giovedì 7 marzo 2019

La chiave di Salomone

Presentiamo una bella edizione della Chiave di Salomone, libro di magia fra i più noti nell'area mediterranea. Non si conosce l'origine di questo testo e ne esistono varie versioni manoscritte con differenze più o meno ampie. L'edizione che presentiamo è edita dalla Fanucci nella collana "I libri del Mistero".
Particolare di questa edizione sono le pagine decorate che cercano di ricreare l'atmosfera dei vecchi grimori manoscritti e il taglio delle pagine colorato in verde. Dall'introduzione "La Clavicula esiste dalla più remota antichità. Certe sue formule, certi rituali, riecheggiano cerimonie caldee e babilonesi". L'edizione in oggetto è basata su un manoscritto cinquecentesco che risulta fra i più attendibili da "un raffronto con le edizioni critiche inglesi e francesi effettuato sui manoscritti custoditi nei musei". Le illustrazioni sono tratte dal manoscritto Sloane 3091 del British Museum. Il libro è composto da 144 pagg. con copertina rigida al costo di 12€.


sabato 23 febbraio 2019

Una chiacchierata su Ananke

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/ananke-e-la-legge-del-cosmo/

Trascrizione infedele dell’intervento si Ananke tenuto ieri al Centro le Cicogne di Racconigi per l’associazione culturale umanistica “all’ombra del Monviso”.

Ananke prima ancora di “diventare” una divinità era una idea, un’idea astratta. La stessa parola Ananke potrebbe essere di origine semitica e trovare la sua essenza nelle tre lettere: hnk. Avremo nell’antico egizio: hnkper angusto; hngper gola e enekcon il senso di strangolare, abbracciare circondare; il siriaco hnk per catena soffocamento, l’accadico hanaquper stringere, avvolgere strettamente al collo, l’ebraico anãkper collana a forma di catena.[1]

Nei secoli che sono diventi millenni noi siamo stati abituati a percepire e “subire” la Necessità (Ananke) come qualcosa di negativo. Se proviamo a denudare la storia di Ananke, scopriamo che Ananke ha una famiglia sui generis. Si è parlato pocanzi delle Moire e non ritornerò sull’argomento avendo i minuti contati, se diamo uno sguardo alle cosmologie e cosmogonie orfiche, argomento accennato dai primi relatori, scopriamo che Ananke era prima degli dei, cosa che condivide ad esempio con Fanes, ma questa è un’altra storia. Scopriamo che imparentate ad Ananke vi sono altre due figure femminili: Astradea e Themis (purtroppo non sarà possibile parlarne), ma è impossibile non accennare al fatto che Themis è presente nel culto misterico di Mitra. Perché i culti misterici? Quale è l’importanza dei culti misterici? È uno snodo fondamentale il collegamento con i culti misteri. Ed è così importante che vi chiedo per un attimo di abbandonare la vostra razionalità. Muoviamoci utilizzando la Fantasiaed il Nous.[2]In questo torniamo ad essere dionisiaci, perché Dioniso guardandosi allo specchio vedeva in questo il mondo riflesso (Dioniso guardandosi nello specchio vede il mondo). Proviamo a fare lo stesso, dimentichiamo per un attimo di essere nel 2018 e.v., proviamo a diventare o tornare esseri “primigeni” e non primitivi, espandiamo la nostra coscienza e le nostre sensazioni ed anziché razionalizzare tutto quello che sentiamo, proviamo e pensiamo, “lavoriamo usando due parole che per noi sono inusuali: Fantasiae Nous”. Che possiamo definire per estrema esemplificazione e comodità come quel pensare “pre” razionale nel quale tutto è compreso. Un pensare unitario e non frammentato. L’uno ci rimanda a Pitagora, quindi inevitabilmente alle antiche iniziazioni e anche a quella musica prodotta dalle Sirene vicino alle Moire di cui si è parlato prima (vedi mito Er). Perché questo riferimento? Perché solo se siamo uno possiamo divederci, solo dall’unità viene la molteplicità, ma in quanto molteplicità spesso disordinata abbiamo la necessità di tornare all’unità. Ricomporre la nostra unità, tornare ad essere uniti ed armonici è uno degli scopi delle iniziazioni in generale e di quelle misteriche in particolare. Non dimentichiamo Dioniso allo specchio. Nella vita di tutti i giorni siamo frammentati, nei diversi momenti dell’esistenza o della giornata riverberano schegge di noi, siamo padri, mogli, lavoratoti, abbiamo una vita emozionale spesso scissa da altre parti noi, siamo, spesso, tanti piccoli frammenti di quella unità che è ogni singolo individuo. Per ricomporci, noi dobbiamo tornare a quella unità che eravamo in origine. Cosa c’entra Ananke in tutto questo? La Necessità, la sola parola necessità, basta ascoltarla per metterci uno stato d’ansia, la necessità di fare qualcosa, vissuta come obbligo e costrizione e con come un imperativo, direi categorico, della nostra coscienza, del nostro spirito delle nostre emozioni. Forse, abbiamo perso il nostro rapporto più intimo con Ananke molto tempo fa e l’abbiamo persa per quanto ci riguarda più da vicino, nella nostra storia, in due momenti topici. Il primo è quando è morto l’Occidente, la morte dell’Occidente inizia con la separazione della Poesia dalla Filosofia o con Euclide che tradisce la matematica sacra di Pitagora. L’uomo oggi si trova in una stanza buia e come tutti i bambini teme i mostri che ne possano uscire o, peggio, quelli che egli stesso creerà. Lo smarrimento dell’esserciè massimamente dovuto alla negazione più che cancellazione (in altra sede approfondirò gli effetti di questa negazione) di due elementi che lo rapportavano con la sua coscienza/pneuma e con il Mondo Universo. La negazione del principio erotico e del sacro, stanno portando l’essere umano a divenire una macchina di sangue e carne disumanizzandolo.

