domenica 20 dicembre 2015

Tradizioni e Misteri volume 1

Vi presentiamo questa nuova iniziativa ideata da Nicoletta Travaglini in collaborazione con Vito Foschi, una pubblicazione non periodica dedicata alle tradizioni e ai misteri. In questo primo volume sono raccolti testi dei due autori, ma la pubblicazione è aperta alla collaborazione di altri. Per chi volesse proporre dei testi, l'indirizzo mail di riferimento è il seguente: tradizioniemisteri@gmail.com.
In questo primo volume potete leggere gli articoli di Nicoletta Travaglini su Giovanna D'Arco e sul suo luogotenente Gilles de Rais e il legame con la favola di Barbablu, sui Misteri di San Giovanni in Venere, Il Volto Santo, il Colosseo, la famiglia di Sangro e sul Santo Spirito in Majella, mentre Vito Foschi pone alcune questioni sui testimoni di casi inspiegabili, dedica un articolo ai mad doctor e su come i paradigmi scientifici dominati influenzano la letteratura discutendo di Golem e Frankenstein e dedica un saggio all'insorgenza antifrancese del Circeo, episodio sempre trascurato nei manuali scolastici.

Sperando che l'opera possa risultare gradita ai più, precisiamo che è liberamente scaricabile e distribuibile senza apportare modifiche.




venerdì 11 dicembre 2015

Da Atlantide e Oz all'"Area X" I mondi più veri sono immaginari

tratto da Il Giornale del 24 maggio 2015

Film, tv, videogame e romanzi disegnano nuove terre nelle quali mettere in scena le passioni umane e politiche. Ecco la mappa per orientarsi tra i "casi" del momento

di Luigi Mascheroni


Spazio: ultima frontiera. Ecco i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà ...

Anche la letteratura, il cinema, la televisione, i videogiochi, come la nave stellare Enterprise - a proposito, l'ultimo capitolo della trilogia della nuova serie di Star Trek è in lavorazione, e uscirà con la regia di Justin Lin nel 2016 in onore del cinquantenario del franchise - sono da sempre in viaggio per esplorare nuovi mondi, luoghi fantastici, (anti)utopie, universi paralleli, terre immaginarie...


L'arte dello storytelling, dalla Terra dei lotofagi di Omero al sistema solare «connesso e condiviso» del super-videogame Destiny e dall'isola di Peter Pan alla Hogwarts di Harry Potter, sa bene che le ambientazioni migliori, le più «vere», sono quelle inesistenti.

Filosofi, poeti, romanzieri, sceneggiatori, registi e programmatori da secoli creano mondi stra -ordinari, al di fuori della realtà, a volte terribili altre meravigliosi, descritti nei dettagli, con mappe precisissime, suddivisione dei territori, regni mitici, città invisibili, e poi montagne, mari, galassie, iperspazio... Tutto fedelmente riprodotto sulle carte. Mondi in sé perfetti. Solo che non esistono. Il Paese dei Balocchi, Oz, Narnia, il Mondo Disco di Terry Pratchett, appena scomparso...

Dall'Atlantide di Platone all'immaginaria contea di Yoknapatawpha di William Faulkner, dalla Flatlandia di Edwin A. Abbott al pianeta Krypton di Superman, dalla Corte di Azathoth di H. P. Lovecraft (ah, tutti i suoi racconti sono appena stati pubblicati in un unico volume negli Oscar) fino alla Terra di Mezzo di Tolkien (una volta élitaria oggi strafrequentata...), la geografia fantastica è stata diligentemente mappata da saggi, dizionari e atlanti nella cui realizzazione si sono sbizzarriti serissimi accademici e fan sfegatati. Ora, però, sarebbe buona cosa aggiornare le carte topografiche dell'immaginario, visto il proliferare di nuovi e sempre più complessi mondi. Esempi recenti?

