Segnaliamo questo articolo che recensisce "Discorso sulla licantropia o della trasformazione degli uomini in lupi", prima traduzione dopo 4 secoli.
http://www.ilgiornale.it/cultura/quando_uomini-lupo_invasero_leuropa/aeroporti_roma-fiumicino-dfhah/10-06-2012/articolo-id=591804-page=0-comments=1
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
lunedì 11 giugno 2012
domenica 10 giugno 2012
NUOVO ORDINE MONDIALE E VISIONE SPIRITUALE DEL MONDO - 1 Parte
Piero Cammerinesi (http://coscienzeinrete.net)
Al contrario, deve misurarsi costantemente con il mondo esteriore, deve imparare a interpretarne le dissonanze e gli enigmi mediante le conoscenze e le capacità acquisite grazie al lavoro interiore.
È l’uomo intero a percorrere un sentiero spirituale, non solo la sua testa.
Al contrario, misurare le proprie esperienze interiori e le proprie conoscenze con la poliedricità del mondo esteriore insegna a guardare alla totalità del mondo – e non solo alle verità ‘protette’ di cui ci siamo appropriati - come επιφανεια, manifestazione del divino.
Una di queste realtà – forse la più complessa perché a sua volta ‘contaminata’ da istanze personalistiche – è quella politica, che ci riesce difficile da osservare nel suo insieme e soprattutto da interpretare alla luce del sentiero spirituale, perpetuando in tal modo dentro di noi la nefasta separazione di scienza e religione.
Un argomento politico poco noto alle grandi masse ma particolarmente attuale per le nuove generazioni di utenti del web è quello del NWO o Nuovo Ordine Mondiale.
Il fatto che quest’argomento sia quasi esclusiva di autori o divulgatori spesso poco attendibili, ha fatto sì che esso, sin dall’inizio, venisse giudicato dai frequentatori del mainstream come una fantasia complottista.
In tal modo si muovono le opinioni umane e non è peregrino ipotizzare che le stesse vengano indirizzate sapientemente da chi sa come conseguire i propri obiettivi attraverso la manipolazione delle masse.
La ‘banalizzazione’ di questo progetto e il suo venir praticamente monopolizzato da parte di correnti ‘alternative’, new age e ‘complottiste’ ne ha di fatto svuotato, agli occhi della pubblica opinione, le caratteristiche di estrema autenticità e di inquietante pericolosità.
Il NWO nasce dalla convinzione anglo-americana di aver dato vita, con la nascita degli USA, ad un Paese con un destino unico e provvidenziale.
Gli Stati Uniti d’America rappresentano per i circoli che coltivano il NWO - e il New American Century - la civiltà che ha raccolto l’eredità dell’Impero Romano.
”Si è alla vigilia di eventi che
possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita
nel segno dello Spirito”.
Massimo
Scaligero, Iniziazione e Tradizione
Houston, 8 maggio 2012
Chi ritiene di percorrere
un sentiero spirituale ha il dovere di non confinare tale attività solo nella
parte più intima della propria individualità.
Al contrario, deve misurarsi costantemente con il mondo esteriore, deve imparare a interpretarne le dissonanze e gli enigmi mediante le conoscenze e le capacità acquisite grazie al lavoro interiore.
È l’uomo intero a percorrere un sentiero spirituale, non solo la sua testa.
Il fatto che la testa
sovente rifugga dal ‘contaminare’ la pura riflessione spirituale con la
contraddittorietà spesso incomprensibile del mondo esteriore, con la
presunzione di mantenere ‘puri’ determinati contenuti – non messi al vaglio
della realtà esteriore – fa pensare alla pretesa dell’eremita di aver vinto le
tentazioni della carne solo per il fatto di non essersi più allontanato dal
proprio eremo.
Al contrario, misurare le proprie esperienze interiori e le proprie conoscenze con la poliedricità del mondo esteriore insegna a guardare alla totalità del mondo – e non solo alle verità ‘protette’ di cui ci siamo appropriati - come επιφανεια, manifestazione del divino.
Una di queste realtà – forse la più complessa perché a sua volta ‘contaminata’ da istanze personalistiche – è quella politica, che ci riesce difficile da osservare nel suo insieme e soprattutto da interpretare alla luce del sentiero spirituale, perpetuando in tal modo dentro di noi la nefasta separazione di scienza e religione.
Un argomento politico poco noto alle grandi masse ma particolarmente attuale per le nuove generazioni di utenti del web è quello del NWO o Nuovo Ordine Mondiale.
Il fatto che quest’argomento sia quasi esclusiva di autori o divulgatori spesso poco attendibili, ha fatto sì che esso, sin dall’inizio, venisse giudicato dai frequentatori del mainstream come una fantasia complottista.
In tal modo si muovono le opinioni umane e non è peregrino ipotizzare che le stesse vengano indirizzate sapientemente da chi sa come conseguire i propri obiettivi attraverso la manipolazione delle masse.
La ‘banalizzazione’ di questo progetto e il suo venir praticamente monopolizzato da parte di correnti ‘alternative’, new age e ‘complottiste’ ne ha di fatto svuotato, agli occhi della pubblica opinione, le caratteristiche di estrema autenticità e di inquietante pericolosità.
Il NWO nasce dalla convinzione anglo-americana di aver dato vita, con la nascita degli USA, ad un Paese con un destino unico e provvidenziale.
Una luce tra le Nazioni,
un modello di civiltà, libertà e democrazia, una speranza per tutti i popoli in
difficoltà, come efficacemente simboleggiato dalla statua della libertà. Dopo
la II guerra mondiale questa convinzione, nutrita all’interno dei circoli
anglosassoni – occulti e non – è stata di fatto ‘esportata’ in tutto il mondo
diventando in qualche modo una verità assodata per tutti.
In fondo, come sosteneva
Goebbels, una menzogna ripetuta all’infinito diventa verità…
L’american dream, la musica, l’abbigliamento, la politica, la
cultura, tutto è espressione dell’eccezionalità
nordamericana.
Gli Stati Uniti d’America rappresentano per i circoli che coltivano il NWO - e il New American Century - la civiltà che ha raccolto l’eredità dell’Impero Romano.
E le similitudini - per
singolare che ciò possa apparire – non mancano: basti pensare che il primo
appezzamento di terreno su cui sorse Washington DC si chiamava Rome ed il proprietario era un certo
signor Pope! Ma non è tutto; vi
scorreva all’interno un fiumiciattolo, che si chiamava, guarda caso…Tiber!
