giovedì 9 aprile 2015

Tra la Squadra e il Compasso

in collaborazione con la rivista Lettera E Spirito: https://letteraespirito.wordpress.com/rene-guenon-tra-la-squadra-e-il-compasso/

René Guénon


Un punto che dà luogo a un accostamento particolarmente notevole tra la tradizione estremo-orientale e le tradizioni iniziatiche occidentali, è quello che concerne il simbolismo del compasso e della squadra: questi, come abbiamo già indicato, corrispondono manifestamente al cerchio e al quadrato [1], ossia alle figure geometriche che rappresentano rispettivamente il Cielo e la Terra [2]. Nel simbolismo massonico, conformemente a questa corrispondenza, il compasso è normalmente posto in alto e la squadra in basso [3]; tra i due è raffigurata generalmente la Stella fiammeggiante, che è un simbolo dell’Uomo [4] e più precisamente dell’“uomo rigenerato” [5], e che completa così la rappresentazione della Grande Triade. Per di più, è detto che «un Maestro Massone si trova sempre tra la squadra e il compasso», ossia nel “luogo” stesso in cui s’inscrive la Stella fiammeggiante, e che è propriamente l’“Invariabile Mezzo” [6]; con ciò il Maestro è dunque assimilato all’“uomo vero”, posto tra la Terra e il Cielo ed esercitante la funzione di “mediatore”; e questo è tanto più esatto in quanto, simbolicamente e “virtualmente” perlomeno, se non effettivamente, la Maestria rappresenta il completamento dei “piccoli misteri”, di cui lo stato dell’“uomo vero” è il termine stesso [7]; si vede che abbiamo qui un simbolismo rigorosamente equivalente a quello da noi incontrato in precedenza, sotto parecchie forme differenti, nella tradizione estremo-orientale.
A proposito di quel che abbiamo appena detto sul carattere della Maestria, faremo incidentalmente un’osservazione: questo carattere, appartenente all’ultimo grado della Massoneria propriamente detta, s’accorda bene con il fatto che, come abbiamo indicato altrove [8], le iniziazioni di mestiere e quelle che ne sono derivate si riferiscono propriamente ai “piccoli misteri”. Bisogna peraltro aggiungere che, in quelli che sono chiamati “alti gradi” e che sono formati da elementi di provenienza abbastanza diversa, vi sono certi riferimenti ai “grandi misteri”, tra i quali ve n’è almeno uno che si ricollega direttamente all’antica Massoneria operativa, il che indica che questa apriva perlomeno certe prospettive su ciò che è oltre il termine dei “piccoli misteri”: vogliamo parlare della distinzione che è fatta, nella Massoneria anglosassone, tra la Square Masonry e l’Arch Masonry. Infatti, nel passaggio “from square to arch”, o, come si diceva in modo equivalente nella Massoneria francese del XVIII secolo, “dal triangolo al cerchio” [9], si ritrova l’opposizione tra le figure quadrate (o più in generale rettilinee) e le figure circolari, in quanto corrispondenti rispettivamente alla Terra e al Cielo; non può quindi trattarsi che di un passaggio dallo stato umano, rappresentato dalla Terra, agli stati sopra-umani, rappresentati dal Cielo (o dai Cieli [10]), ossia di un passaggio dal dominio dei “piccoli misteri” a quello dei “grandi misteri” [11].
Per tornare all’accostamento che segnalavamo all’inizio, dobbiamo ancora dire che, nella tradizione estremo-orientale, il compasso e la squadra non soltanto sono supposti implicitamente come atti a tracciare il cerchio e il quadrato, ma vi appaiono essi stessi espressamente in certi casi, e segnatamente quali attributi di Fo-hi e di Niu-kua, come abbiamo già segnalato in altra occasione [12]; ma allora non abbiamo tenuto conto di una particolarità che, a prima vista, può sembrare un’anomalia a tale riguardo, e che ci resta da spiegare adesso. Infatti, il compasso, simbolo “celeste”, e quindi yang o maschile, appartiene propriamente a Fo-hi, e la squadra, simbolo “terrestre”, e quindi yin o femminile, a Niu-kua; ma, quando sono rappresentati insieme e uniti per le loro code di serpente (corrispondendo così esattamente ai due serpenti del caduceo), è al contrario Fo-hi a portare la squadra e Niu-kua il compasso [13]. Ciò in realtà si spiega con uno scambio paragonabile a quello di cui è stata questione sopra per quanto concerne i numeri “celesti” e “terrestri”, scambio che, in simili casi, si può qualificare assai propriamente come “ierogamico” [14]; non si vede come, senza un simile scambio, il compasso potrebbe appartenere a Niu-kua, tanto più che le azioni che le sono attribuite la rappresentano soprattutto nell’esercizio della funzione d’assicurare la stabilità del mondo [15], funzione che si riferisce bene al lato “sostanziale” della manifestazione, e che la stabilità è espressa nel simbolismo geometrico dalla forma cubica [16]. Per contro, in un certo senso, la squadra appartiene proprio a Fo-hi in quanto “Signore della Terra”, che essa gli serve a misurare [17], e, sotto quest’aspetto, egli corrisponde, nel simbolismo massonico, al “Venerabile Maestro che governa con la squadra” (the Worshipful Master who rules by the square [18]); ma, se è così, è che, in se stesso e non più nella sua relazione con Niu-kua, egli è yin-yang in quanto reintegrato nello stato e nella natura dell’“uomo primordiale”. Sotto questo nuovo rapporto, la stessa squadra prende un altro significato, giacché, dal fatto che è formata da due bracci rettangolari, si può allora considerarla come la riunione dell’orizzontale e della verticale, che, in uno dei loro sensi, corrispondono rispettivamente, come abbiamo visto in precedenza, alla Terra e al Cielo, come pure allo yin e allo yang in tutte le loro applicazioni; ed è peraltro così che, nel simbolismo massonico ancora, la squadra del Venerabile è considerata infatti come l’unione o la sintesi della livella e del filo a piombo [19].
Aggiungeremo un’ultima osservazione per quanto concerne la raffigurazione di Fo-hi e di Niu-kua: il primo è posto a sinistra e la seconda a destra , il che corrisponde bene alla preminenza che la tradizione estremo-orientale attribuisce abitualmente alla sinistra sulla destra [20], e di cui abbiamo dato la spiegazione sopra [21]. Allo stesso tempo, Fo-hi regge la squadra con la mano sinistra, e Niu-kua regge il compasso con la mano destra; qui, dato il rispettivo significato degli stessi compasso e squadra, occorre ricordarsi di queste parole che abbiamo già riportato: «La Via del Cielo preferisce la destra, la Via della Terra preferisce la sinistra» [22]. Si vede perciò molto nettamente, in un siffatto esempio, che il simbolismo tradizionale è sempre perfettamente coerente, ma anche che esso non saprebbe prestarsi ad alcuna “sistematizzazione” più o meno ristretta, poiché deve rispondere alla moltitudine dei diversi punti di vista sotto i quali le cose possono essere considerate, e che è per questo che esso apre possibilità di concezione realmente illimitate.