L’annuncio di questa morte sulla fine del secolo XIX viene dato con questa semplice frase: Dio è morto.Annuncio che come tutti voi sapete è dato da Nietzsche in La gaia scienzae Così parlò Zarathustra. La morte di dio porta l’Occidente a qualcosa di ancora più drammatico: la perdita del sacro. La perdita del sacro è una perdita che riguarda eminentemente l’uomo, perché persa la via del sacro l’essere umano perde questa relazione con se stesso, con gli altri e il Mondo Universo. Questa perdita porta inevitabilmente alla cancellazione, all’oblio della sacralità della vita. Inutile soffermarsi ora su questo, la perdita della sacralità della vita è un fenomeno tanto reale quanto psichico e coscienziale al quale assistiamo, quasi anestetizzati, tutti i giorni. Si perde un altro elemento costitutivo dell’uomo, dell’esserci, perdita che avviene in contemporanea con l’annuncio della morte di dio e trova la sua massima realizzazione nella contemporaneità, parlo della perdita del principio Erotico.

Potrà sembrare strano parlare di perdita del principio erotico in una società definita di costumi liberi o immorale da finti perbenisti e afflitta dalla dipendenza pornografica manifestata dalla youporn generation, ma il principio erotico nulla ha a che vedere con la pornografia. Il principio erotico è il principio vitale sia esso fisico, artistico o metafisico, è in qualche maniera il principio dionisiaco della vita che reclama la sua manifestazione. L’esserci nella modernità ha in qualche modo rinunciato alla zoé e alla psyché pur cercandola bramosamente in luoghi diversi da quelli nella quale si trovano. Il rapporto erotico con la vita è quella pulsione imprescindibile che ci spinge ad andare avanti, è quella forza necessariamente disordinata che nella sua realizzazione ci porta all’ordine, meglio, all’armonia. Mi viene in mente come Ananke in alcuni testi magici sia presentata come la Dea dell’irrazionale. Molti dei motti dedicati ad Ananke sono con l’alfa privativa davanti alla parola logos, quindi con una traduzione imperfetta e semplificata: senza logica, senza razionalità. Non basta, noi dobbiamo recuperare tutto questo. Per recuperare tutto questo cosa possiamo fare? Dovremmo ricordarci di Ananke con le braccia aperte che accoglie in sé l’intero Cosmo, l’intero Mondo Universo e non voglio arrivare a parlare della Grande Madre, però è un dato di fatto…

…Potremmo leggere dei frammenti della letteratura orfica, ma non abbiamo tempo. Ananke, probabilmente, è la legge del cosmo, del Mondo Universo, non è la necessità intesa nel senso comune. È tanto la legge della fisica newtoniana moderna, tanto la legge occulta dei maghi, tanto la legge altrettanto occulta degli psicanalisti che occupandosi della coscienza si occupa di qualcosa di occulto nel senso di celato, non visibile. Noi guardiamo ad Ananke come colei che è nata con il serpente prima degli dei, che avvolge e accoglie l’intero universo in un continuo atto erotico di produzione e riproduzione, ed è colei che attraverso la sorella o la figlia, a seconda delle versioni di miti, che tra le altre cose avrebbe accudito Zeus (e questo la dice lunga) nella grotta. , e se l’uomo è microcosmo nel macrocosmo, è quindi governato in una qualche maniera dalle stesse identiche leggi, solo abbracciando Ananke avremo l’armonia, ricomporremo l’unità e potremo stare bene.

Ho detto

Gioia – Salute – Prosperità



giovedì 14 febbraio 2019

Il ritorno dei cavalieri templari

tratto da "Il Giornale" del 26/09/2018

Prima crociati, poi scomunicati dal Papa e oggi ispiratori di saghe come Indiana Jones. Dopo anni di silenzio sono tornati alla carica. E raccontano la loro battaglia

di Stefano Filippi

L'ultima crociata è stata combattuta 750 anni fa, loro sono stati sciolti quarant'anni dopo dal Papa sotto il peso di accuse infamanti. I sette secoli successivi, più che ricordarne il valore, ne hanno fatto un misto di esoterismo, ambizioni araldiche, voglia di riconquista, ricchezze nascoste, contiguità con la massoneria.


Essere monaci e andare in guerra non sono più un tutt'uno e la Terrasanta è presidiata da tutt'altre milizie. Eppure, oggi i templari cercano di riemergere dal fiume carsico della storia, i cavalieri del tempio di Gerusalemme tolgono dagli armadi croci e mantelli e provano a rilanciare gli ideali che non vogliono consegnare al passato.