L’eredità imperiale,
cosmopolita, culturalmente e militarmente dominante della Roma imperiale viene
dunque raccolta dal nuovo Stato, nato dagli ideali massonici della ‘Terra
promessa’; una ‘New Rome’ a partire
dalla Gran Bretagna e dall’America, un Impero mondiale, un ‘pensiero unico’ ed
uno stile di vita globale.
“A tale fine nacque una nuova nazione, gli Stati
Uniti d’America, il primo ‘Stato mondiale’, costituito da immigranti
provenienti da ogni parte del mondo invece che da una sola comunità etnica; una
nuova Atlantide com’era intesa dall’occultista britannico dell’era
elisabettiana John Dee, consigliere della Regina Vergine e da Francis Bacon,
Cancelliere di Guglielmo I e sostenuta dall’élite scientifico-sacerdotale”.[1]
Francis Bacon vagheggiava
una ‘Nuova Atlantide’ in cui l’America del Nord sarebbe stata guidata da un
élite di scienziati-filosofi – il che nel linguaggio odierno comprenderebbe
uomini d’affari, avvocati, docenti universitari etc. – interamente rivolta al
materialismo ed al profitto. Un Novus
Ordo Seclorum destinato a dominare il mondo in opposizione al vecchio
ordine rappresentato dall’Oriente, con la sua oligarchia di sacerdoti-politici.
Lo stesso Alexis de Tocqueville così si espresse, negli anni ’30 del XIX secolo
sull’emergente potenza americana: “Sto
mettendo a fuoco le nuove caratteristiche in cui il dispotismo può presentarsi
nel mondo. La prima cosa che colpisce è la visione di una quantità innumerevole
di persone – tutte simili e identiche – che si affannano a procurarsi i piaceri
più meschini e insignificanti con i quali riempire le proprie esistenze.
Ciascuno di loro, vivendo separatamente è estraneo al destino degli altri; i
suoi figli e i suoi amici più stretti rappresentano per lui l’intera umanità.
Quanto al resto dei suoi concittadini, sono accanto a lui ma lui non li vede;
li tocca ma non li sente; lui esiste in se stesso e solo per se stesso; se gli
resta la sua famiglia non può dire in nessun caso di aver perso il proprio
Paese. Al di sopra di questa popolazione umana si trova un immenso potere
tutorio che si arroga il diritto di assicurare loro le gratificazioni e di
controllarne il destino. Questo potere è assoluto, capillare, regolare, previdente
e delicato. Potrebbe assomigliare all’autorità di un genitore se - come nel
caso di un genitore - l’obiettivo fosse quello di preparare i giovani alla
maturità ma, al contrario, esso cerca di mantenerli in una fanciullezza
perpetua; è ben contento che il popolo sia felice a patto che esso non pensi a
nulla se non a essere felice”.[2]
Potremmo addirittura far
risalire il germe del NWO all’XI secolo, allorché i Normanni conquistarono la
Gran Bretagna e la Sicilia, ponendo nel popolo anglosassone il principio del
materialismo destinato a gettare le basi del ‘Nuovo Mondo’.
Le società segrete
britanniche e successivamente anglo-americane hanno costantemente lavorato per
porre il mondo intero sotto il giogo del materialismo.
Da quest’autoinvestitura
- e dal conseguente obiettivo di una dominazione mondiale anglo-americana -
alla propensione a considerare lecita la propria missione di ‘esportatori’ di
civiltà e democrazia il passo è breve ed è passato attraverso la creazione
della Società delle Nazioni prima e delle Nazioni Unite poi.
Tutte le ‘creature’ di
questa civiltà sono state ideate per assolvere al loro compito, vale a dire
quello di asservire il mondo intero ai propri interessi.
In fondo il principale
obiettivo di qualsiasi Impero è quello di mantenersi tale.
Il liberismo economico
sregolato, il consumismo fine a sé stesso, la globalizzazione, l’onnipotere dei
media sono tutte istanze che portano
allo svilimento dell’uomo che – ridotto a consumatore - viene privato della sua
dimensione spiritualmente libera.
Nonostante il mondo
americano faccia un uso sfrenato della parola libertà, le sue azioni hanno
regolarmente tradito tale ideale, inizialmente all’esterno dei propri confini
ed oggi anche all’interno.
“Cos’è la libertà per un americano? Quello che gli
serve a render la vita più comoda possibile. Chiama libertà quello che deve
intrecciarsi con l’ordine sociale in modo che ciascuno possa procedere nel
migliore dei modi nel mondo esteriore. Libertà per gli americani è un prodotto
utilitaristico”.[3]
Il compito che il NWO si
è assunto è stato sin dall’inizio – una volta eliminata l’influenza
spiritualmente equilibrante dell’Europa centrale con due guerre mondiali -
quello di dominare il mondo raccogliendo il testimone della civiltà romana e
dedicandosi all’‘educazione’ dello spirito russo.
I programmi dell’Ovest
anglo-americano – come rileva Rudolf Steiner nel primo Memorandum del 1917 –
sono “illusori e fittizi”, parlano di
libertà ma rendono impossibile la vera libertà al resto del mondo trasmettendo
l’impressione che solo loro siano in grado di fare qualcosa per la salvezza del
genere umano.[4]
“La metà di questo secolo [il XX] sarà un momento
molto significativo.
(…) Infatti questo dominio del materialismo porta
al tempo stesso in sé il germe della distruzione. La distruzione che è iniziata
non si fermerà. (…) E la responsabilità di tutto ciò ricadrà su quella parte
cui spetterà il dominio mondiale”.[5]
Dalla metà del secolo XX,
finito il secondo conflitto mondiale, chi non si assoggetta al progetto del NWO
ha, infatti, due sole prospettive: vivere nel terrore o venir distrutto.
Il terrore dei comunisti
durante la guerra fredda prima, il terrore dei cinesi e dei coreani poi, degli
arabi oggi. Angosce create ad arte e
diffuse capillarmente nelle popolazioni mondiali per impoverire il tessuto
animico e per inibire possibili reazioni. Come previsto da Orwell nel suo 1984 la pratica dell’odio e della paura
rende le masse manipolabili.
Oppure la distruzione: la
distruzione dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia, di tutti gli Stati
sovrani che non si sono piegati al loro disegno di predominio mondiale.