R. Guénon, La Grande Triade, Revue de la Table Ronde, Paris/Nancy, 1946, cap. XV.


1. Faremo notare che, in inglese, la stessa parola square designa allo stesso tempo la squadra e il quadrato; in cinese ugualmente, la parola fang ha i due significati.↩
2. Il modo in cui il compasso e la squadra sono disposti uno rispetto all’altra, nei tre gradi della Craft Masonry, mostra gli influssi celesti prima dominati dagli influssi terrestri, poi liberandosene gradualmente e finendo per dominarli a loro volta.↩
3. Quando questa posizione è invertita, il simbolo prende un particolare significato che dev’essere accostato all’inversione del simbolo alchemico dello Zolfo per rappresentare il compimento della “Grande Opera”, come pure al simbolismo della 12a lamina dei Tarocchi.↩
4. La Stella fiammeggiante è una stella a cinque branche, e 5 è il numero del “microcosmo”; quest’assimilazione è peraltro indicata espressamente nel caso in cui la figura stessa dell’uomo è rappresentata nella stella (la testa, le braccia e le gambe identificandosi alle sue cinque branche), come si vede segnatamente nel pentagramma di Agrippa.↩
5. Secondo un antico rituale, «la Stella fiammeggiante è il simbolo del Massone (si potrebbe dire più generalmente dell’Iniziato) risplendente di luce in mezzo alle tenebre (del mondo profano)». – Vi è qui un’evidente allusione a queste parole del Vangelo di san Giovanni (I, 5): «Et Lux in tenebris lucet, et tenebræ eam non comprehenderunt».↩
6. Non è dunque senza ragione che la Loggia dei Maestri è chiamata la “Camera del Mezzo”.↩
7. In rapporto con la formula massonica che abbiamo appena citato, si può notare che l’espressione cinese “sotto il Cielo” (Tien-hia), che abbiamo già menzionato e che designa l’insieme del Cosmo, è suscettibile d’assumere, dal punto di vista propriamente iniziatico, un particolare senso, corrispondente al “Tempio dello Spirito Santo, che è dappertutto”, e dove si riuniscono i Rosa-Croce, che sono anche gli “uomini veri” (cf. Aperçus sur l’Initiation, cap. XXXVII e XXXVIII). A questo proposito ricorderemo anche che “il Cielo copre”, e che precisamente i lavori massonici devono effettuarsi “al coperto”, la Loggia essendo d’altronde un’immagine del Cosmo (cf. Le Roi du Monde, cap. VII).↩
8. Aperçus sur l’Initiation, cap. XXXIX.↩
9. Il triangolo tiene qui il posto del quadrato, essendo come lui una figura rettilinea, e ciò non cambia niente nel simbolismo di cui si tratta.↩
10. A rigore, non si tratta qui degli stessi termini che sono così designati nella Grande Triade, ma di qualcosa che vi corrisponde a un certo livello e che è compreso all’interno dell’Universo manifestato, come nel caso del Tribhuvana, ma con questa differenza che la Terra, in quanto rappresenta lo stato umano nella sua integralità, dev’essere considerata come comprendente allo stesso tempo la Terra e l’Atmosfera o “regione intermedia” del Tribhuvana.↩
11. La volta celeste è la vera “volta di perfezione” cui si fa allusione in certi gradi della Massoneria scozzese; speriamo peraltro di poter sviluppare in un altro studio le considerazioni di simbolismo architettonico che si riferiscono a questa questione.↩
12. Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, cap. XX.↩
13. Per contro, una simile inversione degli attributi non esiste nella raffigurazione del Rebis ermetico, in cui il compasso è tenuto dalla metà maschile, associata al Sole, e la squadra dalla metà femminile, associata alla Luna. – A proposito delle corrispondenze del Sole e della Luna, ci si potrà riferire qui a quanto abbiamo detto in una nota precedente a proposito dei numeri 10 e 12, e anche, d’altra parte, alle parole della Tabula Smaragdina: «Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre», che si riferiscono precisamente al Rebis o all’“Androgino”, questo essendo la “cosa unica” nella quale sono riunite le “virtù del Cielo e della Terra” (unica in effetti nella sua essenza, sebbene doppia, res bina, quanto ai suoi aspetti esteriori, come la forza cosmica di cui abbiamo parlato sopra e che richiamano simbolicamente le code di serpente nella raffigurazione di Fo-hi e di Niu-kua).↩
14. Il sig. Granet riconosce espressamente questo scambio per il compasso e la squadra (La Pensée chinoise, p. 363) come pure per i numeri dispari e pari; ciò avrebbe dovuto evitargli l’increscioso errore di qualificare il compasso un “emblema femminile” come egli fa in altra parte (nota della p. 267)..↩
15. Vedere Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, cap. XXV.↩
16. All’inversione degli attributi tra Fo-hi e Niu-kua si può accostare il fatto che, nella 3a e 4a lamina dei Tarocchi, un simbolismo celeste (stelle) è attribuito all’Imperatrice e un simbolismo terrestre (pietra cubica) all’Imperatore; inoltre, numericamente e per il rango di queste due lamine, l’Imperatrice risulta essere in corrispondenza con il 3, numero dispari, e l’Imperatore con il 4, numero pari, il che riproduce ancora la stessa inversione.↩
17. Ritorneremo più avanti su questa misura della Terra, a proposito della disposizione del Ming-tang.↩
18. L’Impero organizzato e retto da Fo-hi e dai suoi successori era costituito in modo da essere, come la Loggia nella Massoneria, un’immagine del Cosmo nel suo insieme.↩
19. La livella e il filo a piombo sono i rispettivi attributi dei due Sorveglianti (Wardens), e sono con ciò messi in diretta relazione con i due termini del complementarismo rappresentato dalle due colonne del Tempio di Salomone. – È opportuno rilevare ancora che, mentre la squadra di Fo-hi sembra essere a bracci uguali, quella del Venerabile deve al contrario avere regolarmente dei bracci disuguali; questa differenza può corrispondere, in modo generale, a quella delle forme del quadrato e di un rettangolo più o meno allungato; ma, inoltre, la disuguaglianza dei bracci della squadra si riferisce più precisamente a un “segreto” della Massoneria operativa concernente la formazione del triangolo rettangolo i cui lati siano rispettivamente proporzionali ai numeri 3, 4 e 5, triangolo di cui d’altronde ritroveremo il simbolismo nel seguito del presente studio.↩
20. In questo caso, si tratta naturalmente della destra e della sinistra degli stessi personaggi, e non di quelle dello spettatore.↩
21. Nella figura del Rebis, la metà maschile è al contrario a destra e la metà femminile a sinistra; questa figura non ha peraltro che due mani, delle quali la destra regge il compasso e la sinistra la squadra.↩
22. Tcheu-li.↩

domenica 15 marzo 2015

La simbologia del cuore e la leggenda del Graal

di Vito Foschi

Il geroglifico egizio che indica il cuore è costituito da un piccolo vaso e per gli antichi egizi il cuore era la sede dell’anima(1); alla morte il cuore veniva pesato dal dio Anubi(2) e da questa pesa veniva decisa la sorte dell’anima del defunto.

Geroglifico egizio rappresentante il cuore

Il testo da cui inizia la leggenda del Graal, è il Perceval di Chrétien de Troyes. In tale racconto, il Graal non ha ancora una forma definita. Viene descritto come preziosissimo, fatto in oro e tempestato di pietre preziose. Non si accenna alla sua forma, si intuisce che è un contenitore perché "il giovane non domanda a chi lo si serva" e poco dopo "Ma non sa a chi lo si serva". Il Graal viene portato in processione e viene preceduto da altri oggetti simbolici, tra cui la lancia sanguinante. Già in questo primo racconto si fa accenno al sangue. In un passo successivo Perceval incontra lo zio Eremita che gli spiega il significato del Graal. Il Graal serve l’ostia, unico nutrimento da dodici anni, al padre del Re Pescatore. Da questo riferimento eucaristico è quasi immediato pensare al Graal come ad un calice.
Dopo pochi anni dalla diffusione dell’opera di Chrétien, Robert de Boron con il suo Giuseppe d’Arimatea spiega l’origine del Graal identificandolo con il calice dell’Ultima Cena che poi serve a Giuseppe d’Arimatea per raccogliere il sangue sgorgato dalle ferite di Cristo in croce.
Questa versione del calice contenente sangue fa tornare in mente il geroglifico egizio del cuore, ed è facile identificare il Graal al cuore.
Il calice di Cristo contiene il sangue di Cristo in due modi diversi: nel corso dell’Ultima Cena, quando il vino è il Suo sangue e successivamente quando è raccolto dal Suo corpo sulla croce.
Ricordiamo anche il simbolo del Cristo come un pellicano che si strappa il cuore per nutrire o ridare vita ai figli.(3) Il collegamento col simbolo cristiano del Sacro Cuore di Gesù è evidente.
Citiamo un passo di un articolo in cui si discute sul significato simbolico del cuore:"Il simbolo del cuore indica il centro dell’essere, il luogo in cui si svelano i significati profondi, al di là delle connessioni stabilite dalla razionalità."(4)
Riportiamo un passo di un librino dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che mette in evidenza come anche nella tradizione cattolica il cuore è associato al centro dell’essere:"È il nostro centro nascosto, irraggiungibile dalla nostra ragione e dagli altri; solo lo Spirito di Dio può scrutarlo o conoscerlo. È il luogo della decisione, che sta nel più profondo delle nostre facoltà psichiche. È il luogo della verità, là dove scegliamo la vita o la morte. È il luogo dell’incontro, poiché, ad immagine di Dio, viviamo in relazione: è il luogo dell’Alleanza". E ribadisce al n. 368: "La tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore, nel senso biblico di ‘profondità dell’essere’, dove la persona si decide o no per Dio".
Dio parla al cuore dell’uomo, il centro dell’essere, non al suo orecchio, non alla sua mente. Si legga il seguente passo della Bibbia:"Anzi, questa (sua) parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore"(Dt 30,14).
Si noti lo stesso significato nella seguente citazione:"Il termine arabo per indicare il cuore è, Qalb, che indica l’atto di ricevere ‘da bocca ad orecchio’ (da cui Qabbalah), e significa un’intuizione intellettuale, che è prima di tutto un ascoltare."(5)
Un’altra assonanza tra cuore e coppa si ritrova nella tradizione islamica quando paragona il cuore dell’arif(il saggio, l’iniziato) ad una coppa contenente potenza e sapienza.
Il simbolo del cuore ha quindi un profondo significato spirituale. Rappresenta il centro dell’essere, la sua anima ed il luogo dell’"incontro" e dell’"Alleanza".
In questa accezione la cerca del Graal è una ricerca eminentemente spirituale e i luoghi che attraversa il cavaliere non sono luoghi fisici, ma luoghi dell’anima. Alcuni episodi delle avventure dei cavalieri partiti alla ricerca del Graal, sono palesemente delle prove dello spirito perché si trovano ad affrontare demoni o sortilegi approntati dal Demonio. Il pericolo di perdersi prima del raggiungimento della meta, è il pericolo di perdere la via che porta a Dio. Non a caso gli eroi si muovono senza un’apparente via da seguire come se fossero in un labirinto, quei labirinti che ricoprono il pavimento di alcune cattedrali medievali che stanno lì a simboleggiare il percorso dell’anima deve affrontare per raggiungere la grazia di Dio.
Inoltre il simbolo del cuore è equivalente a quello del sole. Il primo centro dell’essere, il secondo centro del cielo. Tutte e due simboli positivi della vita. Il sole ha un ulteriore aspetto: è il simbolo della regalità. Il re come centro del regno da cui tutto dipende tutto. I suoi raggi arrivano ovunque a portare la sua presenza. È naturale pensare a Luigi XIV, detto Re Sole, ed al suo motto: "Io sono lo stato".
Nel Perlesvaus, romanzo anonimo ma di area cistercense, Parsifal recupera il Graal diventando Re del Graal e divenendone custode. I due significati si sommano: il cuore puro permette la conquista del centro.



