mercoledì 18 maggio 2016

Agarthi, il Re del Mondo e i centri spirituali universali

Di Salvatore Santoru

Nel 1927 l'esoterista e pensatore tradizionalista francese René Guénon diede alle stampe "Il Re del Mondo", che risultò una tra le sue opere più conosciute e apprezzate(1).
Per tale libro, Guenon prese spunto da "Bestie,  uomini e dèi"(2) di Ferdinand Ossendowski, un libro pubblicato nel 1924 in cui lo scrittore sosteneva di essere venuto a contatto con un misterioso centro iniziatico durante un viaggio in Asia, e il capo supremo di tale centro era noto come il "Re Del Mondo"(3).
Ossendowski, ingegnere e ministro delle finanze sotto il governo dell'ammiraglio Kolchak, aveva combattuto contro l'esercito bolscevico nella Divisione asiatica di cavalleria del barone Roman Fiodorovic von Ungern-Sternberg, e nell'ultimo rapporto ai suoi ufficiali dell'agosto del 1921, li aveva informati che invece di dirigersi verso Est intendeva proseguire verso il Tibet per raggiungere una fortezza spirituale dove riteneva che si manteneva viva la fiaccola della liberazione del mondo dalle forze del male, una cui incarnazione Ossendowski vedeva nella rivoluzione bolscevica(4).
In "Il Re del Mondo" Guenon cita diversi miti e dottrine incentrati sull'esistenza di "centri spirituali universali", a partire da Agarthi o Agartha, citando "Mission  de l'Inde", l'opera del 1910 di Saint-Yves  d'Alveydre in cui si parla della misteriosa civiltà sotteranea e del Re Del Mondo(5).
Per aprire un piccolo excursus, è opportuno sottolineare che il mito di Agarthi è stato di primaria impartanza nella letteratura esoterica occidentale di fine Ottocento e inizio Novecento, ed esso va a ricollegarsi nella credenza di Shambala(6), importante elemento del buddhismo tibetano.
Tornando all'opera di Guenon, molto interessante risulta il suo mettere in relazione il mito di Agarthi con quello di altri "centri spirituali universali" presenti nelle tradizioni orientali, come Paradˆsha o occidentali come Tula messicana e atlantidea, e Thule greca e iperborea(7).

Inoltre, Guenon mette anche in relazione la funzione di "Re Del Mondo" con quella di Melki-Tsedeq, che secondo l'autore svolge la stessa funzione del primo in ambito giudeo-cristiano.
Lo scrittore francese cita, a pagina 14, un passo della Bibbia in cui si parla dello stesso Melki-Tsedeq:
  «E "Melki-Tsedeq", re di "Salem",  fece  portare  del  pane  e  del  vino;  egli  era sacerdote  dell'Altissimo  ("El  Elion"):  E  benedisse  Abramo   (8),   dicendo: Benedetto sia Abramo dall'Altissimo,  signore dei Cieli e della Terra; e benedetto sia l'Altissimo,  che ha messo i  tuoi  nemici  nelle  tue mani. E Abramo gli diede le decime di tutto ciò che aveva preso».

Guenon scrive anche che "Melki-Tsedeq è dunque re e sacerdote insieme;  il suo nome significa «re di Giustizia»,  e nello stesso tempo è re di "Salem",  cioè  della «Pace»;  ritroviamo  dunque  qui,  innanzitutto,  la  «Giustizia» e la «Pace»,  cioè proprio i due attributi fondamentali del Re del Mondo"(9), e che Salem "contrariamente all'opinione comune,  in realtà non ha mai designato una città,  ma che,  se la  si prende  quale  nome  simbolico della residenza di "Melki-Tsedeq",  può essere considerata come un equivalente del termine Agarttha"(10).

Indubbiamente,l'opera di Guenon risulta assai interessante e fondamentale per chi vuole occuparsi della tematica relativa ad Agarthi e alla presunta esistenza di "centri spirituali universali"(simbolici o meno), di cui parlano diverse tradizioni orientali e occidentali.