Lo stesso progetto
europeo è stato sostenuto e promosso instancabilmente dagli USA con la finalità
evidente di portare l’intera Europa sotto l’ala protettrice dell’aquila
americana e della NATO e alleata all’Orso russo - nel frattempo addomesticato
con il consumismo - per contrastare quella che sarà la vera sfida del XXI secolo,
come la Germania lo fu nel XX: la Cina. Facile intravedere dietro questo
disegno strategico “la costruzione di un
nuovo Impero Romano globale bastato sull’unione euro-americana, che servirà in
modo esemplare da veicolo all’incarnazione di Ahriman, lo Spirito che si
prefigge di dominare il mondo intero per trasformarlo nella sua ‘mente
collettiva’. La massoneria ha portato proprio a questo: la creazione di un
Impero Romano globale di materialismo”.[6]
[1] Terry Boardman, Rome and
Freemasony. The greatest irony. http://www.monju.pwp.blueyonder.co.uk/NWO11.htm
[2] Alexis de Tocqueville, Democracy in America
[3] Rudolf Steiner, O.O.157 Destini
umani e destini del popoli
[4] Rudolf Steiner, O.O.24 I
Memorandum del 1917. Tilopa, 1991.
Pag.33
[5] Rudolf Steiner, O.O.194 La
missione di Michele - La manifestazione dei segreti dell’essere umano
[6] Terry Boardman, Rome and
Freemasony. The greatest irony. http://www.monju.pwp.blueyonder.co.uk/NWO11.htm
venerdì 8 giugno 2012
La Terra? È cava E in quel buco c’è di tutto
suggeriamo questo articolo pubblicato su Il Giornale
http://www.ilgiornale.it/cultura/la_terra__cava_e_quel_buco_ce_proprio_tutto/08-06-2012/articolo-id=591509-page=0-comments=1
Buona lettura!
http://www.ilgiornale.it/cultura/la_terra__cava_e_quel_buco_ce_proprio_tutto/08-06-2012/articolo-id=591509-page=0-comments=1
Buona lettura!
mercoledì 6 giugno 2012
BRUNILDE E ROSASPINA: MITI E FIABE INDOEUROPEE
tratto da L'Indipendenza
http://www.lindipendenza.com/brunilde-rosaspina-cerchio/
di REDAZIONE
Relegate spesso al mondo dell’infanzia, le fiabe rievocano da sempre
l’immagine della nonna e dei bambini davanti al focolare durante le
fredde e lunghe notti d’inverno. Le fiabe popolari non nascono dalla
fantasia di un autore, noto o anonimo che sia, ma sono il frutto di una
lunga serie di storie raccontate e ripetute nel corso degli anni,
variegate in mille piccole sfumature. Affondano le loro radici profonde
nel fertile terreno di miti e leggende. La raccolta di fiabe dei
fratelli Grimm è forse l’esempio più eccellente. Perché si usa la
bacchetta magica per produrre un incantesimo o lanciare un maleficio?
Chi sono le fate che si presentano alla culla di Rosaspina, la bella addormentata? Come fanno i nani ad abitare dentro la roccia? Perché gli animali riescono a parlare e ad essere compresi dagli uomini? Come si fa a diventare invisibili? Perché non si deve sapere né pronunciare il nome di esseri terribili? Molte saranno le domande che sorgeranno nel corso della lettura di questo saggio che si propone di rintracciare e approfondire le origini di personaggi, situazioni ed episodi entrando nel mondo variopinto ed affascinante delle mitologie di matrice indoeuropea, con particolare attenzione a quelle appartenenti ai popoli che un tempo abitavano le terre germaniche: Celti e Germani, che si sono poi spinti verso Ovest e verso Nord creando le meravigliose culture irlandesi, gallesi e nordiche. Si scoprirà così che nulla è raccontanto per caso, ma che il piccolo particolare a cui non prestiamo attenzione è in realtà un riflesso di antiche leggende e miti indelebili nelle culture di questi popoli.
Prefazione di Paolo Gulisano. Dal Mito alla Fiaba
Nel corso del Novecento è stato possibile assistere ad un fenomeno letterario interessante e sorprendente: il ritorno nella narrativa del Mito e dell’Epica. Accendendo ancora una volta la fantasia degli uomini, chiamando nuovamente l’attenzione dei cantastorie su di sé, suscitando nuove versioni di antiche narrazioni, il Mito, rappresentato, oltre che sulla carta, anche sul grande schermo, ha dimostrato di essere vivo e vitale nella fantasia e nei sogni. Scrittori anglosassoni come Chesterton, Tolkien, Lewis, ma anche tedeschi come Michael Ende, hanno proposto ai lettori disincantati della Modernità le loro storie, leggende dai molti significati, dai valori profondi, arcaici, strettamente intrecciati con la storia e i miti dell’Europa. Anni fa, in una fortunata versione cinematografica del mito di Artù, Excalibur di John Boorman, il Mago Merlino pronunciava queste suggestive parole: la maledizione degli uomini è che essi dimenticano.
Una
frase quanto mai vera, e sulla quale riflettere. La memoria, sembra
dirci Merlino, è tra le risorse umane una delle più importanti: occorre
coltivarla come una virtù, con amorevole attenzione. Ci può salvare
dalla superficialità di giudizio, dall’ingratitudine, da una vita senza
gusto e significato, facendoci invece considerare con più attenzione le
realtà con le quali bisogna sempre fare i conti: il bene e il male, il
futuro e il passato, il mistero della vita. Le storie di Tolkien, Lewis,
Ende, o anche il discusso Harry Potter di Joanne Rowling o coloro, come
Mary Stewart, che hanno rivisitato le leggende medievali di Merlino, di
Re Artù, dei Cavalieri della Tavola Rotonda, nella loro fervida
immaginazione, hanno il pregio di non dimenticare queste questioni
fondamentali. Sta tutto qui il loro fascino, quello che fa produrre
ancora nuove spettacolari versioni del mito: non è una pura evasione
dalla realtà per rifugiarsi nella fantasia, ma è forse l’occasione per
volgere lo sguardo verso cose grandi, verso noi stessi e la nostra anima
assetata di Bellezza, verso le stelle, cercando i segni del nostro
destino. Come ha insegnato il grande creatore di miti J.R.R. Tolkien, la
letteratura dell’immaginario può essere lo specchio dei gusti, degli
umori e addirittura della condizione psicologica dell’epoca moderna,
esprimendo i dubbi, le paure, le domande insoddisfatte, le esigenze
profonde dell’animo umano. I miti, i simboli, le leggende e le
tradizioni ci rivelano noi stessi. Non è un caso, probabilmente, che
molti di questi grandi scrittori furono insigni medievisti: al centro di
tutto il Medio Evo infatti c’era il simbolo: la vita dell’uomo
medievale era inscritta in un universo simbolico, dove ogni forma del
pensiero, artistica, mistica, teologica, si basava su di esso.