Note
  1. "…Thoth aveva la testa di un ibis perché l’uccello, quando piegava l’ala, assumeva la forma di un cuore, la sede della vita e della vera intelligenza." Peter Tompkins – "La magia degli obelischi" – Marco Tropea Editore 2001;
  2. La stessa funzione nella tradizione ebraica è attribuita all’angelo Mikael, divenuto il nostro S. Michele arcangelo. Un suo attributo è proprio la bilancia; anche nell’iconografia cristiana del Giudizio Universale è raffigurato con spada e bilancia, attributi della giustizia;
  3. J. L. Borges e M. Guerriero – "Manuale di zoologia fantastica" – Einaudi 1998;
  4. G.C. – "Il simbolo del cuore", da Massoneria Oggi – n. 2 – luglio 1994 – Soc. Erasmo Roma; reperibile nel sito di Esoteria al seguente indirizzo: http://www.esoteria.org/;
  5. Ibidem.

domenica 1 marzo 2015

I Catari, il Vaticano e l'11 settembre all'ennesima potenza

tratto da Il Giornale del 19/02/2015

di Gianfranco de Turris


Ma che vuol dire il titolo Undicimila settembre (Fratini Editore, pagg. 192, euro 16, anche in formato elettronico) che campeggia sulla copertina dell'ultimo romanzo di Pierfrancesco Prosperi? Terminato il libro lo si può ritenere un titolo simbolico: l'attentato dell'11 settembre, il più clamoroso di sempre, portato all'ennesima potenza in una diversa linea temporale rispetto alla nostra.
Il romanzo dimostra molte cose. La prima che è possibile scrivere una storia avvincente, piena di tensione, ben congegnata, originale in meno di 400 o 500 pagine. La seconda è che si può essere innovativi in un genere consunto e abusato come il thriller, ben miscelando «generi» diversi: il poliziesco (l'indagine), l'ucronia (la vicenda non si svolge nella realtà che conosciamo), il fantastico (il sovrannaturale), lo storico (un complotto religioso che parte da molto lontano). La terza che l'ambientazione «vaticana» non deve per forza essere quella famigerata e malamente scopiazzata «alla Dan Brown». Insomma, Prosperi continua a essere uno dei più validi, se non il più valido, scrittore italiano dell'Immaginario (fantascienza, fantastico, orrore ecc.). L'architetto-scrittore è sulla breccia da 55 anni, avendo esordito quindicenne nel '60 sulle pagine della pionieristica rivista romana Oltre il cielo , e ha alle spalle una carriera con una quindicina di romanzi e almeno centocinquanta racconti, il meglio dei quali riunito in Il futuro è passato (Bietti, 2013). Undicimila settembre è la storia del più grande attentato di tutti i tempi che si svolge in una realtà diversa. Sino alle ore 12 e 42 di venerdì 8 aprile 2005 la storia è quella che noi abbiano conosciuto. Da quel momento in poi tragicamente cambia. E il recensore viene messo a dura prova nel dover parlare della trama senza dire di cosa si tratti esattamente, altrimenti la curiosità del lettore sarebbe delusa. Perché una delle caratteristiche di questo romanzo è il progressivo aumento della tensione: a momenti di accelerazione seguono momenti di pause in apparenza descrittive e divaganti, ma utili all'economia della storia.
Tutto comincia con il ritrovamento del cadavere di un uomo nel Tevere. Incaricato delle indagine è il vicecommissario Renato Faranda. Al primo morto se ne aggiungono altri due, l'ultimo dei quali scrive con il proprio sangue la parola PERFAI, che sta per perfait , perfetto, uno dei gradi del catarismo. Contemporaneamente, a monsignor Domenico Aldobrandi, che fa parte dell'Entità, il servizio segreto vaticano, incaricato di indagare sui fenomeni paranormali, arrivano le segnalazioni di una serie di visioni apocalittiche a occhi aperti avute da cinque monaci e monache sparsi in conventi italiani. Le due questioni si intrecciano, sino a che, dopo altre morti atroci, Faranda scopre che è in atto un complotto contro la Chiesa da parte di una setta di Catari dei nostri giorni, occulti e sommersi, i quali quasi fossero manovrati dal Maligno, vogliono dare un colpo mortale all'istituzione che cercò di cancellarli dalla storia sette secoli prima.
L'interpretazione che Prosperi dà delle famose Profezie di Malachia è diversa dal solito: l'ultimo Papa, il famoso Pietro Romano, che si metterà a capo del proprio gregge in un momento di catastrofi e persecuzioni, sarà chi porterà la Chiesa verso una nuova rinascita superando l'Apocalisse.

domenica 22 febbraio 2015

I misfatti della psicanalisi

in collaborazione con Lettera e Spirito

tratto da https://letteraespirito.wordpress.com/rene-guenon-i-misfatti-della-psicanalisi/

