Segnaliamo questo articolo de "Il Giornale" che si occupa di Rolando Pelizza e del caso Majorana:
http://www.ilgiornale.it/news/politica/majorana-visse-convento-sud-italia-ecco-prove-1116241.html
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
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martedì 14 aprile 2015
domenica 22 febbraio 2015
I misfatti della psicanalisi
in collaborazione con Lettera e Spirito
tratto da https://letteraespirito.wordpress.com/rene-guenon-i-misfatti-della-psicanalisi/
di René Guénon
tratto da https://letteraespirito.wordpress.com/rene-guenon-i-misfatti-della-psicanalisi/
di René Guénon
Se dalla filosofia passiamo alla psicologia,
costatiamo che le stesse tendenze vi appaiono, nelle scuole più
recenti, sotto un aspetto ben più pericoloso ancora, giacché, invece di
tradursi in semplici assunti teorici, esse vi trovano un’applicazione
pratica con un carattere decisamente inquietante; i più
“rappresentativi” di questi nuovi metodi, dal punto di vista da cui ci
poniamo, sono quelli conosciuti sotto la designazione generale di
“psicanalisi”. È d’altronde opportuno rilevare che, per una strana
incoerenza, questa manipolazione d’elementi che appartengono
incontestabilmente all’ordine sottile continua tuttavia ad
accompagnarsi, presso molti psicologi, a un atteggiamento materialista,
dovuto senza dubbio all’educazione pregressa, e anche alla loro
ignoranza della vera natura di questi elementi che essi mettono in gioco
[1];
uno dei caratteri più singolari della scienza moderna non è forse
quello di non sapere mai esattamente con che ha realmente a che fare,
anche quando si tratta semplicemente di forze del dominio corporeo?
Ovviamente, peraltro, una certa “psicologia da laboratorio”, risultato
del processo di limitazione e di materializzazione nel quale la
psicologia “filosofico-letteraria” dell’insegnamento universitario non
rappresentava che uno stadio meno avanzato, e che non è più realmente
che una sorta di branca accessoria della fisiologia, coesiste sempre con
le teorie e i metodi nuovi; ed è a quella che si applica ciò che
abbiamo detto precedentemente dei tentativi fatti per ridurre la stessa
psicologia a una scienza quantitativa.
Vi è certamente ben più di una semplice
questione di vocabolario nel fatto, assai significativo in sé, che la
psicologia attuale non consideri altro che il “subconscio”, e non il
“superconscio” che dovrebbe esserne logicamente il correlativo; si
tratta, senza dubbio, dell’espressione di un’estensione che s’opera
unicamente verso il basso, ossia il lato che corrisponde, qui
nell’essere umano come altrove nell’ambiente cosmico, alle “fenditure”
attraverso le quali penetrano le influenze più “malefiche” del mondo
sottile, potremmo anche dire quelle aventi un carattere veramente e
letteralmente “infernale” [2].
Certuni adottano anche, come sinonimo o equivalente di “subconscio”, il
termine “inconscio”, che, preso alla lettera, sembrerebbe riferirsi a
un livello ancora inferiore, ma che, a dire il vero, corrisponde meno
esattamente alla realtà; se ciò di cui si tratta fosse veramente
inconscio, non vediamo neppure bene come sarebbe possibile parlarne,
soprattutto in termini psicologici; e peraltro in virtù di che, se non
di un semplice pregiudizio materialista o meccanicistico, si dovrebbe
ammettere che esista realmente qualcosa d’inconscio? Comunque, ciò che è
ancora degno di nota, è la strana illusione per cui gli psicologi
arrivano a considerare degli stati tanto più “profondi” quanto più sono
semplicemente inferiori; non v’è forse già in questo un indizio della
tendenza ad andare contro alla spiritualità, che sola può esser detta
veramente profonda, perché essa sola è inerente al principio e al centro
stesso dell’essere? D’altra parte, poiché il dominio della psicologia
non s’è esteso verso l’alto, il “superconscio”, naturalmente, le rimane
completamente estraneo e del tutto precluso; e, quando le accade di
venire in contatto con qualcosa che vi si riferisce, essa pretende
puramente e semplicemente di annetterlo assimilandolo al “subconscio”;
tale è, segnatamente, il carattere pressoché costante delle sue presunte
spiegazioni concernenti cose quali la religione, il misticismo, e anche
certi aspetti delle dottrine orientali come lo Yoga; e, in
questa confusione del superiore con l’inferiore, c’è già qualcosa che
può essere propriamente considerato come una vera sovversione.
Notiamo anche che, con il richiamo al
“subconscio”, la psicologia, come del resto la “nuova filosofia”, tende
sempre più a congiungersi con la “metapsichica” [3];
e, nella stessa misura, si avvicina inevitabilmente, sebbene forse
senza volerlo (almeno per quei suoi rappresentanti che intendono
rimanere materialisti malgrado tutto), allo spiritismo e altre cose più o
meno simili, che tutte s’appoggiano, in definitiva, sugli stessi oscuri
elementi dello psichismo inferiore. Se queste cose, dall’origine e dal
carattere più che sospetti, appaiono come movimenti “precursori” e
alleati della psicologia recente, e se questa arriva, sia pure per un
cammino indiretto, ma proprio per ciò più comodo di quello della
“metapsichica” che è ancora posta in discussione in certi ambienti, a
introdurre gli elementi in questione nel dominio corrente della
cosiddetta scienza “ufficiale”, è molto difficile pensare che il vero
ruolo di questa psicologia, nelle attuali condizioni del mondo, possa
essere altro che quello di concorrere attivamente alla seconda fase
dell’azione antitradizionale. A questo proposito, la pretesa della
psicologia ordinaria, poco sopra segnalata, d’annettersi, facendole
rientrare a forza nel “subconscio”, certe cose che per la loro stessa
natura le sfuggono completamente, si riallaccia ancora, nonostante il
suo carattere abbastanza nettamente sovversivo, a quello che potremmo
chiamare il lato infantile di tale ruolo, giacché le spiegazioni di
questo genere, così come le spiegazioni “sociologiche” di queste stesse
cose, sono, in fondo, di un’ingenuità “semplicistica” da sconfinare
talvolta nella stupidità; in ogni caso, ciò è incomparabilmente meno
grave, quanto alle conseguenze effettive, del lato veramente “satanico”
che dobbiamo ora esaminare in modo più preciso per quanto concerne la
nuova psicologia.
