"L'Essere universale non può venire determinato, ma si determina da se stesso; quando al Non-Essere, non può né venire determinato né determinarsi, poiché è al di là di ogni determinazione e non ne ammette alcuna.", "Gli stati molteplici dell'essere" di René Guénon
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
sabato 22 giugno 2024
martedì 18 giugno 2024
1° GIORNATA ASTRONOMICA LUX, 30 GIUGNO 2024
1° GIORNATA ASTRONOMICA LUX, 30 GIUGNO 2024
Simon Hotel di Pomezia in Sala ZEUS + Patio Esterno
Sale l’attesa per la 1° GIORNATA ASTRONOMICA LUX prevista per il 30 giugno 2024 in SALA ZEUS e PATIO ESTERNO al Simon Hotel di Pomezia un nuovo format della nota ricercatrice aeronautica e del fenomeno UAP Francesca Bittarello con il CENTRO STUDI UAP WORLD del quale è Presidente questo nuovo evento come lei stessa lo definisce “ è un evento light che può essere sia estivo che invernale di framezzo ad eventi più impegnativi e corposi come la grande kermesse che ci sarà il 13 ottobre 2024 AVIATION YES – AEROSPAZIO E AVIAZIONE sempre qui a Pomezia al Simon Hotel che ha già vari Patrocini Istituzionali è dove l’evento lo apro al pubblico gratuitamente”
Per il nuovo evento prossimo del 30 giugno 2024 alla sua prima edizione LA GIORNATA ASTRONOMICA LUX sono previste postazioni Telescopio e maxi schermo dove verranno proiettate spiegazioni da parte dei ricercatori del CSUW - CENTRO STUDI UAP WORLD che coadiuveranno (www.centrostudiuapworld.com) il pubblico anche nella visione telescopica, presente la “Protezione Civile Echo” da molti anni ormai presente agli eventi dell’organizzatrice e il CSA - CENTRO STUDI ASTRONOMICI ITALIA.
Per questa tipologia di evento è necessario prenotarsi ai numeri in Locandina essendo l’evento a numero chiuso inoltre la possibilità durante la giornata astronomica scientifica ed estiva di rilassarsi con un aperitivo tra una pausa e l’altra dalla visione con telescopi e spiegazione in Sala Zeus con video multimediali. Organizzazione LUX-CO EDIZIONI.
lunedì 10 giugno 2024
Chi era Lucida Mansi? Due parole che sanno di leggenda
in collaborazione con l'autore Simone Berni
Lucida Mansi (1606 circa -1649), nobile italiana del XVII secolo, affascina e atterrisce gli animi ancora oggi, secoli dopo la sua morte avvolta da un sinistro alone di mistero. La sua vita e la sua morte si intrecciano in una narrazione misteriosa e affascinante, mescolando la storia al folklore locale.
La figura di Lucida Mansi, originaria di Lucca e appartenente a una famiglia di nobili lucchesi, si staglia con toni fortemente contrastanti. Giovanissima, sposò Vincenzo Diversi, assassinato nei primi anni di matrimonio. Rimasta vedova, si risposò con l’anziano e ricco Gaspare di Nicolao Mansi, un evento che destò scalpore per l’imponente differenza d’età e per la straordinaria bellezza di Lucida rispetto al suo nuovo sposo. La famiglia Mansi era rinomata in tutta Europa grazie al commercio di seta, ma ben presto la vita di Lucida prese una piega inaspettata.
Il patto col Diavolo
La leggenda si intreccia con la storia, dando vita a racconti oscuri e inquietanti. Lucida, tanto affascinante quanto dissoluta, è descritta come una donna votata ai piaceri terreni, pronta perfino a eliminare chiunque le stesse a cuore. Pare persino che si sia concessa un patto con il Diavolo, ottenendo trent’anni di giovinezza in cambio della sua anima. La sua bellezza intatta, nonostante il passare del tempo, e la sua dissolutezza continuarono a perpetuarsi mentre coloro che la circondavano invecchiavano.
Trent’anni più tardi, così racconta la narrazione popolare, il Diavolo tornò per reclamare la sua parte del patto. Lucida cercò disperatamente di sfuggirgli, ma alla fine fu portata via su una carrozza infuocata, gettandosi nelle acque del laghetto dell’Orto botanico comunale di Lucca. Ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi in quei luoghi, segnando una scia di terrore e mistero.