di René Guénon


Se dalla filosofia passiamo alla psicologia, costatiamo che le stesse tendenze vi appaiono, nelle scuole più recenti, sotto un aspetto ben più pericoloso ancora, giacché, invece di tradursi in semplici assunti teorici, esse vi trovano un’applicazione pratica con un carattere decisamente inquietante; i più “rappresentativi” di questi nuovi metodi, dal punto di vista da cui ci poniamo, sono quelli conosciuti sotto la designazione generale di “psicanalisi”. È d’altronde opportuno rilevare che, per una strana incoerenza, questa manipolazione d’elementi che appartengono incontestabilmente all’ordine sottile continua tuttavia ad accompagnarsi, presso molti psicologi, a un atteggiamento materialista, dovuto senza dubbio all’educazione pregressa, e anche alla loro ignoranza della vera natura di questi elementi che essi mettono in gioco [1]; uno dei caratteri più singolari della scienza moderna non è forse quello di non sapere mai esattamente con che ha realmente a che fare, anche quando si tratta semplicemente di forze del dominio corporeo? Ovviamente, peraltro, una certa “psicologia da laboratorio”, risultato del processo di limitazione e di materializzazione nel quale la psicologia “filosofico-letteraria” dell’insegnamento universitario non rappresentava che uno stadio meno avanzato, e che non è più realmente che una sorta di branca accessoria della fisiologia, coesiste sempre con le teorie e i metodi nuovi; ed è a quella che si applica ciò che abbiamo detto precedentemente dei tentativi fatti per ridurre la stessa psicologia a una scienza quantitativa.
Vi è certamente ben più di una semplice questione di vocabolario nel fatto, assai significativo in sé, che la psicologia attuale non consideri altro che il “subconscio”, e non il “superconscio” che dovrebbe esserne logicamente il correlativo; si tratta, senza dubbio, dell’espressione di un’estensione che s’opera unicamente verso il basso, ossia il lato che corrisponde, qui nell’essere umano come altrove nell’ambiente cosmico, alle “fenditure” attraverso le quali penetrano le influenze più “malefiche” del mondo sottile, potremmo anche dire quelle aventi un carattere veramente e letteralmente “infernale” [2]. Certuni adottano anche, come sinonimo o equivalente di “subconscio”, il termine “inconscio”, che, preso alla lettera, sembrerebbe riferirsi a un livello ancora inferiore, ma che, a dire il vero, corrisponde meno esattamente alla realtà; se ciò di cui si tratta fosse veramente inconscio, non vediamo neppure bene come sarebbe possibile parlarne, soprattutto in termini psicologici; e peraltro in virtù di che, se non di un semplice pregiudizio materialista o meccanicistico, si dovrebbe ammettere che esista realmente qualcosa d’inconscio? Comunque, ciò che è ancora degno di nota, è la strana illusione per cui gli psicologi arrivano a considerare degli stati tanto più “profondi” quanto più sono semplicemente inferiori; non v’è forse già in questo un indizio della tendenza ad andare contro alla spiritualità, che sola può esser detta veramente profonda, perché essa sola è inerente al principio e al centro stesso dell’essere? D’altra parte, poiché il dominio della psicologia non s’è esteso verso l’alto, il “superconscio”, naturalmente, le rimane completamente estraneo e del tutto precluso; e, quando le accade di venire in contatto con qualcosa che vi si riferisce, essa pretende puramente e semplicemente di annetterlo assimilandolo al “subconscio”; tale è, segnatamente, il carattere pressoché costante delle sue presunte spiegazioni concernenti cose quali la religione, il misticismo, e anche certi aspetti delle dottrine orientali come lo Yoga; e, in questa confusione del superiore con l’inferiore, c’è già qualcosa che può essere propriamente considerato come una vera sovversione.
Notiamo anche che, con il richiamo al “subconscio”, la psicologia, come del resto la “nuova filosofia”, tende sempre più a congiungersi con la “metapsichica” [3]; e, nella stessa misura, si avvicina inevitabilmente, sebbene forse senza volerlo (almeno per quei suoi rappresentanti che intendono rimanere materialisti malgrado tutto), allo spiritismo e altre cose più o meno simili, che tutte s’appoggiano, in definitiva, sugli stessi oscuri elementi dello psichismo inferiore. Se queste cose, dall’origine e dal carattere più che sospetti, appaiono come movimenti “precursori” e alleati della psicologia recente, e se questa arriva, sia pure per un cammino indiretto, ma proprio per ciò più comodo di quello della “metapsichica” che è ancora posta in discussione in certi ambienti, a introdurre gli elementi in questione nel dominio corrente della cosiddetta scienza “ufficiale”, è molto difficile pensare che il vero ruolo di questa psicologia, nelle attuali condizioni del mondo, possa essere altro che quello di concorrere attivamente alla seconda fase dell’azione antitradizionale. A questo proposito, la pretesa della psicologia ordinaria, poco sopra segnalata, d’annettersi, facendole rientrare a forza nel “subconscio”, certe cose che per la loro stessa natura le sfuggono completamente, si riallaccia ancora, nonostante il suo carattere abbastanza nettamente sovversivo, a quello che potremmo chiamare il lato infantile di tale ruolo, giacché le spiegazioni di questo genere, così come le spiegazioni “sociologiche” di queste stesse cose, sono, in fondo, di un’ingenuità “semplicistica” da sconfinare talvolta nella stupidità; in ogni caso, ciò è incomparabilmente meno grave, quanto alle conseguenze effettive, del lato veramente “satanico” che dobbiamo ora esaminare in modo più preciso per quanto concerne la nuova psicologia.
Questo carattere “satanico” appare con una nettezza tutta particolare nelle interpretazioni psicanalitiche del simbolismo, o di quanto è preso per tale a torto o a ragione; facciamo questa restrizione perché, su questo punto come su tanti altri, se si volesse entrare nel dettaglio, vi sarebbero molte distinzioni da fare e numerose confusioni da dissipare: così, solo per prendere un esempio tipico, un sogno nel quale s’esprime qualche ispirazione “sopra-umana” è veramente simbolico, mentre un sogno ordinario non lo è per nulla, a prescindere dalle apparenze esteriori. Ovviamente gli psicologi delle scuole anteriori molto spesso avevano già tentato, anch’essi, di spiegare il simbolismo a modo loro e di ricondurlo alla misura delle proprie concezioni; in tal caso, se si tratta veramente di simbolismo, queste spiegazioni con elementi d’ordine puramente umano, come sempre avviene quando siano in gioco cose d’ordine tradizionale, disconoscono quel che ne costituisce tutto l’essenziale; se al contrario si tratta realmente solo di cose umane, non è altro che un falso simbolismo, ma il fatto stesso di designarlo con questo nome comporta ancora lo stesso errore circa la natura del vero simbolismo. Ciò vale egualmente per le considerazioni cui si abbandonano gli psicanalisti, ma con la differenza che allora non è più soltanto d’umano che bisogna parlare, ma anche, in larga parte, d’“infra-umano”; si è dunque questa volta in presenza, non più d’un semplice abbassamento, ma d’una sovversione totale; e ogni sovversione, anche se non è dovuta, immediatamente almeno, che all’incomprensione e all’ignoranza (che sono peraltro quanto di meglio si presti a essere sfruttato per un tale uso), è pur sempre, in se stessa, propriamente “satanica”. Del resto, il carattere generalmente ignobile e ripugnante delle interpretazioni psicanalitiche costituisce, a questo proposito, un “marchio” che non lascia dubbi; e ciò che è ancora particolarmente significativo dal nostro punto di vista, è che, come abbiamo mostrato altrove [4], questo stesso “marchio” si ritrova precisamente anche in certe manifestazioni dello spiritismo; occorrerebbe sicuramente una forte dose di buona volontà, se non una completa cecità, per non vedervi ancora nient’altro che una semplice “coincidenza”. Naturalmente gli psicanalisti possono, nella maggioranza dei casi, essere incoscienti quanto gli spiritisti di quel che realmente sta sotto a tutto ciò; ma gli uni e gli altri appaiono egualmente come “diretti” da una volontà sovversiva che utilizza in entrambi i casi elementi dello stesso ordine, se non esattamente identici, volontà che, qualunque siano gli esseri in cui si incarna, è almeno lei certamente ben cosciente presso di loro, e risponde a delle intenzioni senza dubbio molto diverse da tutto quello che possono immaginare coloro che sono solamente gli strumenti incoscienti attraverso i quali si esercita la loro azione.
In queste condizioni, è più che evidente lo scopo principale della psicanalisi, che è la sua applicazione terapeutica, non può che essere estremamente pericolosa sia per chi vi si sottopone, e anche per chi l’esercita, poiché queste cose sono di quelle che non si maneggia mai impunemente; non sarebbe esagerato vedervi uno dei mezzi specialmente attuati per accrescere il più possibile lo squilibrio del mondo moderno e condurlo verso la dissoluzione finale [5]. Coloro che praticano questi metodi, non ne dubitiamo, sono al contrario ben persuasi del beneficio dei loro risultati; ma è proprio grazie a questa illusione che la loro diffusione è resa possibile, ed è qui che si può cogliere tutta la differenza esistente tra le intenzioni di questi “praticoni” e la volontà che presiede all’opera di cui essi non sono che ciechi collaboratori. In realtà, la psicanalisi non può avere se non l’effetto di portare alla superficie, rendendolo chiaramente cosciente, tutto il contenuto di quei “bassifondi” dell’essere che formano quel che viene chiamato propriamente il “subconscio”; quest’essere, peraltro, è già per ipotesi psichicamente debole, poiché, se fosse altrimenti, non proverebbe affatto il bisogno di ricorrere a una trattamento di tal sorta; egli è quindi ancor più incapace di resistere a questa “sovversione”, e rischia seriamente di affondare irrimediabilmente nel caos delle forze tenebrose imprudentemente scatenate; se anche riuscisse nonostante tutto a sfuggirvi, ne conserverà tuttavia, per tutta la vita, un’impronta che sarà in lui come una “macchia” indelebile.
Sappiamo bene quel che certuni potrebbero qui obiettare invocando una similitudine con la “discesa agli Inferi”, quale s’incontra nelle fasi preliminari del processo iniziatico; ma una tale assimilazione è completamente falsa, poiché il fine non ha nulla in comune, non più d’altronde delle condizioni del “soggetto” nei due casi; si potrebbe solo parlare di una sorta di parodia profana, e questo già basterebbe a conferire a tutto ciò un carattere di “contraffazione” piuttosto inquietante. La verità è che questa pretesa “discesa agli Inferi”, che non è seguita da nessuna “risalita”, è semplicemente una “caduta nel pantano”, seguendo il simbolismo usitato in certi Misteri dell’antichità; è noto che questo “pantano” era segnatamente raffigurato lungo la strada che conduceva a Eleusi, e coloro che vi cadevano erano dei profani che pretendevano all’iniziazione senza essere qualificati a riceverla, e che dunque erano vittime solo della loro imprudenza. Aggiungeremo solo che “pantani” del genere esistono veramente sia nell’ordine macrocosmico sia in quello microcosmico; ciò si riallaccia direttamente alla questione delle “tenebre esteriori” [6], e si potrebbero ricordare, a questo proposito, certi testi evangelici il cui senso concorda esattamente con quanto abbiamo appena indicato. Nella “discesa agli Inferi”, l’essere esaurisce definitivamente certe possibilità inferiori per potersi quindi elevare agli stati superiori; nella “caduta nel pantano”, le possibilità inferiori s’impadroniscono al contrario di lui, lo dominano e finiscono per sommergerlo completamente.
Anche qui abbiamo parlato di “contraffazione”; questa impressione è grandemente rafforzata da altre constatazioni, come quella della snaturazione del simbolismo che abbiamo segnalato, snaturazione che tende d’altronde a estendersi a tutto quello che comporta essenzialmente degli elementi “sopra-umani”, come dimostra l’atteggiamento assunto nei confronti della religione [7], e anche delle dottrine d’ordine metafisico e iniziatico come lo Yoga, che non sfuggono di più a questo nuovo genere d’interpretazione, al punto che certuni arrivano ad assimilare i loro metodi di “realizzazione” spirituale ai procedimenti terapeutici della psicanalisi. Vi è in ciò qualcosa di ancor peggiore delle deformazioni più grossolane in voga egualmente in Occidente, come quella che vuole vedere nei metodi dello Yoga una sorta di “cultura fisica” o di terapia d’ordine semplicemente fisiologico, poiché queste sono, per la loro stessa grossolanità, meno pericolose di quelle che si presentano sotto parvenze più sottili. La ragione non è solo che queste ultime rischiano di sedurre delle menti sulle quali le altre non saprebbero avere alcuna presa; questa ragione esiste sicuramente, ma ce n’è un’altra, di portata molto più generale, che è quella stessa per cui le concezioni materialiste, come abbiamo spiegato, sono meno pericolose di quelle che fanno appello allo psichismo inferiore. Beninteso, il fine puramente spirituale, che solo costituisce essenzialmente lo Yoga come tale, e in difetto del quale l’impiego stesso di tale termine non è che una vera derisione, è completamente misconosciuto in entrambi i casi; infatti, lo Yoga non è una terapia psichica più di quanto sia una terapia corporea, e i suoi procedimenti non sono in alcun modo né ad alcun grado un trattamento per malati o squilibrati di sorta; ben lungi, si rivolgono al contrario a esseri che, per poter realizzare lo sviluppo spirituale che è la loro unica ragion d’essere, devono già essere, per naturale disposizione, il più perfettamente equilibrati possibile; si tratta di condizioni che, com’è facile comprendere, rientrano strettamente nella questione delle qualificazioni iniziatiche [8].
Non è ancora tutto, e c’è anche un’altra cosa, riguardo alla “contraffazione”, che è forse ancor più degna di nota di tutto quel che abbiamo menzionato sinora: è l’obbligo imposto, a chiunque intenda praticare professionalmente la psicanalisi, d’essere egli stesso previamente “psicanalizzato”. Questo implica innanzitutto il riconoscimento che l’essere che ha subito questa operazione non sarà mai più qual era prima, o che, come dicevamo prima, essa gli lascia un’impronta indelebile, come l’iniziazione, ma in qualche modo in senso inverso, poiché, invece di uno sviluppo spirituale, si tratta qui d’uno sviluppo dello psichismo inferiore. D’altra parte, vi è qui un’evidente imitazione della trasmissione iniziatica; ma, posta la diversità di natura delle influenze che intervengono, e siccome vi è pur sempre un risultato effettivo che non consente di considerare la cosa ridotta a un semplice simulacro senza alcuna portata, questa trasmissione sarebbe piuttosto paragonabile, in realtà, a quella che si pratica in un dominio come quello della magia, e anche più precisamente della stregoneria. Vi è peraltro un punto alquanto oscuro, riguardo all’origine stessa di questa trasmissione: siccome è evidentemente impossibile dare ad altri ciò che non si possiede, e siccome l’invenzione della psicanalisi è d’altronde del tutto recente, donde i primi psicanalisti hanno ricevuto i “poteri” che trasmettono ai loro discepoli, e da chi essi stessi hanno potuto essere per primi “psicanalizzati”? Questa domanda, che ci pare alquanto logico porre, almeno per chiunque sia appena capace di riflettere, è probabilmente molto indiscreta, ed è più che dubbio che riceva mai una risposta soddisfacente; ma, a dire il vero, non ce n’è bisogno per riconoscere, in una tale trasmissione psichica, un altro “marchio” veramente sinistro per gli accostamenti che comporta: la psicanalisi presenta, da questo lato, una rassomiglianza piuttosto terrificante con certi “sacramenti del diavolo”!
* R. Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Gallimard, Paris, 1945, cap. XXXIV.
1. Il caso dello stesso Freud, il fondatore della “psicanalisi”, è tipico da questo punto di vista, poiché egli non ha mai cessato di proclamarsi materialista. – Un’osservazione di sfuggita: come mai i principali rappresentanti delle nuove tendenze, come Einstein in fisica, Bergson in filosofia, Freud in psicologia, e molti altri ancora di minore importanza, sono quasi tutti d’origine ebraica, se non perché vi è in ciò qualcosa che corrisponde esattamente al lato “malefico” e dissolvente del nomadismo deviato, che predomina inevitabilmente presso gli Ebrei distaccati dalla loro tradizione?↩
2. Va notato, a questo proposito, che Freud ha posto, all’inizio del suo Traumdeutung, la seguente epigrafe molto significativa: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo» (Virgilio, Eneide, VII, 312).↩
3. Fu del resto lo “psichista” Myers a inventare l’espressione subliminal consciousness, che, per amore di brevità, fu sostituita un po’ più tardi, nel vocabolario della psicologia, con la parola “subconscio”.↩
4. Vedere L’Erreur spirite, parte II, cap. X.↩
5. Un altro esempio di questi mezzi è dato dall’uso similare della “radioestesia”, poiché, anche là, ci sono, in molti casi, elementi psichici della stessa qualità che entrano in gioco, anche se si deve riconoscere che non si presentano sotto l’aspetto “repellente” che è così evidente nella psicanalisi.↩
6. Ci si potrà riportare qui a quel che abbiamo indicato più sopra a proposito del simbolismo della “Grande Muraglia” e della montagna Lokâloka.↩
7. Freud ha consacrato all’interpretazione psicanalitica della religione uno speciale libro, nel quale le sue proprie concezioni sono combinate con il “totemismo” della “scuola sociologica”.↩
8. Su un tentativo d’applicazione delle teorie psicanalitiche alla dottrina taoista, ciò che è ancora dello stesso ordine, vedere lo studio d’André Préau, La Fleur d’or et le Taoïsme sans Tao, che ne è un’eccellente confutazione.↩
 

