mercoledì 6 novembre 2019

Le streghe in Toscana

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da http://micheleleone.it/le-streghe-in-toscana/

Un articolo della Rivista delle tradizioni popolari sulle streghe in Toscana

Le Streghe in Toscana è il primo articolo su streghe, stregoneria, stregheria e via dicendo, sperando di farti cosa gradita oltre a scrivere delle mie ricerche ti riporterò anche articoli o documenti dei secoli passati come ad esempio quello che stai per leggere. Pubblicato nella Rivista delle tradizioni popolari nel novembre 1894.

Ecco l’articolo sulle Streghe in Toscana

Le Streghe (credenze popolari pisane)

Nella Rivista delle tradizioni popolari è stato già pubblicato qualche cosa intorno alle streghe. In Toscana la credenza nelle streghe è molto diffusa, e potrà essere interessante porre in raffronto le diversità che presenta nelle varie Provincie e presso le diverse popolazioni una credenza uguale in origine. Esporrò qui intanto, senza fare commenti, quello che ho potuto raccogliere dalla bocca del nostro popolo.

Molto radicata e la credenza nelle streghe a Gello, piccolo paese vicinissimo a Pisa, che vive con l’industria dei tessuti; un’altra fonte di guadagno hanno le donne gellesi, le quali esercitano tutte il mestiere delle balie. Fu appunto la balia d’un mio bambino che mi fornì gran parte delle notizie che ora sono in grado di comunicare.

— Non bisogna crederci perché è peccato, ma le streghe ci sono; — ecco le sue precise parole.

Descrizione delle streghe in Toscana

Le streghe sono persone d’ambo i sessi, che mangiano e bevono, nascono e muoiono come tutte le altre; ce ne sono di vecchie e di giovani, di belle e di brutte, insomma per tutti i gusti: però, quando invecchiano, diventano più brutte delle altre. Possiedono un potere soprannaturale che possono esercitare a danno o talvolta anche a vantaggio degli uomini, e propagano la loro magia col semplice contatto, oppure anche somministrando bevande appositamente preparate, o facendo altre stregonerie. Hanno anche molti obblighi, come quello di lasciare le loro abitazioni per andar a girare nelle notti di mercoledì e di venerdì.

Le streghe, per la maggior parte, cercano di nascondere l’esser loro, che altrimenti sarebbero odiate e sfuggite; alcune però invece esercitano il mestiere, e queste potrebbero paragonarsi alle antiche sibille. Naturalmente indovinano il pensiero, leggono sulle dita delle mani, fanno certi speciali scongiuri e somministrano alcuni loro specifici per guarire persone affette da qualche malattia, specialmente nervosa. Molte volte riescono, forse per la fiducia con la quale il malato si sottopone alle loro cure, forse anche perché essi avranno fatto studi sull’arte medica, e conosceranno alcuni medicamenti utili in certe occasioni. Qui a Pisa ci sono stregoni d’ambo i sessi; pare, a quanto mi si dice, che gli uomini siano più reputati.

Nascere e diventare streghe in Toscana

Si può nascere stregoni e si può anche diventarlo in seguito. Tutti i bambini che nascono nella notte di San Giovanni (alcuni dicono anche di San Pietro) sono destinati alla stregoneria. C’è però mezzo di salvarli. Fino all’età di sette anni essi non acquistano il magico potere; bisogna che i genitori sorveglino il fanciullo nella notte di San Giovanni in cui egli compie il suo settimo anno, perché è allora soltanto che le streghe lo chiamano. Se alla voce che grida: — Vieni, alzati, — il bimbo risponde, egli è preso; se invece la madre, vegliando appositamente, risponde alle streghe prima che il figliuolo si desti, questi è salvo. Poiché pare, e ciò ho potuto dedurre anche da altri racconti, che le streghe non possano più esercitare il loro potere quando sono scoperte.

Questa credenza relativa alla notte di San Giovanni è molto diffusa: una donna di Campiglia Marittima mi narrò come una sua amica abbia udito la voce delle streghe che chiamavano il figliuolo, ed essendo essa andata con una granata per scacciarle, trovò, la mattina, la granata in bricioli sulla porta della sua casa.

Ho detto che si può anche acquistare in seguito il potere della stregoneria. Una strega, prima di morire, desidera di lasciare la propria eredità. Essa dice: — A chi la lascio? — e se qualche persona, credendo che la morente voglia alludere ad una eredità di danaro o di oggetti, risponde: — A me — in lei si trasfonde lo spirito della strega non appena questa abbia cessato di vivere.

Le tregende

Una volta c’erano anche le tregende, cioè processioni di streghe che giravano la notte a spargere i loro malefizi.

— Sarà una sessantina d’anni — mi disse la solita balia gellese — e alcuni vecchi si ricordano di averle vedute.

Ora, dopo che i preti benedicono le case e le strade di campagna, le tregende non ci sono più. Al proposito dei preti debbo segnalare un altro fatto, che mi è stato ripetuto da più d’una persona, e cioè che essi pure credono alle streghe, quantunque raccomandino di non parlarne per non spargere tali pregiudizi. Mi si assicura che molti preti, andando a benedire le case, dicono una benedizione speciale per allontanare i malefizi della stregoneria.

Guarire dall’ammaliamento e metodi per prevenire la stregoneria

C’è un santo al quale si rivolgono le persone ammaliate per esser guarite, e questi è San Valentino. Il malato dev’essere portato in una chiesa consacrata a quel santo; quanto più egli si avvicina alla mèta del suo viaggio, tanto più gli riesce difficile e faticoso proseguire la via, si dice perché le streghe vorrebbero impedirgli di giungere al tempio del santo liberatore. Il malato stesso pare che opponga resistenza, e dev’essere trascinato a forza dentro alla chiesa. Lì prorompe in grida e bestemmie, e se gli viene presentata l’immagine del santo, la ingiuria e la copre di vituperi. Poi, mentre si dibatte fra atroci spasimi, gli escono dal corpo gli spiriti che lo possedevano, e allora soltanto il malato, reso più mansueto, s’inginocchia a pregare ed a ringraziare il santo che lo ha liberato.

Anche questa credenza nel potere di San Valentino è assai diffusa. La donna di Cello aggiunse, a ciò che ho già narrato, che non sempre il santo è capace di fare la grazia. Allora la perlina ammaliata, nel delirio, dice per quanto tempo dovrà durare il suo male, e se confessa di essere stata stregata per tutta la vita, è condannata prima o poi a morire.

Si narra di una ragazza che, portata al tempio di San Valentino, disse di essere stata stregata per cinque anni. Difatti, corso quel termine, guarì, ed ora è monaca.

La strega stessa che ha ammaliata una persona è naturalmente capace anche di guarirla, anzi pare che sia in dovere di farlo quando venga scoperta. Vi è un mezzo per conoscere questa strega; però non tutti lo adottano, per quanto sia ritenuto infallibile, perché si dice che chi usa questo artifizio viene scomunicato. Mi si assicura che qualche madre, per salvare un figliuolo malato, abbia anche affrontato il pericolo della scomunica, e sia riuscita nel suo intento. Bisogna alla mezzanotte mettere a bollire in una pentola i panni della persona stregata, e bucarli con delle forche. Durante quest’operazione una persona verrà a picchiare all’uscio, e quella sarà la strega.

Molto spesso quando una persona è malata e i medicamenti valgono a farla guarire, il nostro popolo dice che quella persona è stata stregata. Quando, ad esempio, un bambino deperisce senza ragione, bisogna scucire il guancialino del suo letto, e se si trova la lana o la penna legate a trecce e a nodi, tal lavoro è opera di una strega, la quale per conseguenza deve aver stregato il bambino.

Per preservarsi dal pericolo della stregoneria, il nostro popolo, quando vede una persona sospetta, usa fare la castagna, come si dice comunemente, colle dita della mano; e c’è chi assicura che, mentre si fa questo segno, la strega resta immobile. Ci sono altri mezzi per conoscere le streghe. Se in chiesa si mette uno spillo alla ghirlanda di fiori che sta appesa sopra la piletta dell’acqua santa, la strega che bagna la mano nell’acqua benedetta vi resta come legata. Secondo un’altra versione, bisogna invece mettere un centesimo nella piletta per far sì che le streghe non possano uscir dalla chiesa.

Un episodio particolare sulle streghe in Toscana

Mi si raccontò un fatto curioso avvenuto parecchi anni or sono a Campiglia Marittima; lo scrivo quale mi è stato narrato senza fare commenti.

Un giovane faceva all’ amore con una ragazza, quando gli misero il dubbio che la sua innamorata fosse una strega. Per mettere in chiaro la cosa, egli andò a trovarla di venerdì sera, quando appunto le streghe sono costrette a riunirsi tutte insieme, lasciando le loro rispettive case. La ragazza sospetta dunque, per rimanere libera, diede allo sposo una bevanda destinata a farlo addormentare; egli però non cadde nel tranello, e dopo aver finto di bere, finse anche di dormire. La ragazza allora, sollevata una pietra del camino, ne trasse una specie di pomata, colla quale si unse tutta, ed uscì; il giovane le corse dietro, la raggiunse in riva al mare, e riuscì a nascondersi, arrampicandosi sull’albero della barca dove si riunirono le streghe sotto la direzione del loro capo. Lo stregone diceva: — Via per 10 — per far muovere la barca, ma la barca non partiva. Allora si decise a dire: — Via per 11 — e la barca lasciò la terra; le streghe non capirono nulla non essendosi accorte del nuovo loro compagno, il quale, dopo aver fatto un viaggio notturno, ritornò in terra; non seppe dare però altre notizie sulle arti delle streghe, e si contentò di abbandonare la sposa.

Conclusione

Ciò che mi sorprendeva durante le mie ricerche folk-loriche era la profonda convinzione con la quale il popolo mi parlava delle sue credenze e delle sue superstizioni, e mi narrava i fatti più strani. E qui voglio fare una distinzione: non mi farebbe meraviglia sentir parlare delle streghe quali esseri soprannaturali ed invisibili, poiché le credenze astratte sono a tutti permesse; le stesse religioni non sono forse fondate sopra miracoli? Ma ciò che mi sorprende è il sentirmi assicurare che molti sono stati testimoni di fatti che invece non presentano alcuna possibile verosimiglianza. Ciò non si spiega se non ammettendo che alcune persone abbiano delle allucinazioni cagionate da una cieca fede nelle loro credenze, e da una fantasia eccitata da strani e favolosi racconti. Sono stata lieta però di sentirmi ripetere da tutti che le streghe ai giorni nostri sono in minor numero di quello che non fossero una volta. Se dunque la loro famiglia si è già assottigliata, è sperabile che un giorno sparirà del tutto dalla faccia del globo, ed io mi auguro che in un tempo non molto lontano i folk-loristi potranno segnalare questo progresso della civiltà.

Emma Bonaventura



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sabato 2 novembre 2019

Crociate, misteri, delitti Nel Graal genovese c'è un giallo medievale

tratto da Il Giornale del 23/5/2019

Protagonista del libro ambientato nel XII secolo è il condottiero e detective Guglielmo Embriaco

di Matteo Sacchi

Il mare è la libertà. Ma un vascello può essere anche una prigione carica di orrore. Non per niente la parola «galera» che, all'origine, indicava le snelle navi medievali e rinascimentali a remi - derivate dai dromoni bizantini - è anche quella che si usa come sinonimo di carcere duro.

Quanto una nave possa diventare un claustrofobico inferno il lettore può scoprirlo tra le pagine de I senza cuore (Giunti, pagg. 416, euro 19), il nuovo romanzo di Giuseppe Conte. Conte è un maestro della parola, capace di spaziare agevolmente tra poesia e narrativa, e imbastisce un giallo storico che coniuga l'ambientazione medievale, quasi un Nome della rosa movimentato dalla violenza del maestrale, a un sottile clima di terrore psicologico che ricorda il romanzo The Terror di Dan Simmons, dove l'equipaggio di un bastimento isolato nei ghiacci polari precipita nella follia.

