutto ciò che è esoterico, che in questo studio ci limiteremo a citare.

Come detto vi sono poi altri attaccamenti che si limitano a impedire all’essere di superare i limiti impliciti nella sua attuale condizione di coscienza. Alcuni di essi non fanno altro che gonfiare l’individualità ancorando l’essere sempre più a tale condizione limitativa, impedendogli così di prendere coscienza di quanto in lui supera questo stato. Il caso tipico è quello dell’orgoglio, il quale può magari nutrirsi di aspetti tradizionali esteriori. C’è chi, dopo essere stato inizialmente attratto dal centro, si gonfia per le tante letture fatte, per la sua capacità espositiva e dialettica o anche per la copiosa attività rituale da lui svolta. In questo caso, nella migliore delle ipotesi, non potrà fare altro che gravitare a grande distanza dal Principio trascendente al quale a parole dice di voler tendere. Di fatto, questo legame “a distanza” è simile a quello nel quale si trovano anche tutti gli exoteristi.

Un caso particolare è poi quello di coloro che, dopo essere stati attratti da questo vortice virtuoso e aver ottenuto un ricollegamento iniziatico, vengono meno al patto, cambiando così il proprio orientamento. In questa circostanza la forza attrattiva iniziale, partendo per la tangente, scaglierà l’essere in questione tanto più lontano dal Centro quanto maggiore sarà stata l’intensità che la caratterizzava.

Altri limiti che prima o poi dovranno essere affrontati se si vuole proseguire nel cammino iniziatico e non restare in una situazione semplicemente gravitazionale, sono quelli imposti dal mentale, dallo schematismo o dal letteralismo tradizionale. Aspetti questi che possono anche avere una funzione protettiva e stabilizzante e, in alcune fasi della Via, impedire un allontanamento dal Principio. Tuttavia, a un certo punto, se ci si vuole ulteriormente elevare spiritualmente, diventeranno un limite dal quale bisognerà trovare la forza di staccarsi.

Colui che senta manifestarsi nel suo cuore l’aspirazione iniziatica, visto il mondo fondamentalmente antitradizionale in cui viviamo, incontrerà facilmente dei problemi. Egli potrà sentirsi estraneo all’ambiente in cui si trova a vivere, magari percepirà una sensazione di solitudine e sentirà l’incomprensione di coloro che gli stanno attorno. È possibile che lo stesso ambiente sembrerà rivoltarsi contro di lui. Egli non dovrà però farsi prendere dallo scoraggiamento e dallo sconforto. Sappia che in realtà non è solo. È importante prenda coscienza del fatto che orientarsi verso il centro, mentre da una parte crea un distacco, a volte anche traumatico, da tutto ciò che tiene lontano da Lui, dall’altra produce un legame reale e potente con tutti coloro che hanno la sua stessa attitudine. Quando li incontrerà riconoscerà in loro, in modo spontaneo, l’affinità intellettuale e l’assonanza interiore che li accomuna. In essi potrà trovare un valido supporto e sostegno per il suo cammino. È questo uno dei sensi della fraternità tradizionale [13].

Il passaggio da un’aspirazione semplicemente teorica a una autentica avverrà attraverso prove concrete della vita, prove che ben poco hanno a che vedere con concezioni astratte. Esse andranno a toccare aspetti apparentemente secondari ma estremamente sensibili dell’esistenza di tutti i giorni. Problemi relativi alla famiglia o sentimentali, alla professione o alle proprie abitudini giornaliere [14] potranno sorgere e impedire ogni successivo sviluppo fino a quando non saranno rimossi. La rinuncia agli attaccamenti mondani, indispensabile per permettere all’aspirazione di agire, andrà dimostrata con i fatti e con la perseveranza, in un modo che in certi casi non esiteremmo a definire eroico. L’argomento degli ostacoli e delle trappole che si possono trovare concretamente lungo un cammino spirituale è estremamente vasto e ci porterebbe lontano dal tema del presente studio, in questa occasione ci limiteremo quindi a questi brevi cenni.

In linea generale si può comunque dire che il problema di fondo, per chi aspiri allo spirituale, è quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’azione della Misericordia divina. L’iniziato deve cercare di essere come una piuma portata dal vento: senza opporre alcuna resistenza a ciò che è trascendente, va là dove lo spirare del vento spirituale la conduce.

Così come il sole può rispecchiarsi nell’acqua solo quando questa è calma, allo stesso modo, unicamente un cuore pacificato e non più condizionato dall’agitazione del mondo potrà essere ricettivo allo spirituale.