Templare è un marchio privo di copyright. La Chiesa, che li ha creati con San Bonaventura e cancellati con papa Clemente V, non li ha riabilitati. Chiunque può utilizzare la griffe, celebrare investiture, fondare priorati sfruttando le leggende sulla sopravvivenza segreta dell'ordine: le diffuse la massoneria inglese che fece propri i gradi templari, a partire da quello di gran maestro. A cavallo della Rivoluzione francese prese corpo una corrente di «neotemplari» affine alle obbedienze massoniche che si ramificò in numerose sigle, tutte originate da microscissioni spesso difficili da ricostruire e in concorrenza tra loro. Ognuna rivendica un pedigree adeguato e contribuisce ad alimentare misteri e curiosità sui templari, che fanno la fortuna di libri come il Codice da Vinci e saghe cinematografiche come quelle di Indiana Jones.

In Italia sono presenti addentellati di organizzazioni internazionali come l'Osmtj (Ordre souverain et militaire du temple de Jérusalem, Ordine sovrano e militare del tempio di Gerusalemme) e l'Osmth (Ordo supremus militaris templi Hierosolymitani) per promuovere ricerche storiche e attività filantropiche. Sigle molto simili, organizzate in precettorie o priorati: la seconda, in particolare, vanta diffusione in cinquanta Stati e un riconoscimento dell'Onu come Ong. Ma è bastato rimescolare le lettere e a Roma anni fa è spuntato lo Smtho (Supremus militaris templi Hierosolymitani ordo) di filiazione brasiliana il cui leader italiano, Rocco Zingaro, sosteneva di possedere il Graal.

SIGLE IN LOTTA

A Trieste invece un gruppo di templari fuorusciti dall'Osmtj fa capo a Walter Grandis, giornalista, saggista e presidente di una bocciofila. A Napoli cerca accreditamento la Confraternita internazionale di volontariato dell'ordine dei cavalieri templari cristiani Jacques de Molay, guidata dal gran priore Massimo Maria Civale che si presenta anche come vicario di una Confederazione internazionale templare dedicata a San Bernardo di Chiaravalle. Un'altra confraternita intestata a De Molay, l'ultimo «magister» morto sul rogo nel 1314, è stata costituita dalla Chiesa ortodossa italiana autocefala, fondata da Alessandro Meluzzi: il cappellano è il vescovo Filippo Ortenzi, ex Fronte della gioventù, ex Ugl, ex assessore nel Viterbese. Per loro il cavaliere arso è addirittura santo.

È un groviglio di sigle e cariche, di esche per creduloni e tentativi di accaparrarsi brandelli di storia, di massoni mascherati e cacciatori di onorificenze. Nella mappa delle religioni in Italia gli studiosi Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli hanno censito anche il Supernus ordo equester templi, l'Ordine militare e religioso dei cavalieri di Cristo, l'Ordo equestris templi Arcadia, i Cavalieri templari di nostra Signora di Nazaret, l'Ordine dei cavalieri templari guardiani di pace, l'Ordine del tempio solare, l'Ordine rinnovato del tempio che però non va confuso con l'Ordine del tempio rinnovato alle cui attività partecipò da giovane l'esoterista René Guénon. Ogni realtà raccoglie poche decine di adepti, quasi come piccole sette.

TRA MALTA E SANTO SEPOLCRO

Il Vaticano riconosce due soli ordini cavallereschi, Malta e Santo Sepolcro. Il revival templare non è incoraggiato dalla gerarchia, nonostante che nel 2001 la paleografa Barbara Frale abbia scoperto nell'Archivio segreto vaticano la Pergamena di Chinon, documento datato 1308 in cui il pontefice riabilitava (senza clamore) gli ultimi templari. Nel 2005 il cardinale Camillo Ruini, allora vicario del Papa per Roma, vietò alle chiese diocesane di ospitare cerimonie di sedicenti templari che facevano infornate di cavalieri tra le sacre mura. Ma 17 anni prima, nel 1988, un altro vescovo, Mario Ismaele Castellano, aveva riconosciuto a Siena l'Ordine dei poveri cavalieri di Cristo guidati dal «magnus magister» Marcello Alberto Cristofani della Magione, 79 anni, Duca della Milizia del tempio e Conte palatino. E nel 1989 la Penitenzieria apostolica, autorizzata da papa Giovanni Paolo II, concesse una serie di indulgenze.

«La nostra è l'unica associazione templare con sigillo ecclesiastico», spiega Cristofani. L'origine fu casuale ma il futuro gran maestro, allora capo scout, vi scorge la mano della Provvidenza. «Comprai il castello della Magione a Poggibonsi perché volevo accogliere e formare adulti che uscivano dai gruppi scout, da me fondati, per una militanza cattolica permanente», racconta. Cristofani scoprì nella Magione vestigia templari e fondò un organismo riconosciuto dalla Regione Toscana, la Milizia del tempio, ispirato agli ideali e all'organizzazione cavalleresca cui intestò il patrimonio. Dopo nove anni di prova, arrivò il «placet» diocesano del vescovo di Siena previa dichiarazione di non accampare discendenze medievali. «Non mancarono perplessità in Segreteria di Stato - ammette Cristofani -. Una diocesi può non accettarci ma non si può dire che non abbiamo approvazione».

