domenica 19 aprile 2020

IL VANGELO SEGRETO DEI TAROCCHI

tratto da L'Opinione del 18 marzo 2015

di Paolo Ricci

Si intitola “I Tarocchi. Il Vangelo segreto” il libro di Carlo Bozzelli (Edizioni Mediterranee, 22 euro). Un testo molto interessante e pieno di spunti di riflessione sui Tarot (questo è il nome corretto), che propone una lettura degli Arcani maggiori in relazione a codici e leggi che ne permettono una più chiara comprensione. La lettura che propone Bozzelli non è infatti un suggerimento per la divinazione o per interrogare i Tarocchi e riceverne risposte, bensì egli offre un accurato studio sulla loro aderenza alla religione cristiana, alla conoscenza antica, agli archetipi, ragionando sempre su concetti chiari e precisi, dimostrati con cura e dovizia nei minimi particolari.

Tanti i riferimenti storici sui simboli, sui loro significati, sulle interpretazioni possibili e probabili rispetto al contesto culturale di riferimento. Viene esposta una struttura cifrata che ne favorisce una comprensione rispetto al funzionamento, al significato esoterico e al corretto modo di utilizzare i Tarocchi. La storia di queste carte si perde nella notte dei tempi. È condivisa l’idea che discendano dai Libri di Thot e che abbiano attraversato la storia per arricchirsi di elementi da tutta l’umanità e da tutta la spiritualità. Proprio per questo i Tarocchi sono archetipi, ma non solo. Come suggerisce Bozzelli, “gli Arcani, difatti, possono essere impiegati come un raffinato apparato di decodifica e si trasformano in chiavi d’interpretazione straordinarie per decifrare antichi testi sacri, scritture rivelate e messaggi tradizionali tramandati in forma occulta”.

Quindi l’autore propone non solo un excursus storico sull’origine dei Tarocchi, ma ne descrive con attenzione la loro relazione con la tradizione cristiana dei primordi rispetto a precise figure a essa legate cercandone il senso nascosto, sempre riferendosi ai codici e alle leggi. Un approccio sicuramente originale, forse unico, quello proposto da Bozzelli, che partendo dai principi generali conduce il lettore verso un orizzonte di conoscenza molto vasto e sicuramente ricco di stimoli e di riflessioni inattese.


sabato 11 aprile 2020

Le streghe all’Esquilino

in collaborazione con l'autore Michele Leone: https://micheleleone.it/streghe-allesquilino/

Priapo incontra le streghe all’Esquilino e racconta: cose mai viste!

L’esquilino oggi è un quartiere popolare di Roma, quanti si recano in treno nella nostra Capitale non possono non averlo visto almeno una volta dato che la Stazione Termini si trova qui.

Arrivo a Roma al sorgere del sole, mi concedo un caffè ed inizio a scambiare quattro chiacchiere con uno sconosciuto avventore dalla faccia stralunata ed un evidente bozzo nei pantaloni.

Si presenta, dice di chiamarsi Priapo, è di rientro da una notte brava. Avendo saputo delle mie ricerche sui misteri ed il mondo dell’occulto mi racconta di aver visto le streghe all’Esquilino:

Il racconto di Priapo

Ho visto Canidia con la veste succinta aggirarsi ululante a piedi nudi, i capelli sciolti e scarmigliati, con la vecchia Sagana: entrambe di un tale pallore nel viso da fare spavento. Si danno a raspare con le unghie la terra, a sbranare con morsi una nera agnella, il sangue lo fanno colare giù in una fossa per strappare di lì ai Mani le ombre dei morti che avrebbero dato i responsi. (in G. Luck, Arcana mundi. Magia e occulto nel mando greco e romano, Vol. I. Magia, Miracoli, Demonologia, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1997).

Intermezzo

Finito il suo racconto sistema l’impermeabile e va via con passo svelto. Sento la voce del barista che mi richiama alla realtà perché il mio caffè si sta raffreddando. La mancanza di sonno, la fantasia e le letture in treno a volte giocano brutti scherzi. Leggevo le Satire di Orazio.

Sulle streghe potresti leggere: Le Streghe in Toscana è il primo articolo su streghe, stregoneria, stregheria e via dicendo… continua a leggere.

Seguito e fine del racconto di Priapo

L’incontro di Priapo con le streghe all’Esquilino continua così:

Avevano anche due fantocci: uno di lana e uno di cera; più grande quello di lana, per infliggere il castigo a quello più debole. In fantoccio di cera se ne stava in atto supplichevole, come destinato a subir tra poco una morte ignominiosa. L’una evoca Ecate, l’altra invoca la crudele Tisifone. Allora avresti veduto uscir vagando serpenti e cagne infernali, e la luna rosseggiante, per non esser presente alla scena, nascondersi dietro gli alti sepolcri.

Se mentisco in alcuna cosa, che io abbia la testa insozzata dal bianco sterco dei corvi, e su me vengano a mingere e a cacare Giulio e la infrollita Pediazia e il borsaiuolo Vorano. Perché ricorderò io le singole operazioni, e in che modo le ombre, alternando le voci con Sagana, cacciassero suoni lugubri e stridenti, e come le streghe nascondessero sottoterra furtivamente una barba di lupo con i denti d’una serpe striata, e il fuoco ardesse più vivo per lo struggersi del fantoccio di cera? Io non volli rimaner testimone passivo delle cabale e dei misfatti delle due Furie; e con quel suono, che manda una vescica quando scoppia, io fico, dischiusa la natica, trassi un peto. E quelle, a gambe levate verso la città. Con che gusto e con che risa avresti visto tutto all’aria: la dentiera di Candia, la parrucca torreggiante di Sagana, e cader loro di mano le erbe e i nastri dell’incantagione.  (Orazio, Satire, Libro I, 8, Utet, Torino 2015, ed. digitale).


Postilla

Orazio in questa satira ci fornisce informazioni sui luoghi e sulle pratiche di quella che oggi chiameremmo magia nera o voodoo nell’antica Roma. Incontreremo in prossimi post le protagoniste di questa satira, figure chiave della magia nella Roma antica. La descrizione che fa Orazio delle due streghe all’esquilino con i capelli disordinati, scalze, vecchie, ululanti e pallide è un’immagine ormai cristallizzata della strega malevola, intenta in riti oscuri e alle volte osceni. È utile ricordare come Roma non vedesse di buon occhio la magia. Orazio, membro del “Club di Mecenate” era contemporaneo di Augusto. Questo volle riformare i costumi di una città dissoluta, recuperare le priscae virtutes e le tradizioni; anche eliminando ogni forma di devianza religiosa. È ipotizzabile che Augusto abbia intrapreso una Caccia alle streghe ante litteram e che i membri del “Club di Mecenate” combattessero questa battaglia con le armi della poesia e della parola.

Questo articolo non ha la pretesa di esaustività, anzi è una goccia nel mare della storia della magia, vuole solo essere un esperimento narrativo e l’occasione per farti conoscere Orazio e i racconti sulle streghe.