NOTE:
(1)https://it.wikipedia.org/wiki/Il Re del Mondo
(2)http://www.ibs.it/code/9788827208069/ossendowski-ferdinand-a-/bestie-uomini-dei.html
(3)René Guénon-Il Re Del Mondo, pg 2
(4)Giorgio Galli-Hitler e il Nazismo Magico, pg 31-32
(5)Idem (3)
(6)https://it.wikipedia.org/wiki/Shambhala
(7)René Guénon-Il Re Del Mondo, pg 23
(8)René Guénon-Il Re Del Mondo, pg 14
(9)Idem
(10)Idem

http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2015/08/agarthi-il-re-del-mondo-e-i-centri.html

sabato 14 maggio 2016

Nella sindone le tre prove che Dio esiste

tratto da Libero del 14/04/2010

di Antonio Socci

«Tutta la terra desidera il tuo volto». In questa frase della liturgia sta il segreto della Sindone che continua ad attrarre milioni di persone. È l’attrazione per colui che la Bibbia definiva «il più bello tra i figli dell’uomo«. E che qui è “fotografato” come un uomo macellato con ferocia. 

La Sindone non è solo “una” notizia oggi, perché inizia la sua ostensione. È “la” notizia sempre. Perché documenta – direi scientificamente – la sola notizia che – dalla notte dei tempi alla fine del mondo – sia veramente importante: la morte del Figlio di Dio e la sua resurrezione cioè la sconfitta della morte stessa.

Sì, avete letto bene. Perché la sindone non illustra soltanto la feroce macellazione che Gesù subì, quel 7 aprile dell’anno 30, con tutti i minimi dettagli perfettamente coincidenti con il resoconto dei vangeli, ma documenta anche la sua resurrezione: il fatto storico più importante di tutti i tempi, avvenuta la mattina del 9 aprile dell’anno 30 in quel sepolcro appena fuori le mura di Gerusalemme. Che Gesù sia veramente vivo lo si può sperimentare – da duemila anni – nell’esperienza cristiana. Attraverso mille segni e una vita nuova. Ma la sindone porta traccia proprio dell’evento della sua resurrezione. Ce lo dicono la medicina legale e le scoperte scientifiche fatte con lo studio dettagliato del lenzuolo per mezzo di sofisticate apparecchiature. Cosicché questo misterioso lino diventa una speciale “lettera” inviata soprattutto agli uomini della nostra generazione, perché è per la prima volta oggi, grazie alla moderna tecnologia, che è possibile scoprire le prove di tutto questo.

Come nei vangeli

Cosa hanno potuto appurare infatti gli specialisti? In sintesi tre cose.
Primo. Che questo lenzuolo – la cui fattura rimanda al Medio oriente del I secolo e in particolare a tessitori ebrei (perché non c’è commistione del lino con tessuti di origine animale, secondo i dettami del Deuteronomio) – ha sicuramente avvolto il corpo di un trentenne ucciso (morto tramite il supplizio della crocifissione con un supplemento di tormenti che è documentato solo per Gesù di Nazaret). Che ha avvolto un cadavere ce lo dicono con certezza il “rigor mortis” del corpo, le tracce di sangue del costato (sangue di morto) e la ferita stessa del costato che ha aperto il cuore. Secondo. Sappiamo con eguale certezza che questo corpo morto non è stato avvolto nel lenzuolo per più di 36-40 ore perché, al microscopio, non risulta vi sia, sulla sindone, alcuna traccia di putrefazione (la quale comincia appunto dopo quel termine): in effetti Gesù – secondo i Vangeli – è rimasto nel sepolcro dalle 18 circa del venerdì, all’aurora della domenica. Circa 35 ore. Terza acquisizione certa, la più impressionante. Quel corpo – dopo quelle 36 ore – si è sottratto alla fasciatura della sindone, ma questo è avvenuto senza alcun movimento fisico del corpo stesso, che non è stato mosso da alcuno né si è mosso: è come se fosse letteralmente passato attraverso il lenzuolo.