La storia di Lucida Mansi si confonde con il folclore locale, creando un’atmosfera intricata e misteriosa. Pur rispettando la verità storica, non possiamo evitare di essere catturati dalla narrazione avvolta dal velo del mistero e dell’intrigo. Il suo ricco passato e la sua morte tragica continuano a suscitare speculazioni e racconti, rendendo il racconto di Lucida Mansi una delle storie più affascinanti e inquietanti della storia lucchese.
Il libro cult su Lucida Mansi
Il libro più importante, più ricercato e più ambito sul personaggio misterioso e conturbante di Lucida Mansi è senza dubbio Lucida Mansi nella leggenda e nella storia, di Eugenio Lazzareschi (Lucca, Scuola Tip. Artigianelli, 1930). In realtà di tratta appena di un opuscolo di limitatissime proporzioni, una cinquantina di pagine, con un ritratto, ma è il primo punto di riferimento per storici, biografi e archivisti. Probabilmente si tratta del titolo del XX secolo più ricercato in Toscana a livello locale.
L’autore, Eugenio Lazzareschi (1882-1949) è stato uno scrittore molto noto in Toscana. Nativo di Castel del Piano (GR), fu direttore all’Archivio di Stato di Lucca dal 1931 all’anno della sua morte ed è tutt’oggi ricordato per aver contribuito a una fase d’oro dell’Archivio, in quanto accrebbe le raccolte del suo Istituto, soprattutto incentivando le donazioni di molti archivi privati di proprietà di famiglie patrizie lucchesi.
Copie di Lucida Mansi nella leggenda e nella storia vengono ricercate affannosamente da studiosi, librai e collezionisti (non solo locali), ormai da quasi un secolo. Sono molti anni che non se ne vedono sul mercato. Le uniche due biblioteche che ne possono vantare una sono: la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e la Biblioteca Statale di Lucca.
A seguito di una forte domanda e di una crescente curiosità per il personaggio di Lucida Mansi, il libretto di Eugenio Lazzareschi è stato ristampato nel 2006 da M. Pacini Fazzi di Lucca, con introduzione a cura di Fabrizio Bondi. Trascorsi ormai diversi anni, anche la ristampa si è fatta quasi irreperibile.
Altri libri
L’unico altro libro di cui si ha notizia è Lucida Mansi, di Fernanda Martinelli (Lucca, senza dati editoriali, 1974). Mentre “Diario di Lucida Mansi” di Stelvio Mestrovich (Empoli, Ibiskos, 1995), sembra essere un’opera di narrativa, ispirata al personaggio. Lo stesso dicasi per Lucida e altri racconti (Lucca, La supergrafica, 1979) e La commedia nella leggenda e altre storie (Novate Milanese, Calibano, 2019), entrambi dello stesso autore.
domenica 2 giugno 2024
ATLANTIDE Il posto delle favole
tratto da "Il Giornale" del 31 Dicembre 2006
di Idolina Landolfi
È il Platone del dialogo «atlantico» Crizia (ma anche del Timeo, sebbene in minor misura), ad avere innescato nel IV secolo a.C. uno dei dibattiti più durevoli che si conoscano, che attraversa tutto il mondo antico, quello latino, il medievale, il secolo dei Lumi e l’Ottocento romantico, fino ai nostri giorni, in cui non pare placato - sebbene ridotto, ormai, a qualche voce isolata e per lo più bislacca. È mai esistita la mitica Atlantide, il continente sommerso dai flutti per volere di Zeus, una volta accortosi che la nobile schiatta dei suoi abitanti «stava degenerando verso uno stato miserevole», quello di ogni cupidigia ed eccesso?
Platone lo propone nel Timeo come «un discorso certamente singolare, ma tutto vero», stando almeno a come lo raccontò un giorno Solone, riferendo eventi anteriori di novemila anni. (Discorso soprattutto di natura politica: l’Atene preistorica, «la migliore in guerra e \ governata da ottime leggi» sconfigge con il suo valoroso esercito la potenza marinara.) E se è esistita, dov’era esattamente collocata? Ancora la tradizione platonica resta in tal senso la più autorevole: oltre le colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra), in pieno oceano, ed era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme: un’isola meravigliosa, regno di una perpetua età dell’oro; ma fattasi in seguito bellicosa, tanto da attaccare vari imperi del Mediterraneo e la stessa Atene. La quale, come dicevamo, riesce a contrastare l’aggressione.