       Gioia – Salute – Prosperità



giovedì 9 aprile 2020

“Spillover”, la peste diffusa. Il libro di David Quammen che anticipava il Coronavirus, è la bibbia del momento.

tratto da: http://blog.ilgiornale.it/franza/2020/04/05/spillover-la-peste-diffusa-il-libro-di-david-quammen-che-anticipava-il-coronavirus-e-la-bibbia-del-momento/

di Carlo Franza

“Spillover. L’evoluzione delle pandemie” è il titolo del libro  del momento, il libro che tutti dovrebbero leggere,  balzato in pochissimo tempo in cima alle classifiche dei libri più venduti e che oggi tiene compagnia spillovera tantissime persone in queste lunghe giornate di reclusione forzata. Nel libro, pubblicato la prima volta nel 2012 ed edito in Italia da Adelphi nel 2014, l’autore, lo statunitense David Quammen, aveva infatti previsto con qualche anno di anticipo la pandemia globale che oggi attanaglia il mondo intero, mettendo in guardia rispetto ai concreti rischi di un “next Big One” e spiegando con tali parole il termine “Spillover” che dà il nome al suo libro: “Non vengono da un altro pianeta e non nascono dal nulla. I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che oggi colpiscono gli animali ma che potrebbero da un momento all’altro fare un salto di specie – uno spillover in gergo tecnico – e colpire anche gli esseri umani”.

Il vocabolo scientifico vuol dire salto,  traboccamento, fuoriuscita, diffusione, espansione, ricaduta, con il quale si indica  che tale processo di transizione di specie del virus è “zoonosi”, ossia malattia infettiva trasmessa dall’animale all’uomo e il suo primo responsabile,  e secondo l’autore di Spillover, sarebbe l’uomo stesso. Intervistato recentemente dal New York Times, Quammen ha infatti puntato il dito proprio contro l’uomo, a suo parere il principale imputato dell’attuale pandemia globale: “Siamo stati noi a generare l’epidemia di Coronavirus. Potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l’attività umana a scatenarla”. L’uomo sarebbe dunque colpevole –secondo il giornalista statunitense  in linea con la ben nota vulgata ecologista– di aver con la sua azione manomesso e alterato il delicato equilibrio naturale, favorendo così il diffondersi di virus ed epidemie. Una tesi chiaramente espressa in una sezione del suo libro intitolata “Tutto ha un’origine”, nella quale l’autore spiega come l’opera di distruzione dell’uomo della biodiversità e il suo agire all’interno dell’ambiente abbiano creato le condizioni per la comparsa di nuovi pericolosi virus. In un’intervista a Stella Levantesi per Il Manifesto  lo scrittore ha detto: “Sì, è così. Molti dei virus che hanno causato le zoonosi negli ultimi 60 anni hanno trovato il loro ospite nei pipistrelli. Sono mammiferi come noi e i virus che si adattano a loro hanno più probabilità di adattarsi a noi rispetto a un virus che è in un rettile o in una pianta, per esempio. Il nuovo coronavirus è passato dai pipistrelli all'uomo. La seconda ragione è che i pipistrelli rappresentano un quarto di tutte le specie di mammiferi sul pianeta, il 25%. È naturale, quindi, che sembrino sovra rappresentati come fonti di virus per l’uomo. Ci sono un altro paio di cose oltre a questo che rendono i pipistrelli ospiti più probabili, vivono a lungo e tendono a rintanarsi in enormi aggregazioni. In una grotta, potrebbero esserci anche 60.000 pipistrelli e questa è una circostanza favorevole per far circolare i virus. C’è un’altra cosa che gli scienziati hanno scoperto da poco: il sistema immunitario dei pipistrelli è più tollerante ad «estraneità» presenti nel loro organismo rispetto ad altri sistemi immunitari”.

sabato 4 aprile 2020

PROFEZIE VIRALI PER STARE ALLEGRI

tratto da "L'Opinione" del 26 marzo 2020

di Dalmazio Frau

Michel de Nostredame, meglio noto a tutti come Nostradamus, non è proprio l’ultimo degli imbecilli. Il medico rinascimentale francese, veggente lo era sul serio, ma proprio per questo le sue Centurie sono inesplicabili ed incomprensibili. Volutamente irrisolvibili se non a posteriori.

Ed ecco che quindi, sistematicamente come ad ogni evento cataclismatico, gli esegeti, i traduttori, studiosi più o meno accreditati ed esperti di Nostradamus, si scatenano nel cercare la quartina che riporta la diretta descrizione della tragedia. Ovviamente adesso è il turno del Coronavirus, insomma “a chi tocca nun se ’ingrugna”, dicono a Roma.

Certo andrebbe fatta una certa analisi sul fatto che questo virus ha nome “Corona” e già qui, tra esoteristi d’accatto e simbolisti più o meno ermetisti “de’ noantri”, ci sarebbe da divertirsi. “Corona” perché la Morte nelle immagini delle danze macabre porta la “corona”? O forse fa rifermento al fatto di essere legato al sommo Kether dell’albero cabalistico delle Sephiroth? O Corona perché composto di “cor” che indica il petto e di “ona” che – a parte la fiorentina rificolona con cui fa rima – non ho la più pallida idea di cosa possa essere? O Corona è un cognome? Un acrostico? Come nel Codice da Vinci? Forza dai, tutti a cercare di svelare il mistero occulto nel virus ammorbante. Intanto ci chiudono in quarantena sine die – che l’ottimo Gigi Di Maio, anglista di chiara fama, leggerebbe in perfetta lingua d’Albione Sain Dai – e chi s’è visto s’è visto.

Fate i flashmob dal balcone adesso, bravi. Oppure leggetevi le Centurie di Nostradamus e contribuite anche voi al nuovo gioco di società, non è che avete poi tutte queste energie immagino da poter stare ore ed ore su YouPorn, vero?

Tornando a noi, Renuccio Boscolo, l’italiano che da decenni è considerato uno tra i più dotti esperti tra gli studiosi delle profezie del Veggente di Salon, ha dichiarato che Michel (siamo in confidenza con il profeta francese) nella sestina 11-30 delle sue Centurie, parla chiaramente di un “medico” e di un “grande male” che porterà “infermità da costa a costa”. Ma Boscolo è parte di una vasta schiera di investigatori dell’occulto, e tra essi vi è chi ritiene che l’astrologo rinascimentale abbia indicato anche la data: “Mercurio è in Acquario dal 4 marzo fino al 15 marzo ed invece Saturno entra in Acquario dal 22 marzo fino al 1 luglio ore 23,29. Le giornate di crisi sono, osservando la posizione stazionaria di Mercurio dal 9 marzo, con diminuzione dal 16 marzo. La crisi terminerà (Fenerà) con l’ingresso di Saturno il 1° luglio alle ore 23,29. Mentre un problema, forse un terremoto, avverrà il 10 o l’11 maggio alle 10,11”.

Invece secondo l’astrologa britannica Jessica Adams, la quartina di Nostradamus che cita Francia e Italia direbbe “che cosa ci si può attendere dalla congiunzione di Ariete, Giove e Saturno, Dio eterno? Dopo un lungo secolo, il male ricompare. A quali emozioni saranno sottoposte Francia e Italia?”, e infatti lunedì 15 aprile 2019 c’è stata una congiunzione astrale che si verifica ogni cento anni che ha coinvolto Ariete, Giove e Saturno.