sabato 7 febbraio 2015

La cripta-ossario dei cappuccini a Roma

tratto da L'Opinone del 04 febbraio 2015 http://www.opinione.it/cultura/2015/02/04/ricci_cultura-04-02.aspx


di Paolo Ricci

 
Nel centro di Roma, vicino piazza Barberini, sorge la chiesa dell'Immacolata Concezione. È la prima chiesa romana dedicata “a Dio in onore dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria”.
La prima pietra fu posta nel 1626 per volere del Cardinale Antonio Barberini, cappuccino e fratello germano del Papa Urbano VIII. Padre Michele da Bergamo fu l'architetto incaricato di costruire il convento e la chiesa dei cappuccini, proprio nei pressi di piazza Barberini, all'inizio di via Veneto. Prima di entrare nella Cripta il percorso proposto passa per un interessante museo nel quale si ritrovano diversi dipinti, tra i quali un san Francesco del Caravaggio. Poi numerosi oggetti della vita religiosa dei cappuccini, reliquie, ex voto. Sono otto le sezioni del museo: la prima è dedicata al convento, voluto, come si è detto, dalla famiglia Barberini, che fu ultimato nel 1631. La seconda presenta l'Ordine; la terza sezione propone la Santità cappuccina e si sofferma sulla spiritualità attraverso immagini e storie di alcuni santi dell'Ordine.
La quarta sezione propone l'esposizione di vesti e oggetti di uso liturgico e di manufatti di uso quotidiano. Nella quinta sezione si trova il san Francesco del Caravaggio. Nella sesta sezione i cappuccini nel XX secolo e nella settima i cappuccini nel mondo, il percorso espositivo giunge fino ai nostri giorni mostrando l'attività spirituale, culturale, missionaria e artistica che ha caratterizzato l'Ordine nel XX secolo. Infine si giunge alla cripta-cimitero. In questo luogo si trova la Cripta dei frati cappuccini, un “loco onesto” che l'architetto suddetto progettò per la sepoltura dei frati. Dal 1631 al 1870 i resti di circa 3500 frati furono ammassati lungo le pareti. La cripta è indescrivibile nella sua essenza.
Qui regna la morte, “sora nostra morte corporale”. Nell'ambiente, composto da sei stanze, si ritrovano 18 mummie di cappuccini col saio, posti in posizione sdraiata o in piedi. Sia le pareti che le volte sono ricoperte di motivi ornamentali composti con le ossa delle diverse parti del corpo umano. Il percorso è suggestivo, lo sguardo si perde in una penombra dove tutto è ossa accatastate, teschi, strutture fatte di resti, che compongono simboli diversi: la clessidra alata, l'orologio a una sola sfera, il teschio con le ali; riflessioni sul valore della vita, sul tempo, sullo spazio e oltre. La prima cripta del percorso originario che ora si presenta come ultima, è quella concepita come “ingresso” in cui il visitatore viene invitato a riflettere sull'inevitabilità della morte.
La seconda cripta è quella delle tibie e dei femori, la più grande; la terza è quella dei bacini; la quarta quella dei teschi, la quinta stanza è la cappella della Messa in cui è presente un altare con una tela che rappresenta la Vergine seduta con il Bambino in piedi sulle sue ginocchia; la sesta cripta è dedicata alla Resurrezione, qui si ritrova una tela raffigurante la resurrezione di Lazzaro, conclusione del percorso escatologico. Così tornano alla mente le parole di san Francesco, proposte ovviamente anche nel percorso: “Laudato sii, mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare”.
E usciti dal silenzio, il centro della città di Roma, riavvolge (e forse rassicura) l'anima del visitatore.

domenica 25 gennaio 2015

La Fotografia Spiritica

In collaborazione con Hesperya

tratto da http://www.hesperya.net/il-ghost-hunting/la-fotografia-spiritica/

di Stefano Urso

La fotografia spiritica ebbe il suo maggior eploit fra la fine del ‘800 e la prima metà del ‘900.
William H. Mumler scoprì nel 1860 la doppia esposizione e la sovrapposizione delle lastre. Questo gli permise di lucrare a discapito delle famiglie in lutto per la perdita di un loro caro. Iniziò a spacciarsi per medium fotografando persone e aggiungendo poi nelle stesse immagini, quelle dei defunti. La truffa di Mumler fu scoperta per un suo stesso errore: inserì foto di residenti ancora in vita spacciandoli per spiriti.

Ma non fu l’unico truffaldino a sfruttare la così detta fotografia spiritica: William Hope, ex falegname scoprì lo stesso meccanismo e nel 1905 scattò la prima fotografia che raffigurava l’anima di un defunto.
Fondò la Crewe Circle, un gruppo spiritualista e continuò la carriera di esperto fotografo di spiriti per almeno 17 anni, quando nel 1922 fu smascherato dalla Society for Psysical Research e da Harry Price, un pioniere del ghost hunting.

Price aveva impresso il logo della Imperiaò Dry Co. Ltd. sulle lastre date a Hope per un test, a sua insaputa ovviamente. Hope scambiò le lastre e mostrò le foto spiritiche. Però mancava il logo, segno inequivocabile che si trattava di una frode.

Oggi esiste photoshop o basta un’immagine ingannevole per gridare al fantasma quando invece è solo un fenomeno ottico di pareidolia. Ma è davvero tutto falso?

 Harry Price e un presunto spirito fotografato da William Hope (1922)
Harry Price e un presunto spirito fotografato da William Hope (1922)

 I coniugi Gibson e lo "spirito" del loro deceduto figlio (1919) scattata da William Hope
I coniugi Gibson e lo "spirito" del loro deceduto figlio (1919) scattata da William Hope

sabato 10 gennaio 2015

Estratti da Meister Eckart

Alcuni estratti dai sermoni di Mesister Eckart contenuti nel libro  "l nobiltà dello spirito", SE edizioni a cura di Marco Vannini.

"La purezza dell'anima risiede nel fatto di purificarsi da una vita divisa e di entrare in una vita unitaria. Tutto ciò che è diviso nelle cose basse, è unificato quando l'anima si eleva a una vita in cui non v'è più opposiuzione" (Sermone 8)

"[...] tutto quel che è temporale è lontano ed astraneo a Dio"
"Finché l'uomo ha tempo e spazio, numero, molteplicità, egli non è come deve essere, e Dio gli è lontano ed estraneo"
"Se dicessimo che Dio ha creato ieri il mondo o lo creerà domani, ci comporteremmo in modo insensato. Dio crea il mondo e tutte le cose in un istante presente, e il tempo che è trascorso da mille anni è ora tanto presente a Dio e tanto vicino quanto i ltempo che è adesso" (Sermone 10)

"Quando è compiuto il tempo? Quando non v'è più tempo."
"Un testo dice: Tre cose sono un ostacolo per l'uomo, in guisa tale che egli non può riconoscere in alcun modo Dio. La prima è la temporalità; la seconda la corporeità, la terza la molteplicita"
"[..] nell'eternità non v'è né ieri né domani, ma solo l'istante presente: ciò che è stato mille anni fa e ciò che sarà tra mille anni, è presente, e nello stesso modo lo è quello che sta dall'altra parte del mare" (Sermone 11)

"Tre cose ci impediscono di ascoltare la parola eterna. La prima è la corporalità, la seconda la molteplicità, la terza temporalità." (Sermone 12)

"[...] nella Divinità e nell'eternità vi è unità; ma la rassomiglianza non è affatto l'Uno. Se io fossi uno, non sarei simile. Non v'è nulla di estraneo nell'unità. Nella eternità mi è dato di essere uno, non di essere simile" (Sermone 13)

giovedì 1 gennaio 2015

Il Viaggio Iniziatico di Alice nel Paese delle Meraviglie

tratto da Lex Aurea n. 38 (http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea38.pdf)

di Vito Foschi



Una premessa. In questo articolo andrò a interpretare il racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie, precisando che l'autore non aveva interessi esoterici e il suo libro non ha intenti simili, ma è semplicemente una storia pensata per i bambini. Ciò chiaramente non esclude un'interpretazione simbolica del testo. Dopotutto se è accettabile dalla critica letteraria un'interpretazione sessuale simil freudiana non si riesce a capire perché non sia possibile farne una simbolica: nell’in-terpretazione di una favola la tana del coniglio può essere tranquillamente un simbolo sessuale, ma  non per esempio un simbolo della Dea Madre che si adorava nelle grotte. Se va bene che il coniglio sia un simbolo sessuale e sinceramente di primo acchito non è la prima cosa che viene in mente del coniglio, ma semmai la sua velocità, allora dovrebbe andar bene affermare che la tana sotterranea possa rappresentare gli stati inferi dell’essere, da attraversare prima di passare agli stati superiori.