Questo carattere “satanico” appare con una
nettezza tutta particolare nelle interpretazioni psicanalitiche del
simbolismo, o di quanto è preso per tale a torto o a ragione; facciamo
questa restrizione perché, su questo punto come su tanti altri, se si
volesse entrare nel dettaglio, vi sarebbero molte distinzioni da fare e
numerose confusioni da dissipare: così, solo per prendere un esempio
tipico, un sogno nel quale s’esprime qualche ispirazione “sopra-umana” è
veramente simbolico, mentre un sogno ordinario non lo è per nulla, a
prescindere dalle apparenze esteriori. Ovviamente gli psicologi delle
scuole anteriori molto spesso avevano già tentato, anch’essi, di
spiegare il simbolismo a modo loro e di ricondurlo alla misura delle
proprie concezioni; in tal caso, se si tratta veramente di simbolismo,
queste spiegazioni con elementi d’ordine puramente umano, come sempre
avviene quando siano in gioco cose d’ordine tradizionale, disconoscono
quel che ne costituisce tutto l’essenziale; se al contrario si tratta
realmente solo di cose umane, non è altro che un falso simbolismo, ma il
fatto stesso di designarlo con questo nome comporta ancora lo stesso
errore circa la natura del vero simbolismo. Ciò vale egualmente per le
considerazioni cui si abbandonano gli psicanalisti, ma con la differenza
che allora non è più soltanto d’umano che bisogna parlare, ma anche, in
larga parte, d’“infra-umano”; si è dunque questa volta in presenza, non
più d’un semplice abbassamento, ma d’una sovversione totale; e ogni
sovversione, anche se non è dovuta, immediatamente almeno, che
all’incomprensione e all’ignoranza (che sono peraltro quanto di meglio
si presti a essere sfruttato per un tale uso), è pur sempre, in se
stessa, propriamente “satanica”. Del resto, il carattere generalmente
ignobile e ripugnante delle interpretazioni psicanalitiche costituisce, a
questo proposito, un “marchio” che non lascia dubbi; e ciò che è ancora
particolarmente significativo dal nostro punto di vista, è che, come
abbiamo mostrato altrove [4],
questo stesso “marchio” si ritrova precisamente anche in certe
manifestazioni dello spiritismo; occorrerebbe sicuramente una forte dose
di buona volontà, se non una completa cecità, per non vedervi ancora
nient’altro che una semplice “coincidenza”. Naturalmente gli
psicanalisti possono, nella maggioranza dei casi, essere incoscienti
quanto gli spiritisti di quel che realmente sta sotto a tutto ciò; ma
gli uni e gli altri appaiono egualmente come “diretti” da una volontà
sovversiva che utilizza in entrambi i casi elementi dello stesso ordine,
se non esattamente identici, volontà che, qualunque siano gli esseri in
cui si incarna, è almeno lei certamente ben cosciente presso di loro, e
risponde a delle intenzioni senza dubbio molto diverse da tutto quello
che possono immaginare coloro che sono solamente gli strumenti
incoscienti attraverso i quali si esercita la loro azione.
In queste condizioni, è più che evidente lo
scopo principale della psicanalisi, che è la sua applicazione
terapeutica, non può che essere estremamente pericolosa sia per chi vi
si sottopone, e anche per chi l’esercita, poiché queste cose sono di
quelle che non si maneggia mai impunemente; non sarebbe esagerato
vedervi uno dei mezzi specialmente attuati per accrescere il più
possibile lo squilibrio del mondo moderno e condurlo verso la
dissoluzione finale [5].
Coloro che praticano questi metodi, non ne dubitiamo, sono al contrario
ben persuasi del beneficio dei loro risultati; ma è proprio grazie a
questa illusione che la loro diffusione è resa possibile, ed è qui che
si può cogliere tutta la differenza esistente tra le intenzioni di
questi “praticoni” e la volontà che presiede all’opera di cui essi non
sono che ciechi collaboratori. In realtà, la psicanalisi non può avere
se non l’effetto di portare alla superficie, rendendolo chiaramente
cosciente, tutto il contenuto di quei “bassifondi” dell’essere che
formano quel che viene chiamato propriamente il “subconscio”;
quest’essere, peraltro, è già per ipotesi psichicamente debole, poiché,
se fosse altrimenti, non proverebbe affatto il bisogno di ricorrere a
una trattamento di tal sorta; egli è quindi ancor più incapace di
resistere a questa “sovversione”, e rischia seriamente di affondare
irrimediabilmente nel caos delle forze tenebrose imprudentemente
scatenate; se anche riuscisse nonostante tutto a sfuggirvi, ne
conserverà tuttavia, per tutta la vita, un’impronta che sarà in lui come
una “macchia” indelebile.
Sappiamo bene quel che certuni potrebbero
qui obiettare invocando una similitudine con la “discesa agli Inferi”,
quale s’incontra nelle fasi preliminari del processo iniziatico; ma una
tale assimilazione è completamente falsa, poiché il fine non ha nulla in
comune, non più d’altronde delle condizioni del “soggetto” nei due
casi; si potrebbe solo parlare di una sorta di parodia profana, e questo
già basterebbe a conferire a tutto ciò un carattere di “contraffazione”
piuttosto inquietante. La verità è che questa pretesa “discesa agli
Inferi”, che non è seguita da nessuna “risalita”, è semplicemente una
“caduta nel pantano”, seguendo il simbolismo usitato in certi Misteri
dell’antichità; è noto che questo “pantano” era segnatamente raffigurato
lungo la strada che conduceva a Eleusi, e coloro che vi cadevano erano
dei profani che pretendevano all’iniziazione senza essere qualificati a
riceverla, e che dunque erano vittime solo della loro imprudenza.
Aggiungeremo solo che “pantani” del genere esistono veramente sia
nell’ordine macrocosmico sia in quello microcosmico; ciò si riallaccia
direttamente alla questione delle “tenebre esteriori” [6],
e si potrebbero ricordare, a questo proposito, certi testi evangelici
il cui senso concorda esattamente con quanto abbiamo appena indicato.
Nella “discesa agli Inferi”, l’essere esaurisce definitivamente certe
possibilità inferiori per potersi quindi elevare agli stati superiori;
nella “caduta nel pantano”, le possibilità inferiori s’impadroniscono al
contrario di lui, lo dominano e finiscono per sommergerlo
completamente.