Ma noi, immodestamente, ne aggiungiamo un’altra che si ricollegherebbe ai più recenti aiuti giunti dalla Russia e che muterebbe, o potrebbe mutare, radicalmente la passata interpretazione negativa della relativa quartina delle Centurie nella quale si legge: “La grande guerra inizierà in Francia e poi tutta l’Europa sarà colpita, lunga e terribile essa sarà per tutti… poi finalmente verrà la pace ma in pochi ne potranno godere”, e che prosegue così, “Per le discordie e negligenze francesi sarà aperto un passaggio a Maometto: di sangue intriso la terra ed il mare, il porto di Marsiglia di vele e navi coperto”, e prosegue prevedendo le sorti di Roma: “Ci saranno tanti cavalli dei cosacchi che berranno nelle fontane di Roma, il fuoco cadrà dal cielo distruggendo tre città. La città perderà la fede e diventerà il regno dell’Anticristo, Roma sparirà e il fuoco cadrà dal cielo e distruggerà tre città. Tutto si crederà perduto e non si vedranno che omicidi; non si sentirà che rumori di armi e bestemmie”.

Ora il passo interessante è quello che riporta la seguente frase, “ci saranno tanti cavalli dei cosacchi che berranno nelle fontane di Roma”, per decenni interpretata con una valenza negativa, che invece, potrebbe semplicemente significare proprio che le forze russe, quelle di Vladimir Putin, giungono in aiuto al popolo italiano.

Su tutto il resto invece lasciamo si depositi ancora una volta il velo del mistero del futuro, che è giusto resti insondabile all’occhio volgare perché il Fato, come sempre, riposa nel grembo di Zeus.

domenica 29 marzo 2020

REX ARTURIUS La stirpe dei sacerdoti

 Di Andrea Romanazzi

Abbiamo parlato in altra sede del culto unico della dea madre, di come esso fosse in stretta relazione con il culto solare, e di come tali culti fossero il retaggio di un culto ancora più antico e dimenticato: il culto della Luna. Gli antichi sceglievano come luoghi sacri a tali culti particolari punti in cui si sviluppavano e si sviluppano tuttora energie telluriche notevoli, abbiamo chiamato tali punti "nodi vibranti" già che tali energie si basano sul concetto di vibrazione il cui ricordo ritroviamo nella cultura egizia, in particolare nei culti isidei, nelle cosi’ dette "parole di potenza".

Sempre seguendo la nostra ricerca abbiamo trovato, poi, il "simbolo" di questa religione, il Graal, considerato, sia oggetto materiale sia metafora del ventre della dea Terra.

A questo punto ci chiediamo chi erano i "sacerdoti di questo culto? Quanti ce ne sono stati in passato?

Ed ecco che per rispondere alle nostre domande dobbiamo tornare alla "materia di Bretagna" e alla figura di re Artù.

Diverse sono le ipotesi sull’origine etimologica di Artù, Il nome potrebbe derivare dai termini celtici ART (roccia) o ARTH GWYR (uomo orso), Artù fu citato come personaggio storico solo nel X secolo d.C., ma le tradizioni lo portano indietro fino al V VI secolo. Nel 600 viene composto un poema epico, GODODDIN,il suo autore cita in un interessantissimo passo un guerriero che "forni' cibo ai corvi presenti sui bastioni senza essere un ARTU'.Che significa questa frase? Esisteva più di un artù? Se così fosse ciò giustificherebbe alcune contraddizioni temporali che caratterizzano il re celtico.Alcuni pensano che il termine artù, nato da un primo mitico re, fosse un titolo che veniva preso da tutti i suoi successori, un po' come il titolo di Cesare per i romani. Questo giustificherebbe le varie discrepanze di tempo che vi sono su tale figura, anzi, poiché re artù venne legato alla mitica impresa di recupero del graal, può essere che tutti quelli che erano designati a tale missione prendessero tale titolo. Per alcuni, Artù è un personaggio ispirato a Cu Chulainn , protagonista di poemi epici irlandesi e il nome potrebbe derivare dal latino Artorius  (in tal caso Artù era forse un Comes Britanniarum , ovvero un rappresentante locale dell'Impero Romano e quindi ancora piu’ che un nome reale rappresenterebbe un titolo).Ancora la figura di Artù la troviamo nella Vita di San Colombano, santo legato alla scoperta del nuovo continente,(VIII secolo) ove l’agiografo Adomnan da Iona nomina Un principe britanno chiamato "Arturius figlio di Aedàn mac Gabrain Re di Dalriada" .

La ricerca delle prove storiche dell'esistenza di Artù continua, appassionata e ininterrotta, fin dal 1190, quando i monaci di Glastonbury identificarono la loro Abbazia con la mitica Avalon, ove il sovrano era stato trasportato dopo essere stato mortalmente ferito a Camlann.

Artù diventa protagonista o comprimario di narrazioni gallesi intorno al 600 d.C.; in un poema del ciclo Gododdin è descritto come un guerriero invincibile, in un altro Artù discende agli inferi per recuperare un magico calderone, e qui ritroviamo metaforicamente sia il culto ctonio (la grotta) sia il simbolo della coppa. Comunque solo Verso il 1190 Chretien de Troyes, nel poema Perceval le Gallois ou le Conte du Graal, introdusse nella "materia" il tema della del Graal.

L'epopea arturiana venne definitivamente messa a punto, poi, da , Sir Thomas Malory. Nel frattempo appare un’altra figura:infatti Gran consigliere del re è il druido Merlino, che fa concepire lo stesso artù con l’inganno.Ma chi era Merlino?

La denominazione Merlinus venne utilizzata per la prima volta da Geoffrey di Monmouth nell'Historia Regum Britanniae, nelle Prophetiae Merlini e nella Vita Merlini,
Il Merlino storico visse probabilmente nel VI secolo; era un Bardo gallese - identificato da alcuni storici con un altro famoso Bardo, Taliesin - specializzato in testi profetici. La sua vita - almeno secondo le incerte cronologie del basso medioevo - fu incredibilmente lunga, tanto che certi commentatori ritengono che siano esistiti due Merlini diversi.. Della produzione letteraria di Merlino resta un solo frammento dell'opera Afallenau: la strofa di una profezia in un arcaico dialetto gaelico che nessuno è mai riuscito a tradurre:

Saith ugein haelion a aethant ygwyllon
yng koed Kelydon y daruyant:
kanys mi vyrdin wedy Taliessin
Byathad kyffredin vyn darogan

Fu il Vescovo Alessandro di Lincoln a richiedere a Geoffrey di "prophetias Merlinide Britannico in latinum transferre", ovvero di tradurre le profezie dal gaelico al latino, e, difatti, le Prophetiae Merlini (che, molto probabilmente, l'autore aveva reinventato) sono precedute da una dedica all'alto prelato. Forse proprio grazie all'autorità del committente, la Chiesa Cattolica considerò Merlino un profeta "cristiano" e degno di rispetto; del resto, nella saga arturiana, è proprio il mago a innescare il processo che permette "al dio Unico di cacciar via i molti Dèi celtici". In realtà la ricerca del dio unico si riferirebbe non già a quello cristiano, ma al culto unico della Dea Madre.