I seguaci della Milizia in Italia sono una quindicina, nel mondo un centinaio. Hanno l'obbligo di recitare il breviario e dare voti privati di obbedienza, distacco dai beni terreni, castità e professione pubblica della fede. «Siamo legati alla messa in latino del 1962. Anni fa venne a celebrarla anche il cardinale Oddi. Altri porporati ci hanno fatto visita: Stickler, Innocenti, Scola e Gagnon, che si fermò una quindicina di giorni. Indossiamo mantello e insegne soltanto in occasioni liturgiche». Il rito del 1962 non piace molto a papa Bergoglio. «Ci definiscono tradizionalisti ma non siamo polemici - replica Cristofani - il Papa è il Papa, che si chiami Benedetto o Francesco. La nostra battaglia è culturale, di apostolato e testimonianza, e di aiuto alle scuole cattoliche di Terrasanta».

CUSTODI DELLE CHIESE

Un'altra associazione dichiaratamente fedele al Papa sta prendendo rapidamente piede: sono i Templari cattolici d'Italia guidati dal magister Mauro Giorgio Ferretti. Sono duemila con oltre 120 sedi, tra di loro si chiamano «fratelli», non hanno riconoscimento ufficiale, ma moltissime diocesi aprono loro le porte, a cominciare da quella di Verona, che ha concesso la sede nazionale nel chiostro romanico di San Fermo Maggiore, e quella di Napoli, dove il cardinale Crescenzio Sepe li ha autorizzati a operare in tutta la Campania. Ferretti, a differenza di Cristofani, si appella al neotemplarismo di inizio Settecento: «Il ramo fedele alla Chiesa si era quasi estinto - racconta -. In Italia rimase un solo maestro, fra' Ruggero, che 35 anni fa m'incaricò di ricostituire l'antico Ordine. Mi cambiò la vita. Oggi già una quarantina di vescovi ci hanno scritto e abbiamo oltre ottanta preti che ci seguono».

Perché riesumare una tradizione cavalleresca discussa, lontana nel tempo e forse anche fuori da questo tempo? «I valori della cavalleria sono più che mai necessari - risponde Ferretti -: onestà, lealtà, senso dell'onore, testimonianza di un cattolicesimo non ipocrita. I musulmani presi singolarmente sono brave persone, ma la religione predica l'uso della scimitarra e dobbiamo difenderci. Per 200 anni i templari sono stati la spada del Papa, monaci poveri al suo servizio; oggi c'è bisogno di gente normale, laica, sposata, che dedica tempo a servire la causa della Chiesa, l'unico baluardo sopravvissuto nell'Occidente». Il compito principale che i Templari cattolici si sono dati è quello di tenere aperte le chiese o riconsacrare al culto quelle abbandonate o profanate da culti esoterici e satanici: «Dopo la strage di Parigi abbiamo tenute aperte 120 chiese, vigilando volontariamente per 24 ore, da soli - dice Ferretti -. Con la nostra presenza silenziosa abbiamo creato scompiglio».

sabato 9 febbraio 2019

ANIMA-LI E SACRE SCRITTURE

tratto da "L'Opinione" del 27 giugno 2018

di Vito Piepoli

“Leandro Borino è un medico veterinario che ho avuto il piacere di conoscere nel periodo di Natale per un'emergenza animalista e che ho seguito nel tempo. Mi sono avvicinata a lui perché l’ho considerato da subito una voce fuori dal coro, leggendo i suoi libri come “Animali e fiori di Bach” che rappresenta un approccio olistico alla floriterapia di Bach sugli animali, pubblicato nel 2002 e lo scorso anno “Anima-li e Sacre Scritture” che ritengo uno scrigno prezioso, un vademecum di considerazioni e spunti sul rapporto animico che esiste da sempre tra gli uomini, gli animali e il creato tutto”. Così, Stefania Bottiglia, presidente Oipa Taranto, l'Organizzazione internazionale protezione animali, ha introdotto la presentazione del libro “Anima-li e Sacre Scritture”, Edizioni Zerotre, fatta dallo stesso autore Leandro Borino presso il salone messo a disposizione della Lega Navale di Taranto.

È singolare l’impostazione che si coglie dell’autore, nell’approccio al creato, a mano a mano che ci parla e che qui possiamo solo sintetizzare mentre andrebbe approfondita. "Non si considera abbastanza come la radice della parola “animale” sia “anima” e se i nostri patriarchi latini da cui discendiamo, hanno chiamato “anima” una cosa e “animale” un’altra i nomi non sono casuali”, esordisce.

È stato colpito da una battuta riportata in un libro di Marcello D’Orta, laddove un bimbo osserva, con molta semplicità, che gli uomini si chiamano uomini ed hanno un’anima, mentre gli animali si chiamano animali e non ce l’hanno. E tutto ciò sembra quasi uno sfottò. Perché è importante valutare questo aspetto? Durante tutti gli anni della sua professione in molti casi, per cui non può essere una casualità, è capitato che gli animali che gli portavano, avessero le stesse malattie di qualcuno che era in casa con loro: diabete, ernia del disco, carcinoma mammario ed altre patologie.