Era quella, però, un’epoca di continui rivolgimenti ambientali, in un pianeta ancora magmatico e non ben raffermato nei suoi confini: le distruzioni «per acqua» erano le più frequenti, diluvi e maremoti scompigliavano le linee del mondo e annegavano il genere umano, metodo evidentemente tra i più pratici per la divinità, quando riteneva giunto il momento di punire quel «coso con due gambe» (per dirla con Gozzano) se alzava un po’ troppo la cresta - salvo risparmiarne sempre, chissà perché, due esemplari, una coppia che in maniere più o meno fortunose (Deucalione e Pirra, per citarne una, dai cui sassi gettati sulla Grande Madre Terra rinascono gli uomini e le donne) perpetua il genere umano. Così, per Atlantide, e per la stessa Atene, il destino è segnato: «Dopo che in seguito, però, avvennero violenti terremoti e diluvi, nello spazio di un sol giorno e di una sola notte funesti, tutta la nostra flotta fu inghiottita d’un sol colpo sottoterra e l’isola Atlantide s’inabissò allo stesso modo nel mare».
La ricerca di Atlantide - intellettuale, per pura sete di conoscenza, e materiale, per via dei tesori che essa celava - sarà da allora in poi inesausta; di fantasie atlantidee abbonda la letteratura di ogni epoca, e anche di spedizioni più o meno disastrose negli abissi oceanici - comunque a tutt’oggi fallimentari. Del resto Platone la descrive nel Crizia in maniera straordinariamente allettante: proprietà di Poseidone al momento della pacifica spartizione del mondo tra gli dèi olimpî, egli la rende un vero paradiso in onore della fanciulla Clito, che fa sua sposa e con la quale genera le cinque coppie di maschi, primo fra tutti Atlante, futuri sovrani del regno, origine della stirpe (e non si sa come, data la mancanza di femmine - ma certi eccessi del vecchio filosofo sono noti: nella gerarchia delle incarnazioni sostiene che le peggiori siano quelle di donna e di animale, ultimi i pesci). La terra spontaneamente ferace, le fonti di acqua calda e fredda, i preziosi metalli che vi abbondano (tra cui il leggendario oricalco «dai riflessi di fuoco», che rivestiva statue e palazzi), gli animali di ogni specie, domestici e selvaggi, elefante compreso, «il più grosso e il più vorace»; e ancora le opere che Poseidone compie, «da dio par suo», le plurime cinte murarie, il sistema di canali e il porto, crocevia di popoli dove giungevano le merci più disparate e preziose, e i templi d’oro e d’avorio e d’argento...
Una sorta, insomma, di paese fuori dal tempo e dallo spazio, che sarebbe facile riferire - come è stato ampiamente fatto - all’opera di una razza non terrestre. Ben a ragione, fra le tante altre cose interessanti, scrive Pierre Vidal-Naquet, nel suo ultimo saggio Atlantide. Breve storia di un mito (Einaudi, pagg. 141, euro 18, traduzione di Riccardo Di Donato), a proposito del racconto di Atlantide e della guerra contro Atene, che Platone «ha inventato un genere letterario che resta ancora in vita, \ la fantascienza. Di tutti i miti che ha creato, è in qualche modo il solo che abbia attecchito».
Dalle prime ipotesi di localizzazione, quelle greche (l’isola di Creta, e Santorini, Thera per gli antichi, sconvolte entrambe da un’eruzione vulcanica), lo studioso francese segue le tracce del mito nelle varie epoche: dalla letteratura ellenistica, Diodoro Siculo, attraverso Plinio il Vecchio, Ammiano Marcellino, fino, in era cristiana, ai vari tentativi di conciliare la tradizione biblica con la classica greca (individuando talvolta il continente perduto nella Palestina). Alcuni, come Origene, si concentrano sul conflitto Atlantide-Atene, metafora dello scontro di forze entrambe demoniache. Altri, come Proclo, vi vedono l’opposizione cosmica tra «il mondo dell’Uno e quello della Diade, tra lo Stesso e l’Altro». Per l’umanista Marsilio Ficino Atlantide era e resta un luogo della mente (ma non per questo meno veridico); quindi, con la scoperta dell’America, nasce tutto un filone di ricerca atto ad identificare Atlantide col Nuovo Mondo, nonché a giustificare storicamente, a vario titolo, i diritti accampati su di esso dal regno di Spagna (operazione nazionalistica ripresa dalla Germania nazista e dai suoi ideologi, Himmler in testa, che riconoscerà in Atlantide la patria favolosa della superiore razza ariana).