Altro personaggio della saga è Morgan Le Fay e’ un personaggio direttamente derivato dalle divinità Morrighan, Macha  e Modron  la grande madre celtica compare per la prima volta nella Vita Merlini di Geoffrey e aiuta Artù a guarire dalle sue mortali ferite. All’inizio dunque vi è uno ottimo rapporto tra morgana ed artù solo successivamente. Nelle opere tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come una perfida seduttrice,: il prototipo, insomma, della "donna sessuata" - la strega  - aborrita e temuta dalla Chiesa cattolica. Ancora una volta siamo di fronte ad un tentativo di camuffare e confondere le tracce del culto della grande dea che quindi era vicina all’artu’.

Ora dopo questa breve introduzione sul mito arturiano vediamo come la figura di re artù si trovi spesso anche in italia, Alfredo Castelli, nell’"enciclopedia del mistero" presenta la seguente composizione

Lo Re Artù k'avemo perduto
Cavalieri siamo di Bretagna
ke vegnamo de la montagna
ke l'omo appella Mongibello.
Assai vi semo stati ad ostello
per apparare ed invenire
la veritade di nostro sire
lo Re Artù, k'avemo perduto
e non sapemo ke sia venuto.
Or ne torniamo in nostra terra
ne lo reame d'Inghilterra

La poesia, è di un autore duecentesco noto come Gatto Lupesco,un nome piuttosto pittoresco che ricorderà da vicino altre simbologie in Italia, legate al mitico rex. La leggenda di Artù nell'Etna è riportata anche negli Otia Imperialia dell'inglese Gervase di Tilbury (XII secolo), il quale l'aveva appresa sul luogo intorno al 1190.

Testimonianze di carattere architettonico si riscontrano nel Duomo di Modena, sul portale della Cattedrale di Bari e nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto.

In particolare facciamo un accenno alla cattedrale di otranto.

.il pezzo forte di tal basilica e’ il mosaico, esso rappresenta l’albero della vita che descrive le vicende umane, per la maggior parte sono vicende bibliche, da Adamo ed Eva a Noé…si parte dall’alto fino a scendere verso il basso,ove vi e’ la storia della città di Otranto. La spiritualità del mosaico di otranto e’ di tipo orientale, e’ Dio che scende verso gli uomini e non gli uomini che salgono verso dio.

Sempre nel mosaico troviamo la Scacchiera, simbolo poi adottato dai Templari, essa rappresenta l’ordine cosmico, l’eterna lotta del bene e del male, che non ha mai fine .Anche la scacchiera ha un significato esoterico, il re rappresenta il sole, il principio creatore limitato, la regina (la Donna) rappresenta la Terra, si può spostare in ogni direzione, la torre rappresenta saturno il suo movimento è il quadrato, l’alfiere è giove il trigono, mentre il cavallo indica il cavaliere che deve effettuare il salto per potersi purificare mentre il pedone è l’uomo.Ma non divaghiamo, e arriviamo a re Artu’. Infatti nel mosaico rex Artù è rappresentato in groppa ad una pecora con un gatto (leopardo), che appunto ricorda il nome di "gatto lupesco" che cerca di assalirlo.Potrebbe essere il ricordo della morte di un "artù" in italia?Nei nostri studi nell’Italia misteriosa abbiamo trovato una tomba di un artù, in particolare essa è situata a Roma, ma questa e’ un’altra storia….torniamo al mosaico… A guardar questa scena vi è, forse Parcival ,il cui aspetto e’ particolare, sta in piedi, dritto, bello, si eleva sopra artù e abele, quasi simbolo di chi è degno del cielo. Potrebbe esser proprio Parcival che, dopo il recupero del graal, "sembra raddrizzarsi e riluce di una bellezza sovrumana".

Ma ancora

Le leggende arturiane, cariche di significato esoterico, hanno un "prologo" in Italia, attorno alla figura inquietante di un singolare santo-avventuriero, San Galgano, figura comunque antecedente al mito arturiano e quindi , appunto, che fa pensare ad un significato piu’ profondo della materia di bretagna, la spada nella roccia può metaforicamente rappresentare il Raggio di sole in relazione alla pietra, cioé ancora l’unificazione del culto della pietra col culto solare.

Ma chi era questo San Galgano?

Riportiamo un antico documento sulla vita del santo:


-Dal Codice conservato nella biblioteca Chigiana del Vaticano-

Incomincia la leggenda di santo Galgano confessore:

 "Galgano per natione fu di Toschana, del contado della città di Siena, d'un castello che si chiama Chiuslino lo cui padre ebbe nome Guidotto e la sua madre Deonigia, nato di nobile parentado e di generatione,ma di virtù e sanctità più nobile. Lo quale Galgano fu huomo feroce e lascivo a mmodo che sono e' giovani, implicato nelle cose mondane e terrene. Ma le revelationi di misser santo Micchele arcangelo profetaro ch'elli doveva essere cavalieri di Dio: perciò che cui la dispensatione divina vuole salvare, non é tanto peccatore né involto ne le cose carnali e terrene che lo possino tenere che a Dio non torni.

 Onde, essendo Galgano in questo stato che detto é, cioé innanzi la sua conversione a Dio, sì gli apparbe santo Micchele arcangelo in visione, lo quale affettuosamente addomandava a sua madre che lo dovesse vestire e addornare d'abito di cavaliere; la cui madre a le preghiere dell'angelo acconsentiva, ed elli, essendo così addornato da la sua madre di vestimenta di cavaliere, con efforzati passi seguitava l'arcangelo così come la visione li mostrava.

 E desto e isvegliato che fu dal sonno, la detta rivelatione e visione incontamente l'ebbe manifestata a la sua madre, la quale con ineffabile allegrezza, ripiena di molta letitia, tacitamente quello che la visione significasse considerava. E in questo modo parlò al suo figliuolo, e dixe: "Figliuol mio, buona é la tua visione e ammirabile, e perciò non dubitare che grande allegrezza significherà, con ciò sia cosa che io sia vedova, e tu sia orfano rimaso dopo la morte del tuo padre. Onde sappi che noi saremo raccomandati a la custodia e guardia del beato santo Micchele a ccui lo tuo padre, quando viveva, spetiale e singulare reverentia e devotione aveva sopra tutti gli altri santi".