Anche qui abbiamo parlato di
“contraffazione”; questa impressione è grandemente rafforzata da altre
constatazioni, come quella della snaturazione del simbolismo che abbiamo
segnalato, snaturazione che tende d’altronde a estendersi a tutto
quello che comporta essenzialmente degli elementi “sopra-umani”, come
dimostra l’atteggiamento assunto nei confronti della religione [7], e anche delle dottrine d’ordine metafisico e iniziatico come lo Yoga,
che non sfuggono di più a questo nuovo genere d’interpretazione, al
punto che certuni arrivano ad assimilare i loro metodi di
“realizzazione” spirituale ai procedimenti terapeutici della
psicanalisi. Vi è in ciò qualcosa di ancor peggiore delle deformazioni
più grossolane in voga egualmente in Occidente, come quella che vuole
vedere nei metodi dello Yoga una sorta di “cultura fisica” o di
terapia d’ordine semplicemente fisiologico, poiché queste sono, per la
loro stessa grossolanità, meno pericolose di quelle che si presentano
sotto parvenze più sottili. La ragione non è solo che queste ultime
rischiano di sedurre delle menti sulle quali le altre non saprebbero
avere alcuna presa; questa ragione esiste sicuramente, ma ce n’è
un’altra, di portata molto più generale, che è quella stessa per cui le
concezioni materialiste, come abbiamo spiegato, sono meno pericolose di
quelle che fanno appello allo psichismo inferiore. Beninteso, il fine
puramente spirituale, che solo costituisce essenzialmente lo Yoga
come tale, e in difetto del quale l’impiego stesso di tale termine non è
che una vera derisione, è completamente misconosciuto in entrambi i
casi; infatti, lo Yoga non è una terapia psichica più di quanto
sia una terapia corporea, e i suoi procedimenti non sono in alcun modo
né ad alcun grado un trattamento per malati o squilibrati di sorta; ben
lungi, si rivolgono al contrario a esseri che, per poter realizzare lo
sviluppo spirituale che è la loro unica ragion d’essere, devono già
essere, per naturale disposizione, il più perfettamente equilibrati
possibile; si tratta di condizioni che, com’è facile comprendere,
rientrano strettamente nella questione delle qualificazioni iniziatiche [8].
Non è ancora tutto, e c’è anche un’altra
cosa, riguardo alla “contraffazione”, che è forse ancor più degna di
nota di tutto quel che abbiamo menzionato sinora: è l’obbligo imposto, a
chiunque intenda praticare professionalmente la psicanalisi, d’essere
egli stesso previamente “psicanalizzato”. Questo implica innanzitutto il
riconoscimento che l’essere che ha subito questa operazione non sarà
mai più qual era prima, o che, come dicevamo prima, essa gli lascia
un’impronta indelebile, come l’iniziazione, ma in qualche modo in senso
inverso, poiché, invece di uno sviluppo spirituale, si tratta qui d’uno
sviluppo dello psichismo inferiore. D’altra parte, vi è qui un’evidente
imitazione della trasmissione iniziatica; ma, posta la diversità di
natura delle influenze che intervengono, e siccome vi è pur sempre un
risultato effettivo che non consente di considerare la cosa ridotta a un
semplice simulacro senza alcuna portata, questa trasmissione sarebbe
piuttosto paragonabile, in realtà, a quella che si pratica in un dominio
come quello della magia, e anche più precisamente della stregoneria. Vi
è peraltro un punto alquanto oscuro, riguardo all’origine stessa di
questa trasmissione: siccome è evidentemente impossibile dare ad altri
ciò che non si possiede, e siccome l’invenzione della psicanalisi è
d’altronde del tutto recente, donde i primi psicanalisti hanno ricevuto i
“poteri” che trasmettono ai loro discepoli, e da chi essi stessi hanno
potuto essere per primi “psicanalizzati”? Questa domanda, che ci pare
alquanto logico porre, almeno per chiunque sia appena capace di
riflettere, è probabilmente molto indiscreta, ed è più che dubbio che
riceva mai una risposta soddisfacente; ma, a dire il vero, non ce n’è
bisogno per riconoscere, in una tale trasmissione psichica, un altro
“marchio” veramente sinistro per gli accostamenti che comporta: la
psicanalisi presenta, da questo lato, una rassomiglianza piuttosto
terrificante con certi “sacramenti del diavolo”!
* R. Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps, Gallimard, Paris, 1945, cap. XXXIV.
1. Il caso dello
stesso Freud, il fondatore della “psicanalisi”, è tipico da questo punto
di vista, poiché egli non ha mai cessato di proclamarsi materialista. –
Un’osservazione di sfuggita: come mai i principali rappresentanti delle
nuove tendenze, come Einstein in fisica, Bergson in filosofia, Freud in
psicologia, e molti altri ancora di minore importanza, sono quasi tutti
d’origine ebraica, se non perché vi è in ciò qualcosa che corrisponde
esattamente al lato “malefico” e dissolvente del nomadismo deviato, che
predomina inevitabilmente presso gli Ebrei distaccati dalla loro
tradizione?
2. Va notato, a questo proposito, che Freud ha posto, all’inizio del suo Traumdeutung, la seguente epigrafe molto significativa: «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo» (Virgilio, Eneide, VII, 312).
3. Fu del resto lo “psichista” Myers a inventare l’espressione subliminal consciousness, che, per amore di brevità, fu sostituita un po’ più tardi, nel vocabolario della psicologia, con la parola “subconscio”.
5. Un altro
esempio di questi mezzi è dato dall’uso similare della “radioestesia”,
poiché, anche là, ci sono, in molti casi, elementi psichici della stessa
qualità che entrano in gioco, anche se si deve riconoscere che non si
presentano sotto l’aspetto “repellente” che è così evidente nella
psicanalisi.
6. Ci si potrà
riportare qui a quel che abbiamo indicato più sopra a proposito del
simbolismo della “Grande Muraglia” e della montagna Lokâloka.
7. Freud ha
consacrato all’interpretazione psicanalitica della religione uno
speciale libro, nel quale le sue proprie concezioni sono combinate con
il “totemismo” della “scuola sociologica”.