Da pochissimi giorni è giocabile (già con grande successo) il nuovo capitolo, il terzo, di The Witcher , videogioco fantasy che trae ispirazione dalla saga creata negli anni Novanta dallo scrittore polacco Andrzej Sapkowski: la storia è ambientata, in un medioevo alternativo, lungo la costa di un continente immaginario, del quale non viene mai esplicitato il nome, i cui territori meridionali sono dominati dall'Impero di Nilfgaard mentre quelli settentrionali sono suddivisi in una moltitudine di regni e principati spesso in lotta tra di loro, fra i quali spicca il Regno di Temeria, con capitale Vizima, nel quale si concentrano le vicende del gioco, tra umani, mostri e le «razze antiche». Con questo capitolo (intitolato «Wild Hunt») The Witcher , di fatto il più importante videogioco dell'anno, diventa il più grande open world mai inventato per un videogame: distanze enormi, decine di mappe, grafica fotorealistica, cento ore di durata, fra villaggi, mari, colline... Nel gioco, recita (con la voce) uno degli attori di Game of Thrones .

A proposito. Game of Thrones , da noi Il Trono di Spade , ossia l'adattamento televisivo del ciclo di romanzi Cronache del ghiaccio e del fuoco dell'americano George R.R. Martin, è arrivato alla quinta stagione, partita il mese scorso in contemporanea Usa-Italia. La serie racconta la lotta per il potere tra un gruppo di casate nobiliari che vivono in un mondo immaginario, dove emergono anche forze oscure e magiche, costituito da due continenti: quello orientale, Essos, e quello occidentale, Westeros (dove si svolgono quasi interamente le vicende della saga), anticamente diviso in sette regni che, però, furono sottomessi a un re che risiede nella capitale, dove si trova il Trono di Spade. All'estremo nord, nelle terre dell'eterno inverno, si erge un colossale muro di ghiaccio detto la Barriera... Come la tolkieniana Terra di Mezzo e tutti i successivi universi fantasy, anche il mondo di Game of Thrones ha la sua dettagliata geografia immaginaria, ricca di riferimenti letterari, storici e geografici, dalla Divina commedia alla Guerra dei cent'anni.

E fra regni, guerre, mostri e trame fantasy post-tolkeniane (più o meno scontate), tutte con la propria topografia fantastica, si muovono gli (anti)eroi di una serie di recenti epopee narrative: Il trono d'ombra di Django Wexler (Fanucci, 2015), Le spade dell'imperatore di Brian Staveley (Gargoyle, 2014), in cui aleggiano echi della mitologia orientale, il «ciclo» degli Albi, fra la Terra Nascosta e la Forra Oscura, di Markus Heitz (Nord), fino al Re dei fulmini di Mark Lawrence (Newton Compton, 2013)... Terre misteriose, ma in buona parte narrativamente già viste.

Mentre, del tutto sconosciuta e off-limits, è l'Area X della trilogia di Jeff Vandermeer, maestro della narrativa fantastica, sottogenere new weird . Non è chiaro cosa vi accada, non è chiaro chi la abiti, perché per trent'anni l'Area X - un territorio dove un fenomeno dall'origine sconosciuta in costante espansione altera le leggi fisiche, trasforma gli animali, le piante, manipola lo stesso scorrere del tempo - è rimasta tagliata fuori dal resto del mondo. La Southern Reach, l'agenzia governativa incaricata di indagare l'enigma, ha il compito di nasconderlo all'opinione pubblica. Uscita negli Usa nel 2014, la Trilogia si è imposta come fenomeno globale, anche per la modalità di pubblicazione: i tre titoli escono in tutti i Paesi a distanza di tre mesi l'uno dall'altro (da noi il primo, Annientamento , è uscito a marzo, il secondo arriva a inizio giugno, il terzo a settembre) inducendo una sorta di «lettura compulsiva» simile alla fruizione binge-watching delle serie tv. Inutile dire che i diritti cinematografici sono già acquistati dal produttore Scott Rudin ( The Social Network , Grand Budapest Hotel , Non è un paese per vecchi ...).

Ecco, il cinema. Mentre si attende - dicembre 2015 - il ritorno dell'epopea ambientata nella Galassia di Star Wars, episodio VII, Jon Landau e James Cameron in questo periodo stanno lavorando contemporaneamente a Avatar 2 (uscita prevista 2017) e Avatar 3, sequel del film con l'incasso più alto di tutti i tempi: i protagonisti della storia, destinata a diventare una vera e propria saga, questa volta esploreranno il sistema Alpha Centauri AB, oltre a rimanere nella dimensione di Pandora. Tra parentesi. Le montagne fluttuanti del satellite Pandora non sono un'invenzione originale: si trovano nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, dove appare l'isola volante Laputa, e nel Castello nel cielo di Hayao Miyazaki. A dimostrazione che qualsiasi «terra», anche quella apparentemente vergine dal punto di vista dell'invenzione creativa, è sempre geograficamente affine a qualcosa d'altro. Tutte le mappe, alla fine, si assomigliano.