 Passati che furono alquanti anni, pensando Galgano nell'animo suo che fine avarebbe la detta visione e revelatione, lo detto arcangelo anco si apparbe in visione a Galgano e dixeli: "Seguitami". Allora Galgano, con esmisurata allegrezza e gaudio levandosi, e desiderando a la detta cavalleria pervenire che ll'arcangelo gli aveva promesso in visione, e con grandissima devotione le pedate e le vestigie sue seguitava insino a un fiume, sopra el quale era un ponte el quale era molto longo e senza grandissima fadigha non si poteva passare, sotto lo qual ponte, siccome la visione li mostrava, si era uno mulino lo quale continuamente si rotava e si volleva, lo quale significava le cose terrene le quali sono in perpetua fluxione e movimento e senza nessuna stabilità e in tutto labili e transitorie. E, passando oltre, pervenne in uno bellissimo e dilettevole prato, lo quale era pieno di fiori, del quale esciva smisurato odore e gratioso. Poi, escendo di questo prato, parveli di entrare sottoterra e venire in Monte Siepi, nel qual monte trovava dodici appostoli in una casa ritonda, li quali recavano uno libro aperto, e che elli lo leggesse ne la qual parte del libro era questa sentenza: Quoniam non cognovi licteraturam, introibo in potentias Domini, Domine memorabur iustitiae tuae solius. Essendo in questa chasa ritonda cogli occhi in cielo, vidde una immagine speciosa e bellisima nell'aire. Unde dimandò che fusse quella immagine, e gli apostoli risposero e dixero: "Quella immagine si è quelli che fu ed era, e che die venire a ggiudicare el mondo, Idio e Huomo". Udito che ebbe Galgano queste parole, meravigliandosi tra sé medesimo de la visione, si svegliò e subbitamente narrò a la madre sua le sopra detta visione, e con esmisurato gemito e pianto di letitia pregò la madre sua ch'ella insieme co llui andasse al luogo de la detta visione, andasse cioè a quello Moonte Siepi, e menasse maestri di pietra e di legname, li quali ine facessero una casa ritonda, come quella che lli mostrò l'arcangelo, a onore de la maestà divina e de' dodici appostoli. Allora rispose la madre, e dixe: "Figliuol mio carissimo, el tempo è ora fuore di stagione, però che è di verno, ed è el freddo grandissimo, ed è la fame grande, e el luogo è agresto, e quasi di non potervi andare ora; ma tosto verrà tempo abile, sicché al tuo desiderio e volere ti potrà satisfare".

E di po' questo, andando Galgano a un castello che si chiama Civitella, el cavallo andando per la via si trattenne, e stette fermo; e speronando Galgano el cavallo con ammenduni gli speroni, e non volendo el cavallo mutarsi né andare più oltre, tornò adietro ad un castello de la Pieve di Luriano, lo quale v'era presso, e ine si albergò. L'altro dì, tornando al detto luogo e passo per andare al detto castello di Civitella, lo detto cavallo in quello medesimo luogo anco si rattenne, e, speronandolo cogli speroni e non potendolo far mutare, si posò la retine sopra lo collo del cavallo, e pregò Idio devotissimamente in queste parole, e dixe: "Creatore altissimo, principio di tutti e' principii, e che facesti lo mondo di quattro elementi, et che lo mondo, per li peccati degli uomini corrotto, per diluvio sì sanasti e purificasti, e che passare facesti lo tuo popolo e seme d'Abram lo Mare Rosso a ppiedi secchi, e che, nel tempo de la plenitudine de la gratia, del seno del tuo Padre nel ventre de la Vergine Maria descendesti vestito de la nostra humanitade, e lo patibolo de la croce, li chiovi, e sputi, e fragellato e humiliato per ricomprarci sostenesti, e lo terzo dì resuscitando da morte a coloro che tti credettero apparisti, e che lo quadragesimo dì in cielo salisti, per cui comandamento e volontà tutte le cose procedono; drizzami ne le tue semite e ne la tua vita e nell'opere de' tuoi comandamenti, acciò che, al tuo servigio devotissimamente stando, lo promesso habito di cavaliere meriti d"acquistare, lo quale ne la visione mi mostrasti; e menami, Signor mio, ne la via de la pace e de la salute, siccome menasti lo tuo servo e profeta nel lago de' leoni, lo quale portasse lo cibo da mangiare a Daniello".

 Finita che fu l'oratione, incontenente senza che altri lo guidasse, e senza che Galgano co li speroni lo pognesse, el cavallo senza endugio si pervenne in Monte Siepi, del quale con grandissima allegrezza si discese da cavallo in quello luogo, dove in visione li dodici appostoli aveva veduti, e, non potendo fare una croce di legname, si prese la spada ch'egli aveva a llato e in luogo di croce su la dura pietra la ficcò, la quale insino al dì d'oggi così è ne la pietra fitta. Poi acconciò il suo mantello a mmodo di veste manacile, e, fatto uno forame nel mezzo a mmodo di schappulare, sel vestì. Di po' questo, diliberando nell'animo di ritornare a ccasa per distribuire a' poveri quello che questo misaro mondo gli aveva dato, la prima volta, e la seconda, e la terza, udì dal cielo questa boce che diceva così: "Galgano, Galgano, sta' fermo, perciò che in questo luogo gli tuoi dì finirai. Non si vuole al principio corrare colui che combatte, ma a la fine".

 Unde Galgano, udito ch'ebbe questa boce, si stette fermo e lassò ogni pensiero di volere dispensare lo suo patrimonio. Et essendo in luogo salvatico, che non v'aveva cosa neuna da mangiare, si discendeva a ppiè del monte e ine sostentava lo corpo suo d'erbe selvatiche, che si chiamano crescioni. Et essendo una notte fra due valli a ppiei di questo monte appiattato fra due carpini, udì lo demonio venire contra di lui, lo quale si ingenia di ingannare ogni huomo che vuol servire Dio. Galgano, come costante e fermo, si uscì contra lo demonio per combattere co llui. Allora, vedendo lo demonio la costantia sua, sì percosse in quel luogo una trave di fuoco, et con grande stridore confuso se n'andò.

 Unde di lì a ppochi dì si propose nell'animo suo di andare ad visitare la basilica degli appostoli, cioè a rRoma, per la visione ch'egli ebbe di loro: et partendo da Monte Siepi pervenne a rRoma, e infinite basiliche di santi sì visitò. Et facendo a rRoma alcuna dimoranza, si vennero alquanti pieni d'invidia al luogo dove la sua spada era fitta, et ine con marroni e altri ferri sì si engegnavano sconficcarla di terra, e con molta fadiga, come a Dio piacque, non potendola sconficcare, sì la ruppeno; et volendola portare co lloro, e non potendo, sì la lassaro così rotta in terra e andavansene. Et andandosene per tornare alle lor case, per divino giudicio ne furono così puniti: e, partiti che furono, e ll'uno cadde in uno fiumicello d'acqua e annegò, e all'altro vene una saetta da ccielo e uciselo, poi venne uno lupo e aventossi addosso all'altro e preselo per lo braccio; e raccomandandosi al biato Galgano, incontanente el lupo fuggì, e non morì.