Proviamo a riassumere la trama del libro senza rovinare il piacere della lettura. Anno del signore 1116. Nella potente città marinara di Genova, il mercante crociato Guglielmo Embriaco, detto Testadimaglio, organizza un misterioso viaggio a bordo della sua nuova magnifica nave, la galera chiamata «La Grifona». Guglielmo (personaggio storico realmente esistito) ha partecipato alla Prima crociata, sono state le sue macchine d'assedio a far cadere Gerusalemme, e ha riportato in città meravigliose ricchezze, compreso il Sacro catino (ancora oggi nel museo della Cattedrale cittadina). Eppure una grande inquietudine attraversa l'animo del marinaio guerriero. Un antico segreto, rivelatogli contro la sua volontà, lo spinge a passare le Colonne d'Ercole per navigare verso Nord. Ma non sarà un viaggio fortunato. Sulla rembata di prua, una mattina, viene ritrovato il cadavere di Astor Della Volta, giovane ufficiale di nobile famiglia. Imbarcato a colpi di raccomandazioni, bellissimo ma cinico e malevolo, tra gli altri ufficiali aveva ben pochi amici, tra i banchi dei rematori o tra la ciurma ancora meno. Ma chi si poteva immaginare che qualcuno avrebbe approfittato delle tenebre di una notte di luna nuova per squartargli il petto e strappargli il cuore?

Tra i banchi della nave si diffonde il terrore che prende ufficiali, marinai e schiavi ai remi. Chi uccide sulla «Grifona», e perché? Subito c'è chi parla del maligno, a partire dal prete di bordo, Don Rubaldo Pelle. Del resto, in un ambiente così ristretto, dove gli uomini vivono pigiati gli uni agli altri tanto che domina sempre un tanfo insopportabile, come è possibile che qualcuno sia riuscito a compiere un delitto talmente efferato senza essere visto?

Sul mistero indagherà proprio Guglielmo Testadimaglio, con il suo scrivano Oberto da Noli (che è anche la voce narrante del racconto). I due uniranno le loro forze: da un lato la logica ferrea di Guglielmo, uomo più abituato a progettare macchine d'assedio che a ragionare sui meandri della mente umana, dall'altra la cultura umanistica del giovane letterato, che si trasforma nell'indispensabile braccio destro del comandante-detective. Ma nel frattempo sulla nave il sangue continuerà a scorrere, fra tempeste, inseguimenti di pirati barbareschi, bonacce sconsolanti e incontri con i vichinghi, vendite redditizie in porti amici ed eventi nefasti. Ma più che la trama, ben costruita, a contare è l'ordito. Conte approfondisce nel racconto la psicologia di una miriade di personaggi (dal cuoco di bordo al maestro d'ascia Giuseppe di Pietrabruna), riflette sul senso della pace e della guerra, su come il mare generi fratellanze indissolubili e odi furibondi, sulla colpa e sul perdono. Utilizza insomma la nave e i suoi spazi ristretti per mettere la natura umana alle corde e vivisezionarla.

E alla fine per rivelarci che il diavolo è femmina e, a volte, ha le sue ragioni, anche se nemmeno il più astuto degli investigatori può capirle.


mercoledì 30 ottobre 2019

Tonache di sangue

Un veloce consiglio di lettura.

Tonache di sangue è un libro di Davide Busato che tramite documenti che vanno XV secolo al XVIII racconta delitti anche piuttosto raccapriccianti in cui i protagonisti sono uomini e donne appartenenti al clero.

Su Vanilla Magazine potete trovare una sintesi di uno di questi casi in cui la protagonista è una suora serial killer: Suor Maria Luisa: una Serial Killer al monastero Sant’Ambrogio di Roma

La breve presentazione del libro:

«Tonache di sangue. Assassini, briganti e sicari» raccoglie trentasei casi di cronaca nera che hanno come protagonista il clero. Suddiviso in sette sezioni - sicari, iracondi, lussuriosi, pluriomicidi, banditi, avari e blasfemi - il volume narra eventi delittuosi svoltisi fra Cinquecento e Novecento, che hanno coinvolto preti, monaci, abati e badesse disposti a uccidere per cupidigia, lussuria o semplice follia: dal sicario frate Donato di Milano che attentò la vita di Carlo Borromeo, alle atmosfere torbide del monastero di Sant'Ambrogio di Roma nel quale operò un'assassina seriale; da "papa" Ciro il brigante di Taranto, a fra' Diego la Matina di Palermo che uccise un inquisitore. Con stile coinvolgente e suggestivo, l'autore trae da fatti di cronaca e archivi dell'epoca episodi rimasti celati alla Storia ufficiale, mostrando tutta la fragilità e la vulnerabilità dell'essere umano.

Tonache di sangue
Copertina rigida: 314 pagine
Editore: Rusconi Libri (26 luglio 2018)
Collana: Rusconi Libri
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8818032739
ISBN-13: 978-8818032734
Peso di spedizione: 458 g


sabato 26 ottobre 2019

Sindone, nuovi studi ne mettono in discussione la datazione

tratto da Il Giornale del 22/5/2019

Nuovi studi eseguiti sulla Sindone ne mettono in discussione l’origine medievale, finora generalmente accettata dai ricercatori. I dati pubblicati su Nature nel 1988, dunque, non sarebbero più affidabili

di Francesca Rossi

La Sindone rimane uno dei misteri storici, archeologici e religiosi che ancora non siamo stati in grado di risolvere.


La conclusione dell’analisi radiocarbonica effettuata nel 1988 e pubblicata su Nature faceva risalire l’origine del telo al Medioevo, datandolo a un arco di tempo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Fino a oggi questo risultato, in pratica una confutazione dell’autenticità della Sindone, è stato generalmente ritenuto valido. Nuove analisi, però, potrebbero cambiare definitivamente le nostre (poche) certezze sul telo in cui si ritiene sia stato avvolto il corpo di Gesù dopo la morte. Come riporta il quotidiano La Repubblica, il prossimo 23 maggio si terrà un incontro multidisciplinare tra studiosi della Sindone nell’aula magna del palazzo centrale dell’Università di Catania.

In quest’occasione sindonologi, statistici e data analyst si confronteranno sui risultati di nuovi studi effettuati su dati ufficiali e dati grezzi (ovvero pubblicati su una rivista scientifica per la prima volta) che dimostrerebbero l’inaffidabilità della tesi del 1988. Benedetto Torrisi, statistico dell’Università di Catania, ha affermato: “La nostra analisi prova che non c’è evidenza definitiva che la Sindone sia medievale”. In effetti, nel corso degli anni, molti dubbi avevano incrinato le teorie ufficiali in merito alla datazione del telo.

Dal 1988 fino a oggi gli studiosi hanno continuato a cercare, a studiare, mettendo in discussione più volte ciò che sembrava un risultato assoluto. Come sottolinea La Repubblica, tutta la questione dell’origine della Sindone ruotava attorno all’impossibilità di esaminare i dati grezzi fino a ora secretati. I ricercatori dell’Università di Catania, però, sono riusciti a ottenerli e a studiarli, giungendo a un risultato inaspettato. A proposito di queste nuove analisi Torrisi spiega: “Aver ottenuto i dati grezzi ha permesso di formulare diverse considerazioni: i laboratori hanno prodotto risultati differenti, non riconducibili allo stesso fenomeno. Qualcosa è andato storto durante il processo di datazione, probabilmente poiché i campioni testati non erano omogenei”.

Vatican News riporta anche il passaggio del discorso in cui Torrisi spiega in che modo i dati grezzi potrebbero rivoluzionare le nostre conoscenze sulla Sindone. Lo studioso, infatti, dichiara che da essi “sono emersi riscontri statistici maggiori rispetto a quelli del 1988. Poi, analizzandoli bene, siamo riusciti a raggiungere nuove conclusioni da offrire alla comunità scientifica mondiale”. Nature, infatti, pubblicò quattro risultati campionati ma, come sottolinea Torrisi, “nella realtà di valori di campionatura ne abbiamo trovati più di sedici”. La teoria di cui si discuterà il 23 maggio è stata pubblicata sulla rivista scientifica Archaeometry, edita per conto dell’Oxford Research Laboratory for Archaeology and the History of Art. Dunque il metodo di campionamento del 1988 sarebbe errato e i risultati pubblicati su Nature tutti da rivedere. Siamo davvero di fronte alla più importante reliquia della Cristianità? È presto anche solo per ipotizzarlo, ma da oggi tutte le possibilità sono di nuovo in gioco.

mercoledì 23 ottobre 2019

"Sono tra noi" - 9° Convegno di Ufologia Città di Pomezia

"Sono tra noi" - 9° Convegno di Ufologia Città di Pomezia
Simon Hotel, 10 novembre 2019 ore 9 -20

Come ormai consuetudine degli ultimi anni è in arrivo il popolare “9° Convegno di Ufologia città di Pomezia” che si terrà domenica 10 novembre 2019, presso l’accogliente Simon Hotel, denominato dagli appassionati l’hotel degli ufo, divenuto in pochi anni fra i convegni più noti e importanti in Italia per la splendida organizzazione e la qualità dei relatori e per le tante sorprese e innovazioni che l’organizzatrice unica dott.ssa Francesca Bittarello propone ed apporta ad ogni edizione tanto da destare l’interesse di televisioni nazionali e locali e tanti giornali importanti presenti ad ogni edizione. Per la prima volta l'evento si svolgerà in una nuova sala conferenze da 500 posti. Anche per questa edizione previsto il pienone di pubblico appassionati o curiosi e organi di stampa e media che giungeranno da tutto Italia. Per l’immancabile presenza di stampa nazionale e locale è a loro dedicata un area stampa riservata con graditi cadeaux offerti dall’organizzazione.

L’ingresso per chi vorrà assistere all’evento avverrà con un contributo di € 5.
La giornata si articolerà dalle 9 alle 20 con cena finale per chi lo desidera a 10 € con buffet illimitato, con una pausa pranzo dalle 13 alle 14 dove tutti potranno per soli 5 euro gustare il famoso panino alieno un panino gigante e volendo con la birra aliena (il panino alieno è anche vegano e vegetariano) con una bibita e un caffe. A fine serata prima della cena la consueta lotteria aliena con premi per tutti.

Molto importanti e noti i relatori del convegno UFO con l'eccezionale presenza di Filiberto Caponi l’italiano che negli anni 90 ebbe un incontro ravvicinato del terzo tipo con una creatura extraterrestre, caso noto perché negli anni al centro di depistaggi e calunnie da parte dei detrattori.
Ma Filiberto Caponi sarà presente a Pomezia dove porterà la sua testimonianza diretta e  dove sarà spiegato e analizzato il suo caso reputato assolutamente veritiero e per l’occasione sarà presente un super testimone dell’ Ansa Carlo Daniele che racconterà fatti inediti e incredibile sui depistaggi avvenuti del caso Caponi.
A seguire altri importanti relatori che appassioneranno tutti i presenti infatti a seguire sarà presente l’ex Sottosegretario di Stato alla Difesa Gen. Domenico Rossi già deputato che parlerà degli Ufo e le forze armate; Pablo Ayo ufologo famoso anche per aver curato e presentato per anni la trasmissione Mistero su Italia 1 per il settore ufologico e spesso su RAI e Mediaset per discutere del fenomeno UFO che parlerà dell’ argomento di attualità sulle dichiarazioni della US Navy; Maurizio Baiata noto ufologo italo-americano con oltre quarantennale storia di studi ci parlerà della cover up ufo e poi Francesca Bittarello, nota investigatrice ufologica nonché organizzatrice del Convegno e dell’evento UFOLOGY WORLD per l’ Italia (che si svolgerà nel 2020 info www.ufologyworld.it) che parlerà dei misteri legati a diversi incidenti accaduti in prossimità dei crop circles e poi non mancherà Dario Del Buono uno dei più accreditati esperti in Italia di Ufologia nell’ottica esoterica. Presenti anche la nota scrittrice di fantasy per bambini Patrizia Licari Gradella con il suo ultimo libro che sta riscuotendo molto successo nonché la ricercatrice di cristalli e cristallo terapia Alessia Serafin a disposizione del pubblico in uno stand a lei dedicato.