Eredità di Atlantide ritroviamo nell’isola di Bensalem di Francesco Bacone, governata da sapienti e abitata da una popolazione casta; mentre ancora nel XVII secolo la bizzarra mente di uno svedese, Olaüs Rudbeck, la ravvisa nella Svezia, e con sussidio di ponderosi volumi tende a dimostrare che la Scandinavia, con i suoi gloriosi abitatori, è appunto culla di ogni civiltà occidentale. L’ubicazione nelle Canarie o nelle Azzorre è più volte ripresa, a distanza di secoli; per Voltaire è l’isola di Madera. Il padre dell’occultismo francese, Fabre d’Olivet, fonde tradizione biblica e racconto platonico, col risultato di uno stupefacente pastiche. E, per rimanere in ambito esoterico, ecco William Blake, che complica il succitato pastiche con la tradizione americana e celtica, e il suo Albione, antenato dei Bretoni, altri non era se non il «patriarca del continente atlantico».
Approdando alla Francia ottocentesca, chi non conosce il viaggio tra le rovine di Atlantide del capitano Nemo e del professor Arronax in Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne? Meno noto da noi, ma egualmente significativo, il romanzo Atlantide di Pierre Benoit, che la colloca nell’Hoggar, altipiano sahariano, e le attribuisce una società governata da donne, la cui regina, Antinea, si serve degli uomini e poi li uccide, esponendoli, ben imbalsamati, nella «sala di marmo rosso». Vedete un po’ come e quanto può ribaltarsi la misoginia platonica.
venerdì 31 maggio 2024
"Gli Ufo, sono gli Ufo!". E la partita fu interrotta
tratto da "Il Giornale" del 9 Settembre 2023
Il 27 ottobre del 1954 al Comunale di Firenze Fiorentina e Pistoiese si affrontano nell'antenato del campionato primavera. Fino a quando in cielo non spuntano degli oggetti non identificati
di Paolo Lazzari
Cielo terso, ora di pranzo, mercoledì lavorativo. Al Comunale di Firenze, futuro Artemio Franchi, si disputa una gara senza pretese: campionato Cadetteria, l'antenato dell'odierno Primavera. Non ci sarebbero dunque le premesse per attirare un grande pubblico, ma la Viola in città resta un culto in ogni sua declinazione e poi un derby richiede sempre di gonfiare il petto. In campo scendono quindi Fiorentina e Pistoiese, accolte da diecimila persone. Fuori si dipana placido il 27 ottobre del 1954.
La folla accorsa ancora non può saperlo, ma quei ragazzini che compongono la squadra di casa faranno più avanti da pilastri nella formazione campione d'Italia e finalista in coppa dei campioni. Circostanze futuribili destinate a sorprendere, ma comunque con una forza d'urto minore rispetto a quello che sta per succedere.
Fiorentina in controllo. Non c'è proprio partita. La Pistoiese ha approntato una tattica sbilenca, non tiene le distanze tra i reparti, affonda vorticosamente sotto i fendenti gigliati. Poi però arrivano le 14.30. Un gong fatidico, perché d'un tratto la folla cessa di mirare al campo e si mette tutta col naso all'insù. Dopo poco lo fanno anche l'arbitro, i calciatori, le panchine. Nel cielo sopra allo stadio sta succedendo qualcosa di inedito. C'è un oggetto che fluttua sopra il campo, ma non è un aereo, né un aliante, tantomeno un dirigibile.
Il pubblico si alza in piedi. In pochi minuti si crea una specie di ressa per guadagnare i gradoni più in alto. Decifrare quello che sta succedendo pare intricato. Ad un certo punto qualcuno indica la soluzione più plausibile: "Gli Ufo! Sono gli Ufo!". E non si tratta di un banale agit - prop del "C'è vita nell'universo". Perché davvero tutti la pensano allo stesso modo. Negli anni Cinquanta, del resto, dilaga la cultura degli avvistamenti alieni. Ma qui c'è qualcosa che travalica la suggestione.