Come fa la sindone a provare questo? Semplice. Lo dice l’osservazione al microscopio dei coaguli di sangue. Scrive Barbara Frale in un suo libro recente: «enormi fiotti di sangue erano penetrati nelle fibre del lino in vari punti, formando tanti grossi coaguli, e una volta secchi tutti questi coaguli erano diventati grossi grumi di un materiale duro, ma anche molto fragile, che incollava la carne al tessuto proprio come farebbero dei sigilli di ceralacca. Nessuno di questi coaguli risulta spezzato e la loro forma è integra proprio come se la carne incollata al lino fosse rimasta esattamente al suo posto». Lo studio dei coaguli al microscopio rivela che quel corpo si è sottratto al lenzuolo senza alcun movimento, come passandogli attraverso. Ma questa non è una qualità fisica dei corpi naturali: corrisponde alle caratteristiche fisiche di un solo caso storico, ancora una volta quello documentato nei Vangeli. In essi infatti si riferisce che il corpo di Gesù che appare dopo la resurrezione è il suo stesso corpo, che ha ancora le ferite delle mani e dei piedi, è un corpo di carne tanto che Gesù, per convincere i suoi che non è un fantasma, mangia con loro del pesce, solo che il suo corpo ha acquisito qualità fisiche nuove, non più definite dal tempo e dallo spazio. Può apparire e scomparire quando e dove vuole, può passare attraverso i muri: è il corpo glorificato, come saranno anche i nostri corpi divinizzati dopo la resurrezione.
Si tratta quindi di un caso molto diverso dalla resurrezione di Lazzaro che Gesù semplicemente riportò in vita. La resurrezione di Gesù – com’è riferita dai Vangeli e documentata dalla sindone – è la glorificazione della carne non più sottoposta ai limiti fisici delle tre dimensioni, l’inizio di «cieli nuovi e terra nuova».

La “prova” sperimentale di questa presenza misteriosa di Gesù è propriamente l’esperienza cristiana: Gesù continua a manifestare la sua presenza fra i  suoi continuando a compiere i prodigi che compiva duemila anni fa e facendone pure di più grandi.
Ma la sindone documenta in modo scientificamente accertabile l’unico caso di morto che – anziché andare in putrefazione – torna in vita sottraendosi alla fasciatura senza movimento, grazie all’acquisizione di qualità fisiche nuove e misteriose, che gli permettono di smaterializzarsi improvvisamente e oltrepassare le barriere fisiche (come quella del lenzuolo stesso).
È esattamente ciò che si riferisce nel vangelo di Giovanni: quando Pietro e Giovanni entrano nel sepolcro dove erano corsi per le notizie arrivate dalle donne, si rendono conto che è accaduto qualcosa di enorme proprio perché trovano il lenzuolo esattamente com’era, legato attorno al corpo, ma come afflosciato su di sé perché il corpo dentro non c’era più. Più tardi, aprendo quel lenzuolo, scopriranno un’altra cosa misteriosa: quell’immagine. Ancora oggi, dopo duemila anni, la scienza e la tecnica non sanno dirci come abbia potuto formarsi. E non sanno riprodurla. Infatti non c’è traccia di colore o pigmento, è la bruciatura superficiale del lino, ma sembra derivare dallo sprigionarsi istantaneo di una formidabile e sconosciuta fonte di luce proveniente dal corpo stesso, in ortogonale rispetto al lenzuolo (fatto anch’esso inspiegabile).