“E allora ti chiedi, cos’è che non mi hanno spiegato i miei maestri o cos’è che mi è sfuggito? Non trovavo la risposta e devo dire grazie ad una donna ebrea che ebbi la fortuna di conoscere, che tracciò in una conferenza quella che è la visione ebraica della malattia, non come random, come casualità, come il gioco della roulette, uno si ammala di polmoni, un altro di cuore e neanche come una maledizione divina ” argomenta Borino.

Allora la malattia che cos’è? Secondo Daniela Abravanel, questa donna ebraica a cui Borino fa riferimento, è una domanda di cambiamento. Una richiesta di cambiamento dell’anima scritta con le parole del corpo. Questo non vuol dire che non esistano i virus, i batteri, le infezioni e così via. Ecco che allora dietro quella che è la medicina tradizionale sarebbe bene considerare anche questo, quindi i sentimenti che sono dietro una malattia. E gli animali riflettono il padrone, nel senso che riflettono l’uomo o la donna che amano di più.

Ma di che cosa parla il libro di Borino? "Di quello che ho trovato nella Bibbia della Conferenza episcopale italiana ed ho compreso che questa non è solo per chi ha fede, ma è una miniera di informazioni”, riferisce l’autore.

Lì, per esempio, ha trovato dopo che l’aveva capito nel suo lavoro, che l’occhio dell’animale può vedere quello che l’occhio dell’uomo non vede. Lo si può notare nei gatti, nel vostro gatto domestico. Guardatelo negli occhi e ditegli qualcosa e vedrete che il gatto, dopo avervi guardato una frazione di secondo negli occhi, alzerà lo sguardo attorno alla vostra testa, vedendo i colori dell’aura, l’alone di luce che tutti abbiamo intorno, che poi gli artisti stilizzano nelle chiese col cerchietto d’oro sulla testa, donde il nome aureola.

Ebbene quindi, l’animale la vede, come i bambini fino a quando hanno la fontanella aperta, cioè diciassette, diciotto mesi. Chiaramente il bambino non sa che quello che vede è un’aura. E sembra che un bambino che si sta allattando al seno di sua madre, quando la guarda, vede la sua testa tutta rosa e così impara che alcuni colori pastello, come il rosa e il celeste sono colori d’amore, di affetto. Mentre il colore nero, scuro, non lo è, e come il colore rosso lo turba.

Questo è il famoso sesto senso degli animali, che non hanno bisogno di parlare con noi per capire se siamo ben disposti verso di loro, perché lo vedono. Il fatto che gli animali vedono quello che noi non vediamo, dice l’autore è nella Bibbia, per esempio, nel libro dei Numeri. Qui si narra un episodio ben preciso, dove a salvare la vita del sacerdote Balaam che la cavalca, è la sua umile asina. Questa vede quello che Balaam non vede, cioè, l’angelo con la spada fiammeggiante inviato da Dio per fermarlo. E l’angelo dopo un po’ apre la bocca dell’asina che comincia a parlare così come successivamente apre gli occhi di Balaam che, finalmente, lo vede. Il testo biblico non dice, osserva Borino, “dona” la parola...e “dona” la vista. Ma appunto “apre”, come se l’angelo togliesse solo un diaframma. In questo verso dell’Antico Testamento, secondo l’autore, vacilla la centralità dell’uomo nella creazione e il suo presupposto ruolo di re.

“Inoltre ho scoperto questo: se io quando lavoro, visito, sono in pace con me stesso, sto bene, sono in pace con Dio, col mondo, con gli uomini, con chi mi viene accanto, posso fare di tutto, posso prendere un gatto pestifero e fargli una iniezione di penicillina che brucia molto e lui non si muoverà. Se invece sto male, sono arrabbiato, ho la testa altrove, quell’animale farà di tutto. Se un animale fa una vita giusta, alimentato correttamente, e aggiungerò di più, con amore, considerando che nel nutrire c’è già un prendersi cura, guarirà prima, come vale anche per le persone malate”, sottolinea l’autore. Ma sono le nostre cattive abitudini che trasferiamo nell’animale che sta con noi? Per Borino, assolutamente sì. Quello che traspare nel testo biblico è che gli animali sono delle note sul nostro pentagramma. La musica la creiamo noi, l’animale ne risente. Se in casa c’è una persona che soffre di epilessia o di altro, gli animali che sono con lui sentono tutto questo e allora si può scatenare il senso di colpa, perché uno pensa che sia colpa sua. In realtà, non è colpa sua, perché l’animale ti ama per quello che sei e non si scherma nei confronti di questo fenomeno, e se io ho vibrazioni e pensieri di paura, di rancore, l’animale li assorbe tutti.

Anche gli animali hanno le loro malattie. Ma non tutte le loro malattie dipendono da noi. Come si capisce, allora, che un animale ha una malattia perché è malato l’essere umano che vive con lui? Questo libro ci apre ad un mondo di cui non avevamo conoscenza, se non intuitivamente in percezioni saltuarie. I cani che rischiano la propria vita cercando esplosivi, o persone sotto le macerie, fanno tutto questo per amore gratuito nei confronti del loro allenatore, alla persona che si occupa di loro, e “credo che l’animale, per esempio, che fa pet therapy, capisca esattamente quello che sta facendo e questo tampona il fenomeno”, ha detto Borino.