8. Su un tentativo
d’applicazione delle teorie psicanalitiche alla dottrina taoista, ciò
che è ancora dello stesso ordine, vedere lo studio d’André Préau, La Fleur d’or et le Taoïsme sans Tao, che ne è un’eccellente confutazione.
domenica 30 marzo 2014
Napoli: misteriosi segni sulla pietra
tratto da "L'Opinone" del 13 marzo 2014
di Achille Della Ragione
Già sotto i Normanni e poi durante i regni di Svevi, Angioini ed Aragonesi, giunsero in città, dal nord Europa prima e poi dalla Francia e dalla Spagna, artigiani organizzati in confraternite sul modello franco templare. Essi erano particolarmente abili nel sagomare il piperno, pietra molto dura, adoperata in genere per la pavimentazione stradale e per ricavare portali e soglie di balconi. Già in epoca tardo romana si erano costituite delle corporazioni di maestri pipernieri che tramandavano i “segreti dell’arte” solo a pochi fidati apprendisti. Nel Rinascimento erano chiamati “maste ‘e prete” e si immaginava che sapessero caricare la pietra di energia positiva. Quando si apprestavano alla costruzione di un edificio importante, oltre a porre nelle fondamenta alcune monete, come obolo per i morti, in ossequio a riti propiziatori in uso presso i Caldei ed i Greci, cercavano, sfruttando una sorta di rabdomanzia, d’identificare i punti di forza del luogo, scegliendo il più adatto per costruire.
Questa breve introduzione è necessaria per affrontare il discorso sui segni presenti sul bugnato della facciata della chiesa del Gesù Nuovo, precedentemente palazzo della nobile famiglia dei Sanseverino, edificato nel Quattrocento e, dopo sfortunate vicende della casata, ceduto all’Ordine del Gesuiti, che lo trasformarono nella splendida chiesa barocca, tra le più note della città. L’architetto Novello da San Lucano si servì di maestranze locali che crearono quella serie di piccole piramidi aggettanti verso l’esterno con il vertice puntato sull’osservatore. Queste facciate a bugnato, relativamente diffuse al nord, sono insolite nel meridione ed a Napoli ve ne son ben pochi esempi. Su quelle in esame sono presenti numerosi e strani segni incisi sulla superficie, un misterioso alfabeto con una sorta d’ideogrammi che si ripetono secondo un ritmo particolare, che fa supporre ad una chiave criptata di lettura, di recente oggetto di una suggestiva interpretazione da parte di uno studioso locale, Vincenzo De Pasquale, che ha ritenuto di identificarvi un pentagramma che si è materializzato in un concerto eseguito nella navata della stessa chiesa del Gesù Nuovo. La lettura fatta da De Pasquale parte dall’ipotesi, smentita da esperti della lingua, che i misteriosi segni non siano tracce lasciate dai cavatori per conteggiare il lavoro svolto, bensì lettere dell’aramaico, la lingua parlata da Gesù. Ad ogni segno corrisponde una nota e la facciata è un pentagramma sul quale l’architetto, Novello da San Lucano, ha scritto la sua opera musicale che, di traccia in traccia, per vie misteriose, sarebbe finita persino in un’opera di Johann Sebastian Bach.
Il concerto, re-intitolato “Enigma”, è stato suonato dall’organista ungherese LorentRez ma sarebbe stato scritto originariamente per strumenti a plettro. Il legame con l’Ungheria non è casuale. Novello da San Lucano andò a vivere nel Paese magiaro e lì morì, dopo aver progettato e costruito diversi edifici e aver lasciato sue tracce nella storia artistica e musicale. Alla ricerca di altri messaggi sulla pietra si è mosso da tempo un appassionato medico di professione, Lucio Paolo Raineri, che ha indagato sulle mura medioevali cittadine, costruite dagli Aragonesi, a partire dal 1484, servendosi di maestranze di Cava de’ Tirreni ed utilizzando piperno proveniente dalle cave di Soccavo. La folgorazione per il riflesso di uno specchio provocato da un’insolita luce estiva gli fece scorgere i frammenti di un misterioso discorso sulle pietre scure della Torre San Michele in via Cesare Rosaroll, una fra le meglio conservate. Ha continuato le sue indagini fotografando altri segni strani su mura e torri che da via Marina arrivano fino a via Foria. Ha così fatto molte altre scoperte, alcune già note agli studiosi della Napoli segreta. “Sono quasi tutti segni lapicidi, marchi di fabbrica dei cavatori, segni di posa, di allestimento”. Per lo più si tratta di lettere dell’alfabeto, numeri o simboli astrologici ed anche una croce uncinata, segno di antica tradizione indiana (molto simili a quelli trovati anche sul bugnato della facciata del Gesù Nuovo). In altri casi, sono segni che richiamano l’alchimia o la massoneria perché le logge segrete originariamente erano composte da fratelli muratori. I segni su Torre San Michele sono stati soltanto il punto di partenza. Armato di taccuino e macchina fotografica, il medico-Indiana Jones s’è fatto tutto il percorso aragonese. “Naso all’aria – racconta – confrontandomi con le supposizioni di chi mi vedeva in giro, cominciai a rivisitare i massi di piperno di altre torri, con i soli limiti di penetrazione del mio sguardo e della loro dislocazione e accessibilità”, perché gran parte della fortificazione è ormai all’interno di palazzi privati o è stata abbattuta o è stata sommersa da superfetazioni architettoniche. L’anamnesi di Raineri è stata scrupolosa e ha partorito una relazione documentatissima nella quale si legge il resoconto delle sue esplorazioni nella metropoli dei segni che avrebbe fatto la felicità di un Roland Barthes in cerca del grado zero della testimonianza operaia.
“Niente scorsi sui massi della piccola Torre Duchesca a vico Santa Maria a Formiello – scrive – né sulla vicina Torre Sant’Anna. Porta Capuana ed il tratto di mura tra Torre Onore e Torre Gloria fu ricchissimo di reperti, visibili ad occhio nudo e ad altezza d’uomo. La stessa scarsezza di risultati l’ebbi per porta Nolana, anche se la grafia di quello che può sembrare un’intera parola sconosciuta, alla base della Torre Fede, mi ha lasciato sconcertato”.