L'arbitro sospende la partita. Diecimila persone osservano questo oggetto che sembra avere le sembianze di un grande uovo scintillante. Poi se ne aggiungono altri. Dall'alto iniziano a cadere centinaia di sottilissimi filamenti luccicanti. L'intrigo si fa ancora più evidente. Pupille sgranate, bocche spalancate. Poi gli oggetti riprendono la corsa e se ne vanno. Dopo lo stordimento collettivo la gara riprende. La Fiorentina vincerà 6 a 2, ma non sarà questa la notizia sui giornali del giorno dopo.
"Ufo su Firenze", titolano i principali quotidiani, riferendo di dischi volanti che sono transitati sopra lo stadio per poi svignarsela. E aggiungendo che la cosa possiede un fondamento di verità difficilmente scardinabile, dato che non si tratta del solito testimone isolato e discutibile. Qui parliamo di 10mila persone e 20mila occhi. In seguito il fenomeno viene sviscerato. I più razionali, i boiardi del terracentrismo, escludono che si tratti di navicelle aliene che si erano fermate per godersi la partita.
Avanza, piuttosto, la singolare teoria dei ragni migratori. Ragni volanti, a tutti gli effetti. Una minuscola specie di aracnidi in grado di librarsi in aria formando grossi gruppi e di percorrere decine di migliaia di km producendo filamenti che, irrorati dalla luce del sole, diventano scintillanti. Peccato che i materiali raccolti e analizzati non c'entrino nulla con le bave degli amabili insetti.
In seguito si affastellano i documentari postumi, alla ricerca della verità. Che fino ad oggi ancora langue. Nessuno sa ancora fornire una spiegazione plausibile. Nessuno, probabilmente, ci riuscirà più. Così può valere ancora tutto. Compresi gli alieni appassionati di pallone.
lunedì 20 maggio 2024
Erzsébet Bàthory: la storia oscura di una "Dracula al femminile"
tratto da "Il Giornale" del 17 ottobre 2023
Passata alla storia come la "contessa Dracula”, Erzsébet Bàthory avrebbe ucciso centinaia di donne, ma ancora oggi c’è chi mette in dubbio questa cupa versione dei fatti
di Francesca Rossi
Tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento la contessa Erzsébet Bàthory avrebbe assassinato tra le 100 e le 300 persone, diventando uno dei più feroci serial killer che la storia abbia mai conosciuto. Per alcuni, addirittura, le sue vittime sarebbero state più di 600, sebbene per gli storici questo numero non sia confermato. La vita della “contessa Sanguinaria” o “contessa Dracula”, come è passata alla Storia la Bàthory, è sempre stata in equilibrio tra realtà e leggenda nera e oggi c’è persino chi ritiene che la contessa possa essere finita al centro di un complotto studiato per screditare il suo nome e la sua famiglia.
La giovane Erzsébet
Un’aristocratica che fa il bagno nel sangue delle sue vittime: questa è una delle prime immagini che vengono in mente quando ci ritroviamo di fronte al nome della contessa ungherese Erzsébet Bàthory (1560-1614). Giovani donne uccise per garantire un folle ideale di eterna bellezza e giovinezza, terrore e torture che sarebbero cessati solo nel 1610, con l’arresto della nobildonna. I fatti, però, potrebbero essersi svolti in un altro modo. Erzsébet, erede di una delle dinastie protestanti più importanti e potenti della Transilvania, visse la sua giovinezza con i genitori, Anna e George Bàthory, nel castello di Čachtice, il luogo che ben presto sarebbe divenuto il teatro dei suoi presunti, efferati omicidi.
La contessa ricevette un’educazione eccellente, degna del suo rango e quando compì 11 anni il padre, come da tradizione all’epoca, la promise in matrimonio al conte Ferenc Nàdasdy, un cugino che aveva 5 più di lei. Erzsébet si trasferì nel castello del futuro sposo, dove sarebbe rimasta incinta di un servitore. Ferenc, però, avrebbe deciso di non punirla: troppo interessato alle ricchezze dei Bàthory, per nulla al mondo si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di un matrimonio così vantaggioso. Così avrebbe riversato tutta la sua rabbia sul servitore, evirato e messo a morte.