Ogni animale può insegnare qualcosa all’uomo. Ha una qualità che può essere  per l’uomo. Un cammello o un dromedario per esempio, insegnano a risparmiare, a non dissipare le proprie energie.


sabato 2 febbraio 2019

I SEGRETI DELLA MENTE: COSA AVVIENE NEL NOSTRO CERVELLO DURANTE GLI STATI ALTERATI DI COSCIENZA?

Sabato 16 Febbraio 2019 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate agli “Incontri di Scienza”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi ad un imperdibile appuntamento in compagnia di PAOLO PACCIOLLA che parlerà sul tema:

I SEGRETI DELLA MENTE: COSA AVVIENE NEL NOSTRO CERVELLO DURANTE GLI STATI ALTERATI DI COSCIENZA?

Il nostro cervello è un sistema meraviglioso, capace di operazioni strabilianti. Paolo Pacciolla è laureato e specializzato in Neurobiologia; è Study Coordinator presso il centro per lo studio e la Cura dell’Amiloidosi Sistemiche del IRCCS del Policlinico San Matteo di Pavia ed ha al suo attivo importanti pubblicazioni scientifiche su riviste quali il Journal of Comparative Neorology e il Journal of Visualized Experiments si è inoltre specializzato nell’insegnamento dello Yoga: in questa conferenza imperdibile, ci porta con sé in un viaggio comparativo fra gli Stati di Coscienza e la neurologia, per aiutarci a rispondere alla domanda: cosa avviene davvero nel nostro cervello?
Si tratta, come avrete capito, di un appuntamento di straordinario interesse a cui la nostra Associazione si pregia di invitarvi; un’occasione, perciò, da non lasciarsi assolutamente sfuggire!
La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando i numeri 346.9451451 - 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.
Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.



domenica 27 gennaio 2019

Quando i Druidi Insegnavano Giocando: Giochi e Riti di Fertilità

Questo viaggio tra le incisioni rupestri e i “giochi” di montagna parte da molto lontano, da quel mondo celtico da cui provengono molte delle nostre tradizioni. Tra le tante storie di Britannia si parla spesso dei "Tredici Tesori”, un gruppo di oggetti magici menzionati nei manoscritti gallesi del XV e XVI secolo, come ad esempio nel ciclo  arturiano di Culhwch e Olwen o nel Tri Thlws ar Ddeg Ynys Prydain. Secondo la tradizione questi sarebbero la "Bianca Elsa”, la spada di Rhydderch Hael”, il “ Paniere di Gwyddno "Gambalunga", il “Corno di Bran l'Avaro del Nord", il "Il Carro di Morgan il Ricco", la “Cavezza di Clydno Eiddyn", il  "Coltello di Llawfrodedd Farchog", il “Calderone di Dyrnwwch il Gigante" l’”Affilatoio di Tudwal Tudglyd",  la ”Cotta di Padarn, la ”Brocca e il Piatto di Rhygenydd il Chierico", il "Mantello di Artù” in Cornovaglia ed infine la ”Scacchiera di Gwenddoleu ap Ceidio”. E’ proprio su quest’ultimo che voglio soffermarmi. Secondo la tradizione questa magica tavola altro non sarebbe che una scacchiera in oro con pezzi d'argento e cristallo, nota anche come Gwyddbwyll, letteralmente "saggezza di legno". Di essa si parla in molti testi e leggende celtiche. Nel Mabinogi, più precisamente ne “il sogno di Rhonabwy”, si fa riferimento a un gioco costituito da una tavola d'argento su cui muovevano pedine d'oro noto come Fidchell. Il testo recita: "Leth a fóirni d'or buidi, in leth aili d'findruine", ovvero "La metà dei suoi pezzi erano d'oro giallo, l'altra metà di bronzo bianco". Le leggende descrivono il Fidchell come un gioco utilizzato dai re e dagli dei. Nella leggenda, sarebbe stato inventato da Lugh, dio celtico della Luce, nonché utilizzato da suo figlio, l'eroe Cú Chulainn. In realtà, secondo alcuni studiosi, sia la tavola di Gwenddoleu che il Fidchell sarebbero la riproposizione di un gioco di provenienza norrena chiamato Hnefatafl. La fonte più antica che lo cita è la Saga di Grettir, scritta da un monaco islandese che chiama questo gioco appunto con il nome di Hnefatafl cioè "tavolo del re". Da uno scritto di Rögnvaldr Kali, databile tra il 1135 e il 1158, leggiamo

I can play at Tafl, / Nine skills I know, / Rarely forget I the runes, / I know of books and smithing, / I know how to slide on skis, / Shoot and row, well enough; / Each of two arts I know, / Harp-playing and speaking poetry