Per informazioni: WHATSAPP cell. 329.4218323 - orari ufficio
francesca-bittarello@ufologyworld.it





sabato 19 ottobre 2019

MA LO YETI SE NE FREGA

tratto da L'Opinione del 2 maggio 2019

di Dalmazio Frau

Finalmente l’hanno trovato, ma noi non ne abbiamo mai dubitato: Lo Yeti esiste. Io personalmente ne ero certo, anche perché da ragazzo lessi il saggio – credo oggi fuori catalogo – Il mistero dello Yeti, dell’augusta penna di Attilio Mordini, che di certo ne sapeva ben più dei vari Cicap, dei soliti Pieri Angeli e persino dei Piergiorgi Odifreddi.

Qualche ora fa tutte le agenzie, hanno battuto la notizia che l’esercito indiano ha riscontrato - con prove fotografiche - impronte di Yeti, rinvenute lo scorso 9 aprile vicino al campo base di Makalu, sul massiccio dell’Himalaya, a oltre ottomila metri di altitudine.

A questo punto non c’è più alcuna ragione per dubitare scientificamente della realtà tangibile della misteriosa creatura, già citata in numerose fonti tradizionali dell’area tibetana, ma probabilmente già documentata nel tragico caso del passo Dyatlov, nonché riscontrata persino in territorio nordamericano sotto i nomi di Sasquatch o Bigfoot. Nel nostro stesso Bel Pese, l’analogo dello Yeti è comunque presente in numerose fonti antiche con il nome di “homo salvatico” e in altre forme locali. I cultori della zoologia fantastica, o “criptozoologia” se preferite, che sino ad oggi non hanno avuto modo di metterlo in dubbio, adesso potranno garantirne la certezza. Anche perché è evidente a noi tutti che esistono centinaia, anzi migliaia di antropoidi di fattezze umanoidi e radicalchic, che parlano non sapendo alcunché di quello di cui cianciano, dementi fascistoidi che stuprano credendo così d’esser dannunzianamente virili, altri che si drogano per sostenere le loro inverosimili tesi o che scrivono dotti saggi e sceneggiature per la televisione e fanno ancora tante altre cose nei loro attici con vista...

Lo Yeti esiste e lotta con noi, o forse no, semplicemente se ne impippa di tutto, vivendo la sua vita serena nelle solitudini dell’Himalaya, preoccupato soltanto di evitare il genere umano, intimorito dal potersi imbattere in Greta Thunberg, in Michela Murgia o in Asia Argento. Se esistono ancora femministe livorose nelle loro frustrazioni, leccaculi multiruolo, falliti e ipocriti d’ogni genere e specie, sotto qualsiasi egida politica o sociale; “influencer”e “gender fluid” da Grande Fratello… allora, perdonatemi il folle salto sillogistico, ma non vedo proprio perché non debba esistere “l’abominevole uomo delle nevi” che è senza dubbio meno abominevole di quanto si possa pensare e migliore di tutti loro.

Nostra nota.
Il libro di Attilio Mordini, "Il mistero dello Yeti" in realtà è ancora in commercio:



mercoledì 9 ottobre 2019

I primi libri sugli UFO negli Stati Uniti d’America: come è iniziato il mito dei “piatti volanti”

tratto da http://www.cacciatoredilibri.com/i-primi-libri-sugli-ufo-negli-stati-uniti-damerica-come-e-iniziato-il-mito-dei-piatti-volanti/

In principio fu… il 1950
Ho sempre avuto una curiosità insoddisfatta: quale è stato il primo libro pubblicato al mondo sul fenomeno dei dischi volanti? La questione è abbastanza complessa. Innanzi tutto parliamo di Stati Uniti d’America, e non potrebbe essere diversamente dato che tutta la problematica ufologica cosiddetta moderna parte dal 1947 con gli avvistamenti del pilota Kenneth Arnold nello Stato di Washington. Però, non sembra ci siano riferimenti chiari e incontrovertibili fino all’annus mirabilis 1950. Secondo gli esperti librai di Arcturus Book di Port St. Lucie, Florida, Behind the Flying Saucers (“Dietro ai dischi volanti”) (New York, Henry Holt and Company, 1950) di Frank Scully sarebbe uno dei primi tre libri pubblicati sull’argomento. È comunque da considerarsi il libro più importante degli inizi della problematica ufologica. Fu questo testo a scatenare l’entusiasmo popolare per i dischi volanti, la prima tiratura andò a ruba e le successive edizioni ebbero comunque tirature da record. Tutti i libri sugli Ufo degli anni ‘50 e ‘60 citano il lavoro di Scully, o almeno lo citano quelli – e non sono poi molti – dotati di una bibliografia.
Ma quell’anno escono in America – come minimo – altri cinque libri nei quali o si accenna o si parla diffusamente dei dischi volanti. Si tratta di: Star Guests (“Visitatori dalle stelle”) di William Duddley Pelley (Noblesville, Soulcraft); Flying Saucers: Portents of These “Last Days” (“Dischi volanti: un prodigio del nostro tempo”) della Sanctilean University (Santa Barbara, J. F. Rowny Press); The Flying Saucers Are Real (“I dischi volanti sono reali”) di Donald E. Keyhoe (New York, Fawcett Publications Inc.); Is Another World Watching? (“Ci stanno osservando da un altro mondo?”) di Gerald Heard (New York, Harper & Brothers) e Beyond the Moon (“Al di là/oltre della Luna”) di Edmond Hamilton (New York, Nal Signet Books). Traduco, per comodità, il termine saucer in disco.
Di The Flying Saucers Are Real di Donald E. Keyhoe esiste una recente ristampa di un appassionato ufologo disponibile su Lulu.com, il sistema di stampa digitale che ha ormai rivoluzionato l’editoria di nicchia.

Ma qualcuno dice che…
C’è però una seconda ipotesi sul primo nato tra i libri sugli UFO, anzi sui Flying Saucers. Nature of Infinite Entities di Orfeo Angelucci, di solito datato al 1952, potrebbe invece essere stato stampato la prima volta nel 1948 in una rarissima edizione a cura dell’autore. Lo afferma James R. Lewis (ed.) nel suo libro The Gods Have Landed (“Gli Dei sono atterrati”) (New York, University of New York Press, 1995).
Come in altri paesi, anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito prima dell’anno 1950 hanno fatto la loro comparsa alcuni libri che proponevano e anticipavano tematiche che poi sono diventate prettamente ufologiche. Tra di questi si può ricordare Frank E. Sorenson, con il suo Now We Fly (“Adesso voliamo”) (Chicago, John C. Winston Co., 1944). Due anni più tardi esce un pamphlet di Kenneth Goff, dal titolo: Traitors in the Pulpit and Treason Toward God (“Traditori nel pulpito e tradimento verso Dio”) (Englewood, Colorado, edizione privata, 1946). In questo libricino di appena 61 pagine compare un capitolo intitolato: The Flying Saucers: From Russia, From Another Planet, Or From God (“Dischi volanti: dalla Russia, da un altro pianeta o da Dio”).

Le sovraccoperte, il vero fattore scatenante!
In ogni caso, i primi lavori sui dischi volanti sono goffi, imprecisi, in quanto il fenomeno è nuovo e la casistica ancora insufficiente per uno studio sistematico. E questo lo si capisce benissimo anche leggendone solo qualche pagina. Lo stesso Kenneth Arnold – che involontariamente dette il via all’Ufologia come fenomeno di massa nel 1947 – decide di mettere nero su bianco e assieme a Ray Palmer fa uscire, ma non prima del 1952, The Coming of the Saucers (“L’arrivo dei dischi”) (Amherst, Wisconsin, Amherst Press).
Dei libri appena elencati sono soprattutto le sopraccoperte illustrate che colpiscono la fantasia della gente. Behind the Flying Saucers di Frank Scully è un volume in ottavo con copertina rigida in tela celestina, con due linee blu che si intersecano al piatto anteriore. Nella sopraccoperta un “piatto” volante bianco solca il cielo color verde mare e si addentra nell’oscurità. Se prendiamo questo libro come il punto di partenza della rivelazione del problema-Ufo, si può dire che una simile immagine rappresenta l’oscurità dalla quale il problema non uscirà mai più. Oltre mezzo secolo più tardi siamo ancora a dibattere su che cosa sono, da dove vengono e che cosa vogliono questi benedetti dischi volanti. Il libro di Scully parla di strani omuncoli che sarebbero precipitati con il loro disco volante. Inizialmente queste teorie erano state pubblicate sulla rivista Variety e poi messe in volume. Il concorrente True fece svolgere delle indagini e smascherò uno dei testimoni scientifici di Scully, screditando così le affermazioni dell’autore.
The Flying Saucers Are Real di Donald E. Keyhoe è invece un libricino in sedicesimo, copertina rigida ma non rilegata. Largo esattamente 4 pollici e un quarto, è un vero e proprio pocket. La copertina è rivestita tipograficamente da una sottile pellicola trasparente che con il tempo tende a staccarsi. Così è abbastanza difficile trovare una copia di questo libro in perfetto stato. Un libraio di Glendale, California, chiama questa pellicola con il nome di plasticine, ma non so se è corretto. L’illustrazione della copertina è da autentica saga stellare, con dischi volanti fantasiosamente sagomati e colorati, da cui dipartono misteriosi fasci di luce. Il tutto in orbita sulla Terra; si intravede la California in basso. Questa immagine è diventata un classico dell’Ufologia, riportata spesso in locandine e manifesti in occasione di mostre e convegni sui dischi volanti. O riprodotta su pubblicazioni del settore. L’autore, Frank Tinsley, potrà esserne soddisfatto, speriamo solo ne abbia ricavato il giusto guadagno.
Il librettino in sé non è rarissimo, credo ce ne siano in circolazione ancora una certa quantità di copie. Come detto, però, sono rare le copie perfettamente conservate, con ancora la pellicola attaccata. Come se non bastasse, la carta di questo libro tende facilmente ad ingiallire e con il passare dei decenni ritengo diventerà assai fragile.
Per assurdo, infatti, i libri non andrebbero mai letti, soprattutto certe brossure tascabili. Leggendole, pian piano si rovinano, allentandosi o addirittura scollandosi. Per i librai le copie unread (“non lette”) sono le migliori, e il perché è evidente al momento di pagare il conto!

La Sanctilean University, il pazzo lato dell’America!
Del lotto degli aspiranti al titolo – forse più platonico che altro – di “primo nato” tra i libri sui dischi volanti fa parte anche lo strano Flying Saucers: Portents of These “Last Days” della Sanctilean University. È in realtà un booklet, cioè un libricino, poco più che un opuscoletto. Conta 40 pagine in formato ottavo, ha una copertina giallo cadmio, con titolazioni in azzurro. È il booklet n. 2 della serie della Sanctilean University di Florence, Arizona. Va subito detto cosa sia questa Sanctilean. Una specie di congrega religioso-culturale che professa ideali new age, una delle tante che caratterizzano il poliedro Stati Uniti d’America. Questa università, sono loro stessi che lo dicono, “è una Educational Corporation dello stato dell’Arizona, in possesso di tutte le autorizzazioni legali di ogni altra università al mondo”. Il libretto in questione non è frequente sul mercato del raro, in effetti deve essere stato stampato in un numero limitatissimo di copie, poste in vendita a 50 cents l’una nel 1950. Si divide in tre parti e nell’ultima tratta del fenomeno dei dischi volanti. La sezione in questione si intitola “Flying Saucers and Related Phenomena”.
L’autore del libretto non è specificato chiaramente. Tutte le indicazioni presenti riportano il nome della Sanctilean al posto di quello dell’autore, il quale, in carne e ossa, potrebbe essere il reverendo John Lowell che due anni prima (1948) aveva pubblicato un altro volumetto per la stessa serie, per la cronaca si trattava di The Impending Golden Age, considerato abbastanza raro in prima edizione. Dice lo stesso reverendo Lowell:

“La Golden Age – L’Età dell’Oro – è il settimo anno dei tredici che compongono un ciclo solare di avanzamento. Le Età dell’Oro sono periodi ricorrenti di rinnovamento astronomico della Terra, in preparazione per il successivo atto nel processo di creazione. La prossima Golden Age è imminente”.