L’esperienza quotidiana era esperienza spirituale, nutrita dai simboli
che la provocavano, la animavano, le conferivano un valore profondo.
L’abilità narrativa e la fervida immaginazione di chi scolpiva le
cattedrali gotiche, con i suoi mostri e le sue creature fantastiche, o
di chi scriveva la storia della Cerca del Santo Graal o le peripezie di
un Re e della sua spada incantata adoperavano il linguaggio del simbolo,
che trasfigurava la realtà stessa, ed è stato capace di mantenere la
sua intensità e il suo valore, trascorrendo, inattaccabile, il tempo e
la storia.
Il lettore disincantato di oggi viene quindi provocato opportunamente dal racconto fantastico, sia che si tratti di fiaba o di narrazione epica, di leggenda come di racconto “gotico”; sospeso tra il misterioso e il terribile, è sempre in qualche modo espressione umana sottesa tra il sacro e il profano, a partire dal linguaggio, che reca sempre in sè le tracce di arcaici miti, fino ai contenuti, che sono comunque e sempre quelli del fantastico, ossia dell’irruzione, oscura e inquietante oppure solare e confortante di un evento soprannaturale nella realtà quotidiana. Non c’è generazione di lettori (o di spettatori) la quale, a dispetto di tutte le mode, non senta la suggestione dell’ elemento fantastico, mitico, fiabesco: un tipo di letteratura portatrice di una sapienza antichissima, che mimetizza i suoi contenuti nel linguaggio apparentemente semplice ed infantile delle fiabe, o del folklore popolare. Il mito è necessario perché la realtà è molto più grande della razionalità. Il mito è visione, è nostalgia per l’eternità. Il mito non è metafora o allegoria, ma simbolo, ossia segno che rimanda ad un significato ultimo che l’uomo deve riconoscere e interpretare. Il mito, nella storia dell’umanità, non è mai stato contrapposto, come avviene oggi, alla realtà; il mito è sempre stato per sua stessa natura vero, espressione della verità delle cose. Nel mito si veniva a contatto con qualcosa di vero che si era pienamente manifestato nella storia, e questa manifestazione poteva fondare sia una struttura del reale che un comportamento umano. Il mito è un mezzo per dare risposte a questioni fondamentali come l’origine dell’uomo, il bene, il male, l’amore, la morte e per dare spiegazioni ai fenomeni della natura. Se il mito è il nesso, il legame che l’uomo ha sempre cercato con il senso della vita, esso non può quindi che essere considerato un’espressione naturale ed antichissima del senso religioso che vive nel cuore dell’uomo. Nel corso della Modernità, gli antichi miti d’Europa – celtici, norreni, greci e così via- si sono occultati nelle fiabe. Un luogo nascosto, protetto, un luogo apparentemente per bambini. Roger Caillois sostenne che “la fiaba è un racconto situato fin dal principio nel mondo fittizio degli incantatori e dei geni. Le prime parole della prima frase sono già un avvertimento: In quel tempo oppure C’era una volta… Per questo le fate e gli orchi non spaventano nessuno. L’immaginazione li confina in un mondo lontano, fluido, impenetrabile, senza rapporto né comunicazione con la realtà di ogni giorno nella quale è pressoché impensabile che essi possano fare irruzione. (…) La differenza balza agli occhi – prosegue Caillois spingendosi nel fantasy così detto gotico o anche horror – quando si tratta di fantasmi o di vampiri. Certo, anche loro sono esseri immaginari, eppure li colloca in un mondo tutt’altro che immaginario; anzi, se li rappresenta come creature che fanno le loro apparizioni nel mondo reale, apparizioni che sono per giunta incomprensibili, terribili, invariabilmente funeste. (…) Così le manifestazioni del fantastico derivano tutte dallo stesso principio. Esse sono tanto più terribili quanto più il loro scenario è famigliare, le loro vie più subdole o fulminee, quanto più si presentano con un non so che di fatale e d’irrimediabile che si sprigiona da una rigorosa concatenizzazione degli eventi.” La fiaba dunque come un viaggio iniziatico, come una serie di tappe di un viaggio, di un’impresa.
Lo studio di Alessandra Tozzi che il lettore ha tra le mani è una guida preziosa per avventurarsi su questo cammino, per riconoscere i segnali indicatori, per non smarrirsi nel labirinto, e soprattutto per farci ritrovare e riassaporare il significato di un patrimonio culturale che va conservato, difeso, valorizzato, e tramandato.
TITOLO: Brunilde e Rosaspina. Mito e fiaba dagli Indoeuropei ai
fratelli Grimm; AUTRICE: Alessandra Tozzi, PREFAZIONE: Paolo Gulisano;
EDITORE: Il Cerchio; COLLANA: Fantasia; PAGINE: 392; PREZZO: euro 25,00
http://www.lindipendenza.com/brunilde-rosaspina-cerchio/
di REDAZIONE
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Chi sono le fate che si presentano alla culla di Rosaspina, la bella addormentata? Come fanno i nani ad abitare dentro la roccia? Perché gli animali riescono a parlare e ad essere compresi dagli uomini? Come si fa a diventare invisibili? Perché non si deve sapere né pronunciare il nome di esseri terribili? Molte saranno le domande che sorgeranno nel corso della lettura di questo saggio che si propone di rintracciare e approfondire le origini di personaggi, situazioni ed episodi entrando nel mondo variopinto ed affascinante delle mitologie di matrice indoeuropea, con particolare attenzione a quelle appartenenti ai popoli che un tempo abitavano le terre germaniche: Celti e Germani, che si sono poi spinti verso Ovest e verso Nord creando le meravigliose culture irlandesi, gallesi e nordiche. Si scoprirà così che nulla è raccontanto per caso, ma che il piccolo particolare a cui non prestiamo attenzione è in realtà un riflesso di antiche leggende e miti indelebili nelle culture di questi popoli.
Prefazione di Paolo Gulisano. Dal Mito alla Fiaba
Nel corso del Novecento è stato possibile assistere ad un fenomeno letterario interessante e sorprendente: il ritorno nella narrativa del Mito e dell’Epica. Accendendo ancora una volta la fantasia degli uomini, chiamando nuovamente l’attenzione dei cantastorie su di sé, suscitando nuove versioni di antiche narrazioni, il Mito, rappresentato, oltre che sulla carta, anche sul grande schermo, ha dimostrato di essere vivo e vitale nella fantasia e nei sogni. Scrittori anglosassoni come Chesterton, Tolkien, Lewis, ma anche tedeschi come Michael Ende, hanno proposto ai lettori disincantati della Modernità le loro storie, leggende dai molti significati, dai valori profondi, arcaici, strettamente intrecciati con la storia e i miti dell’Europa. Anni fa, in una fortunata versione cinematografica del mito di Artù, Excalibur di John Boorman, il Mago Merlino pronunciava queste suggestive parole: la maledizione degli uomini è che essi dimenticano.