L’8 maggio 1575 Ferenc ed Erzsébet si sposarono a Varanno (oggi in Slovacchia). Dettaglio interessante: fu il marito a prendere il cognome della moglie, data la fama dei Bàthory. La coppia andò a vivere nel castello di Čachtice ed ebbe 4 figli. Ferenc era spesso assente, impegnato nelle battaglie contro i turchi. La sua ferocia e la sua audacia gli valsero il soprannome di “Cavaliere Nero d’Ungheria”. Il 4 gennaio 1604, però, morì durante uno degli scontri con l’impero ottomano. La presunta leggenda nera di Erzsébet iniziò ufficialmente da questo momento.
Sadismo e magia
Gli storici non escludono che il re Mattia II d’Ungheria (1557-1619) fosse coinvolto nella morte di Ferenc, che in qualche modo l’avesse favorita per prendersi i possedimenti dei Bàthory. In fondo, potrebbe aver pensato il sovrano, morto il Cavaliere Nero ad amministrare le ricchezze della famiglia rimaneva solo sua moglie, una donna che non aveva né esperienza, né capacità. Se davvero era questa la sua opinione, si sbagliava. Erzsébet dimostrò di saper governare il suo feudo e si alleò persino con il nipote, il principe di Transilvania Gàbor I, per muovere guerra contro Mattia II d’Ungheria.
Era diventata un personaggio pericoloso, scomodo. Da eliminare. Nei fatti, però, non era così semplice, dato il potere di Erzsébet. Bisognava trovare o, se era il caso, addirittura inventare un appiglio, qualcosa che avrebbe distrutto per sempre sia lei, sia la sua dinastia. Dal 1604 iniziarono a circolare voci inquietanti su ciò che accadeva tra le mura del castello di Čachtice. Si diceva che la contessa Bàthory praticasse la stregoneria, a cui l’avrebbe iniziata una certa Dorothea Szentes, detta Dorka. Ma questo è niente. I servitori sarebbero stati puniti in modo atroce e sadico anche per delle piccole mancanze. Inoltre continuavano a scomparire misteriosamente le ragazze più belle e giovani del luogo. Mattia II volle vederci più chiaro e avviò un’indagine sulla Bàthory.
Stando alle ricostruzioni la contessa avrebbe iniziato a compiere le sue efferatezze molto prima del 1604, forse già dal 1585. Suo marito non solo sarebbe stato a conoscenza degli atti di sadismo e degli omicidi, ma avrebbe addirittura assecondato questo comportamento deviato. Sembra, infatti, che Ferenc non fosse tanto diverso da Erzsébet, visto che i due si scambiavano per lettera “consigli” sui modi più atroci per torturare le loro vittime. Non basta: la contessa avrebbe mostrato segni di squilibrio mentale già da ragazzina, insieme all’epilessia di cui soffriva, malattie che sarebbero state molto comuni nella sua famiglia.
Il castello degli orrori
Mattia II d’Ungheria ordinò al conte György Thurzo di organizzare una spedizione al castello di Čachtice per rendersi conto di persona quanto fossero veri i sinistri pettegolezzi sulla Bàthory. Quando varcò la soglia della residenza, il 30 dicembre 1610, Thurzo si sarebbe trovato di fronte uno spettacolo raccapricciante: una serva era distesa agonizzante in giardino, un’altra ragazza forse già morta era all’interno del castello, mentre decine di altre si trovavano, ferite o moribonde, nei sotterranei. Erzsébet avrebbe accolto il suo ospite con grande disinvoltura, come se fosse tutto normale e non vedesse lo scempio che aveva compiuto.
La contessa venne arrestata e condotta a Bytca (nel Nord della Slovacchia), dove venne processata. Dato il suo rango, rifiutò di essere giudicata da una corte, ma ciò non cambiò affatto la sua sorte. La sua piccola corte venne interrogata e confessò che la Bathory avrebbe attirato nel castello molte ragazze con la scusa di un lavoro oppure, nel caso di giovani nobildonne, della possibilità di entrare a far parte del suo seguito. Una volta chiuse nella residenza per le vittime sarebbe iniziato l’inferno: i complici della contessa le avrebbero picchiate, torturate con ferri incandescenti, frustate. I loro cadaveri sarebbero stati sepolti nel parco del castello.