Così almeno si riteneva nel 1948.

Ma insomma, chi ci sta guardando da lassù?
Gerald Heard, un raffinato scrittore nato nel 1889 in Inghilterra e trapiantato in California dal 1937, fu autore del celebre Is Another World Watching? (New York, Harper & Brothers, 1950). L’edizione americana fu poi seguita da quella inglese, nota con il titolo The Riddle of the Flying Saucers (“L’enigma dei dischi volanti”), edita da Carroll & Nicholson di Londra. Da notare come curiosità il fatto che il titolo dell’edizione americana viene usato come sottotitolo nell’edizione inglese e viceversa.
Anche la sopraccoperta di Is Another World Watching? porta un’illustrazione che poi diventerà familiare per chi si occupa di dischi volanti. La Terra vista da un oblò di un’astronave misteriosa. Un disegno che lascia tutto lo spazio necessario all’immaginazione di ognuno di noi. L’edizione inglese, invece, in maniera più esplicita sotto il profilo del messaggio da dare al futuro lettore, porta una sopraccoperta nella quale campeggia il nostro pianeta illuminato dal sole e dal quale fuoriesce una squadriglia di nove dischi volanti.
L’edizione americana è un libro rilegato con copertina rigida in tela color cappuccino al dorso e finta tela, più scura, ai piatti. Il colore di fondo della sopraccoperta è il grigio grafite. Il formato è l’ottavo, le pagine 183, con quattro tavole di fotografie di dischi volanti. In questo libro Heard si produce in un’ardita teoria. Secondo lui i dischi volanti vengono da Marte. I marziani sarebbero simili a dei grandi insetti ma dotati di un’intelligenza superiore.
Ho, come curiosità, trovato un libro molto particolare scritto da Frank Scully. Si tratta di Blessed Mother Goose (“Benedetta mamma oca”) (Hollywood, House-Warven, 1951). Altro non è che un libro di canzoncine e di rime per maestrine d’asilo. Nulla che riguardi l’Ufologia. Stupende le illustrazioni di Keye Luke. Al frontespizio noto una bella dedica dell’autore a una bambina che ha perso il padre nella guerra di Corea. All’interno del volume, come segnalibro, c’era una bella foto d’epoca che ritrae l’autore mentre consegna una copia del suo lavoro a un sacerdote

[testo tratto da “Dischi volanti e mondi perduti“, in: A caccia di libri proibiti, di Simone Berni (Edizioni SimOn, 2019)]

sabato 5 ottobre 2019

Alieni e Umani - Una questione di contatto - Roma

Nel corso dei secoli, popoli di tutto il mondo hanno tramandato attraverso i testi e le raffigurazioni artistiche, la comparsa di misteriosi oggetti volanti nei cieli del nostro pianeta.
In alcuni casi essi hanno anche descritto gli incontri con gli occupanti di questi velivoli rappresentandoli a volte come temibili divinità, a volte come pacifici visitatori celesti.
L’obiettivo che si propone, partendo dalla consapevolezza che non siamo certamente soli in questa parte dell’universo e che, forse, non lo siamo mai stati, è quello di stimolare la curiosità, ma soprattutto i dubbi, di tutti coloro che si sentono attratti da questi argomenti, per cercare di trovare, insieme, le risposte alle molte domande e ai molti enigmi che ancora oggi circondano l’affascinante mistero degli UFO.

Fusolab 2.0
Sabato 19 ottobre 2019 dalle ore 16:00 alle 20:30
Viale della Bella Villa 94, 00172 Roma




mercoledì 2 ottobre 2019

Storia ascetica del Giappone

Il Giappone rappresenta, insieme a pochi altri stati nel mondo, un mosaico di situazioni, emozioni e religioni molto diverse tra loro ma tutte accomunate dalla medesima “parola d’ordine”: la pacifica convivenza.
Il Sol Levante, però, risulta anche peculiare in quanto il vissuto di tutte le fedi lì presenti si radica fin dagli albori della sua storia, arrivando a permeare anche la letteratura e l’intera società che, con il passare del tempo, ha portato ad una commistione tra le principali credenze autoctone dello Shintoismo e le fedi “importate” come il Buddhismo, il Confucianesimo ed il Taoismo.
Come comprendere quindi la genesi e l’evoluzione di un mondo così particolare?
Ovviamente partendo dalla storia, che rappresenta da sempre il punto cardine per un’indagine accurata del contesto in cui si insinuano talune realtà o aspetti di essa; la filosofia che risulta estremamente importante in tutto l’Estremo Oriente antico e moderno; la mitologia e la letteratura che portano da sempre un enorme contributo allo sviluppo e al mantenimento delle realtà spirituali e formative della persona e dello stato; la religione in senso stretto, in quanto formata da quel quid di esperienze e rituali che permettono al singolo di crescere ed evolvere o semplicemente di seguire il dettame imposto dalla fede che avrà poi il compito di forgiare l’identità nazionale.
Il Giappone è tutto questo e molto altro!
Insieme alla yamatologa, Rossana Carne – laureata presso l’Università degli Studi di Torino – iniziamo questo viaggio alla scoperta della religione e del misticismo in Giappone per comprendere le radici storiche di un grande passato e la loro influenza sul presente.

Ancora una volta la nostra Associazione si pregia di invitarvi ad un appuntamento di straordinario interesse al quale non mancare assolutamente!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando i numeri 379.1610521 - 346.9451451 -  o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.

Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.


sabato 28 settembre 2019

La reggenza di Michele Arcangelo nell'era dell'ascensione umana

Vi segnaliamo questo evento gratuito organizzato dall'associazione SARAS:

La reggenza di Michele Arcangelo nell'era dell'ascensione umana
sabato 12 ottobre ore 20,30 via A. Volta, 1 - Gattinara (VC)


mercoledì 25 settembre 2019

La magia. Nei secoli e secondo Giordano Bruno

La magia. Nei secoli e secondo Giordano Bruno

di Gianmario Ricchezza e Daniele Trucco

Il lavoro cerca di procedere in modo cronologico mettendo in luce contemporaneamente l’evoluzione del pensiero magico con tutti i suoi notevoli cambiamenti concettuali e gli elementi che invece accomunano da sempre la sua storia. In particolare si è notato quanto il suono e la figura siano ancora oggi elementi indispensabili all’efficacia dell’atto magico: nonostante l’era informatica abbia modificato l’approccio a un certo tipo di ritualità, l’idea chiave della visualizzazione simbolica e della sonorizzazione del comando non si è estinta. Completa il lavoro una nuova traduzione del De magia di Giordano Bruno.


La magia. Nei secoli e secondo Giordano Bruno
Collana: Magia, miti e culti
Pagine: 198
Prezzo: € 16,50
ISBN: 9788871693019



Gianmario Ricchezza ha studiato filosofia all’Università Statale di Milano. Ha curato per Excelsior1881 (Milano) le edizioni moderne dei testi di Giordano Bruno: Il candelaio (2008), La cabala e l'asino (2010), La cena delle Ceneri (2012). Ha pubblicato con M. Cavallero per la Golem Edizioni (Torino) Giordano Bruno e la nascita dell'arte moderna (2016).

Daniele Trucco si è laureato in Lettere presso l’Università di Torino, ha conseguito il Diploma in Pianoforte al Conservatorio “G. Verdi” di Torino e quello di Composizione al Conservatorio “F. Ghedini” di Cuneo. Collabora con riviste di arte e di matematica, ha pubblicato saggi, narrativa e composizioni per vari strumenti e, oltre all’insegnamento di materie letterarie nella scuola pubblica, si dedica alla musica condirigendo lo CFAM di Verzuolo.


sabato 21 settembre 2019

I primi libri spagnoli sugli UFO (anni ’50)

tratto da http://www.cacciatoredilibri.com/i-primi-libri-spagnoli-sugli-ufo-anni-50/

di Simon Berni

L’anno zero delle pubblicazioni sugli UFO in Spagna (e nel mondo): 1950

Se andiamo alle origini del fenomeno Ufo in Spagna dobbiamo considerare due libri che uscirono nell’anno zero dell’Ufologia mondiale, ovvero Los “platillos voladores” (“I piatti volanti”) (Barcelona, Editorial Molino, 1950) di J. M. Díez Gomez e En el país de los platillos volantes (“Nel paese dei piatti volanti”) (Madrid, Gráficas Nebrija, 1950) di J. Curto Guzmán.
L’anno successivo si ebbe Platillos volantes (“Piatti volanti”) (Barcelona, Bruguera, 1951) di Peter Debry. A seguire, El secreto de los platillos volantes (“Il segreto dei piatti volanti”) (Madrid, Calleja, 1952) di Juan Antonio De Laiglesia. Sono questi quattro i primi libri sul fenomeno dei dischi volanti mai apparsi in Spagna. Sono questi che dovete cercare.
Parliamo un po’ delle loro ingenue ma spettacolari copertine. Los “platillos voladores” si presenta con un fiammeggiante “piatto” volante, che viene spettacolarmente inseguito da un bimotore il quale sale di quota verticalmente nel cielo, bucando le nuvole, come fosse un missile! Il secondo volume di questa mini-rassegna, En el país de los platillos volantes, invece, non ha una copertina illustrata. Presenta solo un titolo con caratteri “calligrafici”, che sono comunque testimoni del gusto e dello stile dell’epoca.
Platillos volantes ricorda un fumetto in bianco e nero, con un ipotetico agente segreto dell’epoca, armato di rivoltella, che fugge via in sella alla sua superaccessoriata motocicletta, inseguito da tre piatti bianchi saettanti nel cielo, al di sopra di una metropoli.
La copertina che preferisco, comunque, è quella di El secreto de los platillos volantes. Una donna misteriosa (o un essere androgino?) con una svolazzante camicia gialla è al cospetto di un extraterrestre (verde, ovviamente) dalle orecchie spropositate. Un lembo della camicia della donna si rivela provvidenziale nel coprire il sesso dello strano e buffo essere. Ma tutti e quattro i libri citati, che coprono gli anni che vanno dal 1950 al 1952, sono nella realtà delle opere di science fiction, non trattando di dischi volanti frutto di reali avvistamenti, ma solo platillos volantes come ingredienti “esotici” di novelle e romanzi. Questo sebbene nel libro di J. M. Díez Gomez alcune sue opinioni personali sui dischi volanti siano intercalate nel testo alla finzione letteraria, che è comunque prevalente.


Los “platillos voladores”, di J. M. Díez Gomez (Barcelona, Editorial Molino, 1950)

Platillos volantes, di Peter Debry (Barcelona, Bruguera, 1951)

El secreto de los platillos volantes, di Juan Antonio De Laiglesia (Madrid, Calleja, 1952)

Los platillos volantes y la evidencia, di Manuel Pedrajo (Santander, edizione privata, 1954).

Le perle più rare

Il super esperto di ufo-bibliofilia spagnola, Antonio González Piñeiro, suggerisce due titoli veramente introvabili e che farebbero “impazzire” qualsiasi cercatore di libri. Il primo è anche il primo libro pubblicato in Spagna sul “problema” dei dischi volanti, Los platillos volantes y la evidencia (“I piatti volanti e l’evidenza dei fatti”) (Santander, edizione privata, 1954) di Manuel Pedrajo. Il libro fu fatto stampare dallo stesso autore. Il secondo pezzo raro di questa mini rassegna è Astronaves sobre la Tierra (“Astronavi sulla Terra”) (Barcelona, Oromí, 1955) di Eduardo Buelta, un opuscoletto, 28 pagine, credo uno dei pochi documenti al mondo sulla cosiddetta teoria del ciclo bienal marciano, in voga tra i primi contattisti spagnoli e poi derelitta.