Il lettore disincantato di oggi viene quindi provocato opportunamente dal racconto fantastico, sia che si tratti di fiaba o di narrazione epica, di leggenda come di racconto “gotico”; sospeso tra il misterioso e il terribile, è sempre in qualche modo espressione umana sottesa tra il sacro e il profano, a partire dal linguaggio, che reca sempre in sè le tracce di arcaici miti, fino ai contenuti, che sono comunque e sempre quelli del fantastico, ossia dell’irruzione, oscura e inquietante oppure solare e confortante di un evento soprannaturale nella realtà quotidiana. Non c’è generazione di lettori (o di spettatori) la quale, a dispetto di tutte le mode, non senta la suggestione dell’ elemento fantastico, mitico, fiabesco: un tipo di letteratura portatrice di una sapienza antichissima, che mimetizza i suoi contenuti nel linguaggio apparentemente semplice ed infantile delle fiabe, o del folklore popolare. Il mito è necessario perché la realtà è molto più grande della razionalità. Il mito è visione, è nostalgia per l’eternità. Il mito non è metafora o allegoria, ma simbolo, ossia segno che rimanda ad un significato ultimo che l’uomo deve riconoscere e interpretare. Il mito, nella storia dell’umanità, non è mai stato contrapposto, come avviene oggi, alla realtà; il mito è sempre stato per sua stessa natura vero, espressione della verità delle cose. Nel mito si veniva a contatto con qualcosa di vero che si era pienamente manifestato nella storia, e questa manifestazione poteva fondare sia una struttura del reale che un comportamento umano. Il mito è un mezzo per dare risposte a questioni fondamentali come l’origine dell’uomo, il bene, il male, l’amore, la morte e per dare spiegazioni ai fenomeni della natura. Se il mito è il nesso, il legame che l’uomo ha sempre cercato con il senso della vita, esso non può quindi che essere considerato un’espressione naturale ed antichissima del senso religioso che vive nel cuore dell’uomo. Nel corso della Modernità, gli antichi miti d’Europa – celtici, norreni, greci e così via- si sono occultati nelle fiabe. Un luogo nascosto, protetto, un luogo apparentemente per bambini. Roger Caillois sostenne che “la fiaba è un racconto situato fin dal principio nel mondo fittizio degli incantatori e dei geni. Le prime parole della prima frase sono già un avvertimento: In quel tempo oppure C’era una volta… Per questo le fate e gli orchi non spaventano nessuno. L’immaginazione li confina in un mondo lontano, fluido, impenetrabile, senza rapporto né comunicazione con la realtà di ogni giorno nella quale è pressoché impensabile che essi possano fare irruzione. (…) La differenza balza agli occhi – prosegue Caillois spingendosi nel fantasy così detto gotico o anche horror – quando si tratta di fantasmi o di vampiri. Certo, anche loro sono esseri immaginari, eppure li colloca in un mondo tutt’altro che immaginario; anzi, se li rappresenta come creature che fanno le loro apparizioni nel mondo reale, apparizioni che sono per giunta incomprensibili, terribili, invariabilmente funeste. (…) Così le manifestazioni del fantastico derivano tutte dallo stesso principio. Esse sono tanto più terribili quanto più il loro scenario è famigliare, le loro vie più subdole o fulminee, quanto più si presentano con un non so che di fatale e d’irrimediabile che si sprigiona da una rigorosa concatenizzazione degli eventi.” La fiaba dunque come un viaggio iniziatico, come una serie di tappe di un viaggio, di un’impresa.
Lo studio di Alessandra Tozzi che il lettore ha tra le mani è una guida preziosa per avventurarsi su questo cammino, per riconoscere i segnali indicatori, per non smarrirsi nel labirinto, e soprattutto per farci ritrovare e riassaporare il significato di un patrimonio culturale che va conservato, difeso, valorizzato, e tramandato.
martedì 29 maggio 2012
Zolla, gli occhiali magici di un visionario razionale
Segnaliamo questo articolo su Elémire Zolla:
La sua lezione per l’oggi è nel corto circuito fra Oriente e Occidente, incanto e tecnica, metafisica ed elettronica
http://www.ilgiornale.it/cultura/zolla_occhiali_magici_visionario_razionale/28-05-2012/articolo-id=589912-page=0-comments=1
lunedì 28 maggio 2012
Le fate venute dalle stelle
di
Nicoletta Camilla Travaglini
Una teoria molto suggestiva portata avanti da Fieber nella quale sostiene che le fate siano, in realtà, delle creature venute dallo spazio.
L’autore di tale ipotesi dice a questo proposito:
Quando ero bambino, si narra in una raccolta di fiabe irlandesi, udivo mio nonno parlare del magico popolo che vive sulle colline…
Egli era fermamente convinto che le fate esistessero veramente e non si recò mai nelle paludi a raccogliere la torba, senza essere spiritualmente preparato a incontrarne qualcuna…
Diceva che in cielo c’era stato una guerra fra Dio e gli angeli e che per quaranta giorni e quaranta notti di seguito il Padreterno aveva scacciato angeli dal cielo gettandoli verso la Terra. Alcuni erano rimasti sospesi in aria, altri invece erano arrivati fin quaggiù, chi toccava la terraferma, chi cadendo in mare. Un giorno udì un uomo dire che se il giorno del Giudizio Universale avessero perduto la speranza di poter rientrare in Cielo avrebbero distrutto la Terra.
Fieber ci dice anche da dove proverebbero queste magiche creature:
…Fattosi improvvisamente serio, mi rimproverò, diventando serio di aver conosciuto un decano che non solo aveva visto con i propri occhi questi piccoli esseri, ma aveva anche parlato con loro: gli avrebbero rivelato di essere abitanti della Luna.