Alice è una bambina ben educata, ma sopratutto è immersa nel razionalismo ottocentesco. La sua è una mente razionale e va finire in un mondo che sovverte le regole: gli animali parlano, le persone cambiano dimensioni, ecc. Cose che una mente razionale non può accettare, ma nel racconto deve imparare a fare. Certo può essere un semplice scontro fra razionalità della società vittoriana ottocentesca e un modo di pensare più spontaneo, più infantile, ma a volte l'irrazionale può aprire altre porte.

Alice si trova in un prato quando si addormenta sognando tutta l’avventura, che solo alla fine del racconto si svela essere solo un viaggio onirico. Nel suo sogno-viaggio, Alice, incontra molteplici animali e ciò in qualche modo ricorda i viaggi degli sciamani con i loro animali totemici.
Fra i tanti animali sicuramente quello che occupa il posto di rilievo è il coniglio che è l’iniziatore, colui che fa intraprendere il viaggio ad Alice e che la guida durante il percorso.

Dopo la caduta nella tana del coniglio Alice si trova in una strana stanza sostanzialmente vuota, ma cosparsa di porte. Su un tavolino di vetro trova una piccola chiave che apre una porticina occultata da una tenda. Alice compie vari tentativi per aprire la porticina e penetrarci, ma senza successo. Prende la chiave e apre la porta, ma l’apertura è troppo piccola per passarci e riesce solo a vedere che dà su un bellissimo giardino. Sarà il Paradiso riservato agli iniziati? Torna indietro e trova una bottiglietta da cui beve e si rimpicciolisce alle giuste dimensioni per attraversare la porticina, ma trova la porta chiusa e la chiave sul tavolino, ormai irraggiungibile. Alice riconquista la sua altezza, recupera la chiave, apre la porta, riesce a rimpicciolirsi ma ritrova la porta chiusa. Dopo un altro tentativo la scena cambia completamente. Alice non è pronta a superare la prova. Per tutto il racconto cambia le sue dimensioni alla ricerca di quelle giuste.

Per superare la prova deve possedere due qualità, la chiave, ovvero il mezzo per penetrare la Verità e la giusta altezza ovvero la giusta predisposizione d’animo. Non bisogna essere alti, ovvero avere orgoglio, perché ciò non può che far perdere la verità.
Dopo la scena della stanza dalle molteplici porte Alice si ritrova rimpicciolita in un mare formato dalle lacrime cadute quand’era un gigante. Vi ritrova vari animali con qui intavola una discussione e con cui fa una corsa “confusa” ovvero una corsa in cui ogni partecipante corre dove vuole senza curarsi di seguire un percorso. In questo episodio prevale l’assurdità è sembra solo un intermezzo per far uscire Alice dalla stanza dalle molteplici porte e proseguire il racconto con altre prove. In effetti il racconto si conclude con l’avvistamento del Bianconiglio che corre come al suo solito ed Alice che prontamente lo rincorre. Il coniglio la continua ad indirizzare nella giusta direzione. Seguendo il Bianconiglio, Alice finisce nel Paese delle Meraviglie e seguendolo ancora si allontana dall’assurda situazione della corsa confusa per proseguire nel suo viaggio.

Altro animale simbolico è il bruco che Alice incontra a metà racconto. Il bruco rimanda alla crisalide, alla trasformazione, alla morte simbolica e alla rinascita come farfalla ovvero come essere nuovo non più legato alla terra, ma al cielo. Il bruco è perciò perfetto simbolo dell’iniziazione.

A fine racconto Alice incontra un grifone, animale mitologico unione di cielo e terra, leone ed aquila, simbolo dell’iniziazione proprio per la sua doppia natura. L’iniziazione non è un passaggio? Un passaggio da una condizione umana, terrena ad una superiore? E il leone a cui spuntano le ali non ne è che un simbolo. E tale animale compare alla fine del racconto quasi a voler simboleggiare l’ormai acquisita iniziazione di Alice che da lì a poco si sveglierà dallo stato di sonno: si risveglia alla sua nuova condizione, come una qualsiasi iniziazione con la morte iniziatica e il successivo risveglio. Altro elemento caratterizzante il grifone è la coda formata da un serpente, animale sicuramente legato alla terra, ma in grado di infilarsi nei buchi, quindi in qualche modo partecipe della natura sotterranea e in tal modo ideale completamento con il leone e l’aquila dei tre mondi, dando così al grifone una completezza. Ma non solo questo, il serpente oltre alle note valenze negative, che nel grifone non compaiono, è un altro simbolo iniziatico per la sua caratteristica di cambiare pelle, quindi di lasciare la sua vecchia natura e di acquisirne un’altra.
A livello allegorico l’aquila rappresenta l’intelligenza per la sua capacità di guardare lontano, il leone la forza e il coraggio e il serpente la furbizia. Quindi anche a livello allegorico il grifo è un simbolo di completezza, la forza guidata dalla intelligenza ed aiutata dalla furbizia per svelare gli inganni.
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. (16 Vangelo secondo Matteo)

Sulla Regina di Cuore collerica si sprecherebbero le congetture psicologiche dal classico complesso di Edipo alla madre della vera Alice che proibisce al giovane Carrol di vedere la bambina. D’altro canto la regina è di cuori e non può essere che preda di forti emozioni essendo il cuore l’organo deputato a ciò. Il rosso è anche il colore delle forti emozioni e della rabbia, ma non dimentichiamo che il rosso è anche il colore della nobiltà, e quindi naturale corollario della sovranità. Per tutto l’episo-dio la Regina minaccia tutti di far tagliare loro la testa ed è emblematico che ciò accade alla fine del racconto. La decollazione ha un forte significato simbolico, di morte e poi di rinascita. Staccare il capo dal corpo ovvero lo spirito dal corpo, dalla componente materiale, liberarlo dalla materia, non a caso decollare, è anche etimologicamente far volare.
L’ultimo episodio del racconto vede Alice imputata in un processo. La bambina ha già conosciuto il Grifo che come abbiamo visto ha un preciso significato iniziatico e durante il processo mantiene un atteggiamento di sufficienza e quasi di irritazione per tutti quei buffi personaggi: oramai il suo viaggio volge al termine. Il passaggio è terminato, l’iniziazione è avvenuta, la testa simbolicamente si è staccata dal corpo e può volare libera e tutti quei buffi personaggi, rappresentanti gli stati dell’essere precedenti all’iniziazione, sono solo d’intralcio

martedì 23 dicembre 2014

Sul Destino, Giamblico

tratto da: http://letteraespirito.wordpress.com/giamblico-sul-destino/

Giamblico (Calcide 245-325 ca.). Si adoperò per rivivificare le dottrine pitagoriche e platoniche. Allievo di Porfirio alla scuola neoplatonica d’Alessandria, fondò poi la “scuola siriaca”. Oltre a molti frammenti (noti attraverso l’Eklogon di Stobeo), restano di lui cinque libri della stessa opera principale Συναγωγὴ τῶν Πυϑαγορείων δογμάτον (De vita Pythagorica, Protrepticus o Adhortatio ad philosophiam, De communi mathematicæ scientia, In Nicomachi arithmeticam introductio, Theologumena arithmeticæ) e l’opera De mysteriis.

Dall’epistola di Giamblico a Macedonio
Stobeo I 5. 17
Tutti gli esseri sono esseri in forza dell’uno, e infatti anche ciò che è in modo primario da principio si produce a partire dall’Uno, ma in modo del tutto particolare le cause totali in forza dell’Uno ricevono il potere di produrre e secondo un unico intreccio sono tenute unite e allo stesso tempo sono ricondotte insieme al principio dei molti, in quanto presussistono.
In base a questo ragionamento, dunque, a un’unica causa totale è sospesa anche la molteplicità delle cause naturali, che sono costituite di molteplici specie, divise in un gran numero di parti e dipendono da più principi; d’altra parte tutte le cause si intrecciano l’una con l’altra secondo un unico legame e la connessione delle molte cause rimonta a un’unica forza causale, la più comprensiva.
Dunque questa unica concatenazione non è formata alla rinfusa a partire dal molteplice, né realizza l’unità acquisendo consistenza a partire dall’intreccio, né si trova dispersa negli esseri individuali; piuttosto è secondo un unico intreccio causale, superiore e antecedente agli esseri individuali, che questa unica concatenazione porta a compimento tutte le cose e le lega insieme in sé e le riconduce a sé secondo l’unicità formale.
Si deve dunque definire il destino un ordine unico che comprende in sé allo stesso tempo tutti gli ordini.