Il reperto più antico è stato rinvenuto a Wimose, su una delle maggiori isole danesi, mentre, sotto forma di incisioni rupestri, questi giochi sono stati trovati in molteplici paesi europei, dall'Irlanda alla Russia. In Inghilterra lo troviamo a Salisbury, Gloucester e Norwich. Ovviamente l’Italia non fa eccezione, anzi. Raffigurazioni di questi giochi sono diffusissime in tutto l’arco alpino. Incredibilmente ben conservato, ad esempio, il Hnefatafl presente a Ungiasca, in Piemonte. Nell’articolo “Ungiasca Perduta”, pubblicato sulla rivista Verbanus da  Nino Chiovini, leggiamo “…La parte superiore del muro di contenimento della «piazza», usata come sedile collettivo, era costituita da una serie di lastroni di pietra…Su di un lastrone, il più levigato, era stata scalpellata una singolare figura labirintica, di cui in nessun luogo che a Ungiasca vidi l’eguale…venivano scalpellate sulle superfici piane di determinate pietre le figure che vanno sotto il nome di filetti…Ma in nessun luogo che a Ungiasca vidi quel labirinto su cui ragazzi, giovani e meno giovani, si accanivano al gioco chiamato dìi pévèr e dul lüv, ossia delle pecore e del lupo…” (Il gioco è ancora visibile in piazza Don Pagani, poco prima della via acciottolata e di cui parleremo a breve). Sempre in Piemonte, a Campiglia Cervo è presente, nella Piazza, una vera e propria “lastra dei tre giochi”. Si tratta di un masso usato come panchina fuori in Via Roma, 16 sul quale appaiono incisi tre giochi: un filetto, il "gioco dell'Orso" e “il lupo e le pecore”, mentre a Massello, è presente un masso di piccole dimensioni situato sul bordo destro del sentiero sulla cui superficie liscia e piana sono incise, oltre al filetto, due figure zoomorfe la più grande delle quali presenta vistose corna nonché raffigurazioni interpretabili come dardi che colpiscono un animale. Strane associazioni che fanno pensare a ben altro oltre al semplice gioco. Ancora il gioco del filetto è presente a Ronco Canavese, proprio nel portico della chiesa, e a Sparone, sulle lastre presenti sotto i portici di via Faletti. L’incisione più nota è però quella presente a Traversella. Qui, lungo il noto “Sentiero delle Anime”, troviamo molteplici rocce incise come la nota Pera dij Crus, le cui incisioni sono riconducibili all’ultimo scorcio del neolitico. Come ricorda il nome, si tratta certamente di un percorso rituale utilizzato per celebrarvi riti legati al culto degli Antenati. Su molti massi presenti lungo il percorso, oltre a coppelle, antropomorfi e croci gammate troviamo, appunto il Fidchell. Strana curiosità: queste raffigurazioni rupestri sono realizzate su pareti semi-verticali o fortemente inclinate che ne impediscono l’utilizzo pratico, come nel caso dei graffiti presenti sul soffitto delle grotte di Fontainebleau, insomma in luoghi e sistemazioni dove sarebbe impossibile giocare. Forse avevano anche un significato simbolico? Approfondiamo. Scavando nelle nostre tradizioni folkloriche alpine troviamo una sorta di variante del  Hnefatafl, il già citato “Gioco dell’orso” (Fig.1). il piano da gioco è composto da  due cerchi concentrici, intersecati da una croce e completati da lunette che delimitano i punti di intersezione sul cerchio più esterno. A sfidarsi sono un orso da una parte e tre cacciatori dall’altra. L’obiettivo è di chiudere tutte le vie di fuga al primo, bloccandolo. Si tratta sicuramente di un gioco ma allo stesso modo di un simbolo propiziatorio che richiama l’uccisione del Dio vegetazionale con orso-dendrofago, simbolo della fertilità. Il Frazer e io stesso, nel mio Saggio “Culti Pagani in Piemonte e Valle d’Aosta”, narriamo come in tempi più remoti in particolari date dell’anno un vero orso era portato in giro da un montanaro/domatore che andava da un paese all'altro facendolo ballare  nelle piazze.
Figura 1
Figura 2
Figura 3

In seguito questo uso scomparve e in alcuni paesi, per mantenere la tradizione, l'orso fu sostituito da una persona appositamente mascherata che ripeteva la stessa pantomima.  Al termine di una caccia simulata, l'orso veniva catturato e portato all’interno del paese dove era fatto oggetto di dileggi e di scherzi. L'epilogo può variare dall'"uccisione" dell'orso alla sua liberazione/fuga e ritorno alla natura. Il Piemonte, e più in generale tutto l’arco alpino ricordano, in particolari date questi riti come nel periodo carnevalesco dove la morte di “Carnevale” ben si sposa con quanto detto. Un esempio è l’Orso di Segale di Valdieri. Durante il giorno di Carnevale un uomo travestito da orso viene esibito in catene per le vie del paese seguito dai perulìer, bambini vestiti di stracci suonno le scaréle, strumenti di legno rumorosissimi.  E’ l’idea di risvegliare il mondo naturale, andato in letargo durante l’inverno, proprio come l’orso che, ad un certo punto fugge. Rituale simile è presente a Mompaterno, comune della val di Susa, situato alle pendici del Rocciamelone, la prima domenica di Febbraio. La festa è chiamata con il nome di Fora l’Ours, coincidente con la il giorno di Sant’Orso, santo sulla cui esistenza ci sono molti dubbi che dunque fanno immaginare si tratti di un’operazione sincretica atta a sovrapporre, agli antichi culti pagani, i nomi della nuova religione. Anche in questo caso l’orso è tenuto sotto scacco da quattro custodi/cacciatori.