L’idea che ci si faceva allora della patria delle fate, degli elfi e dei folletti era però completamente diversa; W. Evans-Wentz la descrive come un mondo invisibile, nel quale il nostro pianeta sarebbe immerso, come un’isola sprofondata in un immenso oceano. Gli abitanti di “quest’altra Terra” erano normalmente immaginati come esseri più piccoli dell’uomo terrestre, ma avevano il potere di trasformarsi anche in giganti. Quelli che mantenevano almeno per metà sembianze umane erano molto amati e preferito agli altri. Usavano a volte i loro poteri per rapire uomini che, dopo avere stordito, tenevano prigionieri. A volte rubavano loro cereali e bestiame ma in altre occasioni potevano anche mostrarsi generosi e disponibili. Nel complesso, però, non esistevano fate, folletti e gnomi che fossero “buoni” in modo assoluto; tutti potevano all’improvviso e senza motivo, diventare cattivi e vendicativi.
… Gli Algonkini si tramontavano una leggenda secondo cui un giorno un cacciatore di questa stirpe scoprì in una radura un cerchio d’erba schiacciata. Si nascose fra i cespugli e di lì a poco vide scendere dal cielo un cesto nel quale sedeva un gruppo di donne meravigliose che, scese dal cesto, si misero a danzare in cerchio. Il cacciatore attese il momento propizio, poi afferrò una delle donne e la trascinò via con sé. Spaventate, le altre rifugiatesi di nuovo nel cesto, che venne velocemente tirato su e in un attimo sparì fra le nuvole. L’indiano condusse la donna nella sua tenda e, poco tempo che vivevano insieme, lei gli dette un figlio ma, approfittando di un momento in cui non era sorvegliata, fuggì nella radura col il bambino, dove intrecciò un nuovo cesto magico con le sue mani. Appena vi fu salita col il bimbo, volò in cielo a raggiungere le compagne e non tornò mai più.
Note
1) FIEBAG, Johannes Gli Alieni Contatti con intelligenze extraterrestri Edizioni Mediterranee, Roma 1994, pag.40.
2) FIEBAG, Johannes op. cit., pag. 41, 44, 45.
Una teoria molto suggestiva portata avanti da Fieber nella quale sostiene che le fate siano, in realtà, delle creature venute dallo spazio.
L’autore di tale ipotesi dice a questo proposito:
Quando ero bambino, si narra in una raccolta di fiabe irlandesi, udivo mio nonno parlare del magico popolo che vive sulle colline…
Egli era fermamente convinto che le fate esistessero veramente e non si recò mai nelle paludi a raccogliere la torba, senza essere spiritualmente preparato a incontrarne qualcuna…
Diceva che in cielo c’era stato una guerra fra Dio e gli angeli e che per quaranta giorni e quaranta notti di seguito il Padreterno aveva scacciato angeli dal cielo gettandoli verso la Terra. Alcuni erano rimasti sospesi in aria, altri invece erano arrivati fin quaggiù, chi toccava la terraferma, chi cadendo in mare. Un giorno udì un uomo dire che se il giorno del Giudizio Universale avessero perduto la speranza di poter rientrare in Cielo avrebbero distrutto la Terra.
Fieber ci dice anche da dove proverebbero queste magiche creature:
…Fattosi improvvisamente serio, mi rimproverò, diventando serio di aver conosciuto un decano che non solo aveva visto con i propri occhi questi piccoli esseri, ma aveva anche parlato con loro: gli avrebbero rivelato di essere abitanti della Luna.
L’idea che ci si faceva allora della patria delle fate, degli elfi e dei folletti era però completamente diversa; W. Evans-Wentz la descrive come un mondo invisibile, nel quale il nostro pianeta sarebbe immerso, come un’isola sprofondata in un immenso oceano. Gli abitanti di “quest’altra Terra” erano normalmente immaginati come esseri più piccoli dell’uomo terrestre, ma avevano il potere di trasformarsi anche in giganti. Quelli che mantenevano almeno per metà sembianze umane erano molto amati e preferito agli altri. Usavano a volte i loro poteri per rapire uomini che, dopo avere stordito, tenevano prigionieri. A volte rubavano loro cereali e bestiame ma in altre occasioni potevano anche mostrarsi generosi e disponibili. Nel complesso, però, non esistevano fate, folletti e gnomi che fossero “buoni” in modo assoluto; tutti potevano all’improvviso e senza motivo, diventare cattivi e vendicativi.
… Gli Algonkini si tramontavano una leggenda secondo cui un giorno un cacciatore di questa stirpe scoprì in una radura un cerchio d’erba schiacciata. Si nascose fra i cespugli e di lì a poco vide scendere dal cielo un cesto nel quale sedeva un gruppo di donne meravigliose che, scese dal cesto, si misero a danzare in cerchio. Il cacciatore attese il momento propizio, poi afferrò una delle donne e la trascinò via con sé. Spaventate, le altre rifugiatesi di nuovo nel cesto, che venne velocemente tirato su e in un attimo sparì fra le nuvole. L’indiano condusse la donna nella sua tenda e, poco tempo che vivevano insieme, lei gli dette un figlio ma, approfittando di un momento in cui non era sorvegliata, fuggì nella radura col il bambino, dove intrecciò un nuovo cesto magico con le sue mani. Appena vi fu salita col il bimbo, volò in cielo a raggiungere le compagne e non tornò mai più.
Note
1) FIEBAG, Johannes Gli Alieni Contatti con intelligenze extraterrestri Edizioni Mediterranee, Roma 1994, pag.40.
2) FIEBAG, Johannes op. cit., pag. 41, 44, 45.
domenica 20 maggio 2012
"Vampiri" a Trani Metti un masso sul morto iapigio
Tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 3/3/2002
Due tombe, per quattro defunti: furono inumati senza onoranze funebri e in posizione prona, con un macigno addosso.L’inquietante ipotesi degli antropologi: erano reietti che non dovevano assolutamente tornare tra i vivi
"Vampiri" nell’antica Trani. E ciò che hanno sospettato archeologi e antropologi di fronte alle due sconcertanti tombe iapigie emerse a Capo Colonna. Qui qualcosa di unico nella storia degli scavi in Puglia - nonché della ritualità funebre antica - si è parato davanti agli occhi dell’archeologa Ada Riccardi della Sovrintendenza. Nella sepoltura più piccola era deposto un cadavere in posizione prona, inginocchiato, schiacciato da un lastrone piazzatogli sulla spalla; nel secondo sepolcro, invece, tre erano i defunti, anch’essi inumati, ognuno con un proprio masso addosso.
Lo scavo è stato condotto dalla Riccardi nel 2001. Ma la notizia, per evidente cautela, non era trapelata finora.