Fernando Sesma

Se ritorniamo all’intrigante Fernando Sesma – vedi un precedente articolo: Ummo, il libro “que no se piede hallar”: la chimera introvabile dello’ufologia spagnola – non possiamo fermarci al suo libro sugli ummiti, come se niente fosse. L’esperto di libri sugli Ufo (e non solo) Marco Mucci di Roma mi segnala di essere in possesso del rarissimo Los platillos volantes vienen de otros mundos (“I piatti volanti vengono da altri mondi”) (Madrid, Editorial Fiel, 1955). Da una breve ricerca incrociata tra gli appassionati è risultato che nessuno abbia mai avuto questo volume fra le proprie mani. A volte viene citato nelle bibliografie, come se il suo contenuto fosse di dominio pubblico e ben conosciuto a tutti, ma chi lo ha mai visto veramente? Si tratta per la verità di un grosso opuscolo, conta 78 pagine. Il libro fa un’analisi dell’Ufologia mondiale dei primi anni ‘50, con un occhio particolare ai contattisti d’oltre oceano come Adamski. Trovarne una copia sul mercato è la speranza di molti, ma pochi la vedranno realizzarsi. Abbastanza raro è pure Yo, confidente de los hombres del espacio (“Io, il confidente degli uomini dello spazio”) (Madrid, Editorial Tesoro, 1965), nel quale l’autore getta, per così dire, le basi della sua ricerca, ne delinea l’approccio e ne rammenta gli esordi, citando esperienze “significative” durante le sue interminabili e proficue passeggiate nel parco centrale di Madrid.
Sempre di Sesma, da cercare anche l’intessante ¡Sensacional! Hablan los extraterrestres! (“Sensazionale! Parlano gli extraterrestri”) (Madrid, Gráficas Espejo, 1966). Sempre più difficile da rintracciare, invece, è La logica del visitante del Espacio (Madrid, Editorial Tesoro, 1969) che, come si dice in copertina:

“No es un libro más sobre OVNIS. Es una primera y auténtica explicación sobre la conducta desconcertante de sus tripulantes y su filosofía (“Non è un altro libro sugli Ufo; è una prima autentica spiegazione sulla condotta sconcertante dei loro abitanti e della loro filosofia”)”.

Ritengo tuttavia che due delle opere sui dischi volanti più introvabili di Fernando Sesma (alla pari di Los platillos volantes), collocate anch’esse negli anni ‘50, siano da considerarsi rispettivamente La piedra de la sabiduría (“La pietra della sapienza”) (Madrid, Marisal, 1956) ed Esquema de la nueva filosofia de la piedra del espacio (“Schema della nuova filosofia della pietra dello spazio”) (Madrid, stampato in proprio, 1958); si tratta di due opuscoli, contando il primo 78 pagine e il secondo appena 24. L’argomento di questi due lavori ruota attorno al misterioso significato di strani caratteri incisi su una pietra che un sedicente extraterrestre avrebbe consegnato a un anonimo infermiere (e poi famoso contattista), Alberto Sanmartín, pare nel novembre del 1954. Devo ammettere (senza nulla togliere all’importanza del reperto) che quei geroglifici incisi sulla pietra rettangolare (avendoli visti) sembrano piuttosto ingenui, specialmente se osservati oggi e non cinquant’anni fa.
Un altro opuscoletto di Sesma, non facile da rinvenirsi, è La llama de seda (“La fiamma di seta”) (Madrid, Marsiega, 1976), che racchiude massime filosofiche ed esistenziali. A Barcellona ne ho trovata una copia sciaguratamente sfuggita ai cercatori spagnoli con una preziosa dedica autografa dell’autore al grande ufologo Antonio Ribera. All’interno dell’opuscolo, ben ripiegata, ho inoltre rinvenuto una lettera manoscritta di Sesma datata 11 marzo 1976 indirizzata allo stesso Ribera, dalla quale si evince l’amicizia che legava i due autori e il loro continuo scambio di informazioni e di libri. Il libretto faceva probabilmente parte della collezione personale di Ribera, fortunatamente dispersasi in chissà quanti paesi. Colpevoli i librai.

Libri fantasma

Entrambi gli autori hanno fatto uso di pseudonimi durante la loro attività. Dr. Kérek per Fernando Sesma e Anthony Simons per Antonio Ribera. Per chiudere il discorso sui rari libri di Fernando Sesma, voglio esibirmi in un colpo di scena finale. Sempre su imbeccata del competente Mucci cito infatti la commedia El secreto de Lady Margarita. Non esistono dati bibliografici su questo libro. Forse non esiste neppure il libro (ma se esiste fu stampato sicuramente prima del 1965). Il fatto è che Sesma lo cita ripetutamente in diversi suoi lavori e nonostante ciò esperti bibliofili spagnoli, pur avendo effettuato ricerche in tutte le direzioni, non ne hanno mai trovata traccia. La misteriosa signora sarebbe una nobildonna di Albacete, Margarita Ruiz de Lihori, invischiata in non si sa bene quale strana faccenda con il popolo extraterrestre degli ummiti. Il mito della mano cortada (“mano recisa”) sembra presiedere il tutto. Non ci è dato aggiungere di più. Ecco un vero e proprio misterio, al quale corrisponde il suo immancabile “libro proibito”.
A proposito di “donne fatali” nella vita di questo insolito autore, un cenno lo merita la conturbante figura di Mercedes de Sosa. Vi aleggia un piccolo mistero, ma sono cose di mezzo secolo fa, ormai. Un altro enigma ruota invece attorno a un numero che risulta indissolubilmente legato a Fernando Sesma: 372452. E lo sarà per gran parte della sua esistenza. Ma è un mistero per i più.

[testo tratto da “Dischi volanti e mondi perduti“, in: A caccia di libri proibiti, di Simone Berni (Edizioni SimOn, 2019)]


lunedì 16 settembre 2019

Memorie del mito, presentazione a Udine

Venerdì 20 settembre Andrea di Lenardo e Federico Divino con l'avv. Nino Orlandi a Udine, alla Libreria Tarantola di Giovanni Tomai, presenteranno il loro libro "Memorie del mito".

Una breve presentazione del libro: i due autori propongono il loro nuovo studio in un'alternanza dialogica di capitoli in cui analizzano il tema del mito e della religione, l'evoluzione del concetto di divinità, i contatti tra India e Grecia, il ponte tra Vicino Oriente ed Europa, miti e filosofie dell'Asia e questioni linguistiche, proponendo tesi innovative tra storia delle religioni e filologia, antropologia e filosofia.


La presentazione del libro:
Venerdì 20 settembre ore 18,30
Libreria Tarantola
Via Vittorio Veneto 20
Udine