Non è un caso che la realtà antitradizionale in cui viviamo spinga costantemente verso la dispersione mentale e lo stress. Perché le pratiche tradizionali possano dare dei risultati veramente positivi è necessario che tutti gli aspetti profani che impregnano l’essere siano, almeno temporaneamente, rigettati e il cuore svuotato dall’inquietudine che li caratterizza. Come affermava giustamente Abdul-Hâdi nelle sue “Pagine destinate a Mercurio” [15]: «… la condizione indispensabile perché si verifichino i primi bagliori di “Illuminazione esoterica” (El-Ishrâq) è che nel proprio foro interiore si faccia un posto esclusivamente riservato a Dio. È indifferente che questo posto sia ricco o povero: l’importante è che sia assolutamente puro. È molto difficile, vivendo nell’attuale disordine, realizzare la sincerità e la Solitudine divina assoluta, anche solo per la durata di un minuto».

Per far meglio comprendere il nostro pensiero può forse essere utile appoggiarsi a un’analogia. Che senso avrebbe spiegare le vele della propria nave senza prima levare le ancore? E che logica ci sarebbe nel remare con tutte le proprie energie senza preoccuparsi di verificare la rotta?

Anche un’attività rituale regolare rischierà di essere quindi inutile, se non addirittura dannosa, fintanto che “i metalli non saranno stati lasciati fuori dalla porta del tempio” interiore e l’orientamento sia stato fissato.

La volontà di rimuovere le barriere e l’assentimento al trascendente sono condizioni indispensabili per compiere un lavoro operativo, il quale, attraverso le vicissitudini individuali e con il concatenamento di mezzi appropriati, può realizzare l’eliminazione dell’illusione.

Il discorso che fino a qui abbiamo fatto sui singoli esseri può applicarsi, fatti i debiti adattamenti, anche alle differenti realtà iniziatiche oggi esistenti. Alcune di esse, e vista la fase ciclica che stiamo attraversando sono le più nascoste [16], si volgono verso il Principio, divenendone gli strumenti per eccellenza e sviluppano la conoscenza metafisica integrale. Altre si limitano a dare a chi ne fa parte una base di purificazione e di preparazione a un vero avvicinamento al Centro. Altre ancora, pur nella loro regolarità formale, anziché concentrarsi nel vivificare il loro legame con il Centro del mondo e trarre da Esso la loro forza e la loro direzione, si disperdono in attività di proselitismo, di sviluppo exoterico o cosmologico o peggio si perdono in dispute e gelosie interne ed esterne o in preoccupazioni profane. In questo modo rischiano di far affievolire e neutralizzare l’aspirazione e le potenzialità magari presenti nei propri membri. Solo le prime di queste realtà portano chi ne sia qualificato all’effettiva morte dell’illusione separativa dell’essere, quella che crea l’intimo vincolo illusorio che fa identificare l’uomo alla propria individualità fisica e psichica. Così, egli, ritornato al proprio Centro, potrà rinascere nell’Universale e bere la bevanda d’immortalità.

1. R. Guénon, Le Roi du Monde, Éditions Traditionnelles, Paris, 1950. Le note che si riferiscono alla citazione sono dello stesso Guénon.↩

2. Questa espressione è mutuata dalla dottrina taoista; d’altra parte, prendiamo qui la parola “intenzione” in un senso che è affatto esattamente quello dell’arabo niyah, che viene abitualmente tradotto così, e tale senso è peraltro conforme all’etimologia latina (da in-tendere, tendere verso).

3. Quanto abbiamo appena detto permette di interpretare in un senso molto preciso queste parole del Vangelo: «Cercate e troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto». – Occorrerà beninteso riferirsi qui alle indicazioni che abbiamo già dato a proposito della “retta intenzione” e della “buona volontà”; e si potrà così completare agevolmente la spiegazione di questa formula: Pax in terra hominibus bonæ voluntatis.

4. Nell’Islam, tale orientazione (qiblah) è come la materializzazione, se così si può dire, dell’intenzione (niyah). L’orientazione delle chiese cristiane è un altro caso particolare che si riferisce essenzialmente alla stessa idea.↩

5. A questo proposito vedasi la citazione profetica: «quando non c’è la piangente nel cuore, esso è in rovina come è in rovina la casa disabitata» citata dallo Scheikh Tadili nella sua opera La vita tradizionale è la sincerità pubblicata nel numero 29 di questa rivista.