Per trovare la prova più eclatante, basta leggere il nuovo numero monografico della rivista Antarès (Bietti), in uscita a giugno, dal titolo Lune d'acciaio e dedicato a «Il secolo lungo della fantascienza». Tra i saggi, «fantastico» quello dello studioso Nunziante Albano il quale trova inedite corrispondenze tra il Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov e il mito del Re del mondo di cui parlarono Saint-Yves d'Alveydre e Ferdinand Ossendowsky (e poi René Guénon). E se il Centro segreto che custodisce la sapienza del mondo e ne guida la storia per preservare l'Impero galattico creato dal grande Asimov, fosse «nascosto» nel mitico e inaccessibile regno sotterraneo di Agarthi?

venerdì 4 dicembre 2015

MAESTRI DELLA PIETRA E MONACI COSTRUTTORI

Documentario

La Via della conoscenza intesa come principio universale, guida di ogni forma artistica e nel nostro caso architettonica, ha ritrovato in epoca moderna il suo mai perduto filo di Arianna attraverso il successo della bioarchitettura e dell’edilizia sostenibile. I maestri della pietra furono fra i primi messaggeri di un’antica tradizione che poneva il microcosmo umano in pregnante analogia con la grandiosità del Creato attraverso scelte costruttive che imitavano le logiche della natura. Tale percorso di ricerca e conoscenza, esposto in questo documentario con preciso riferimento agli splendori di Toscana, si snoda dall’epoca arcaica al medioevo, dal neoclassicismo al contemporaneo.
Il passato che ritorna e che finalmente può essere presente, e anche e soprattutto futuro: ecco cosa volevano dirci quei segni e quei simboli scalpellati nella pietra, perenni messaggi di un sapere che l'autore di questo documentario ha voluto evocare e rinnovare.

venerdì 27 novembre 2015

Divinità, stragi, poesia Aztechi e spagnoli allo scontro di civiltà

tratto da Il Giornale del 24 maggio 2015

Un "Meridiano" raccoglie le testimonianze più importanti sui bellicosi abitanti del Messico e sul loro "incontro" con i conquistadores. Ne esce una narrazione oltre i luoghi comuni

di Matteo Sacchi

Una capitale, Tenochtitlán, con centinaia di migliaia di abitanti. Giganteschi templi, un esercito temibile e organizzato, un'arte orafa raffinatissima. Eppure una scrittura a ideogrammi appena abbozzata, una religione feroce incentrata sui sacrifici umani, armi con punte di ossidiana come nell'età della pietra.


Queste sono solo alcune delle commistioni che stupirono i conquistadores spagnoli, capitanati da Hernán Cortés, quando si confrontarono con gli Aztechi (che chiamavano se stessi Mexica). Quando le vele bianche dei galeoni europei comparvero all'orizzonte come nella scena finale del film di Mel Gibson Apocalypto e la storia del Sud America cambiò per sempre.

Quale sia stato l'esito di questo incontro violento di civiltà, iniziato nel 1519 quando Cortés raggiunse la costa messicana con 11 navi, 100 marinai e 508 soldati, è noto: il 16 agosto 1521, dopo una violentissima resistenza che causò la morte della maggior parte dei suoi abitanti, Tenochtitlán cadde. Come si siano svolti nel dettaglio i fatti e come fosse davvero strutturata la civiltà azteca è meno noto. Per svariati motivi. Il primo è proprio la mancanza di scrittura di una delle due parti. È decisamente prevalente la narrazione dei vincitori, e in questo caso per motivi tecnici: un conto è una narrazione scritta, un conto è un pittogramma. Pittogrammi che del resto i religiosi occidentali, pur essendo attenti a studiare la lingua degli indios , tendevano a distruggere considerandoli demoniaci. Così anche gli autori meticci hanno avuto difficoltà a fornire una versione univoca del passato azteco, che per loro stessi era avvolto nel mito.