lunedì 9 settembre 2019

La vera storia di Pedro Gonzalo

di Nicoletta Travaglini

Correva l’anno millecinquecento trentotto per la precisione era il ventisette di luglio quando si è tenne il regale matrimonio tra Enrico II di Francia e Caterina De’ Medici. La sontuosa celebrazione si svolse nel giardino del castello imperiale della coppia a Fontainebleau in Francia. Agli occhi degli invitati, questa festa apparve subito da sogno. Come in una fiaba, il castello era illuminato a giorno da migliaia di fiaccole che accompagnano il cammino degli illustri ospiti.
Una soave musica melodiosa intratteneva gli invitati che quasi non facevano caso ad essa tra il brusio di sottofondo che spesso veniva sovrastato da una allegra risata delle nobildonne fasciate nei loro variopinti abiti, adoranti da acconciature meravigliose e da cappellini vistosi; il guaito dei cani, le voci baritonali maschili e il rumore delle armature dei soldati, rendevano questa celebrazione una delle più importanti manifestazioni mondane dell’epoca.
Nelle vaste e sale affrescate che si aprivano lungo i corridoi ornati da dipinti e da statue gigantesche di marmo bianco, gli ospiti si divertivano a raccontare aneddoti curiosi, parlare di affari di stato, a danzare o semplicemente ad annoiarsi tra un calice di vino, una risata e un flirt amoroso, la serata scorreva tranquilla.
Nel salone principale si stendevano lunghe tavole su cui erano appoggiati vassoi enormi traboccanti di selvaggina e di frutta anche esotica, mentre gli invitati mangiavano di gusto queste prelibatezze.
La serata stava quasi per volgere al termine quando…  improvvisamente, giunsero diversi carri scortati dai soldati. Nessuno si accorse della loro presenza finché uno squillo di una tromba annunciò l’arrivo della carovana. Enrico II precipitò a vedere cosa stava accadendo, giunto vicino ai carri un soldato gli consegnò uno stravagante regalo per gli sposi: un animale peloso chiuso in una gabbia.
Dopo lo stupore iniziale, però, tutti gli invitati e i regali consorti realizzarono che, in realtà, non si trattava di un animale, bensì di un adolescente il cui viso e corpo era ricoperto di lunghi peli!
 Gli ospiti stupefatti e curiosi guardavano il ragazzino spaventato, mentre molti pensarono che i regali non avrebbero mai tenuto al castello questo bizzarro e curioso regalo ma invece……..., non fu così.
Infatti era il 17 agosto 1538, quando Caterina ed Enrico battezzarono questo ragazzino con il nome di Pedro Gonzales e fu accettato da tutta la corte imperiale. Enrico lo fece studiare e lo trasformo in un vero gentiluomo. Si narra che Caterina lo chiamasse con l’appellativo di “Barbet”, per via della somiglianza con una razza canina… fin qui una il racconto romanzato delle nozze di Caterina ed Enrico a cui fecero un regalo alquanto bizzarro e che poi da semplice dono di nozze Pedro Gonzales divenne il protagonista di una delle più belle favole di tutti i tempi: “La Bella e la Bestia”.
Ma in realtà la vita di Pedro fu così bella come si raccontato fino ad ora?
Secondo Angela Grazia Arcuri la storia sembra essere andata diversamente e non tutto fu come in una fiaba!  Secondo quando si legge nel sito  https://www.2duerighe.com/rubriche/storie/37089-petrus-gonsalvus-il-gentiluomo-alla-corte-di-enrico-ii-che-ispiro-la-favola-della-bella-e-la-bestia.html la storia del protagonista della favola La Bella e la Bestia pare abbia avuto una vita molto movimentata. A tal proposito scrive Angela Grazia Arcuri:
    “ Petrus Gonsalvus, nella sua singolarità, fu nella vita uomo di successo. L’ipertricosi che lo affliggeva e che destava sicuramente grande curiosità, anziché essere un limite finì per rivelarsi un “atout”. Grazie alle sue doti intellettuali, fu considerato uno dei personaggi più noti nell’ambiente aristocratico del XVI secolo. E questa è la sua storia. Nacque nel 1537 a Tenerife, discendente dei “mencey”, i re degli aborigeni delle Canarie (guanchi) sopraffatti e resi schiavi dalla conquista spagnola a fine ‘400. Sembra che Pedro Gonzales, questo il suo nome, era un “muchacho muy hermoso”, la cui caratteristica era quella di avere il volto e il corpo coperti da una fine peluria rosso scuro, che tuttavia scopriva nel volto dei bei lineamenti regolari, come riportano le cronache dell’epoca. All’età di dieci anni, pare che fu inviato come “regalo” dalle Canarie al Re Carlo V nei Paesi Bassi, ma durante la traversata un’incursione di corsari francesi portò alla cattura di Pedro che fu condotto invece, giochi del destino, in omaggio ad Enrico II re di Francia. A quella Corte dominava allora la storica Caterina de’Medici, moglie del re, una donna dalla forte personalità caratteriale e politica, piccola di statura e assai poco piacevole d’aspetto, piuttosto egoista e spesso crudele, con alcune peculiarità come l’essere estremamente golosa (fu la prima ad introdurre a corte l’uso della forchetta), nonché amante di tutto ciò che fosse esotico. L’ingresso del ragazzo “guancho” suscitò quindi in lei estremo interesse, l’ambizione davanti ai cortigiani di ospitare una testimonianza unica del suo genere. Pedro fu visto come un’icona esotica da conservare con tutti i riguardi. Fu instradato verso lo studio del latino parlato e scritto ( a quel tempo considerato come la più alta forma di cultura) e delle materie umanistiche, sì che crebbe come un vero gentiluomo restando a Corte per ben 44 anni con il nome di Don Petrus Gonsalvus, un atto dovuto alle sue origini reali. Nel 1573, avendo Petrus 36 anni, la regina credette bene di dargli una moglie. La scelta cadde non tanto casualmente su Catherine, la più bella delle sue damigelle d’onore, forse per la curiosità…scientifica di vedere cosa sarebbe sorto da quel contrastante connubio. Si narra che la fanciulla, al momento di venire presentata a Petrus come moglie, svenne al suo cospetto. Tuttavia, al di là di quella peluria che scuriva il suo volto e che avrebbe intimorito qualsiasi fanciulla in attesa del principe Azzurro, Petrus era dotato di una corporatura imponente, quella caratteristica dei guanchi di Tenerife, i quali avrebbero avuto alle origini infiltrazioni di popoli nordeuropei, di carnagione chiara e capelli biondi. Da qui è ragionevole desumere la peluria rossiccia di Petrus. E’ da supporre che l’iniziale deliquio di Catherine e il matrimonio forzato si risolvessero in un’unione insperatamente felice, in quanto la sensibilità, la dolcezza e la cultura di Petrus finirono per conquistarla. Ne nacquero infatti ben sei figli, quattro dei quali affetti da ipertricosi. E la Regina fu accontentata. Ulisse Aldrovandi, appassionato naturalista del ‘500, studiò i membri della famiglia Gonsalvus, pubblicandone le immagini su uno dei suoi volumetti dal titolo “De Monstris”, laddove il termine latino “monstrum” non aveva quel significato negativo che noi moderni usiamo attribuirgli, ma qualcosa fuori dall’ordinario, di portentoso, di eccezionale. Infatti, Aldrovandi presentava quelle malformazioni che la natura spesso regala a sorpresa a tutti gli esseri di questa terra, umani, animali e vegetali. A sua volta, la ritrattista Lavinia Fontana, amica della famiglia Aldrovandi, ritrasse la figlia di Petrus Antonietta, detta Tognina, e così anche lo stesso Petrus. Ma cos’è l’ipertricosi? La causa è da riscontrare in un’alterazione genetica a carico di alcuni cromosomi, un capriccio del dna. Venne chiamata “sindrome del lupo mannaro” ed anche “sindrome di Ambras”, dal nome di un castello presso Innsbruck, capoluogo del Tirolo, dove furono scoperti i ritratti della famiglia Gonsalvus tuttora conservati nella “Camera dell’Arte e delle curiosità”. Varrebbe la pena come interessante meta turistica. Pare che Petrus Gonsalvus e la sua famiglia siano i più antichi casi di ipertricosi documentati in Europa. Tale disturbo è poco riscontrato nelle etnie asiatiche e nere e poco comune nel nord Europa, più frequente invece nel bacino mediterraneo. Attualmente, in tutto il mondo sono noti un centinaio di casi di questa che è ritenuta una vera malattia, strumentalizzati dai mass media e visibili ormai da tutti in note trasmissioni televisive nazional-popolari. Questa insolita storia d’amore è stata popolarmente assimilata a quella de “La Bella e la Bestia” e per certi versi vi sono delle chiare similitudini. La fiaba, scritta nel 1550 dall’ italiano Gianfrancesco Straparola e poi dal francese Charles Perrault a fine ‘600, pur se con ogni probabilità ispirata alla figura di Gonsalvus a quel tempo molto noto, in realtà trova le sue origini nell’antica letteratura classica greco-latina , ricordando “Le Metamorfosi” di Apuleio, scrittore filosofo di scuola platonica originario della Numidia. Ci sarà poi tutto un fiorire di riletture della fiaba nel corso del ‘700 a sfondo sociale-educativo, fino ai giorni nostri con versioni cinematografiche, letterarie, teatrali e nel piccolo schermo. Dopo la morte di Caterina de’Medici nel 1589, Petrus Gonsalvus con la famiglia lasciò la corte francese per recarsi in Italia, dove soggiornò alla corte di Parma. In seguito, si stabilì definitivamente a Capodimonte sul lago di Bolsena (Viterbo), dove morì nel 1618, all’età di 81 anni. I particolari della sua vita si trovano nell’Archivio Vaticano e negli Archivi di Stato di Roma e Napoli.
“ El salvaje gentilhombre de Tenerife” (Il selvaggio gentiluomo di Tenerife), come intitola il suo libro Roberto Zapperi, scrittore di storia e antropologia, terminò i suoi giorni nella tranquillità del lago laziale, lontano dai clamori delle Corti reali. E questo “lupo mannaro” buono e sensibile ci può insegnare quanto relativo sia il valore della bellezza. Imparò a capirlo la sua devota Catherine.”
Secondo alcune fonti affermano che la progenie di Petrus sia stabilità in Abruzzo dando vita un fiorire di leggende su strani esseri che popolavano i boschi e che erano simili a persone affette da ipertricosi, facendo nascere il mito del selvaggio che sembrerebbe essere metà umano e metà animale. Altri affermano che Maddalena Ventura o Donna barbuta  la protagonista del dipinto di Jusepe de Ribera presente al museo del Prado di Madrid non sia la sola che all’epoca viveva in Abruzzo. Infatti pare che in alcuni paesi dell’Abruzzo interno vivessero alcune donne affette da ipertricosi.(1)

1) https://www.2duerighe.com/rubriche/storie/37089-petrus-gonsalvus-il-gentiluomo-alla-corte-di-enrico-ii-che-ispiro-la-favola-della-bella-e-la-bestia.html

mercoledì 4 settembre 2019

NURKARON, L'ARCIERE DELL'ISOLA DEI NURAGHI

Un romanzo che introduce al mondo misterioso della Sardegna del 10° secolo a.C. E’ uscito ai primi di maggio, a cura della Carlo Delfino Editore, l’opera prima di Giuseppe Tito Sechi, dall’arcano titolo “Nurkaron, l’arciere dell’isola scomparsa”. Ma, fin dalle prime righe dell’originale e accattivante prefazione, il lettore scopre che quell’isola dall’infelice sorte è tuttora baciata dal mare ed è la Sardegna, quella di qualche millennio fa; quella che ha espresso la bella civiltà dei nuraghi.

 Un’isola reale e fantastica in pari tempo che emerge dalla penna di un sardo doc che, alla bella età di settantasette anni, ha realizzato il sogno cullato fin da quando era dirigente di banca e specialista di diritto tributario. Sorprendentemente la Sardegna di Grazia Deledda, di Giuseppe Dessì, di Salvatore Satta, di Marcello Fois, di Michela Murgia, riscopre uno scrittore dalla felice scrittura, forbita, vivida e coinvolgente. Una prosa classica, che descrive straordinari scenari bucolici, situazioni drammatiche, timori e paure ancestrali, nella quale trovano spazio similitudini che conferiscono forza suggestiva a sensazioni e moti dell’anima.

Né mancano i momenti aulici, nei quali la poesia offre il destro agli ispirati sentimenti dell’arciere protagonista del romanzo. Così come quando sulle alture del Sinis, giubilante per la grande meraviglia che aveva preso l’amata giovane Kersa, alla scoperta per la prima volta dell’azzurra distesa del mare, egli canta: “Non volle Dio Creatore/ che del piede suo/ la solitaria impronta di pietra/ i figli di Sardegna tenesse prigionieri./ Così cullati dal Grande Mare,/ così liberi/ e soli./ Si commosse al vederli/ in quell’esilio dorato. / Al primo Sardo che bagnò il suo piede/ nel salato mare/ mostrò la navicella e la rotta, / guidò il suo sguardo/ verso le infinite sponde abitate/ che la vastità dell’inesplorate acque/ nascondeva.” Si coglie in diverse parti del romanzo di Sechi il filo conduttore di una struggente passione per la sua terra, nell’epoca indagata ancora più bella e misteriosa.

Sentimento presente specie nella descrizione dei paesaggi, della flora e della fauna che arricchiscono i luoghi, degli ambienti di vita e di lavoro, dove si muove un’umanità semplice, che tiene in gran conto i defunti, che nutre una profonda fede verso “Babbai nostru”, il Dio creatore del cielo e della terra. Così assume corpo e anima l’affresco di una Sardegna risalente a trenta secoli prima, frutto di attenta indagine delle fonti accreditate, nonché di recupero di sentimenti e passioni atavici e di antichissime tradizioni, di cui ancor oggi la Sardegna mantiene viva memoria.

 Si pensi, ad esempio, alla pratica della più cordiale accoglienza al forestiero, tuttora riscontrabile, specie nei centri dell’interno. Forti così si possono cogliere l’anima e le esteriori manifestazioni di una antica e affascinante civiltà, ancora poco indagata e raccontata, specie per quanto riguarda i costumi, la vita sociale, l’organizzazione amministrativa, la fede. Ma perché, potrebbe chiedersi chi legge queste note, il titolo del libro rimanda ad un’isola “scomparsa”? La ragione la rivela l’autore nella prefazione e risiede nell’infausta sorte che toccò alla Sardegna nella seconda metà del sesto secolo avanti Cristo a causa dell’invasione subita da Cartagine.

Questa potenza emergente d’Africa, occupate le coste dell’isola e sospinte all’interno le popolazioni rivierasche, chiuse per sempre al popolo dei nuraghi le millenarie vie del Mediterraneo che aveva percorso fin dai lontani tempi del commercio dell’ossidiana, la pietra vulcanica lucida e tagliente tratta dal suo Monte Arci. Questo drammatico evento avrebbe così cancellato dalle mappe nautiche, e dalla storia, l’isola di Sardegna. Da allora, e per secoli, l’isola “scomparsa” prese ad emergere dai racconti dei naviganti, fantastica, prospera e felice, ricca di foreste e di selvaggina, priva di fiere e animali velenosi. Forse la favoleggiata Atlantide siccome, con dotte argomentazioni, ha supposto Sergio Frau, nel suo argomentato “Le Colonne d’Ercole”. Quell’evento, per quanto attestano via via gli scavi archeologici, deve esser stato realmente deleterio per i Sardi.

 Essi, che in tutto il millennio precedente, in piena libertà e autonomia, avevano preso a occupare con molte migliaia di torri megalitiche troncoconiche – singole o riunite con antemurali a formare vere fortezze – ogni contrada dell’Isola, si ritirarono in gran parte nei luoghi più sicuri dell’interno. Quando, in sul finire del terzo secolo a.C., Roma strappò dalle mani di Cartagine la Sardegna, si trovò, malgrado la fiera resistenza delle genti dell’interno, in una terra che era regredita ad un regime di sopravvivenza: lo spirito illuminato e civile, profondamente religioso, che aveva contraddistinto quell’epoca era stato umiliato e soffocato. Sul terreno, e sotto terra, di essa rimasero le gigantesche torri nuragiche, le grandi tombe “di Giganti”, i preziosi pozzi sacri, le piccole immagini espresse con grande maestria nel bronzo.

Di queste straordinarie testimonianze di civiltà, del resto, neppure la superba Roma si era curata. Tutto ciò l’Autore accoratamente esprime tra le righe del romanzo e, come già detto, nella sua prefazione, facendo di ciò un’appendice di estremo interesse per il lettore che si avvicina per la prima volta alla conoscenza dell’antica civiltà sarda. Giuseppe Tito Sechi – studi classici al liceo Azuni e laurea in giurisprudenza nell’Università di Sassari, dove è nato e risiede – prova sofferenza per quegli eventi storici che hanno mortalmente ferito l’antica civiltà espressa dai suoi avi. Ma, come egli argomenta, con la sua isola, comunque, il tempo è stato galantuomo: ancorché non siano state rintracciate finora attendibili testimonianze scritte, il frutto degli scavi archeologici finora effettuati le sostituisce degnamente. Quanto sinora è venuto alla luce costituisce autentica narrazione di una storia realmente vissuta e testimoniata.