Ecco qui svelato il mistero simbolico: Il gioco ripropone, in altra veste, l’idea del dio vegetazionale, pronto a morire per poi risorgere e assicurare la fertilità dei campi.
Un gioco simile è quello noto come “due lupi e venti pecore”. Si impiegavano venti pezzi rappresentanti, appunto, le pecore e due pedine raffiguranti i lupi. Questi ultimi si potevano muovere in ogni direzione con lo scopo di mangiare la pecora come nel gioco della dama, mentre le pecore potevano muoversi solo di una casella alla volta. Il gioco era già noto in Scandinavia nel 400 d.C. e probabilmente fu proprio portato dai Vichinghi nelle terre che conquistarono. Ancora una volta il gioco nasconde ben altri significati. Il lupo presso gli antichi Celti, era associato al mondo degli inferi. Pensiamo, ad esempio a Dormarth, posto alla guardia del regno dei morti, mentre nel Mabinogi si narra che cani bianchi con le orecchie rosse accompagnavano il Dio gallese dell’oltretomba Arawan. Inoltre è mangiando carne di cane che Cù Chulainn si indebolisce prima di essere ucciso. Il gioco della “pecora e del lupo” ci ripropone un altro rituale di fertilità: la morte che genera la rinascita nella natura. La scelta del lupo, o delle fiere locali come simbolo/divinità non era casuale, infatti l’animale, che con i suoi comportamenti era considerato grande predatore, era in competizione con gli stessi uomini cacciatori e così il selvaggio, per propiziare una buona caccia, cercava di onorare l’animale sia per ingraziarselo e evitare che gli sottraesse il sostentamento, sia per poter ereditare dallo stesso la sua stessa capacità di caccia, mentre lo smembramento dell’agnello, in molte culture immagine divina, ripropone il sangue versato ed in offerta al mondo degli inferi per poter assicurare la vita e il sostentamento.
Ecco l’anima del gioco, immaginiamo sotto l’albero il maestro che, mentre gioca spiega le dinamiche religiose e naturali al suo allievo. Il cerchio è chiuso, quello del gioco.

Figura 4

martedì 22 gennaio 2019

Nave fantasma riemerge dalle acque del fiume Po

tratto da "Il Giornale" del 28/08/2018

È il piroscafo San Giorgio, affondato il 12 febbraio del 1944

di Francesca Bernasconi

Era diventanta una leggenda, tanto da essere ormai considerata una nave fantasma, della quale si erano perse le tracce oltre settant'anni fa.
Invece, la nave San Giorgio è riaffiorata dalle acque del fiume Po, che l'avevano inghiottita nel 1944, grazie a Luciano Chiereghin, che ne ha individuato il relitto.

La storia della nave San Giorgio

Piccolo piroscafo, varato nel 1914 e usato a partire dal 1940 dalla Marina Militare Italiana, come naviglio ausiliario dello Stato, è stato impiegato nella guerra con la Jugoslavia e in numerose operazione nelle acque dalmate. Il piroscafo entra nella leggenda già nel 1943, quando viene attaccata da un sommergibile britannico, molto più grande e potente della San Giorgio, e combatte una coraggiosa battaglia, dalla quale esce senza riportare gravi danni: il sommergibile, infatti, ingannato dal denso fumo nero che si leva dalla nave, è convinto di averla affondata e se ne va.

Durante il Reich, la San Giorgio viene requisita e costretta a navigare sotto la bandiera della Kriegsmarine tedesca, per la quale svolge il pattugliamento tra Venezia e Ancona. Il 12 febbraio del 1944, l'equipaggio, composto da 52 uomini, si trova in difficoltà per una tempesta e cerca rifugio all'interno del Po. Poco dopo, il piroscafo incappa in una secca, in prossimità di Punta della Maestra, a Rovigo, e si inclina da un lato, permettendo ai marnai di salvarsi, prima di affondare.
Della San Giorgio affiorava solo il cannone da 76 millimetri posto a prua, che attirò molti pescatori della zona che la depredarono. Poi il lento sprofondamento delle acque del fiume Po la fecero inabissare e se ne perse ogni traccia, come riporta Il Messaggero.

Il ritrovamento

Luciano Chiereghin, uno storico locale, "cacciatore" di reperti della Seconda Guerra Mondiale, insieme a un gruppo di storici e archeologi, ha riportato alla luce il relitto della nave fantasma. Facendo riferimento ad alcuni studi dell'epoca, ha individuato sulla mappa la sagoma e la relativa posizione del relitto. Poi, grazie all'utilizzo di mezzi tecnologici, come gps, magnetrometro e georadar ha identificato l'esatta posizione della nave.
Chiereghin è disposto a mettere a disposizione della Marina tutto il materiale raccolto, in caso di un eventuale recupero, piuttosto improbabile, a causa dei costi che comporterebbe la complessa operazione.