Il secondo è che nel narrare i fatti le fonti risultano abbastanza incoerenti e in aperto contrasto anche tra gli autori castigliani. E questo persino per gli anni recenti, quelli della conquista . Per fare un esempio, uno dei primi, e più diffusi, racconti dell'impresa di Cortés e compagni fu quello di Francisco López de Gómara (che di Cortés fu anche il cappellano): la Historia general de las Indias y conquista de México pubblicata nel 1552. Ma appena fu pubblicata a qualcuno dei veterani saltò la mosca al naso, come a Bernal Díaz del Castillo, che rispose con la sua Historia verdadera de la conquista de la Nueva España . E tra le molte si pone subito la questione dei massacri di indios che Díaz del Castillo nega: «Narra di quelle terribili stragi che, secondo lui, noi avremmo compiuto: noi che eravamo quattrocento soldati in quella guerra... Neanche se gli indios fossero stati legati avremmo potuto causare tante morti e compiere tante crudeltà, quante lui dice che facemmo».

Ecco perché il «Meridiano», appena pubblicato, Civiltà e religione degli Aztechi (Mondadori, pagg. 1326, euro 80, a cura di Luisa Pranzetti e Alessandro Lupo) è uno strumento prezioso per cercare di avvicinare questa cultura «perduta». Dà accesso diretto alle fonti, molte delle quali non erano mai state tradotte in italiano. C'è la testimonianza di Cortés su come decise di mettere in secco le navi per far in modo che i suoi uomini non avessero nessuna possibilità di rifiutarsi di combattere per lui. Ci sono le narrazioni che mettono in luce il ruolo della sua traduttrice-amante Malintzin e quelle che, come la sopracitata di Díaz del Castillo, non risparmiano critiche a Cortés per alcune delle sue scelte militari e politiche. E poi c'è una parte vastissima dedicata alla storia degli aztechi e anche ai loro culti religiosi.


Come ci ha spiegato uno dei curatori, la professoressa Luisa Pranzetti: «Nonostante le testimonianze che ci sono giunte siano quasi tutte di parte, non c'è dubbio che la religione azteca fosse caratterizzata da riti molto violenti. Gli aztechi percepivano il mondo circostante come molto instabile. I loro dèi sono infatti essenzialmente mortali. Muoiono per mantenere in movimento la macchina cosmica. Così avveniva attraverso il sacrificio degli ixitipla (erano le vittime che impersonavano gli dèi nei riti). Per gli ztechi il mondo è un susseguirsi di creazioni imperfette. Avevano un ciclo di cinquantadue anni e alla fine del ciclo, chiamato La legatura degli anni, spegnevano tutti i fuochi e attendevano il passaggio di particolari astri. Solo dopo riaccendevano i fuochi a partire da una fiamma sacra accesa sul petto di una vittima sacrificale».

Il senso profondo di questi riti, come lo scuoiamento in onore del dio Xipe Totec, sfuggiva agli spagnoli che li attribuivano al diavolo. Ma indubbiamente non rendevano gli aztechi dei padroni graditi alle altre popolazioni che pagavano tributi ed erano vittime delle loro guerre di conquista o «fiorite» (fatte per procurarsi prigionieri da sacrificare). Molte si ribellarono e passarono dalla parte di Cortés con relativa facilità. Come i guerrieri tlaxcala che supportarono gli spagnoli e formarono il grosso del loro esercito. Insomma, a far cadere gli aztechi fu sì la differenza tecnologica, ma soprattutto il loro sistema politico e religioso, inadeguato a fronteggiare una forza esterna destabilizzante. Ma nel volume non c'è solo questo, ci sono testi sull'istruzione, sulla geografia, sulle origini mitiche degli aztechi (ancora un mistero per gli studiosi), sulla lingua, il teatro e i pittogrammi, la scienza e la medicina. E in alcune delle poesie e degli inni sacri si può leggere un oscuro presagio di sconfitta e scomparsa: «Mandami al Luogo del mistero:/ il suo comando è disceso/ ed io ho detto al signore dei sinistri prodigi/ che me ne andrò via./ È tempo di lacrime». Di lacrime gli aztechi ne avevano fatte versare molte, molte ne fecero versare gli spagnoli. E come racconta nella sua Historia (del 1581) Diego Durán, ancora di più ne fece versare, senza che nessuno potesse farci nulla, «un'epidemia di vaiolo che venne propagata da un negro appena arrivato al seguito degli spagnoli; e questa epidemia fece strage di un numero infinito di indigeni».