Infatti, non solo i numerosissimi monumenti megalitici che costellano il paesaggio sardo, ma anche le straordinarie opere d’arte rappresentate dai “bronzetti nuragici” già ricordati, all’attento osservatore dicono in termini non equivoci del grado evoluto e dello sviluppo sociale raggiunto in crescendo sino al 6° secolo a.C.. Queste singolari statuette, fuse nel bronzo col metodo della cera persa, si trovano esposte nei principali musei archeologici, specie dell’Isola. Al visitatore si mostrano in una variegata gamma di personaggi appartenenti ad ogni ceto sociale: sono arcieri, opliti, frombolieri, sacerdoti, capi dei villaggi, offerenti che si accostano alla divinità con spirito devoto, donne e sacerdotesse, madri che recano sul grembo e offrono al Dio il figlio esanime; tutti in significativi abbigliamenti e austeri portamenti.

Non manca una rassegna di animali domestici e una ricca collezione di navicelle, talune recanti a bordo uccelli, carri e bovi. Vi è da osservare che le ricerche archeologiche degli ultimi decenni hanno fornito un ulteriore insperato contributo alla riscrittura della storia della Sardegna: a occidente dello stagno di Cabras, non molto distante dall’approdo nuragico di Tharros e dalla penisola del Sinis, prima richiamata, cinquemilatrecento grandi e piccoli frammenti di bianca arenaria, ivi ritrovati, sono stati in buona parte ricomposti dall’Istituto del restauro di Sassari in ventisei gradi statue di atleti e guerrieri, ribattezzate Giganti di Mont’e Prama dal sito del ritrovamento.

Queste opere, di straordinario rilievo artistico anche per l’epoca nella quale sono state realizzate, precedente alla grande fioritura della straordinaria scultura greca, sono richiamate nel romanzo di Sechi e immaginate a corredo e lustro del Tempio di “Babbai Nostru”, un santuario che secondo taluni sarebbe realmente esistito; descritto nel romanzo, perché mèta del pellegrinaggio di Nurkaron e Kersa prima della partenza del guerriero alla volta della Palestina. La narrazione, per tutte le oltre trecento pagine del volume, procede fluida e coinvolgente, conducendo il lettore con straordinaria ispirazione a rivivere il mondo dei Nuragici in sul finire del decimo secolo a.C.

E’ questa l’epoca in cui i Libri Storici della Bibbia (Samuele 1-2) collocano una precisa fase della lunga guerra tra le cinque città confederate dei Filistei e Israele: quella della sanguinosa battaglia del Monte Gelboe, nella quale l’esercito israelita condotto da Saul subisce la sconfitta e lo sfortunato Re, persi nello scontro Gionata ed altri due suoi figli, si procura eroicamente quella morte che tanta letteratura e teatro ha ispirato fino ai nostri giorni. Nurkaron, alla guida della compagine degli arcieri nuragici, si distingue nello scontro cruento e riesce a portare a salvamento il re della città confederata di Gath.

Ma prima che le ombre della notte siano calate sulla spianata insanguinata resta ferito, vaga febbricitante nel buio, finisce in territorio nemico. Ma è il vecchio pastore Ibrahim – un saggio ebreo, potenziale nemico – che lo porta a salvamento, l’ospita nella sua casa e lo affida alle cure della giovane e bella figlia Anna. In quel frangente una serie di avvenimenti cambiano la vita del guerriero toccandolo nel suo intimo: inconsci stati d’animo lo turbano, mentre scopre altre ragioni che rafforzano l’idea che già s’era fatta in terra di Palestina: che quella guerra tra Filistei ed Ebrei sia insensata, giacché accordi di pace potrebbero favorire la convivenza dei due popoli e assicurare agli Ebrei l’accesso al Mediterraneo.

 Dopo, si apre la via del ritorno al suo accampamento, ai suoi arcieri, all’isola avita e alla sua promessa sposa Kersa. Drammatica è l’attesa dei familiari a Shardara, tra una ridda di voci che dai lontani lidi giungono agli approdi dell’isola, e drammatico ancor più è l’arrivo del drappello dei cavalieri condotti da Nurkaron nella spianata delle adunanze del suo villaggio di Sa Costa”. Vi è da notare che, tra le altre, due interessanti tracce arricchiscono il romanzo. Una, che percorre tutta la narrazione, costituita dall’ordine perentorio impartito all’Arciere dall’Autorità degli Otto Cantoni in cui è suddivisa la Sardegna: impadronirsi ad ogni costo del segreto del ferro negato dall’alleato filisteo.

L’altra coinvolge – in una costruzione fantastica il cui ordito è costituito dalla narrazione biblica – Davide, rifugiato in una città filistea del regno di Gath, al tempo in cui Saul gli dà ostinatamente la caccia. Nurkaron, ospite coi suoi cinquanta guerrieri, di re Achis, sovrano della stessa Città, ha la ventura d’incontrare il giovane Unto del Signore nel palazzo reale e, alla fine delle libagioni, invitati dal sovrano entrambi i guerrieri declamano versi. Davide, accompagnandosi con la cetra, canta il Salmo 17, a lui attribuito secondo la tradizione.

Nurkaron, al suono delle launeddas, antichissimo strumento di Sardegna, rende omaggio all’intrepido israelita e al suo Jhwh, che riconosce essere lo stesso Babbai Nostru , il Dio unico dei Sardi. Egli così canta: “Il Dio, creatore del cielo e della terra,/che, sull’Isola nostra del Grande Mare,/ impresse l’orma del suo piede/ non è forse anche/ il Dio di Abramo e di Mosè?/ Quale misteriosa forza/ ha guidato i nostri Padri/ verso la Verità del Cielo/ se non lo stesso Jhwh?” E’ singolare e degna di nota l’intuizione espressa nel romanzo che il Popolo dei nuraghi credesse nel Dio unico, creatore del cielo e della terra, portato in Sardegna – forse una delle bibliche “lontane isole” del Mediterraneo – dalla travagliata diaspora ebraica. La supposizione è giustificata da Sechi con riferimento a quanto ebbe a scrivere lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni nel suo trattato del 1912, “La religione primitiva in Sardegna”.

Questo assunto, ampiamente giustificato nel contesto del libro, porta l’Autore a credere che le torri nuragiche, presenti in ogni contrada dell’isola, siano state erette, con grande perizia ed enorme dispendio di energie, primieramente per rendere omaggio al Dio dei Sardi. Le loro circolari aggettanti terrazze erano ciascuna l’occhio levato alto al cielo, sede della divinità, dalle popolazioni dell’isola. Solo una fede forte e condivisa poteva giustificare quelle torri megalitiche sparse per tutta l’isola. L’assunto – che esclude sia la destinazione a guerre intestine, sia l’esclusivo uso abitativo dei nuraghi – appare giustificato sia dalla presenza di numerose abitazioni circolari che attorniano molti nuraghi, sia dall’assenza di città fortificate e plaghe disabitate; e ancor più da una fede consolidata, testimoniata da centinaia di personaggi fusi nel bronzo colti nell’atto di salutare o di offrire doni alla divinità.

In conclusione si può ben affermare che il romanzo costituisce lo straordinario affresco di un’isola e di un’epoca così mai prima a vive tinte indagata e, in pari tempo, un contributo alla speculazione e alla ricerca di un mondo che ancora tarda ad essere riportato completamente all’attenzione dell’umanità. Una storia così articolata e nuova per ambienti e costumi che potrebbe facilmente suscitare l’interesse del cinema e della tv. Un’opera che per la novità del filone storico meriterebbe di dare spunto a una lunga serie di contributi letterari e teatrali. Niente di più, niente di meno, di quanto sinora alla letteratura, al teatro e al cinema hanno ispirato i più noti giacimenti storico-culturali specialmente dell’antico Egitto, di Grecia, di Roma.


sabato 31 agosto 2019

Miti Cinesi: Dèi, Dragoni e gli Otto Immortali

Miti Cinesi: Dèi, Dragoni e gli Otto Immortali

La mitologia cinese è ricchissima e sconfinata, con le sue numerose divinità, gli Imperatori leggendari, gli eroi fondatori e coloro che portarono al paese cultura e innovazione. In questo volume partiremo dalla creazione del mondo, scoprendo gli dèi e gli eroi che lasciarono un’impronta indelebile nell'immaginario cinese, per poi raccontare le gesta degli Otto Immortali, entità assai particolari, molto amate e spesso presenti nelle leggende della Cina. Incontreremo dragoni di ogni tipo, divinità e saggi Imperatori, arrivando a conoscere meglio una tradizione ricca di sorprese. La collana Meet Myths (Incontra i miti) si propone di far conoscere la mitologia anche al pubblico non specializzato. Questi libri vogliono essere un modo semplice e accessibile a tutti per avvicinarsi ai miti e alle leggende che animavano il mondo antico, e che ancora oggi possono esserci di grande ispirazione.

Miti Cinesi: Dèi, Dragoni e gli Otto Immortali
Copertina flessibile: 176 pagine
Editore: Independently published (22 agosto 2019)


mercoledì 28 agosto 2019

Terzo Convegno di ufologia Città di Rho


Domenica 29 settembre 2019 ore 9,30 terzo convegno di ufologia Città di Rho con ospite Pierfortunato Zanfretta.

Auditorium padre Reina - via Meda, 20 - Rho (Milano)


sabato 24 agosto 2019

MARTE il Pianeta rosso e misterioso

“MARTE il Pianeta rosso e misterioso”
Autore: Mimmo Martinucci

Marte, sin dall’antichità, ha destato interesse che, con le spedizioni di sonde sulla sua superficie, si è incrementato ulteriormente. La fantasia degli scrittori di fantascienza si è sbizzarrita con la creazione dei personaggi “marziani”, quasi nostri progenitori, fuggiti dal loro pianeta a seguito di un qualche cataclisma di origine astronomica sconosciuto. Non è detto che non ci sia un briciolo di possibile verità.
Le sonde su Marte hanno ripreso una superficie strana e con particolari che destano interrogativi, solleticando la fantasia. Mi sono voluto attenere alla realtà ma ponendomi ugualmente dei quesiti su certe anomalie del suolo marziano che non possono sfuggire ad una attenta analisi delle foto messe a disposizione dalla NASA.
Alcune foto appaiono … ritoccate. Tutte sono “filtrate” con luce rossa.
Operando opportunamente sulle stesse immagini appaiono invece colori diversi …
Gli interrogativi permangono. Forse nel 2020 vi sarà una spedizione umana sul pianeta rosso … aspettiamo nuove notizie. E spero di esserci. La voglia di conoscenze è forte.

“MARTE il Pianeta rosso e misterioso”
Editore: EditSantoro Galatina (LE)
ISBN 978-88-95545-07-3
Formato: 214 x 30 - Foto interne a colori
Pagine: 132 (grande formato)


mercoledì 21 agosto 2019

C'è un fratello di "Dracula" e ha sangue islandese

tratto da "Il Giornale" del 21 giugno 2019

«I poteri delle tenebre» presenta una versione alternativa a quella classica. Con trama e personaggi differenti

di Luca Crovi

«Esistono misteri su cui gli uomini possono solo fare congetture, e che, epoca dopo epoca, possono risolvere solo in parte».