Oltre che sulle torri aragonesi, i segni lapicidi sono presenti in Campania sull’abbazia di San Guglielmo al Goleto e sulla cattedrale di Sant’Antonino a Sant’Angelo dei Lombardi e sull’abbazia di Santa Maria di Realvalle a Scafati. Ma in una metropoli perennemente affollata e costruita su se stessa, ogni angolo racchiude un segreto, un messaggio, una pietra parlante. “L’importante è cominciare a capirne la lingua”, commenta Raineri, che, molto probabilmente, è solo quella del lavoro. Al fianco di scritte pseudocriptiche, ve ne sono altre, perfettamente leggibili, ma delle quali ci sfugge il significato, come quella che s’incontra nel porticato del chiostro dell’ex dimora dei Caracciolo, i cui locali sono stati utilizzati negli ultimi anni dai giudici di pace per i loro uffici. Cogliamo l’occasione per descrivere il mastodontico edificio che ospita la scritta, posto sull’ultimo tratto di via Tribunali, l’unico in stile tardo gotico ed unico che ricorda l’architettura catalana. L’edificio era stato disegnato dal grande architetto dell’arca funebre di re Ladislao a San Giovanni a Carbonara, Andrea Ciccione, e ne sopravvissero, come si vede, l’arco d’ingresso, il pianterreno del primo chiostro e la porta della sala di ricevimento, in origine sacello gentilizio di Sergianni e fino al diciottesimo secolo ricchissima cappella, detta “il tesoro”, dove si nominavano i nuovi magistrati del vicino tribunale. Oggi, ad abitare il complesso, è il Comune di Napoli con i suoi uffici, sezione San Lorenzo, quartiere Forcella. Al primo piano i corridoi con gli infissi in legno e le vetrate mostrano ancora il disegno ospedaliero. Qui erano ricoverate persone fino a pochi decenni fa: gli ultimi anziani pazienti ne sono usciti nel 1970.
Il Lazzaretto, sala maestosa, sgombra dai letti o dai pagliericci che si dovevano usare per appestati, malati di tifo e altri pazienti colpiti da epidemia, è un trionfo di luce. Una separazione architettonica con timpano distingue la corsia dalla sala chirurgica o gabinetto medico. Oggi, al posto dei tavoli anatomici, c’è una piccola sala conferenze su cui troneggia una lapide dedicata a Mariano Semmola. Tutta la sala del Lazzaretto è circondata a mezza altezza da una lunga balconata da cui passare cibo e rimedi ai malati con cui non si poteva entrare in contatto. Qui si curavano, tolte le epidemie, le diffusissime malattie veneree e della pelle (nel 1888 vi fu istituito un reparto dermoceltico). Pochi anni fa in questa sala, infinitamente lunga ed infinitamente alta, sessanta metri, per dieci, per sei, è stata girata una fiction dedicata al medico santo Giuseppe Moscati, interpretato da Beppe Fiorello.
Due anni fa, con la venuta a Napoli, in occasione del Napoli Teatro Festival, del grande regista spagnolo Enrique Vargas, il Lazzaretto diventò spazio teatrale, oscurato ed irriconoscibile, un lungo ventre di balena dove si avveravano visioni felliniane, gomitoli di cotone e ragnatele, morti e voci del passato e feste mobili che avvolgevano lo spettatore in un’esperienza irripetibile: un bell’esorcismo per un luogo del potere diventato luogo di sofferenza e, infine, luogo d’arte. Il bellissimo palazzo, che era stato simbolo del potere di Sergianni Caracciolo su Napoli e sulla regina Giovanna II, sede di feste e intrighi, manifesto della potenza degli uomini nuovi sulle antiche dinastie, acquistato dai frati Ospedalieri nel 1587, si trasformò in ospedale, per necessità. Giaceva in abbandono da un secolo, infiltrato da case private, tanto che le liti fra vicini produssero un morto, come testimonia la lapide minacciosa, ancora oggi presente, voluta da un diffamato, in un lato del cortile: “Dio m’arrassa da invidia canina da mali vicini, et da bugia d’homo dabbene”. Questa frase si presta a varie interpretazioni: potrebbe essere una preghiera o una delle tante invocazioni scaturite dalla filosofia dei napoletani. Viene anche citata dal Chiarini e una leggenda vuole che se i frati dell’ospedale avessero tolto la targa, il possesso della donazione sarebbe passato all’ospedale degli Incurabili.
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domenica 27 ottobre 2013
Riflessioni sugli Ufo
di Vito Foschi
In questo breve scritto non farò né una trattazione storica,
né cercherò di proporre una soluzione al mistero degli Ufo, ma farò alcune
semplici considerazioni. Innanzitutto vorrei porre l’accento sulla definizione
della parola Ufo. Ufo è l’acronimo di Unidentified flight object, cioè oggetto
volante non identificato, come molti di voi sapranno. Perché questa
precisazione? Per il semplice motivo che spesso si tende a considerare Ufo come
sinonimo di alieno il che non è. È vero che storicamente il termine Ufo è nato
in concomitanza di avvistamenti dei famosi dischi volanti, flying saucers, in
inglese, alla fine degli anni quaranta del secolo scorso, epoca a cui si fa
risalire la nascita della moderna ufologia. Ma anche con i dischi volanti
rimaniamo sempre nell’ambito degli oggetti volanti non identificati. Il termine
Ufo è piuttosto preciso ed indica una precisa realtà: quelli degli oggetti
volanti non identificati. Un qualsiasi oggetto che voli e che non sia
facilmente identificabile rientra in questa categoria. Per esempio è buio e
vedo volteggiare un pallone sonda e non lo riconosco come tale, quello
costituisce un Ufo a tutti gli effetti. Quindi nulla di misterioso o di alieno,
ma bensì un fenomeno reale. Chiedersi se si crede o meno agli Ufo è una frase
priva di senso, è come chiedersi se si crede all’esistenza di delitti. Il
problema semmai viene dopo, una volta avvistato un Ufo, ed è quello di spiegare
di cosa si tratti. Per questo ho fatto l’esempio dei delitti: il delitto c’è ed
è ben reale, l’Ufo, a volte si scopre il colpevole, ovvero un fenomeno
atmosferico, un pallone sonda o altro, ma in altri casi il colpevole rimane
sconosciuto, ovvero l’origine dell’Ufo rimane incognita. La percentuale di
“casi risolti” per gli Ufo supera mediamente il 90%, il restante resta di
origine sconosciuta. Ed in questi casi irrisolti che qualcuno ha proposto come
soluzione una possibile origine extraterrestre. Ho voluto fare questa
distinzione perché molti confondono le due cose che come visto sono ben
diverse. Da un lato un fenomeno reale che ha anche i suoi risvolti sulla
sicurezza dei cittadini, se cade un meteorite bene non fa, e dall’altra parte,
un’ipotesi. Il problema degli Ufo è un problema scientifico è come tale va
affrontato. Come ho già detto può riguardare la sicurezza dei cittadini ed in
particolare il traffico aereo: immaginate un pallone sonda che gironzoli su un
aeroporto. In alcuni casi gli Ufo sono originati da fenomeni atmosferici rari,
come per esempio i fulmini globulari, che come dice la denominazione, sono dei
fulmini dalla strana forma rotonda, che tra parentesi alcuni considerano
all’origine dei cerchi nel grano (vedi il mio articolo). Finora è rimasta una
percentuale piccola, ma consistente di avvistamenti non spiegati. Possono
essere di origine extraterrestre? Chi lo sa. Certo a sfavore di questa ipotesi
esiste la limitazione dell’invalicabilità della velocità della luce che rende
impossibile il viaggio interstellare. D’altro canto nuove teorie stanno
mettendo in crisi la teoria della relatività di Einstein. Anzi, scoperta
recente per me, esistono vari scienziati che non accettano la teoria dello
scienziato di origini tedesche, anche se al grande pubblico viene fatto credere
che si tratti di verità incontestabili. Anche superando questo limite, rimane
il problema forse ancora più grande di come fra miliardi di stelle, i
cosiddetti visitatori dallo spazio ci possano trovare. Certo da quando esiste
la comunicazione radio abbiamo emesso onde elettromagnetiche che si sono in parte
disperse nel cosmo. Che queste siano potute arrivare all’orecchio o organo
equivalente di abitanti di altri mondi?