Perché a volte sono forze invisibili a decidere gli esiti degli scontri di civiltà.

giovedì 19 novembre 2015

STORIA DI UNA SPADA

SAN GALGANO E IL FENOMENO DELLA SPADA NELLA ROCCIA


Nonostante il suo utilizzo nei titoli e nelle copertine di molti libri, la Spada nella roccia di San Galgano viene generalmente relegata ad appendice della figura del cavaliere, e non è utilizzata come chiave di lettura capace di produrre verità storiche, quanto piuttosto mitico-leggendarie.
Ma al di là degli aspetti simbolici riteniamo che, analizzando la storia di un oggetto eminentemente reale, sia possibile produrre ipotesi concrete sul suo stesso proprietario, quel Galgano sul quale è stato scritto un po' di tutto basandosi talvolta su premesse sin troppo scontate o, al contrario, sin troppo fantasiose.
Lasciarsi ‘condurre’ dalla Spada, dalla sua storia documentata e dalla sua archeologia, ha prodotto una reinterpretazione dell’intera vicenda di San Galgano, con risultati a tratti sorprendenti.

Mario Pagni, ex Archeologo Direttore presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, ha effettuato numerose campagne di scavo e redatto numerosi progetti per mostre, musei e antiquarium. Ha insegnato alla Scuola di Specializzazione post laurea della Facoltà di Lettere Antiche di Firenze ed è autore di pubblicazioni come l’Atlante di Firenze Archeologica. Lorenzo Pecchioni, di formazione artistica, negli ultimi anni si è dedicato prevalentemente alla realizzazione di documentari e di saggi. È autore tra gli altri del documentario La Spada nella roccia di San Galgano e del libro Zelo Dei Accensus, dedicato all’Ordine di San Girolamo.

Introduzione a cura di
Fabrizio Trallori
storico e direttore del Museo del Figurino Storico


venerdì 13 novembre 2015

Psicologia alchemica di James Hillman

tratto da L'Opinione dell'8 novembre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/11/08/talarico_cultura-08-11.aspx)

di Giuseppe Talarico

In un suo famoso saggio, Giuseppe Pontiggia, grande autore, scrisse che nella storia della cultura vi sono stati filosofi geniali che con i loro scritti e libri hanno dimostrato di essere anche grandi scrittori. Rientra in questa categoria di pensatori James Hillman, del quale da poco la casa editrice Adelphi ha pubblicato un libro importante e notevole, il cui titolo è Psicologia Alchemica. In questo saggio, che incanta ed affascina il lettore per la eleganza e la raffinatezza della prosa con cui è stato scritto, Hillman ha con chiarezza esemplare spiegato il rapporto tra L’alchimia e l’opus analitico.


Carl Jung, di cui Hillman è stato un allievo, a questo tema ha dedicato una delle sue opere fondamentali, intitolata Psicologia ed Alchimia. Hillman nella prima parte del suo saggio chiarisce che per la psicanalisi esiste il rischio di usare un linguaggio intriso di letteralismo, incapace di delineare una distinzione tra la parola e la cosa. L’alchimia, intesa ovviamente in senso metaforico, poiché si riferisce ad elementi della materia fissati ed individuati, possiede un grado di concretezza che si rivela utile per superare il letteralismo, che rischia di rendere arido e sterile la terminologia del metodo psicanalitico. Infatti l’alchimia offre espressioni concrete che non sono letterali. In tal modo il linguaggio della psicanalisi subisce un processo di rettificazione, che è necessario per accrescerne la efficacia terapeutica. Nel medioevo e nel rinascimento vi era la convinzione che il metodo alchemico, consentendo la trasformazione della materia, rendesse possibile ricavare l’oro prezioso da metalli di scarso valore. Infatti Hillman nel testo cita il pensiero e le opere di Marsilo Ficino. Alla stessa maniera il terapeuta deve con il metodo psicanalitico sottoporre l’anima umana ad un processo di trasformazione, perché si liberi dal dolore e dalla sofferenza.