Non è riproducibile

La “non direzionalità” dell’immagine esclude che si siano applicate sostanze con pennelli o altro che implichi un gesto direzionale. E ci svela che l’irradiazione è stata trasmessa da tutto il corpo (tuttavia il volto ha valori più alti di luminanza, come se avesse sprigionato più energia o più luce). Quello che è successo non è un fenomeno naturale e non è riproducibile. Non deriva dal contatto perché altrimenti non sarebbe tridimensionale e non si sarebbe formata l’immagine anche in zone del corpo che sicuramente non erano in contatto col telo (come la zona fra la guancia e il naso).
Oggi poi i computer hanno permesso di rintracciare altri dettagli racchiusi nella sindone che tutti portano a lui: Gesù di Nazaret. Dai 77 pollini, alcuni dei quali tipici dell’area di Gerusalemme (quello dello Zygophillum dumosum, si trova esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme e al Sinai), alle tracce (sul ginocchio, il calcagno e il naso) di un terriccio tipico anch’esso di Gerusalemme. Ai segni di aloe e mirra usate dagli ebrei per le sepolture.
Infine le tracce di scritte in greco, latino ed ebraico impresse per sovrapposizione sul lenzuolo. Barbara Frale ha dedicato un libro al loro studio, “La sindone di Gesù Nazareno”. Da quelle lettere emerge il nome di Gesù, la parola Nazareno, l’espressione latina “innecem” relativa ai condannati a morte e pure il mese in cui il corpo poteva essere restituito alla famiglia. La Frale, dopo accuratissimi esami, mostra che doveva trattarsi dei documenti burocratici dell’esecuzione e della sepoltura di Gesù di Nazaret. Un fatto storico. Un avvenimento accaduto che ha cambiato tutto.

mercoledì 11 maggio 2016

sabato 7 maggio 2016

Il sacro Graal, ovvero un mito per l’Europa

tratto da "La Padania" del 14 luglio 1999

Un testo sull’ascesi dell’uomo moderno


di Paolo Gulisano

Un mito sembra affascinare particolarmente i "nomadi spirituali" di fine millennio: quello della Cerca del Santo Graal. Un mito che, seppure nato in ambito cistercense, è stato oggetto di varie interpretazioni esoteriche, e negli ultimi anni spesso viene artatamente contrapposto, nel calderone spiritualista New Age, alla verità rivelata offerta dal cristianesimo "ufficiale". Eppure il tema della Quest, della grande ricerca, del viaggio, è il motivo principale della Cristianità europea medievale. Poco tempo fa il Movimento Universitario Padano ha presentato all’Università Cattolica di Milano, in anteprima assoluta, il libro Graal e Alchimia di Paul Georges Sansonetti, edito da Rusconi grazie al curatore Mario La Floresta, uno dei maggiori studiosi di simbologia medievale. La Floresta ha conquistato la folta platea degli universitari padani raccontando di quello che è probabilmente il mito più peculiarmente europeo, quello della Cerca del Santo Graal, mito che vanta una antica e radicata tradizione anche in tutta la lunga storia delle cultura padano-alpine: il nome del Santo Vaso è infatti rimasto nella valdostana grolla, e tracce della leggenda sono ben presenti a Genova, nella Mantova matildiana e gonzaghesca, per non parlare di Modena, il cui Duomo presenta un’affascinante rappresentazione dell’ambiente arturiano e dello stesso Graal come cammino di ascesi, di iniziazione, un itinerario di prove che trasformano l’uomo come l’alchimia trasformava i metalli nel più nobile in natura: l’oro. È la via alchemica del cavaliere, che può essere percorsa anche oggi. Nel Medioevo europeo accadeva ovunque che un eroe, un mistico o un avventuriero prendessero la difficile decisione di lasciare la propria casa e mettersi in cammino, in cerca di avventure, di segni prodigiosi. Per l’uomo moderno può accadere allorquando si decida di non accontentarsi del quotidiano ottundimento dei sensi arrecato dal materialismo pratico, ma si decida a seguire un difficile itinerario di scoperta del sé, della libertà e della verità.

mercoledì 4 maggio 2016

Cavalieri etruschi tra Reno e Panaro

tratto da L'Opinione del 09 Gennaio 2010 - Società E Cultura

La Valle del Samoggia nell’VIII e VII sec. a.C. raccontata in una mostra a Rocca dei Bentivoglio (BO)