Dall’epistola di Giamblico a Macedonio sul destino
Stobeo II 8. 43
È sostanza immateriale quella dell’anima che esiste in sé, incorporea, del tutto ingenerata e indistruttibile – dal momento che possiede a partire da se stessa l’essere e il vivere –, si muove di moto del tutto proprio ed è principio della natura e di tutti i movimenti. Dunque in quanto essa è tale, contiene in sé la vita che detiene il potere di determinarsi e quella indipendente. [E] per quanto si dà alle cose soggette al divenire e si subordina al moto dell’universo, in tale misura è sia spinta sotto il dominio del destino sia sottomessa alle necessità della natura; invece, per quanto esercita la sua attività intellettiva, che è realmente libera da tutte le cose ed è di propria elezione, in tale misura compie volontariamente le sue funzioni proprie e raggiunge davvero il contatto col divino e buono e intelligibile.
Stobeo II 8. 44
Bisogna, allora, darsi cura di vivere quel tipo di esistenza che è secondo intelletto ed è degli dei; solo questa infatti ci dà un’anima che non ha padrone, ci scioglie dai legami necessari e ci fa vivere non una forma di esistenza umana, bensì divina, cioè colma di beni divini, per volontà degli dei.
Stobeo II 8. 45
E infatti, riassumendo, i movimenti cosmici del destino si svolgono in maniera simile alle attività e alle rivoluzioni immateriali e intellettive; l’ordine del destino rispecchia il buon ordine intelligibile e non contaminato; le cause seconde sono connesse alle cause superiori e il molteplice nella generazione è in relazione all’essenza indivisibile e allo stesso modo tutte le cose del destino sono unite alla superiore provvidenza. In conclusione, per la sua stessa essenza il destino è intrecciato alla provvidenza e, per il fatto che la provvidenza esiste, esiste il destino e sussiste a partire da essa e in relazione a essa.
Stobeo II 8. 45a
Dato questo stato di cose, anche il principio umano dell’agire ha consonanza con entrambi questi principi dell’universo [i.e. destino e provvidenza]; d’altra parte, implica in
noi anche un principio delle azioni staccato dalla natura e sciolto dal movimento dell’universo: per questo tale principio non è contenuto nel principio dell’universo. Infatti, poiché [non] deriva dalla natura né dal movimento dell’universo, essendo più eminente e non essendo dato dall’universo, è posto prima nell’ordine; ma poiché si è distribuito alcune parti a partire da tutte le regioni del cosmo e da tutti gli elementi e si serve di tutte queste parti,
è compreso esso stesso anche nell’ordine del destino, contribuisce a tale ordine, ne porta a compimento la costituzione e se
ne serve opportunamente.
E per quanto l’anima contiene in sé una ragione pura, autosussistente e che si muove di moto del tutto proprio e svolge la sua attività a partire da sé ed è perfetta, in tale misura essa è sciolta da tutte le cose esterne; ma per quanto proietta anche altre vite che inclinano verso la generazione ed è in comunione col corpo, in tale misura è intrecciata anche con l’ordine del cosmo.
Stobeo II 8. 46
Se poi qualcuno, introducendo la spontaneità e la sorte, crede di eliminare l’ordine, sappia che nell’universo non c’è niente che sia privo di ordine, episodico, senza causa, indeterminato, fortuito, che consegua dal nulla e sia per accidente. Né dunque possono essere eliminati l’ordine, la continuità delle cause, l’unione dei principi e il predominio delle realtà prime che si estende attraverso il tutto.
Allora è preferibile dare la seguente definizione: la sorte è causa degli ordini molteplici o anche di ordini di altro genere, causa che sorveglia e unifica, più eminente della combinazione degli eventi; ora la chiamiamo dio, [ora] la consideriamo [invece demone].
Infatti, quando cause delle combinazioni degli eventi sono gli esseri superiori, è un dio a sorvegliarle, ma qualora lo siano le cose naturali, un demone. Sempre, dunque, tutte le cose sono portate a compimento grazie a una causa e tra le cose che divengono non ce n’è proprio nessuna che sopraggiunge fuori dall’ordine.
Stobeo II 8. 47(-48)
Allora perché le distribuzioni vengono assegnate contro il merito? O questo è del tutto empio anche solo chiederlo? I beni infatti non risiedono in qualcos’altro, ma nell’uomo stesso e nella scelta dell’uomo, e anzi essi sono definiti in senso più proprio solo nella libertà di scelta, invece i dubbi sono avanzati dai più per ignoranza. Dunque il frutto della virtù non è altro che la virtù stessa.
Né chi è virtuoso è sminuito dalla sorte, giacché la nobiltà d’animo lo rende superiore rispetto a ogni cattiva sorte. Né ciò accade contro natura: la vetta dell’anima e la sua perfezione, infatti, bastano a portare a compimento la natura migliore dell’uomo. E certamente le cose che sembrano essere contrarie esercitano, mantengono salda e accrescono la virtù e senza di esse non è possibile raggiungere l’eccellenza nella virtù. E quindi questa disposizione dell’uomo virtuoso preferisce specialmente ciò che è bello e ripone la sola perfezione della ragione in una vita beata, mentre le altre cose non le tiene in alcun conto e le disprezza.
Poiché quindi nell’anima consiste l’uomo, e poiché l’anima è intellettiva e immortale, e il bello e il bene e il fine di essa sussistono nella vita divina, nessuna delle cose mortali ha il potere di dare un qualche contributo alla vita perfetta,
né di diminuirne la felicità. In generale, infatti, la nostra beatitudine sussiste nella vita intellettiva, e nessuna delle cose intermedie la fa accrescere né è possibile ridurla. Allora invano gli uomini vanno parlando dei casi e dei favori iniqui della sorte.

Protreptico o Esortazione alla Filosofia
3. Sentenze protrettiche pitagoriche in versi, capaci di invitarci a ogni filosofia che sia la migliore e la più divina
C’è anche un altro tipo di esortazione che si serve anch’esso di sentenze, ma che non pone più a mo’ di parabola le immagini alle sentenze, giacché è già in versi e in musica, ed è genuinamente pitagorico, e noi lo possediamo per averlo appreso tra l’altro nei Versi aurei, di cui è giusto presentare qui poche indicazioni, e cioè le seguenti:
Fatica su queste cose, praticale, occorre che tu le ami:
esse ti porranno sulle tracce della divina virtù.
Attraverso queste parole Pitagora esorta a tutto ciò che di bello c’è nelle scienze e nelle occupazioni matematiche, ritenendo che non ci si debba risparmiare le fatiche, né trascurare alcuna pratica di studio, stimolando all’amore e all’impegno per le cose belle, e riducendo tutto questo alla pratica della virtù, e non semplicemente di una qualsiasi virtù, ma di quella che ci allontana dalla natura umana, e ci conduce alla divina essenza e alla conoscenza e all’acquisizione della divina virtù. Ma in effetti Pitagora ci invita alla sapienza contemplativa con le seguenti parole:
Quando tu avrai dominato queste cose,
conoscerai la costituzione degli dei immortali e degli uomini mortali,
dove cioè ciascuna [di tali realtà] si sviluppa [liberamente] e dove viene trattenuta;
e tu conoscerai, per quanto ti è consentito, che la natura è sempre la medesima,
sicché né tu puoi sperare ciò che è insperabile, né alcunché ti rimane nascosto.
Ebbene, non esistono cose più straordinarie di queste per coloro che sono capaci per natura di slanciarsi nobilmente verso la filosofia contemplativa, perché la conoscenza degli dei è perfetta virtù e sapienza e felicità, e ci rende simili agli dei, e d’altra parte la scienza delle cose umane fornisce le virtù umane e ci rende esperti delle nostre faccende, e serve a farci distinguere ciò che esse producono di utile o di nocivo, e ci preservano da alcune cose e ce ne procurano delle altre, e insomma ci fa apprendere a parole e a fatti la costituzione che è propria della vita umana. Ma la cosa più straordinaria che viene insegnata da un sapere siffatto è il conoscere come si sviluppi liberamente e senza intoppi ogni aspetto della nostra vita, quali siano le sue parti migliori, e come siano trattenute e impedite al punto che non si possa facilmente uscirne svincolandosi dai legami.
La sentenza successiva a questa è la raccomandazione all’indagine sulla natura e a ogni forma di contemplazione del cielo. La natura di quest’ultimo, infatti, è sempre la medesima, perché ruota allo stesso modo secondo la stessa rivoluzione, e se qualcuno la vuole apprendere, né potrà attendersi cose inaspettate, né potrà ignorare che cosa stia per accadergli necessariamente.
Le sentenze successive a queste sono raccomandazioni prodotte dalla vita che noi stessi scegliamo, ad esempio:
Tu conoscerai che gli uomini, quando sono sventurati,
subiscono le sventure che si sono scelte.
Se infatti gli uomini sono causa delle loro azioni, possiedono anche il potere, che deriva proprio da loro stessi, di scegliere i beni e di fuggire i mali, perché colui che non si serve di questo potere è indegno dei vantaggi che la natura gli dà. Nient’altro dunque dice [questa sentenza] se non questo, cioè che noi scegliamo il nostro demone, e che siamo per noi stessi nel ruolo della fortuna e del demone, e che ci procuriamo da noi stessi la nostra felicità: cosa che esorta alla sola bellezza e mostra che il valore di questa è l’essere scelta per se stessa.
Più o meno vicine a questa sono le sentenze del tenore seguente:
Coloro che, da un lato, quando sono vicini ai beni né li guardano né li ascoltano,
raramente, dall’altro lato, comprendono come liberarsi dai mali.
Che i beni ci siano vicini, infatti, e siano connaturali all’anima di tutti noi e ci appartengano come le cose più proprie, tutto ciò è straordinariamente protrettico. E il non guardare e il non ascoltare, da un lato, e l’essere ottenebrati dalla sensibilità, dall’altro lato, sono uno splendido invito alla vita intellettiva, come se fosse il solo intelletto a guardare e ascoltare ogni cosa. E la liberazione dai mali, che pochi osservano, esorta a liberarci dal corpo e a vivere la vita dell’anima in se stessa, che noi chiamiamo “meditazione sulla morte”.
C’è, in successione, anche un altro metodo protrettico che è quello che deriva dalla ripugnanza verso i malvagi. Non è tollerabile, infatti, che simili a oggetti cilindrici
i malvagi, pur subendo infinite sventure, si muovano di qua e di là.
La malvagità infatti produce la violenza e l’irrazionalità e il muoversi a caso, e ora qua ora là, e soprattutto l’illimitatezza, cose che bisogna assolutamente fuggire.
La sentenza successiva è la seguente:
Malefica compagna, infatti, colpisce di nascosto l’innata contesa,
che non bisogna alimentare, ma fuggire cedendole il passo.
E qui la sentenza indica la doppia natura dell’uomo, nonché l’animale straniero che la natura ci ha messo accanto fin dalla nascita, e che alcuni chiamano mostro policefalo, altri una specie mortale di vita, altri ancora natura generatrice; ma qui Pitagora ha denominata “innata” la contesa, non in quanto ha un posto uguale a quello che hanno gli aspetti relativi alla nostra vita più propria, ma in quanto è compagna che segue la nostra vita più nobile. È quella appunto che Pitagora prescrive di fuggire, e cioè quella che noi dobbiamo sostituire con la nostra attività intellettiva che è uniforme e priva di contrasti, attività intellettiva che, invece che colpire, è affine al bene e, invece che inclinare verso la rovina, è punto di partenza per la salvezza, e lascia fuori come straniera la realtà avventizia e quella secondaria che ne consegue, e assume la vita primordiale e perfetta che ha da sé e in sé ogni cosa. Per tutto ciò, dunque, è opportuno ridurre al minimo la prima e alimentare al massimo quest’ultima; e cosi tale esortazione alla vita secondo intelletto diviene la più efficace.
In effetti alla divina perfezione e alla migliore collocazione nel seguire gli dei ci invitano le sentenze del tipo seguente:
Padre Zeus, tu ci renderai tutti liberi da molti mali
se indicherai a noi tutti di quale demone dobbiamo servirci.
Ma tu abbi coraggio, perché divino è il genere dei mortali.
In queste parole c’è in primo luogo una raccomandazione alla felicità divina, che è la migliore, perché è mescolata alle preghiere e alle invocazioni degli dei e soprattutto di Zeus che è il loro re, ma in secondo luogo una chiara indicazione del demone che ci è concesso o dato in sorte dagli dei, e dell’ascesa per mezzo di lui di nuovo verso gli dei. Non si potrebbe, infatti, per nient’altro risalire verso l’aspetto più divino e più importante della propria essenza, se non per mezzo di tale demone, di cui ci si serve come guida, e che ha il compito di rendere autenticamente puro ogni amante degli dei. Da ciò appunto verrà una prima cessazione dei mali che ci sono connaturali fin dalla nascita, poi ci sarà dato di conoscere veramente la vita divina e beata, e quanto grande e di che natura essa sia: innalzandoci assieme a essa, noi osserveremo la primigenia e divina natura degli uomini, e stabilendoci in essa possiederemo il fine della vita più beata che è stata proposta dagli dei agli uomini.
Alla fine, dunque, Pitagora esorta l’anima a trasferirsi [lassù] e a vivere la sua propria e autonoma vita, secondo la quale essa si allontana dal corpo e dalle disposizioni naturali da esso dipendenti. Ecco che cosa dice:
Assumi come auriga l’ottima intelligenza che è quella che viene dall’alto [dagli dei],
e se dopo avere abbandonato il corpo giungerai al libero etere,
sarai immortale come un dio, non più un uomo mortale.
Orbene, il fatto che il migliore intelletto si colloca come guida al posto più elevato, questo mantiene intatta la somiglianza dell’anima agli dei, somiglianza a cui è rivolta anche la prima esortazione; mentre il fatto di abbandonare il corpo e l’emigrare verso l’etere, e il trasferire la natura umana alla purezza degli dei e lo scegliere una vita immortale al posto di una mortale, tutto questo consente di restituirla all’essenza degli dei e alla rivoluzione in loro compagnia, situazione che noi avevamo prima di giungere alla forma umana. È chiaro dunque che il metodo di tali raccomandazioni ci esorta a tutti i generi dei beni e a ogni forma di vita migliore.