 Galgano, tornando da rRoma, e trovando la spada rotta, incominciò ad avere grandissimo dolore, e dixe: "Forse perciò permisse Idio che la mi fosse rotta, perch'io lassai el luogo che l'angelo m'aveva mostrato". Sicché, volendo Idio la sua tristizia consolare, una volta e due e tre sì gli apparbe in visione, e mostrogli che dovesse porre la spada rotta in sul pezzo ch'era rimasto fitto ne la pietra, et che la spada starebbe più ferma che innanzi. Allora Galgano così fece, tolse la spada e congionse l'un pezzo con l'altro. La spada fu incontenente risalda, ed é stata così salda insino al dì d'oggi. Dipo' questo, Galgano si fece una cella a mmodo di romito, ne la quale el dì e la nocte vacava in digiuni, e orationi, e meditazioni, e contemplationi, sempre macerando così lo suo corpo. Questa cella era di  legname fatta, ritonda a mmodo di quella che oggi è fatta di pietra, come l'angelo gli aveva mostrato in visione. Galgano contemplava in questa cella, avendo sempre la mente a le cose celestiali, spogliandosi d'ogni atto e cogitatione terrena. Lo suo cibo era d'erbe selvatiche, d'altro non rechedeva lo suo corpo. Contemplava la fragilità di questo mondo, come gli onori e la gloria mondana sono cose fuggitive e caduche e come è breve lo tenpo che ci aviamo a vivere. Et contemplava la vita etterna com'ella è inestimabile e perpetua senza fine. Et vegghiando una notte, e stando in oratione, subito vidde la cella illuminata di tanto splendore che parbe che per mille forami uno razo di sole e di luce risplendesse come fuoco, et entrasse nella cella dov'elli era. Et di questa luce uscì una boce chiara che dixe: "Galgano mio, te' quello che seminasti". Unde, al suono di questa boce stupefatto, e ricordandosi che lo dì del Signore cioè la notte come ladro viene, incontenente, levate le mani al cielo e le ginocchia poste in terra, con boce piena di lagrime dixe così: "Tu, Signore, che tucte le cose sai, a ccui niuno secreto è nascosto, lo quale facesti lo ladrone ch'era su la croce crucifixo partecipe di vita etterna, et che tutti gli huomini del ventre de le madri loro innudi li fai nasciare e innudi li ricevi, e che ogni persona fai ritornare ne la sua propria materia, cioè in cennere, come di cennere e di terra li creasti tu, Signor mio, ricevi me escendo de le miserie et de le cattività di questo mondo, e pericoli, et menami nel porto de la tua tranquillità, e pace, sicché cogli eletti tuoi e nel consortio de' giusti io meriti d'essere gloriato ed exaltato".

 Fatta ch'ebbe questa oratione, l'anima sua si partì dal corpo, e meritò di pervenire a la patria celestiale de' santi di vita eterna.   Visse el beato Galgano in questa heremitica vita et conversione uno anno meno due dì et fu sepolto con grande honore e reverentia ne la detta sua cella, ove poi si fece una chiesa ritonda come l'angelo gli aveva mostrato in visione, ne la quale continuamente gli miracoli sono multiplicati. A laude e gloria del nostro Signore Gesù Cristo, lo quale regna col suo Padre in secula seculorum. Amen."


Questa Vita di Galgano é tratta da un codice quattrocentesco conservato nel fondo chigiano della Biblioteca Apostolica Vaticana nel quale sono contenute una serie di vite di santi. E' stato pubblicato per la prima volta nel libro di Franco Cardini "San Galgano e la spada nella roccia" edito da Cantagalli di Siena che si può considerare uno dei testi fondamentali per la comprensione della leggenda galganiana.

Secondo le tradizioni quindi , Galgano Guidotti, fondatore di un ordine monastico di tipo francescano - era stato cavaliere di ventura e non aveva condotto un vita proprio esemplare.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1181 - che coincide, peraltro, con la nascita di San Francesco - ,(e anche questo e’ un fatto piuttosto curioso già che il santo di Assisi ebbe numerosi contatti con la figura di Federico II) ,attorno a Montesiepi ed al luogo ove egli aveva infisso in una roccia la sua spada di ex cavaliere convertito al saio, iniziarono a svolgersi eventi ed episodi mai del tutto chiariti, a cominciare dalla costruzione della stessa chiesetta circolare che custodisce, , un frammento di roccia con la spada del santo ancora conficcata in una fessura. Questa chiesetta è, a pianta circolare e già questo è molto strano, infatti questo tipo di pianta ricorda la pianta di templi pagani e nn solo.Infatti molto probabilmente il luogo era già sacro in precedenza e comunque legato a culti e tradizioni celtiche,del resto deve ricordarsi che il più antico nome di Montesiepi era Cerboli, che rimanda al Cervo, animale totemico tipicamente celtico, emblematizzato addirittura in una delle principali divinità, Cernumno. Inoltre in un sito vicinissimo a Montesiepi v'è il paesino di Brenna, il quale, oltre il richiamo a Brenno (re celto-gallico) e a Bran (eroe fondatore celtico),

La frettolosa beatificazione del santo, poi, ha tutta l'aria di un "coperchio" messo su un movimento ed un personaggio che le gerarchie dell'epoca dovevano avvertire essere in odore di eresia.. ..

Anche Dante Alighieri menziona Re Artù nel De Vulgari Eloquentia (Arturis regis ambages pulcerrimae, "le bellissime avventure di re Artù"), e, nell'episodio di Paolo e Francesca dell'Inferno, riprende la sequenza del primo bacio tra Lancillotto e Ginevra, uniti dai buoni uffici di Lady Galehaut (Galeotto).La menzione Dantesca non ci sembra affatto casuale del resto Dante era affiliato alla setta dei "Seguaci d’Amore" e ,anche se non in maniera molto precisa conosceva la funzione degli artu’ individuando in Virgilio uno di questi sacerdoti e come noi sappiamo,non aveva sbagliato.

-LA MITICA AVALON-

Strettamente legata al miti arturiano e’ l’isola di Avalon, mitico luogo da dove provennero i Thuatha de Danann e ove, secondo la leggenda fu seppellito il primo Artù.

Il nome Avallon deriva dal cimrico AFAL cioe’ pomo. La figura del pomo, e quindi del legame agricolo fa parte di tutta una simbologia dell’isola che la lega cosi’ di diritto al culto lunare altrimenti poi detto della dea Madre.

Avalon dunque significa "terra dei pomi", ma il nome Avalon riporta da vicino a Ablem\Belem che sarebbe l’equivalente celtico di Apollo e quindi ritroviamo anche qui il dualismo Terra-Sole di cui abbiamo già parlato. Un altro nome di Avalon era la "terra degli immortali" O, detta anche Tir na n’-og , "paese della giovinezza".

Sempre secondo le leggende celtiche simbolo della terra iperborea e’ anche l’ ALBERO D’ARGENTO CHE RECA IL SOLE ALL’ESTREMITA’ ( e il simbolo e’ facilmente riconducibile al culto lunare il cui metallo e’ proprio l’argento) LA FONTANA DELLA GIOVINEZZA e LA COPPA ( ovviamente legata al simbolismo tellurico).

E’da Avalon che provengono i Thuatha de Danann , letteralmente "la stirpe della dea Dana " , detta anche ANA la quale nn solo e’ madre ma e’ anche nutrice invisibile.

Potrebbe essere un caso se la madre della Madonna, spesso scambiata con una vergine nera , si chiama proprio ANNA? Quindi da tradizioni iperboriche il nome anna è simbolo di Madre.

Il legame tra Avalon e le terre iperboree dei miti greci è notevole, infatti secondo i miti greci nelle terre iperboriche avevano soggiornato sia Apollo che Artemide, e quindi anche nelle terre iperboriche ritroviamo il ricordo del culto lunare-solare e del dualismo uomo-donna , terra-sole….