6. Dante Alighieri la definisce come il desiderio che spinge ad amare il bene (Divina Commedia, Purgatorio, XXXI, 24).

7. Analogamente in meccanica si parla di pompe a vuoto a proposito di appositi strumenti che attirano a sé dei fluidi.

8. «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Genesi 2, 7). Questo simbolismo del farsi contenitore si ritrova, ad esempio, anche nel buddismo, dove il Buddha è grasso proprio perché si è svuotato di ciò che è individuale per accogliere in se l’Universale.

9. R. Guénon, Orient et Occident, Éditions Véga, Paris, 1948, parte II, cap. III, dove è aggiunto in nota: «Facciamo allusione a una teoria metafisica estremamente importante, cui diamo il nome di “teoria del gesto”, e che esporremo forse un giorno in uno studio particolare. La parola “progressione” è qui presa in un’accezione che è una trasposizione analogica del suo senso matematico, trasposizione che la rende applicabile nell’universale, e non più nel solo dominio della quantità. – A questo proposito, si veda anche quel che abbiamo detto altrove dell’apûrva e delle “azioni e reazioni concordanti”: Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, parte 3a, cap. XIII».

10. Hridaya, che è identico al “Sé” (Âtmâ) secondo la terminologia indù, corrispondente all’occhio del cuore: Aynul-Qalb nell’islam e Chante Ishta nella tradizione dei Sioux e si potrebbe proseguire con molti altri esempi.

11. L’argomento del ricollegamento iniziatico è di fondamentale importanza e ci riserviamo eventualmente di svilupparlo in un lavoro successivo. Ci teniamo però a precisare brevemente che questo passo andrebbe affrontato con particolare attenzione e cautela. C’è chi, magari a seguito dell’incontro con un’esposizione dottrinale come quella proposta da Guénon, ritiene che, per essere coerenti con la propria aspirazione, l’iniziazione debba essere perseguita “a prescindere” e prima possibile. Inutile dire che non siamo di questo avviso. Senza voler tener conto del rischio, molto diffuso al giorno d’oggi, di imbattersi in realtà non autentiche, c’è da considerare, oltre al legame spirituale, anche quello fortissimo a livello psichico e spesso anche materiale che si viene a creare fra l’iniziato e l’organizzazione che gli ha trasmesso il “patto”. Qualora l’organizzazione in questione non sviluppi una dottrina corrispondente a quanto effettivamente “cercato” e non sia in grado di fornire un metodo realmente adatto all’iniziato, egli rischierà di trovarsi bloccato dai condizionamenti che questa situazione ha creato. Considerando le cose in quest’ottica è chiaro che, volendo procedere in un effettivo cammino spirituale, la sua situazione sarà più complicata rispetto a colui che invece non avrà ancora intrapreso questo passo. La fretta è spesso una cattiva consigliera. Deve essere chiaro che prima di un ricollegamento iniziatico si può già compiere un lavoro effettivo molto importante e questo dovrebbe aiutare a non farsi prendere dalla frenesia.

12. Ricordiamo, a scanso di equivoci, che queste attività rituali possono avere un effetto benefico solo qualora siano state trasmesse in modo regolare da un’autorità effettivamente autorizzata a farlo, trasmissione che permette allo stesso tempo di vivificarne l’efficacia.

13. A conferma di questa affermazione riportiamo quanto dice lo Sheikh Tadili nella già citata La vita tradizionale è la sincerità: «La conseguenza del dhikr (cioè del ricordo orientato verso il Centro) tutto intero è dunque inseparabile dall’estrema e perfetta fraternità fra gli iniziati…” e ancora la citazione del detto profetico: «Due credenti sono come un edificio solido: l’uno consolida l’altro».

14. In quest’ottica segnaliamo di sfuggita l’importanza operativa insita nel rompere le proprie abitudini, atteggiamento questo che può evitare il solidificarsi di situazioni poi difficili da superare.

15. Vedasi il n°30 di questa rivista.

16. Come noto e come ben evidenziato nella citazione introduttiva, con l’avanzare della discesa ciclica, il Centro del mondo si ritrae progressivamente divenendo sempre meno visibile all’esteriore. Analogamente fanno i centri iniziatici che in qualche modo lo rappresentano. Tutto questo dovrebbe far riflettere sulla reale profondità di tante organizzazioni che oggigiorno vanno per la maggiore e che fanno vere e proprie campagne di marketing per pubblicizzarsi.

Albano Martín De La Scala