I Misteri egiziani **
Libro VIII, 6-8
6. [Astrologia e destino, secondo gli Egiziani. La teoria delle due anime negli scritti ermetici.]
Tu, dunque, dici che la maggior parte degli Egiziani fa dipendere la nostra libera volontà dal movimento degli astri. Come la cosa stia, occorre spiegartelo con più dettagli, partendo dalle concezioni ermetiche. L’uomo, come dicono questi scritti, ha due anime: l’una deriva dal primo intelligibile e partecipa anche della potenza del demiurgo, l’altra è ingenerata in noi dal movimento dei corpi celesti, in cui entra l’anima che contempla Dio. Stando così le cose, l’anima che dai mondi scende in noi accompagna i movimenti di questi mondi, mentre l’anima derivata dall’intelligibile, intelligibilmente presente in noi, è al di sopra del ciclo del divenire e per essa noi ci liberiamo dal destino, e saliamo agli dei intelligibili: la teurgia che si eleva al non-generato si realizza secondo tale vita.
7. [Non tutto è stretto nei vincoli del destino.]
Perciò, non tutto, come s’intravede nei tuoi dubbi, è legato nei vincoli indissolubili della necessità, che noi chiamiamo destino: poiché l’anima possiede in se stessa il principio che la fa volgere all’intelligibile, l’allontana dagli esseri del divenire, l’unisce con l’essere e con il divino. Né d’altra parte attribuiamo il destino agli dei, che veneriamo con templi e con statue come liberatori dal destino. Ma se gli dei liberano dal destino, le nature che ultime derivano da essi, scendendo nel divenire del cosmo e nel corpo e congiungendosi con essi, mettono in atto il destino. A ragione, dunque, noi offriamo agli dei tutto il sacro culto, affinché essi, che soli dominano la necessità con la persuasione intellettuale, allontanino i mali che vengono dal destino.
Ma non tutto è stretto nei legami del destino: c’è un altro principio dell’anima, superiore a ogni natura e a ogni conoscenza, per cui possiamo unirci agli dei, sovrastare sull’ordine cosmico, partecipare alla vita eterna e alle attività degli dei sopracelesti. Secondo questo principio, siamo in grado di liberare noi stessi. Infatti, quando agisce la parte migliore di noi e l’anima si eleva agli esseri superiori a essa, allora l’anima si separa tutta da ciò che la trattiene nel divenire, si allontana dal meno perfetto, prende una vita diversa in cambio della sua, si dà a un altro ordine, abbandonando completamente il precedente.
8. [Quali dei liberano dal destino.]
E che, dunque? È mai possibile liberarsi tramite gli dei che s’aggirano nel cielo e credere al tempo stesso che essi reggano il destino e incarcerino le nostre vite con vincoli indissolubili? Forse niente impedisce anche questo, se è vero che, contenendo gli dei in sé molte essenze e potenze, ci sono in essi innumerevoli differenze e opposizioni. Si può tuttavia dire che in ciascuno degli dei, anche in quelli visibili, ci sono alcuni principi intelligibili di essenza, per mezzo dei quali viene alle anime la liberazione dal divenire cosmico. Se perciò si lasciassero soltanto due generi di dei, pericosmici e ipercosmici, la liberazione verrà alle anime per mezzo degli ipercosmici. Questi problemi sono discussi con maggiore accuratezza negli scritti sugli dei: quali dei elevano all’intelligibile e secondo quali loro potenze, in qual modo liberano dal destino e mediante quali ieratiche ascensioni, qual è l’ordine della natura cosmico-siderea e in qual modo l’attività intellettuale più perfetta domina su questa; sicché non è pio dire neppure ciò che tu hai citato da Omero che cioè gli dei sono pieghevoli. Perché le operazioni del culto sacro sono state da tempo antico fissate con leggi immacolate ed intellettuali, ciò che è inferiore è affrancato da un ordine e da una potenza superiore, e dall’inferiore noi ci distacchiamo, appena passiamo ad una sorte migliore. E niente in tutto ciò si compie in contrasto con la legge stabilita ab origine, sicché gli dei siano suscettibili di cambiamenti secondo una norma cultuale istituita successivamente, ma fin dalla loro prima discesa Dio mandò giù le anime perché ritornassero di nuovo a lui. Perciò, non avviene a causa di siffatta elevazione nessun mutamento, né stanno in contrasto le discese e le ascese delle anime. Infatti, come nel tutto il divenire e questo universo sono strettamente connessi con l’essenza intellettiva, così nell’ordine delle anime con la loro cura per il monde creato s’accorda la liberazione dal divenire.

Dall’epistola di Giamblico a Sopatro
Stobeo I 5. 18
E del destino l’essenza risiede tutta nella natura. Chiamo natura la causa del cosmo che non è separata da esso e abbraccia in modo inseparato le cause totali della generazione per quanto, in modo separato, le essenze e gli ordini superiori comprendano in sé. E dunque la vita corporea e la ragione generatrice, le forme unite alla materia e la materia stessa, la generazione composta da tutto ciò, il movimento che tutto trasforma e la natura che amministra in modo ordinato le cose che si generano, i principi della natura e i suoi fini e le sue operazioni, e anche i legami reciproci di queste cose e i processi dall’inizio alla fine, tutto ciò costituisce il destino.
* Estratti da varie opere: Dall’epistola di Giamblico a Macedonio (Stobeo I 5.17, II 8.43-48; cfr. Giamblico, I frammenti dalle epistole, a cura di Daniela P. Taormina e Rosa Maria Piccione, Bibliopolis, Napoli, 2010), Protreptico o Esortazione alla Filosofia (Capitolo 3; cfr. Giamblico, Summa pitagorica, a cura di Francesco Romano, Bompiani, Milano, 2012), I Misteri egiziani (Libro VIII, 6-8; cfr. Giamblico, I misteri egiziani, a cura di Angelo R. Sodano, Rusconi, Milano, 1984), Dall’epistola di Giamblico a Sopatro (Stobeo I 5.18; cfr. Giamblico, I frammenti dalle epistole, ibid.).
** Trattasi della Risposta del maestro Abammone alla lettera di Porfirio ad Anebo e soluzione delle questioni poste in essa. I singoli capitoli sono preceduti da un breve riassunto del loro contenuto. Nel corpo del testo sono in corsivo le citazioni, letterali o parafrasate, della Lettera ad Anebo di Porfirio.

domenica 14 dicembre 2014

Il Papà Racconta: favole per piccini e non più piccini

Questa volta vi segnaliamo un libro non propriamente misterioso, ma che in ogni caso attinge al mondo fantastico ed in particolare a quello fiabesco con draghi, elfi, nani minatori, fate e le altre classiche creature immaginarie. Fra i racconti non mancano quelli con protagonisti gli animali che nella migliore tradizione, cercano di inseganre qualcosa ia piccoli lettori. Il libro è in formato ebook ed è scritto dal nostro collaboratore Vito Foschi e lo potete scricare dal seguente link:


Non possiamo che consigliare di acquistare questa piccola chicca, che può essere anche un simpatico regalo di Natale.
 
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