A questo punto verrebbe da chiedersi perché non si mostrano?
Per paura di spaventarci e di crearci uno shock psicologico tremendo come i fautori
della cospirazione del silenzio vanno predicando? Forse come in Star Trek,
quando scoprono una popolazione che ancora non ha ancora scoperto il volo
spaziale si astengono da prendere contatto? E allora perché le visite di
soppiatto? Si tratta di turisti in cerca di emozioni forti?
La mia breve discussione finisce qui con forse più
interrogativi che risposte. Spero di aver stimolato la vostra curiosità.
giovedì 4 aprile 2013
Indadine sull'aldilà oltre la vita
Esiste l’Aldilà? Se sì, quale aspetto ha? E cos’è, esattamente: il luogo che ospita le anime dei defunti o un nuovo livello di esistenza? Domande che l’uomo si pone da sempre, dando le più svariate risposte, dalle più scettiche alle più convinte.
Ade Capone, autore di Mistero, programma TV di grande successo, grazie alla sua esperienza sul campo ci accompagna in una vera e propria indagine tra scienza e paranormale, con un libro che è come un reportage di grande chiarezza e profondità.
L’autore prende in esame le varie ipotesi, intervista ricercatori e sensitivi, parla di casi sconcertanti ampiamente documentati e prende in esame anche le più recenti teorie scientifi che. Quel che ne emerge è un quadro affascinante, un libro che appassiona e si legge tutto d’un fiato.
L’autore Ade Capone è l’autore della trasmissione di Italia 1
Ade Capone – affermato scrittore, giornalista, sceneggiatore – è autore del format TV Mistero, in onda su Italia 1, e di altri programmi per la stessa rete Mediaset (tra tutti, Il Bivio e Invincibili). A varie trasmissioni televisive ha partecipato anche in veste di ospite. Da sempre appassionato di argomenti misteriosi, ha compiuto numerosi viaggi (Europa, America, India, Bali, Medio Oriente) per documentarsi su luoghi e culture. Ha assistito di persona a molte delle cose che nei suoi libri racconta con una scrittura chiara e di grande efficacia, fruibile da qualunque lettore. I suoi saggi sono vere e proprie inchieste che
appassionano e fanno riflettere. Nella sua attività di sceneggiatore, inoltre, Ade Capone è considerato
uno dei più importanti autori italiani di fumetti, vincitore di numerosi premi per la sua scrittura, che
anche nelle fiction elabora comunque elementi reali. È supervisore editoriale della rivista Mistero, versione
cartacea del programma omonimo.
Ade Capone, autore di Mistero, programma TV di grande successo, grazie alla sua esperienza sul campo ci accompagna in una vera e propria indagine tra scienza e paranormale, con un libro che è come un reportage di grande chiarezza e profondità.
L’autore prende in esame le varie ipotesi, intervista ricercatori e sensitivi, parla di casi sconcertanti ampiamente documentati e prende in esame anche le più recenti teorie scientifi che. Quel che ne emerge è un quadro affascinante, un libro che appassiona e si legge tutto d’un fiato.
L’autore Ade Capone è l’autore della trasmissione di Italia 1
Ade Capone – affermato scrittore, giornalista, sceneggiatore – è autore del format TV Mistero, in onda su Italia 1, e di altri programmi per la stessa rete Mediaset (tra tutti, Il Bivio e Invincibili). A varie trasmissioni televisive ha partecipato anche in veste di ospite. Da sempre appassionato di argomenti misteriosi, ha compiuto numerosi viaggi (Europa, America, India, Bali, Medio Oriente) per documentarsi su luoghi e culture. Ha assistito di persona a molte delle cose che nei suoi libri racconta con una scrittura chiara e di grande efficacia, fruibile da qualunque lettore. I suoi saggi sono vere e proprie inchieste che
appassionano e fanno riflettere. Nella sua attività di sceneggiatore, inoltre, Ade Capone è considerato
uno dei più importanti autori italiani di fumetti, vincitore di numerosi premi per la sua scrittura, che
anche nelle fiction elabora comunque elementi reali. È supervisore editoriale della rivista Mistero, versione
cartacea del programma omonimo.
sabato 25 agosto 2012
VENEZIA: I MISTERI DELLA LAGUNA
Tra spettri, Graal e magi occultisti
di Andrea Romanazzi
Quando si parla di Venezia vengono subito in mente le immagini delle bellissime gondole che vagano per i canali e la dolce atmosfera romantica che la avvolge, ma tra i campi e i calli gremiti di turisti si nascondono antiche leggende, misteri insoluti, ombre di antichi personaggi che rendono la città fortemente inquietante in questa sua gotica disinvoltura. Sarà seguendo così le tracce di questi enigmi che si perdono nella notte dei tempi che riusciremo ad entrare in contatto con il genius urbis che come novello Virgilio ci porterà tra le pieghe del tempo al cospetto di tradizioni mai dimenticate come il Graal e Cagliostro, Casanova e l’Inquisizione che ci faranno cambiare idea sul comune soprannome di "Serenissima".
IL GRAAL E I MISTERI DI SAN MARCO
La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istambul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.
I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile. Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione. Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.
I PALAZZI STREGATI E LE CORRENTI TELLURICHE
Interessanti poi sono le tradizioni legate ai palazzi stregati come Ca’ Dario e Ca’ Mocenigo Vecchia.