Durante gli scavi precedenti effettuati negli anni ‘70 a Capo Colonna, la penisoletta di Trani dove sorge il bel Monastero che sarà sede museale, non erano emerse sepolture: si trovarono invece tracce di insediamenti dell’età del Bronzo e anche fondi di capanna dell’età del Ferro, delimitate da un fossato. Furono recuperati reperti tardo-elladici e micenei (secondo la testimonianza dell’archeologo di allora: ma nessuno li ha mai visti, né sembra siano stati mai pubblicati!). Lo scorso anno però si ripresero le indagini in una zona limitrofa e riaffiorarono strutture di ambienti, con un cortile che doveva essere in origine lastricato (lo si deduce dal "vespaio" di ciottoli di mare disseminati, che avrebbero dovuto formare il sottofondo). Le pareti di questo edificio presentavano una originalità. i paramenti esterni dei muri erano costituiti da lastroni infissi verticalmente nel terreno. Una tecnica costruttiva mai attestata per l’antica Peucezia (o per la Daunia, visto che Trani allora sorgeva sul confine tra queste due popolazioni). D’altronde si doveva trattare, quasi certamente di un luogo di culto.
In questi ambienti sono riafforati frammenti di ceramica iapigia (un’olla ed altri cocci di vasi) che rimandano a una decorazione tipicamente daunia. Stravagante è il disegnino di uno dei frammenti, che raffigura un bipede con una voluminosa cresta, nonché una lunga coda da rettile. Il loro "stile" indica con ogni verosimiglianza la datazione dell’intero insediamento e quindi delle tombe. Tutto dunque farebbe pensare alla fine del IX o all’inizio dell’VIII secolo avanti Cristo.
Una fossa circolare fu scavata accanto alla parete dell’edificio maggiore. A che cosa servisse? Resta per ora una domanda senza risposta; e ancora più intrigante è aver constatato che nell’interno del pozzetto fossero stati infisse delle pietre. Certo un rito, di cui ci sfugge il senso.
Tuttavia il culmine del mistero di questo scavo a Capo Colonna non è certo la fossa, quanto le due tombe: che di per sé costituiscono una eccezionalità per questa epoca. Una di esse è all’interno all’edificio, l’altra, più piccola, è esterna, si direbbe nel "cortile".
Come si è detto, in quest’ultima sepoltura fu deposto - ben duemila e ottocento anni fa - un uomo in una posizione ben strana: quasi inginocchiato, prono, con addosso un lastrone. Identica fine fu riservata ai tre defunti ammassati nella tomba più vasta, anch’essi seppelliti con un macigno addosso. Il primo è un adulto maschio - ci dice il prof Vito Scattarella del Dipartimento di Zoologia, sezione Antropologica dell’Università di Bari, che con il dottor Sandro Sublimi Saponetti stanno studiando i resti ossei. Gli altri sono due adulti dai venti ai quarant’anni e un ragazzo di quindici anni. L’indagine prosegue, ma nessun segno traumatico è ancor apparso sulle ossa: il che escluderebbe, per ora, una morte violenta, inflitta loro dalla comunità, che pure volle punire questi morti per l’eternità.
Che si trattasse di sepolture di reietti era emerso da vari indizi: non solo l’imposizione dei massi, ma anche la mancanza di qualsiasi elemento a corredo funebre: neppure un frammentino di ceramica fu adagiato nelle tombe. Eppure i loro corpi non furono lasciati insepolti o gettati in mare. Oltre al sasso, i corpi furono coperti da terreno, e le tumulazioni furono sigillate con un lastrone di pietra. È quasi esplicita in un siffatto rituale la volontà di impedire ai defunti un ritorno tra i vivi. E a un fenomeno di "vampirismo" hanno pensato gli antropologi baresi Scattarella e Sublimi. Le deposizioni di Trani, pur essendo uniche in Italia, hanno dei riscontri con altre scoperte dagli archeologi nel nord della Grecia: fu la studiosa greca Anastasia Tsaliki (ora docente in Inghilterra) a rivelare in alcuni congressi di antropologia la permanenza di rituali funebri di questo genere, dall’età neolitica fino ai giorni nostri. Il masso imposto al defunto doveva impedire che, egli tornasse a portare scompiglio nella comunità dei vivi. Naturalmente quando si parla di "vampirismo" non ci si vuol riferire al mondo dell’orrore, come lo intendiamo oggi. E tuttavia questi trapassati dovevano essere affetti da morbi connessi con la manifestazione del sangue, sostengono gli antropologi: quali la fotofobia, la porfiria, la tubercolosi polmonare, la rabbia ecc...
Su quali fonti letterarie o documentali dell’antichità si basi questa convinzione, non è dato ancora sapere con precisione. Ma certo, l’indagine non finisce qui, e di queste sepolture si continuerà a parlare.
Macigni, ritorni dal mondo dei morti… Un nesso non nuovo: il più immediato riscontro che il mito può fornirci - se vogliamo stare al gioco - è quello di un celebre "revenant": Sisifo. L’astuto fondatore di Corinto, che aveva incatenato la Morte, e una volta defunto aveva ingannato anche gli dèi degli inferi ed era tornato a vivere (uno dei rarissimi casi di "zombi" nel mito) fu punito con un masso da sospingere per l’eternità. Perché aveva osato l’impossibile "ritorno".
Giacomo Annibaldis
La coincidenza
Qui Davanzati scrisse nel ‘700 il suo trattato "sopra i vampiri" È solo una coincidenza. Ma è stravagante che si parli di "vampirismo" nell’antica Trani, nella città in cui fu "incubato" - duemilacinquecento anni dopo l’inumazione di questi defunti iapigi - il primo trattato completo sui "revenants": quella "Dissertazione sopra i vampiri" scritta nel 1739-40 da Giuseppe Davanzati, che di Trani era in quegli anni arcivescovo e vi mori nel 1755 (era nato a Bari nel 1665). La "Dissertazione" era un’anatomia completa e illuministica non solo del diffuso fenomeno del vampiro, ma di tutto il luna park dell’orrore. Pubblicata postuma nel 1774 dal nipote Forges Davanzati, è stato riproposta nel 1998 da Besa editrice.
Due tombe, per quattro defunti: furono inumati senza onoranze funebri e in posizione prona, con un macigno addosso.L’inquietante ipotesi degli antropologi: erano reietti che non dovevano assolutamente tornare tra i vivi
"Vampiri" nell’antica Trani. E ciò che hanno sospettato archeologi e antropologi di fronte alle due sconcertanti tombe iapigie emerse a Capo Colonna. Qui qualcosa di unico nella storia degli scavi in Puglia - nonché della ritualità funebre antica - si è parato davanti agli occhi dell’archeologa Ada Riccardi della Sovrintendenza. Nella sepoltura più piccola era deposto un cadavere in posizione prona, inginocchiato, schiacciato da un lastrone piazzatogli sulla spalla; nel secondo sepolcro, invece, tre erano i defunti, anch’essi inumati, ognuno con un proprio masso addosso.