di Daniela Pozone

Alla figura del cavallo e del cavaliere è dedicata la mostra “Cavalieri etruschi dalle Valli al Po. Tra Reno e Panaro, la valle del Samoggia nell’VIII e VII sec.a.C.”, allestita alla Rocca dei Bentivoglio di Bazzano (BO) che, fino al 5 aprile, racconta il popolamento della Valle del Samoggia nell’VIII e VII sec. a.C. basandosi sui materiali rinvenuti in sepolture indagate per lo più nell’Ottocento, esponendo circa 500 reperti provenienti da corredi tombali di queste aree. Sono ornamenti in bronzo, parures di fibule ed altri oggetti in osso, ambra e pasta vitrea, ceramiche, deposti con valore simbolico e rituale per esprimere il rango di quell’elite che, a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C., si differenzia anche nella zona ad ovest di Bologna/Felsina. Molte tombe hanno restituito morsi equini e altri oggetti legati alla bardatura del cavallo, esibiti nell’ambito di un rituale funerario che prevedeva la deposizione di offerte alimentari, oggetti con funzione squisitamente rituale, caratterizzati da forme e decorazioni peculiari.  La distribuzione delle necropoli e l’analisi dei corredi tombali consente di ricostruire le fasi della nascita ed affermazione dei gruppi aristocratici nel periodo Villanoviano e di riflettere sulle modalità con cui controllavano questa pianura e le vie di comunicazione. La figura del cavaliere etrusco, ricostruita sulla base dei numerosi reperti che fanno esplicito riferimento al possesso del carro e del cavallo e alla sua esibizione all’interno del corredo funerario, è al centro della mostra, ma altrettanto pregnante è l’analisi della figura del cavallo, animale sempre presente nelle tombe più ricche di età villanoviana, sia per gli oggetti connessi alla sua bardatura o al carro, che aveva la doppia valenza di indicatore sociale di personaggi di alto rango e di simbolo del loro viaggio nell’oltretomba. Come il suo padrone, il cavallo attraversa spesso la storia da autentico protagonista; strumento essenziale in una serie di attività fondamentali, dal trasporto al traino, compagno a caccia e in guerra, partner in manifestazioni ludiche o religiose, da sempre il cavallo è icona di prestigio e potere, un vero status symbol: il suo possesso era un tale segno di distinzione sociale che agli inizi dell’età del Ferro comincia ad affermarsi iconograficamente un’aristocrazia che potremmo definire “equestre”. Nei corredi delle tombe principesche iniziano a comparire ceramiche con immagini di cavalli, morsi in bronzo, finimenti e bardature equine, fibule ed altri oggetti di forma a cavallino, puntali, sonagli e a volte l’intero carro. In alcune necropoli è stata trovata la sepoltura dell’animale stesso.

È l’inizio della identità tra cavalleria e patriziato che porterà alla supremazia dei possessori di carri e cavalli, portatori di una cifra di eccellenza sociale e simbolica. Queste testimonianze, provenienti da scavi ottocenteschi meno scrupolosi e decontestualizzati offrono l’ opportunità di un confronto con i reperti più significativi di Bologna e delle valli del Reno e del Panaro. È possibile perciò analizzare i rapporti tra queste valli e il versante toscano che comprende le aree di Firenze, Prato e Pisa. Insuperabile icona di queste aristocrazie rurali sono le stele protofelsinee e i segnacoli funerari con immagini antropomorfe presenti in mostra. L’esposizione di Bazzano presenta le testimonianze villanoviane provenienti dalla vallata, esposte per la prima volta unitariamente. Si possono ammirare alcuni contesti funerari provenienti dalle valli del Samoggia, del Reno, del Panaro e dell’Arno, riferibili a personaggi di alto rango; di particolare rilievo è la ricostruzione a scala naturale di una ricca tomba di Casalecchio di Reno. La mostra, curata da Rita Burgio e Sara Campagnari è promossa dal Museo Civico Archeologico “Arsenio Crespellani”, Fondazione Rocca dei Bentivoglio e Comune di Bazzano, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna. I materiali esposti provengono dal Museo Civico di Bazzano, dal Museo Nazionale Etrusco “Pompeo Aria” di Marzabotto, dal Museo Civico Archeologico di Bologna, dal Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena, dal Museo Civico di Castelfranco Emilia, dal Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto, dal Museo Civico di Stellata di Bondeno e dalle Soprintendenze per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e Toscana.