La fama del primo sinistramente conosciuta da tutta la città, esso fu costruito dal mercante Giovanni Dario e dedicato al genio della città come testimonia l’iscrizione "Genio urbis Joannes Dario", scritta che, secondo alcuni studiosi, nasconderebbe, anagrammata, enigmatici quanto orribili segreti: "SUB RUINA INSIDIOSA GENERO" e cioè colui che abiterà sotto questa casa andrà in rovina. Per alcuni la costruzione sorgerebbe su un nodo di energie negative che si trasferirebbero all’intera dimora, quella che Fulcanelli definirebbe una vera e propria dimora filosofale. In realtà l’intera città sorgerebbe su una rete di correnti telluriche, positive e negative, che caratterizzerebbero così la sua urbanizzazione, lo stesso Canal Grande sarebbe la rappresentazione del temibile serpente, simbolo delle enigmatiche forze che in alcuni punti diventerebbero fortemente palesi. Del resto nel passato era normale che ci fossero luoghi benefici e malefici, in oriente ove si pratica il feng shui, cioè una disciplina che permette di costruire una casa recependo le onde benefiche del "grande drago" che dorme nel sottosuolo. Sarà proprio il drago a caratterizzare la città, infatti esaminiamo una qualunque cartina di Venezia vediamo il Canal Grande snodarsi come un serpente o un dragone, tagliando esattamente in due parti la città. Abbiamo così la testa, "caput draconis", ed una coda "cauda draconis".
Alla fine di quest’ultima troviamo l’isola di san Giorgio, con l’omonima chiesa, scelta non casuale se pensiamo che nella tradizione cristiana san Giorgio è il santo che uccide il drago, e quindi che esorcizza il serpente veneziano, mentre dalla parte opposta vi è la Basilica di San Marco, quasi un modo per esorcizzare queste energie.
E’ proprio posizionato nella "cauda" che troviamo Ca’ Dario, il misterioso palazzo la cui maledizione colpisce tutti i proprietari che sono morti suicidi o comunque di morte violenta, tra i quali ultimamente Raul Gardini e il tenore Mario del Monaco.
Per quanto riguarda invece la seconda costruzione, è silente testimone della visita del filosofo Giordano Bruno in città, ospite proprio della famiglia di Mongenigo che, dopo aver cercato di carpire le sue conoscenze alchemiche, lo denunciarono come stregone alle autorità veneziane costringendolo a riparare a Roma ove poi sarà giustiziato. Tradizione vuole che ancora in quell’edificio si manifesti il fantasma dell’eretico in cerca di giustizia.
ALCHIMIA VENEZIANA
Moltissimi sono stati i maghi, stregoni e alchimisti presenti nella laguna, tra i quali spiccano, oltre al già citato Giordano Bruno, Casanova e Cagliostro. Dati gli stretti rapporti con il Medioriente, Venezia è stata da sempre crogiuolo di culture, il toponimo del quartiere "Giudecca" sembrerebbe proprio segnalarci la presenza dei suoi primi abitanti, i giudei, da sempre maestri di alchimia e studiosi di Cabala. Moltissime sono così le leggende presenti nell’antico e nuovo ghetto che riguardano gli rabbini e i loro studi di alchimia.
Nella città, poi, sono presenti le conoscenze alchemiche degli arabi le cui tracce ritroviamo nel quadrante della torre dell’orologio ove, tra simboli astronomici e astrologici sono presenti raffigurazioni di mori. Più sconcertanti ed evidenti sono però le simbologie arabe presenti nelle vicinanze della porta della carta vicino la Basilica di San Marco. Qui sono rappresentati in un angolo i così detti "quattro mori", i tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiliano e Costanzo.
In realtà la tradizione lega queste figure all’alchimia come testimoniato da un fregio alla base dello stesso raffigurante due putti e due draghi intrecciati che portano un cartiglio con la scritta in veneziano arcaico "uomo faccia e dica pure ciò che gli passa per la testa e veda ciò che po’ capitargli".
Sempre sullo stesso lato della Basilica sono presenti due colonne provenienti da Acri ove cultura cristiana e mora si mescolano in una mistica commistione di immagini tra le quali spiccano tre enigmatici criptogrammi per alcuni invocazioni al dio del mussulmani Allah.
Tra i personaggi più enigmatici, però, sicuramente spicca Casanova, mago e scrittore nato nella città il 2 Aprile 1725 e sepolto nella chiesa di San Barnaba anche se della sua tomba sono state perse le tracce. La sua storia "misteriosa" parte all’età di otto anni quando, per guarirlo da un male che gli costringeva a tenere sempre la bocca aperta, la zia lo portò da una strega guaritrice. Sarà da allora che lo scrittore iniziò ad interessarsi alle arti magiche che gli procurarono problemi con l’Inquisizione e che lo portarono ad esser imprigionato nei famosi "piombi" veneziani dai quale riuscì in una clamorosa fuga. Sicuramente egli ebbe contatti con la massoneria e con Amadeus Mozart per la realizzazione del suo "Don Giovanni" ispirato anche alla vita del veneziano e con il famoso Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro proveniente da Aix de Provence. Secondo la tradizione i due si incontrarono nella città nel 1769 per scambiarsi formule e magici rituali e le formule per l’elisir di eterna giovinezza.
di Andrea Romanazzi
Quando si parla di Venezia vengono subito in mente le immagini delle bellissime gondole che vagano per i canali e la dolce atmosfera romantica che la avvolge, ma tra i campi e i calli gremiti di turisti si nascondono antiche leggende, misteri insoluti, ombre di antichi personaggi che rendono la città fortemente inquietante in questa sua gotica disinvoltura. Sarà seguendo così le tracce di questi enigmi che si perdono nella notte dei tempi che riusciremo ad entrare in contatto con il genius urbis che come novello Virgilio ci porterà tra le pieghe del tempo al cospetto di tradizioni mai dimenticate come il Graal e Cagliostro, Casanova e l’Inquisizione che ci faranno cambiare idea sul comune soprannome di "Serenissima".
IL GRAAL E I MISTERI DI SAN MARCO
La città di Venezia è ricca di leggende su antiche reliquie cristiane dato anche gli stretti rapporti economici con il mondo orientale e così ovviamente non potevano mancare storie sui Templari e il mistico Graal, la coppa nella quale, secondo la leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo.