Le fasi in cui questo processo di guarigione dell’anima avviene sono sostanzialmente quattro: la Nigredo, che designa la depressione e la sofferenza cupa ed inconsolabile della psiche umana, l’ Albedo, periodo di tristezza in cui si ha la elaborazione del dolore, la citrinitas in cui la mente umana si libera dalla disperazione e il Rubedo, che indica il momento in cui si ha la guarigione. Per segnalare e chiarire la transizione che nella terapia analitica vi è tra questi stadi, Hillman con la bravura del grande scrittore, facendo riferimento al metodo alchemico, ricorda e sottolinea le differenza tra le sostanze fondamentali presenti nella materia, quali piombo, rame, argento ed oro. Si sofferma anche nel descrivere la diversità tra i colori che i nostri sensi possono cogliere e distinguere mediante i sensi, il nero, il bianco, il giallo, il rosso. Mentre segue questa narrazione analogica tra il metodo psicanalitico e quello alchemico, Hillman afferma e sostiene che la nostra mente ha un fondamento poetico. Infatti per Hillman esiste un rapporto inscindibile tra il pensiero e la immaginazione, sicchè la nostra mente ha il potere di creare la realtà mediante la fantasia. Per Hillman è essenziale tenere presente e comprendere i rapporti esistenti tra la psicologia e la letteratura.

Come l’alchimia opera secondo il metodo dissolvi e coaguli, allo stesso modo la terapia psicanalitica deve dissolvere e coagulare i processi psichici perché si arrivi ad avere il predominio nella vita interiore della Unio Mentalis. Hegel scrisse che la follia è il sintomo che rivela come l’anima sia alla ricerca della sua guarigione. Infatti secondo Hillman una coscienza più chiara e in grado di raggiungere la pace interiore deriva sempre da uno stadio di follia. Questo processo di guarigione della psiche, che lotta per liberarsi dalla infelicità e dalla disperazione, avviene attraverso una transizione, che per Hillman da vita ad una conversione dell’anima. Jung a questo proposito nei suoi studi sull’alchimia e la psicanalisi aveva individuato quattro stadi: l’innerimento, l’imbiancamento, l’ingiallimento, l’irrosimento. Questo modo di ragionare di Jung, si spiega con la circostanza che per il grande pensatore l’alchimia, grazie alle sue metafore, permette di comprendere gli oscuri e tenebrosi processi che hanno luogo nella psiche. Per Spinoza la sostanza ha la tendenza natuirale ad opporsi da ogni cambiamento. Lo stesso accade con la psiche umana, che si rivela sovente e in più circostanze riluttante a mutare il suo stato.

Per questo motivo, nel suo saggio Hillman nota che durante la terapia è importante che la transizione tra le varie fasi sia progressiva e lenta, poiché nei casi in cui si abbia un fallimento terapeutico, si produce un fenomeno devastante nell’anima, quello che lui ha definito come il processo dei vetrificazione della psiche. Ad un certo punto nel libro Hillman cita le famose colombe di diana, che per Newton avevano la funzione di mediare tra il mercurio e l’antimonio. Per Hillman le colombe di diana diventano un simbolo che chiarisce in che modo si ha con la guarigione della psiche umana il congiungimento della immaginazione con la natura. Infatti è necessario che alla fine della terapia psicanalitica si abbia una armonia, capace di dare pace e serenità all’anima umana, tra mente, immaginazione e mondo. In un capitolo bellissimo, dove riflette su come il colore azzurro abbia ispirato i pensieri di grandi geni come Proust e Cézanne, Hillman dimostra che non è la mente che si perde nel cielo azzurro, ma è il cielo azzurro che è racchiuso nella mente umana. In tal modo spiega con esemplare chiarezza cosa sia e designi la figura archetipica nella cultura umana.

L’anima Mundi, su cui Hillman si sofferma nel libro, dimostra che vi è un rapporto strettissimo tra le cose che esistono, poiché è l’amore universale che costituisce il fondamento su cui poggia il mondo esistente. Infatti Freud parlava della libido oggettuale. Il cielo azzurro designa in modo simbolico L’unus Mondus. Per Hillman è fondamentale seguire il metodo estetico nella psicanalisi, poiché la psicoterapia si basa sull’ascolto della parola di chi è gravemente invischiato nei gorghi oscuri e impenetrabili della sofferenza interiore, provocata dalla depressione, dalla paranoia delirante e dalla depersonalizzazione. Con la modernità l’alchimia, dopo la rivoluzione scientifica e meccanicista di Newton, è stata sostituita dalla chimica. Per Alfred Ader il fine della psicoterapia è la realizzazione della solidarietà umana. Un libro indimenticabile.