sabato 30 aprile 2016

La Bibbia? Del X secolo avanti Cristo

Tratto da Libero del 11 gennaio 2010


Scoperta un'iscrizione che porta a quell'epoca la stesura del Sacro testo

Un'iscrizione che parla del Signore ed è datata X secolo avanti Cristo. Questa l''eccezionale scoperta archeologica che getta nuova luce sulle origini della Bibbia, retrocedendo di molti secoli la stesura delle sacre scritture. Il professor Gershon Galil del Dipartimento di Studi biblici dell'università di Haifa, ha decifrato infatti un'iscrizione che risale al X secolo a.C., dimostrando che si tratta della più antica scritta in ebraico mai trovata. La scoperta, annunciata dal Jerusalem Post, «indicherebbe che almeno alcune delle scritture bibliche furono composte centinaia di anni prima delle date finora accreditate dalla ricerca scientifica, e che il Regno di Israele esisteva già a quell'epoca.

Il X secolo è l'epoca del Regno di Davide. L'iscrizione, vergata in inchiostro su un frammento di terracotta trapezoidale di 15 per 16,5 cm, è stata scoperta negli scavi condotti dal professor Yosef Garfinkel a Khirbet Qeiyafa, vicino alla valle di Elah, in Israele. Il deciframento a opera di Galil dell'antico scritto testimonia che l'iscrizione è effettivamente in ebraico sulla base dell'uso dei verbi specifici della lingua ebraica e di un contenuto specifico della cultura ebraica non adottato da altre culture della regione mediorientale.

Dice l'iscrizione: proteggi il povero e lo schiavo, sostieni lo straniero

«Questo testo - ha spiegato Galil - è una enunciazione sociale che si riferisce a schiavi, vedove ed orfani. L'iscrizione usa verbi che erano caratteristici dell'ebraico, come asa (fece) e avad (lavorò), raramente usati in altre lingue della regione. Alcune parole particolari che appaiono nel testo, come almanah (vedova), sono specifiche dell'ebraico e sono scritte in modo diverso dalle altre lingue della regione».

L'iscrizione decifrata approssimativamente recita in italiano: «Non lo farai ma adorerai il Signore; giudica lo schiavo e la vedova; giudica l'orfano e lo straniero; implora per il neonato, implora per il povero e la vedova; riabilita il povero nelle mani del re; proteggi il povero e lo schiavo sostieni lo straniero».

Una volta confermata la decifrazione, ha sottolineato Galil, diventerà la più antica iscrizione ebraica mai trovata, e attesterà le capacità di scrittura in ebraico già nel X secolo a.C. Un dato che contrasta con la datazione della composizione della Bibbia accreditata dallo stato attuale delle ricerche, che escluderebbe la possibilità che la Bibbia o parti di essa potessero essere state scritte già in quel periodo.

mercoledì 27 aprile 2016

IL MITO GNOSTICO: ABISSI E VETTE DEL RITORNO AL PLEROMA

Sabato 14 Maggio 2016 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “Dialoghi di Esoterismo”, la nostra Associazione ha il piacere di proporvi un’interessantissima serata in compagnia di FILIPPO GOTI che parlerà sul tema:

“IL MITO GNOSTICO: ABISSI E VETTE DEL RITORNO AL PLEROMA”.

Nel corso della conferenza saranno affrontati alcuni dei miti fondamentali che compongono la narrazione gnostica. Una particolare attenzione verrà data alla loro funzione normativa ed alla contiguità con i miti presenti in altre tradizioni sapienziali.

Filippo Goti, fondatore del Convivium Gnostico Martinista, è un profondo studioso ed amante dello gnosticismo e della Tradizione occidentale. Da anni è impegnato nella libera opera di divulgazione.

Siamo certi che questo incontro stimolerà l’interesse di tutti i cultori e gli appassionati di esoterismo. Vi aspettiamo quindi numerosi!

Si rende noto che la partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. e che è OBBLIGATORIA LA PRENOTAZIONE da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata sulla pagina Facebook non è considerata una prenotazione valida.

Per i nostri Associati che volessero seguire l’evento a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.

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