Si apre con questa citazione da Bram Stoker un volume sorprendente intitolato I poteri delle tenebre. Dracula, il manoscritto ritrovato (Carbonio Editore). È l'edizione italiana di Makt Myrkranna che il traduttore e letterato islandese Valdimar Ásmundsson pubblicò nel 1900 accreditandola come la traduzione fedele del Dracula di Stoker, risalente al 1897. Makt Myrkranna venne pubblicato in Islanda sulla rivista Fjallkonan con un'introduzione inedita dello stesso Stoker, ma non è la semplice traduzione del classico vampiresco, bensì ne è una versione alternativa che presenta molte differenze rispetto all'originale e che proprio per le variazioni fa supporre che sia stata realizzata basandosi su una bozza diversa dell'opera originaria.

A fare la scoperta è stato il ricercatore Hans Corneel de Roos che da anni sta raccogliendo documentazione sul Dracula. Ci sono molti misteri che riguardano l'opera di Stoker. Ne esiste una sola copia dattiloscritta che l'autore donò al colonnello Thomas C. Donaldson. Il manoscritto è stato ritrovato tempo dopo in Pennsylvania in una stalla ed è stato acquistato all'asta da Paul Allen, uno dei fondatori della Microsoft. Esistono anche 124 pagine di appunti della stesura del Dracula che risultano incompleti e sono custoditi al Rosenbach Museum di Filadelfia. Le lettere in cui lo scrittore fa riferimento a quello che divenne un caposaldo della letteratura horror sono soltanto due. Una venne inviata al primo ministro britannico William Gladstone nel 1897 e Stoker vi afferma esplicitamente di aver desiderato «purificare la mente attraverso la compassione e il terrore». La giornalista Jane Stoddard fu l'unica che riuscì a intervistare Stoker per il British Weekly a poche settimane dalla pubblicazione del romanzo e condensò in sole 896 parole il suo pensiero. Fra le testimonianze più singolari sulla genesi dell'opera c'è quella del figlio di Stoker, Irving Noel, che confessò allo studioso Harry Ludlam che suo padre «attribuiva la genesi di Dracula a un incubo fatto dopo un'abbondante cena a base di granchi».

La versione islandese del Dracula pubblicata da Carbonio Editore apre uno scenario incredibile di indagine, perché il testo presenta scene inedite con un montaggio diverso e persino personaggi fino a oggi sconosciuti. Quindi, come ha ipotizzato Hans Corneel de Roos, questa edizione potrebbe essere basata su un manoscritto del Dracula diverso da quello arrivato sino a noi. Come spiega il pronipote Dacre Stoker nella prefazione a I poteri delle tenebre, «il contratto di Bram Stoker del 1897 con Archibald Constable lo lasciava chiaramente libero di vendere Dracula o far tradurre all'estero qualsiasi sua versione... sappiamo che Makt Myrkranna (Islanda, 1900) è stata di fatto la terza versione tradotta di Dracula, dopo l'edizione ungherese, del 1898, e quella svedese, del 1899». Ed esiste un collegamento tra il testo svedese e quello islandese, perché il secondo sarebbe una versione ridotta del primo, ma arricchita di sfumature nordiche.

Queste ipotesi rendono affascinante la lettura de I poteri delle tenebre che dunque è a tutti gli effetti una versione alternativa e parallela del Dracula. Le sorprese iniziano fin dalla citata prefazione inedita di Bram Stoker alla traduzione islandese del suo romanzo, dove dichiara che ciò che stava per raccontare era davvero accaduto: «ci tengo a sottolineare ancora una volta che la misteriosa tragedia qui descritta è completamente vera per quanto concerne gli eventi in sé, sebbene in alcuni punti, naturalmente, io sia giunto a conclusioni diverse da quelle delle persone che in queste pagine la raccontano. Ma gli eventi in quanto tali sono inconfutabili e non possono essere negati, poiché tante persone ne sono a conoscenza. Il ricordo di questa serie di crimini non è ancora svanito dalla memoria del pubblico - crimini che appaiono incomprensibili, ma sembrano scaturire dalla stessa fonte e hanno creato a loro tempo tanto orrore tra la cittadinanza quanto i famigerati omicidi di Jack lo Squartatore, che hanno avuto luogo qualche tempo dopo».

Ed è incredibile pensare che «per più di un secolo la barriera linguistica che ha diviso l'Islanda dal resto del mondo ha impedito agli amanti delle storie soprannaturali di godere di un'opera così eccezionale» come I poteri delle tenebre.


domenica 18 agosto 2019

L'Uomo è un OGM !?

Genesi secondo l'antico sapere dei Cherokee

“il pianeta dei Figli delle Stelle”.

Tra alcuni gruppi di Cherokee dell’Oklahoma e del Texas si parla ancora una lingua detta “Elati”, ovvero “il linguaggio degli antenati”, o anche “il linguaggio delle Stelle”, un modo di esprimersi che i vecchi “medicine men” della tribù considerano provenire dal cosmo.
La tradizione orale dei Cherokee puntualizza infatti che essi arrivarono sulla Terra 250.000 anni fa dalle Pleiadi, che nella loro lingua vuol dire per l’appunto “Antenati”. A tal proposito precisa che l’uomo non discende affatto dalla scimmia, ma dal “Popolo delle Stelle”. Nella cosmologia cherokee la Terra é detta il “Pianeta dei Bambini”, o meglio “il pianeta dei Figli delle Stelle”.
L’antica “Società dei Capelli Intrecciati” parla di un tempo in cui esistevano dodici pianeti abitati da essere umani, i cui progenitori si riunivano su un pianeta chiamato Osiriaconwiya, vale a dire il quarto pianeta della costellazione del Cane Maggiore, cioè Sirio. Su quel pianeta quei grandi sapienti si trovarono un giorno a discutere delle sorti della nostra Terra, detta in lingua cherokee Eheytoma, il “pianeta dei figli”, vale a dire il tredicesimo pianeta. Poiché il nostro mondo era il meno evoluto rispetto agli altri, quei dotti pensarono di aiutarci fondando quattro civiltà: Lemuria, Mu, Mieyhun e Atlantide, all’interno delle quali vennero create grandi scuole di conoscenza e segrete “società di medicina”. Anche i Cherokee dunque si riferiscono a Sirio come al loro luogo di origine.
Il “Wampum”
Sempre a proposito dei Cherokee, ricordiamo che la cintura detta Wampum non rappresentava in passato, come tutti gli studiosi hanno asserito, solo e semplicemente una sorta di MONETA o merce di scambio usata dalla “Confederazione delle Sei Nazioni degli Irochesi” (composta da Irochesi, Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga, Seneca, e in seguito Tuscarora). La cintura, realizzata cucendo insieme in disegni di straordinaria bellezza perline ricavate da parti interne di conchiglie, raccontava anche la storia delle origini di quei Popoli.
Gli anziani dei Cherokee, in proposito, si tramandano numerose storie relative al tempo in cui i loro antenati realizzarono i “mounds”, i “tumuli” che ancora oggi sono visibili in Ohio, prima di separarsi definitivamente dagli Irochesi per migrare altrove.
Le cinture wampum, pertanto, mostrano il DNA di quei popoli e ci dicono che quelle genti provengono dalle stelle, da quali stelle, e come l’umanità fu “seminata”.
Nei Cherokee ci sono sette clans e tutti e sette rappresentano le Pleiadi, le “Sette Sorelle” della tradizione di tutti i Nativi Americani, nonché gli insegnamenti della grande “Legge”.
1. La prima stella fu la stella della creazione,
2. la seconda portò Donna-che-cadde-dal-Cielo,
3. con la terza fecero la loro comparsa gli animali,
4. la quarta portò il profeta,
5. la quinta parla di un’umanità allo sbando,
6. la sesta di un nuovo profeta che parlerà tutte le lingue.
7. Allorché quel profeta si manifesterà al mondo, l’intera umanità sarà testimone dell’apparire improvviso della settima stella.

In questo momento, dicono i Cherokee, la storia scritta sul wampum è arrivata alla fine. Tutte le parole che doveva dire sono state dette. E’ ora arrivato il tempo della settima stella, quella che annuncerà la battaglia del serpente, la battaglia di tutte le razze, nella quale periranno tutti quelli che vivono nell’oscurità, nell’egoismo, nell’avidità.
Il “Wampum” è inoltre preciso su come il “Creatore” scese sulla Terra dal cielo, attraverso il “vasto mare che è lo spazio siderale”, il giorno in cui, come testimoniato anche dai calendari maya, il Sole “sedette” sulla Terra senza bruciarla. Afferma l’indiano Seneca Fred Kennedy: “Quando la stella scende sulla Terra e non la arde, ha inizio la Creazione. La “Grande Legge” narra che il giorno in cui il Creatore scese quaggiù fu la prima volta che questo continente udì il tuono: il suono del Creatore che “rema” nel cielo.”

Dal volume "L'Uomo è un OGM !?"

sabato 10 agosto 2019

Esperti trovano un codice nella Bibbia: avrebbe predetto una profezia

tratto da Il Giornale del 05/02/2019

di Elisabetta Esposito

Nella Bibbia sarebbe contenuta la profezia di un fatto avvenuto nel 1995: ecco cosa hanno scoperto un giornalista e un gruppo di matematici

La Bibbia avrebbe predetto la morte di un Primo Ministro israeliano.

Sembrano esserne certi alcuni studiosi, le cui teorie sono riportate nel documentario di Amazon Prime “Bible Cospiracy”.

Secondo quanto riporta l’Express, questi esperti hanno spiegato di aver risolto un codice segreto all’interno del libro sacro, alla base delle tre grandi religioni monoteiste. Si tratta del giornalista Michael Drosnin e dei matematici Doron Witztum, Eliyahu Rip e Yoav Rosenburg, che hanno scoperto come la Sacra Bibbia predica un evento accaduto 1995.

L’evento in questione è l’assassinio del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin, avvenuto il 4 novembre 1995 per mano di un ultranazionalista di nome Yigal Amir. Rabin fu ucciso al termine di una manifestazione a sostegno di un accordo di pace tra Israele e Palestina, e Amir si oppose strenuamente all’iniziativa, così come agli accordi di Oslo.

Secondo gli studiosi, la profezia si trova nella struttura stessa della Bibbia, trovata grazie all’aiuto del computer, che ha letto il testo in molti modi diversi. A un certo punto, sono state prese in esame sequenze di lettere a intervalli regolari nel testo, che hanno restituito un acronimo che forma la frase “Yitzhak Rabin, assassino che assassinerà, Amir e 5756”. Questo numero è l’anno ebraico che corrisponde al 1995.


La teoria è stata sottoposta ad alcune verifiche, anche perché alcuni altri studiosi hanno evidenziato come questo ritrovamento dipenda dalla struttura matematica e dall’interpretazione moderne della Bibbia. Altri ancora hanno accusato il giornalista e i matematici di aver visto solo quello che desideravano vedere.

mercoledì 7 agosto 2019

Il culto di Mithra

Il culto di Mithra
Copertina rigida: 358 pagine
Editore: Jaca Book (16 maggio 2013)

Collana: Di fronte e attraverso

Mithra è un dio sovrano del mondo indoiranico il cui culto, sorto in India, è passato in Iran e poi in Commagene e all'inizio dell'era cristiana ha conquistato Roma, dove si è posto quale rivale della religione di Cristo. In questo libro, la cui parte più cospicua nasce dalla revisione e dal completamento di un corso svolto all'Università di Lovanio che raccoglie i risultati di una lunga stagione di rinnovamento degli studi mitraici, Julien Ries segue le sue tracce dall'India alle rive dell'Atlantico. Con una particolare insistenza sulle dottrine e sulle ripercussioni che queste hanno avuto sulla società e sulla vita dei fedeli disegna una sintesi che, partendo dalla religione vedica, attraversa l'Iran antico, considera il culto regale e pubblico in Commagene e si conclude con i misteri mitraici diffusi nell'Impero romano. Ne emerge un quadro vivido, efficace e completo delle peculiarità storiche e dei mutamenti dei culti di un dio che, pur conservando numerosi tratti della sua identità primaria, sotto l'influsso degli elementi culturali e religiosi incontrati sulle vie della sua migrazione ha subito gli effetti dell'acculturazione e del sincretismo.