Le terre iperboree erano posizionate per i greci nelle vicinanze del polo nord, come del resto il Giardino delle Esperidi. Molti eroi si recarono in siffatto luogo alla ricerca, guarda un po’, delle mele d’oro, che non fanno altro che ricordare la "terra dei pomi" cioé ancora avalon. Molti furono gli eroi che tentarono di raggiungere questo mitico luogo, tra loro Eracle riesce ad accedere al giardino poiché immortale , e non a caso un’altra dizione di avalon e’ quella di "terra degli immortali", qui il nostro erode deve lottare contro tritone e per passare indenne attraverso l’oceano usa la COPPA DEL SOLE (altro riferimento ai miti celtici).

Custode del giardino e dell’albero delle mele d’oro è il serpente Ladone, secondo alcune versioni Eracle uccide il serpente. Abbiamo già esaminato la profonda simbologia dell’uccisione del serpente o del drago da parte di Thot, San Michele e numerosi altri santi…essa non rappresenta altro che la conquista della conoscenza e il saper domare le potenti energie telluriche.

Ma un mito simile lo ritroviamo anche in oriente, con Alessandro Magno , egli raggiunge il famoso regno di Prete Gianni, ove "crescono gli alberi del sole e della luna", dizione che ricorda da vicino l’albero d’argento con il sole in sommità di Avalon e non solo, perché anche nel regno di Prete Gianni e’ presente una fonte della giovinezza, le cui acque ridonavano gioventù e vigore, lo stesso Prete Gianni vi si sarebbe immerso più volte raggiungendo la rispettabile età di cinquecentosessantadue anni.

Cosi’ cercando abbiamo risolto un altro enigma ,un enigma racchiuso tra le mura di Castel del monte.

Infatti ricordiamo il bassorilievo fortemente voluto da Federico II a che rappresenta una scena di caccia il cui protagonista è proprio Alessandro Magno, bene esso rappresenta proprio la "cerca di Avalon" mitico luogo da ove proviene il graal e la religione primordiale!


venerdì 27 marzo 2020

Sulle tracce del Sacro Graal

UNA DELLE LEGGENDE PIU' AFFASCINANTI LEGATE AL FOLKLORE MEDIEVALE EUROPEO

La mitica coppa che raccolse il sangue del Cristo morente sarebbe stata ritrovata un paio di anni fa da uno studioso inglese nel suo Paese, dove sarebbe giunta per metterla in salvo all'epoca in cui i Visigoti assediavano Roma. Ma che cos 'è realmente il Graal e che cosa si sa sul suo conto? Vediamo quali sono le ipotesi sulla sua vera natura e sui nascondigli che lo avrebbero celato per secoli.

di Marco Fornari

    Nel mese di agosto del 1995 si e ufficialmente conclusa la millenaria ricerca del Santo Graal. Questo, in breve, e il sunto dei vari comunicati stampa che hanno fatto il giro del mondo dopo le dichiarazioni dello studioso inglese Graham Phillips, secondo il quale la mitica coppa sarebbe di proprietà di una sua connazionale, la disegnatrice pubblicitaria Victoria Palmer, residente a Rugby poco distante da Coventry. Phillips, sulle tracce del Graal da parecchio tempo, sostiene di aver condotto i suoi studi senza mai uscire dal paese in cui vive e basandosi sulle numerose tradizioni che vorrebbero il sacro calice nascosto in qualche parte della Gran Bretagna. Ma procediamo con ordine. Che cos'è, innanzi tutto, il Sacro Graal e come è nata la sua leggenda?

IL CALICE DELL'ULTIMA CENA

    Il Sacro Graal è, secondo la tradizione, il calice in cui Gesù bevve durante l'Ultima Cena. Ed è anche lo stesso calice Arimatea (forse uno zio di Gesù), recuperò l'oggetto e io conservò come un prezioso e potente talismano portandolo con sé in viaggio fin nella lontana Britannia. Altre fonti narrano invece che il calice, recuperato da Maria Maddalena, fu posto nel Santo Sepolcro dove, nel 327 d.C. fu rinvenuto dall'imperatrice Elena, madre di Costantino il Grande. Per impedire che cadesse in mano ai Visigoti che assediavano Roma, la sacra reliquia venne in seguito portata in Britannia e lì nascosta. Indagando su alcune leggende inglesi riguardanti Maria Maddalena, Graham Phillips ha ristretto l'area delle sue ricerche alla contea dello Shropshire nel cuore dell'Inghilterra.
Seguendo questa traccia, Phillips scoprì che a metà dell'Ottocento lo storico Thomas Wright recuperò la coppa e la nascose a sua volta nel parco di Hawkstone, vicino a Coventrv, disseminando in un poema di sua creazione gli indizi per poter giungere al nascondiglio. Questi indizi sono stati decifrati da Phillips che, giunto in una grotta di Hawkstone Park, ha trovato ai piedi di una statua la teca che avrebbe dovuto contenere il Graal. Della sacra coppa però nessuna traccia. Cos'era accaduto? Phillips era stato semplicemente "preceduto" da un discendente di Wright che, giunto alle sue stesse conclusioni nel 1920, si era impadronito della coppa lasciandola poi in custodia alla sua famiglia. La nipote, Victoria Palmer, disegnatrice di professione, aveva ricevuto l'oggetto in eredità senza sapere di cosa si trattava e la mitica coppa era andata quindi a finire in soffitta tra i cimeli di famiglia.
A guardarlo, il presunto Graal lascia un po' delusi. L'oggetto scoperto da Graham Phillips non è altro che un vasetto d'onice talmente piccolo da stare nel palmo di una mano. Tuttavia, secondo gli esperti del British Museum, si tratta effettivamente di una coppa del I secolo d. C. proveniente dalla Palestina allora occupata dai Romani.
Inoltre Phillips afferma che il suo Graal corrisponde alle prime descrizioni fatte della reliquia recuperata nel 327 all'interno del Santo Sepolcro. E' quindi possibile che il calice ritrovato dallo studioso inglese sia lo stesso che l'imperatrice Elena portò a Roma convinta che fosse il Graal. Ma lo era realmente?

    A contestare decisamente le affermazioni di Graham Phillips è Rocco Zingaro, conte di San Ferdinando e Gran Precettore dell'Ordine dei Cavalieri Templari. L'Ordine, infatt,i sarebbe in possesso della sacra reliquia fin dal 1972, da quando cioè il professor Antonio Ambrosini, archeologo e professore emerito all'Università di Roma, ne fece dono a Zingaro in persona in occasione delle sue nozze, affermando di aver trovato la reliquia in un monastero copto egiziano. L'oggetto, non molto dissimile da quello rinvenuto da Phillips, è un piccolo vaso di opalina azzurra alto nove centimetri e largo alla base sette. Purtroppo non c'è nessuna prova che si tratti effettivamente del Graal, anche se legami tra la mitica reliquia e i cavalieri Templari sono sempre stati molto stretti.