Lo scavo è stato condotto dalla Riccardi nel 2001. Ma la notizia, per evidente cautela, non era trapelata finora.
Durante gli scavi precedenti effettuati negli anni ‘70 a Capo Colonna, la penisoletta di Trani dove sorge il bel Monastero che sarà sede museale, non erano emerse sepolture: si trovarono invece tracce di insediamenti dell’età del Bronzo e anche fondi di capanna dell’età del Ferro, delimitate da un fossato. Furono recuperati reperti tardo-elladici e micenei (secondo la testimonianza dell’archeologo di allora: ma nessuno li ha mai visti, né sembra siano stati mai pubblicati!). Lo scorso anno però si ripresero le indagini in una zona limitrofa e riaffiorarono strutture di ambienti, con un cortile che doveva essere in origine lastricato (lo si deduce dal "vespaio" di ciottoli di mare disseminati, che avrebbero dovuto formare il sottofondo). Le pareti di questo edificio presentavano una originalità. i paramenti esterni dei muri erano costituiti da lastroni infissi verticalmente nel terreno. Una tecnica costruttiva mai attestata per l’antica Peucezia (o per la Daunia, visto che Trani allora sorgeva sul confine tra queste due popolazioni). D’altronde si doveva trattare, quasi certamente di un luogo di culto.
In questi ambienti sono riafforati frammenti di ceramica iapigia (un’olla ed altri cocci di vasi) che rimandano a una decorazione tipicamente daunia. Stravagante è il disegnino di uno dei frammenti, che raffigura un bipede con una voluminosa cresta, nonché una lunga coda da rettile. Il loro "stile" indica con ogni verosimiglianza la datazione dell’intero insediamento e quindi delle tombe. Tutto dunque farebbe pensare alla fine del IX o all’inizio dell’VIII secolo avanti Cristo.
Una fossa circolare fu scavata accanto alla parete dell’edificio maggiore. A che cosa servisse? Resta per ora una domanda senza risposta; e ancora più intrigante è aver constatato che nell’interno del pozzetto fossero stati infisse delle pietre. Certo un rito, di cui ci sfugge il senso.
Tuttavia il culmine del mistero di questo scavo a Capo Colonna non è certo la fossa, quanto le due tombe: che di per sé costituiscono una eccezionalità per questa epoca. Una di esse è all’interno all’edificio, l’altra, più piccola, è esterna, si direbbe nel "cortile".
Come si è detto, in quest’ultima sepoltura fu deposto - ben duemila e ottocento anni fa - un uomo in una posizione ben strana: quasi inginocchiato, prono, con addosso un lastrone. Identica fine fu riservata ai tre defunti ammassati nella tomba più vasta, anch’essi seppelliti con un macigno addosso. Il primo è un adulto maschio - ci dice il prof Vito Scattarella del Dipartimento di Zoologia, sezione Antropologica dell’Università di Bari, che con il dottor Sandro Sublimi Saponetti stanno studiando i resti ossei. Gli altri sono due adulti dai venti ai quarant’anni e un ragazzo di quindici anni. L’indagine prosegue, ma nessun segno traumatico è ancor apparso sulle ossa: il che escluderebbe, per ora, una morte violenta, inflitta loro dalla comunità, che pure volle punire questi morti per l’eternità.
Che si trattasse di sepolture di reietti era emerso da vari indizi: non solo l’imposizione dei massi, ma anche la mancanza di qualsiasi elemento a corredo funebre: neppure un frammentino di ceramica fu adagiato nelle tombe. Eppure i loro corpi non furono lasciati insepolti o gettati in mare. Oltre al sasso, i corpi furono coperti da terreno, e le tumulazioni furono sigillate con un lastrone di pietra. È quasi esplicita in un siffatto rituale la volontà di impedire ai defunti un ritorno tra i vivi. E a un fenomeno di "vampirismo" hanno pensato gli antropologi baresi Scattarella e Sublimi. Le deposizioni di Trani, pur essendo uniche in Italia, hanno dei riscontri con altre scoperte dagli archeologi nel nord della Grecia: fu la studiosa greca Anastasia Tsaliki (ora docente in Inghilterra) a rivelare in alcuni congressi di antropologia la permanenza di rituali funebri di questo genere, dall’età neolitica fino ai giorni nostri. Il masso imposto al defunto doveva impedire che, egli tornasse a portare scompiglio nella comunità dei vivi. Naturalmente quando si parla di "vampirismo" non ci si vuol riferire al mondo dell’orrore, come lo intendiamo oggi. E tuttavia questi trapassati dovevano essere affetti da morbi connessi con la manifestazione del sangue, sostengono gli antropologi: quali la fotofobia, la porfiria, la tubercolosi polmonare, la rabbia ecc...
Su quali fonti letterarie o documentali dell’antichità si basi questa convinzione, non è dato ancora sapere con precisione. Ma certo, l’indagine non finisce qui, e di queste sepolture si continuerà a parlare.
Macigni, ritorni dal mondo dei morti… Un nesso non nuovo: il più immediato riscontro che il mito può fornirci - se vogliamo stare al gioco - è quello di un celebre "revenant": Sisifo. L’astuto fondatore di Corinto, che aveva incatenato la Morte, e una volta defunto aveva ingannato anche gli dèi degli inferi ed era tornato a vivere (uno dei rarissimi casi di "zombi" nel mito) fu punito con un masso da sospingere per l’eternità. Perché aveva osato l’impossibile "ritorno".
Giacomo Annibaldis
La coincidenza
Qui Davanzati scrisse nel ‘700 il suo trattato "sopra i vampiri" È solo una coincidenza. Ma è stravagante che si parli di "vampirismo" nell’antica Trani, nella città in cui fu "incubato" - duemilacinquecento anni dopo l’inumazione di questi defunti iapigi - il primo trattato completo sui "revenants": quella "Dissertazione sopra i vampiri" scritta nel 1739-40 da Giuseppe Davanzati, che di Trani era in quegli anni arcivescovo e vi mori nel 1755 (era nato a Bari nel 1665). La "Dissertazione" era un’anatomia completa e illuministica non solo del diffuso fenomeno del vampiro, ma di tutto il luna park dell’orrore. Pubblicata postuma nel 1774 dal nipote Forges Davanzati, è stato riproposta nel 1998 da Besa editrice.
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