Qui storia e leggenda, già fortemente intrecciate, si fondono senza soluzione di continuità. Questa pazzia cruenta, infatti, avrebbe avuto uno scopo altrettanto folle e terribile: assicurare a Erzsébet Bàthory l’eterna giovinezza. Alcuni testimoni raccontarono che un giorno, mentre picchiava una delle sue domestiche, la contessa si sarebbe sporcata la mano di sangue. Mentre si ripuliva avrebbe notato che nel punto esatto in cui erano cadute le gocce la pelle pareva ringiovanita, più morbida. Un delirio assoluto che l’avrebbe spinta a farsi il bagno nel sangue delle vittime e persino a berlo. Da questo aneddoto sarebbe nato l’appellativo di “contessa Dracula”.
Rinchiusa a vita
La Bàthory evitò il processo, ma non la condanna. Il tribunale stabilì che venisse rinchiusa a vita in una delle stanze del suo castello, senza la possibilità di vedere la luce del sole. L’unico contatto tra la contessa e il mondo esterno era una fessura da cui le veniva passato il cibo. Erzsébet morì il 21 agosto 1614. Nel testamento chiese di essere sepolta nella chiesa di Čachtice, ma gli abitanti del villaggio non vollero nemmeno sentir parlare di una sepoltura in terra consacrata. Così la “contessa Sanguinaria” finì nel cimitero di Ecsed, nella zona Nord Est dell’Ungheria.
I suoi complici vennero giustiziati e le loro ceneri disperse, in modo che, come suggeriva un’antica superstizione, le loro anime non potessero riposare in pace. Tutti i beni di Erzsébet Bàthory vennero incamerati dalla Corona ungherese. Ciò impone una riflessione: la leggenda nera della contessa è reale, oppure venne inventata da Mattia II come pretesto per impossessarsi dei beni dei Bàthory? È impossibile stabilirlo con certezza, ma forse ci troviamo di fronte a uno di quei casi per cui vale il detto secondo il quale “la verità sta nel mezzo”.
Forse la contessa non fu una serial killer e il numero di vittime attribuitole venne gonfiato da un’abile campagna diffamatoria. D’altro canto, però, Erzsébet sarebbe stata tutto fuorché un angelo. La violenza cruda, la profonda malvagità che avrebbero caratterizzato la sua personalità potrebbero aver avuto origine dai disturbi mentali di cui avrebbe sempre sofferto.
La contessa, in un certo senso, avrebbe offerto il fianco a Mattia II, aiutandolo inconsapevolmente a tessere la tela che l’avrebbe imprigionata fino alla morte.
venerdì 10 maggio 2024
Contro la malinconia
in collaborazione con l'autore Michele Leone
tratto da: https://micheleleone.it/malinconia/
Un antico rimedio contro la malinconia con la Verbena
La malinconia e la melanconia sono state al centro delle ricerche dei medici e dei filosofi sin dall’antichità, sulle cause di questa e sui rimedi contro la malinconia (melanconia) ha diffusamente scritto, ad esempio, Marsilio Ficino nel De Vita. Marsilio ci dice che la verbena: «favorisce la profezia, la letizia, le espiazioni e la vista». Nell’articolo di oggi ti propongo un rimedio contro la malinconia presente in un libro di segreti pubblicato a Palermo nel 1711.
Ogni «ricetta» o rimedio proposto nel libro è numerato, quello contro la malinconia è il 71.
Segreto 71
«A fare che l’uomo malinconico stia allegro togli foglie di Verbena, e falle bollire in buon vino bianco; e di questo vino usi a bere; e di quest’erba mettine nella minestra, così starà sempre allegro. Ancora, togli grana di genepri (ginepri) e mettili sulle braci, prendi quel fumo per il naso e la bocca e ti farà stare in allegria». (Filigeo Dilao, Tesoro di Secreti, Nuovamente scoperto a beneficio della comune salute, Palermo 1711).
A questa pianta, una delle piante magiche e sacre per eccellenza della tradizione dedicherò uno o più articoli.
La verbena, ha tra le altre caratteristiche, nella tradizione popolare quella di tenere lontani o indebolire i vampiri.
Anche il ginepro nella tradizione ha avuto diverse funzioni, bruciarne il legno aveva scopi propiziatori e terapeutici. Le fumigazioni, così come proposte dal nostro autore, ad esempio, funzionavano contro i germi e servivano al malato nel percorso di guarigione.
Attenzione non fatelo a casa. La verbena è utilizzata ancora oggi, ma i rimedi qui proposti non voglio avere un valore medico terapeutico, quanto, essere una curiosità storica.