MOLTE VERSIONI DI UN MITO

    Fin qui siamo partiti dal presupposto che il Graal sia in effetti la coppa in cui venne raccolto il sangue di Cristo (il termine Graal deriva dal latino "gradalis", parola che indica un vaso, un calice o una tazza). E difatti questa è la versione tradizionale della storia, quella più conosciuta e anche quella che ha acceso la fantasia di poeti, ricercatori, storici. Si tratta di una versione che affonda le sue radici nel folklore medievale e che trova riscontro in numerosi poemi cavallereschi, in particolare quelli appartenenti al ciclo arturiano (costituito dai romanzi della Tavola Rotonda e da altri scritti incentrati sulla figura dei cavalieri di Re Artù). In particolare l'idea che oggi noi abbiamo del Graal e delle vicende ad esso legate è quella che uno scrittore del XV secolo, Sir Thomas Mallory, ci ha tramandato nella sua versione delle leggende arturiane. Mallory però aveva lavorato su fonti antiche di origine francese. Prima fra tutte l'opera "Perceval, ou le comte du Graal", scritta dal francese Chretiene de Troyes, risalente al XII secolo, in cui viene citato per la prima volta l'oggetto sacro. In realtà Chretiene non specifica il fatto che si tratti di una coppa ma precisa solo che il Graal è d'oro e incastonato di pietre preziose. Un'altra fonte di Mallory fu lo scrittore Robert de Boron, che menziona la reliquia nel suo Joseph d'Arimathiae, Le Roman de l'Istoire du Graal, definendola "il calice dell'Ultima Cena" recuperato da Giuseppe di Arimatea dopo la crocifissione di Gesù e successivamente trasportato in Britannia.

    Ma vi è un'altra versione della storia del Graal, totalmente diversa, narrata questa volta da uno scrittore bavarese, Wolfram con Eschenbach, agli inizi del XIII secolo. L'opera si intitola Parzifal e in essa il Graal è descritto come una pietra  "di un genere più puro", uno smeraldo caduto dalla testa di Lucifero durante la discesa agli inferi degli angeli ribelli. Inoltre la pietra-Graal di Von Eschenbach è ammantata di una spiritualità profonda e la sua ricerca equivale al conseguimento della rivelazione divina. Un oggetto, dunque, sia materiale che spirituale. La stessa ambivalenza la possiamo riscontrare in altre versioni e addirittura in un'opera anonima del XIII secolo, Le Grand Graal, secondo la quale la reliquia è in realtà un libro scritto da Gesù stesso che contiene segreti e conoscenze inimmaginabili. A questo punto è chiaro che districarsi nella Materia di Bretagna (con questo nome si è soliti designare il complesso di tradizioni e leggende del ciclo arturiano), è alquanto complicato e definire la reale natura del Graal diventa una vera impresa, un rompicapo per pochi eletti.

    Se consideriamo poi che il Graal potrebbe non essere affatto "qualcosa" ma piuttosto un simbolo, un archetipo spirituale o peggio un'invenzione letteraria frutto dell'elaborazione in chiave cristiana di temi squisitamente pagani, verrebbe quasi da pensare che la sua realtà oggettiva non potrà mai essere dimostrata. Del resto la simbologia legata al Graal è quasi sicuramente di derivazione pagana e risale con ogni probabilità al culto della Grande Madre Terra, il ventre fecondo da cui ha origine la vita. Nella mitologia troviamo infatti numerosi riferimenti agli straordinari poteri di vasi e contenitori magici. Pensiamo alla "coppa della vita" dei Celti o alla cornucopia dei Greci, oggetti dispensatori di ricchezza e conoscenza.

L'ARCA DELL'ALLEANZA

    Tuttavia Graham Hancock, giornalista e scrittore inglese, autore di libri quali "Impronte degli Dei" e "Custode della Genesi", ha provato a partire da presupposti diversi ed è giunto a una interessante conclusione. Nel suo libro The Sign and the Seal, il Segno e il Sigillo (Il Mistero del Graal, Piemme 1995), Hancock accomuna la leggenda del Graal a quella di un altro famoso contenitore perduto, ovvero la biblica Arca dell'Alleanza. Ad accomunare i due oggetti sarebbe nientemeno che la Vergine Maria. In effetti nella Litania di Loreto, antica preghiera dedicata a Maria, quest'ultima viene definita Archa Foederis (in latino Arca dell'Alleanza). La stessa cosa accade in alcuni scritti di San Bernardo da Chiaravalle e in altre fonti della tradizione cristiana. Ma la Madonna può anche essere associata al Graal. Infatti, sempre nella Litania di Loreto, la Vergine è definita Vas Spirituale, Vas Honorabile, Vas insigne devotionis, cioè Vaso spirituale, Vaso onorabile, Vaso unico di devozione. li grembo di Maria sarebbe in definitiva il contenitore-Graal da cui e scaturita la divinità sotto forma del Cristo.
Dunque se la figura della Vergine racchiude in se, sia pure allegoricamente, i due oggetti sacri, secondo Hancock è lecito pensare che essi siano la stessa cosa. E lo scrittore inglese avrebbe anche individuato l'ubicazione dell'Arca-Graal. L'oggetto si troverebbe in Etiopia, nella città di Axum. All'interno del Sancra Santorum della chiesa di Santa Maria di Sion, ben protetto canonici locali che non permettono a nessuno l'ingresso nella parte del tempio in cui è custodita la reliquia.

IL GRAAL E IL SANGUE REALE

    Ancora più curiosa l'interpretazione della vera natura del Graal fatta da Michael Baigent, Richard Leigh e Heny Lincoln, tre scrittori autori del libro "Il Santo Graal" (Mondadori 1987). Secondo i tre il mistero del Graal e in realtà un clamoroso equivoco linguistico. L'etimologia del termine Graal sarebbe infatti incompleta senza l'attributo ricorrente "San". San Graal dunque, e non semplicemente Graal. E San Graal sarebbe a sua volta una trascrizione errata, dovendosi leggere in effetti Sang Real ovvero "sangue reale". Ma il sangue reaie di chi? Secondo li trio Baigent-Leigh-Lincoln "sangue" sta per "dinastia" o "stirpe". Dopo anni di ricerche i tre scrittori hanno ricostruito la loro versione giungendo alla seguente conclusione: Gesù scampò al supplizio della croce e si rifugiò in Francia presso una comunità ebraica. In seguito sposò Maria Maddalena dalla quale ebbe dei figli. I suoi discendenti regnarono con il nome di Merovingi creando in seguito il Sacro Romano Impero.

    Qual è la verità? E quasi impossibile districarsi tra i pezzi sparsi di questo gigantesco puzzle. Se anche ci fosse stata una realtà oggettiva nella leggenda del Graal, il suo significato ormai trascende l'aspetto materiale della questione. Graal è ormai sinonimo di iniziazione, di esoterismo, di storia dell'occulto, di simbolismo e di quant'altro possa essere associato al mistero. Quel che è certo è che questo nome, qualunque cosa rappresenti, ha il potere di stimolare l'intelletto umano oltre ogni misura e in questo senso riveste un'importanza fondamentale. Ma ancora più importante del Graal è la Ricerca del Graal, non dell'oggetto in sé ma di quello che rappresenta: la Conoscenza, forse la perfezione.

    In questo senso si può affermare che l'eterna ricerca è tutt'altro che conclusa.