La via che porta questa favolosa reliquia in città è quella che conduce a Costantinopoli, l’odierna Istambul, città conquistata dai Crociati e strettamente legata al capoluogo veneto. In particolare proprio durante la Quarta Crociata cavalieri e mercanti portarono in città cultura e tradizioni mediorientali oltre ai moltissimi tesori provenienti dalla città turca come i quattro cavalli in rame presenti sulla Basilica di San Marco e che tradizione vuole avessero al posto degli occhi degli splendidi rubini. Si sa ancora che da Costantinopoli sarebbe provenuta la Corona di Spine di Gesù che Luigi IX di Francia riuscì a sottrarre alla città per portarla in Francia, presso la Sainte Chapelle, dunque non sarebbe impensabile che, nel caso fosse davvero esistito, il Graal nel suo mistico cammino fosse davvero giunto nella città.
La tradizione lo vuole nascosto nel trono di San Pietro, il sedile ove si sarebbe davvero seduto l’Apostolo durante i suoi anni ad Antiochia costituito da una stele funeraria mussulmana e decorato con i versetti del Corano oggi presente nella chiesa di San Pietro in Castello. Si narra che questa poi sarebbe stata trasferita successivamente a Bari, città legata a quella veneta da interessanti tradizioni comuni come il santo Nicola le cui due città si spartiscono le sacre reliquie. Alcune tradizioni locali, poi, vogliono che nella chiesa di San Barnaba fosse stato seppellito il corpo mummificato di un cavaliere crociato francese dal nome di Nicodemè de Besant-Mesurier, legato alla vicenda della traslazione della mistica coppa ritrovato nella zona nel 1612. In realtà non sono mai stati trovati documenti che parlassero di questo cavaliere.
I misteri legati alla religione Cristiana non trattano solo di reliquie, ma diverse sono anche le tradizioni legate a l’Inquisizione e piazza San Marco, tracce di angusti ricordi sparsi in una delle più belle piazze d’Italia e spesso celati agli occhi del comune viaggiatore. All’angolo destro della Basilica, ad esempio, è presente un cippo che la tradizione vuole utilizzato per le esecuzioni, mentre guardando le colonne del primo loggiato del vicino Palazzo Ducale, ne possiamo scorgere due di colore differente dalle altre ove, secondo la tradizione, venivano lette le sentenze di morte poi eseguite nella piazzetta antistante o nel vicino Campanile. Ecco così che il meraviglioso Campanile che svetta nella piazza nasconde anch’esso macabri ricordi, infatti è legato alla tradizione del supplizio di cheba, una gabbia in ferro sospesa nel vuoto nella quale i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio anche per lunghi periodi sfidando le intemperie e dunque la morte che presto sopraggiungeva quasi come liberazione. Sempre tra le colonne del Palazzo Ducale, poi, era offerta l’ultima speranza di salvezza, e infatti, sul lato della costruzione che si offre al mare era presente una colonna che ancora oggi appare con il basamento consumato. Ai condannati era offerta una ultima grazia: se fossero riusciti a girar intorno alla stessa senza cadere mai dallo strettissimo basamento sulla quale poggia, operazione davvero impossibile.
I PALAZZI STREGATI E LE CORRENTI TELLURICHE
Interessanti poi sono le tradizioni legate ai palazzi stregati come Ca’ Dario e Ca’ Mocenigo Vecchia.
La fama del primo sinistramente conosciuta da tutta la città, esso fu costruito dal mercante Giovanni Dario e dedicato al genio della città come testimonia l’iscrizione "Genio urbis Joannes Dario", scritta che, secondo alcuni studiosi, nasconderebbe, anagrammata, enigmatici quanto orribili segreti: "SUB RUINA INSIDIOSA GENERO" e cioè colui che abiterà sotto questa casa andrà in rovina. Per alcuni la costruzione sorgerebbe su un nodo di energie negative che si trasferirebbero all’intera dimora, quella che Fulcanelli definirebbe una vera e propria dimora filosofale. In realtà l’intera città sorgerebbe su una rete di correnti telluriche, positive e negative, che caratterizzerebbero così la sua urbanizzazione, lo stesso Canal Grande sarebbe la rappresentazione del temibile serpente, simbolo delle enigmatiche forze che in alcuni punti diventerebbero fortemente palesi. Del resto nel passato era normale che ci fossero luoghi benefici e malefici, in oriente ove si pratica il feng shui, cioè una disciplina che permette di costruire una casa recependo le onde benefiche del "grande drago" che dorme nel sottosuolo. Sarà proprio il drago a caratterizzare la città, infatti esaminiamo una qualunque cartina di Venezia vediamo il Canal Grande snodarsi come un serpente o un dragone, tagliando esattamente in due parti la città. Abbiamo così la testa, "caput draconis", ed una coda "cauda draconis".
Alla fine di quest’ultima troviamo l’isola di san Giorgio, con l’omonima chiesa, scelta non casuale se pensiamo che nella tradizione cristiana san Giorgio è il santo che uccide il drago, e quindi che esorcizza il serpente veneziano, mentre dalla parte opposta vi è la Basilica di San Marco, quasi un modo per esorcizzare queste energie.
E’ proprio posizionato nella "cauda" che troviamo Ca’ Dario, il misterioso palazzo la cui maledizione colpisce tutti i proprietari che sono morti suicidi o comunque di morte violenta, tra i quali ultimamente Raul Gardini e il tenore Mario del Monaco.
Per quanto riguarda invece la seconda costruzione, è silente testimone della visita del filosofo Giordano Bruno in città, ospite proprio della famiglia di Mongenigo che, dopo aver cercato di carpire le sue conoscenze alchemiche, lo denunciarono come stregone alle autorità veneziane costringendolo a riparare a Roma ove poi sarà giustiziato. Tradizione vuole che ancora in quell’edificio si manifesti il fantasma dell’eretico in cerca di giustizia.
ALCHIMIA VENEZIANA
Moltissimi sono stati i maghi, stregoni e alchimisti presenti nella laguna, tra i quali spiccano, oltre al già citato Giordano Bruno, Casanova e Cagliostro. Dati gli stretti rapporti con il Medioriente, Venezia è stata da sempre crogiuolo di culture, il toponimo del quartiere "Giudecca" sembrerebbe proprio segnalarci la presenza dei suoi primi abitanti, i giudei, da sempre maestri di alchimia e studiosi di Cabala. Moltissime sono così le leggende presenti nell’antico e nuovo ghetto che riguardano gli rabbini e i loro studi di alchimia.
Nella città, poi, sono presenti le conoscenze alchemiche degli arabi le cui tracce ritroviamo nel quadrante della torre dell’orologio ove, tra simboli astronomici e astrologici sono presenti raffigurazioni di mori. Più sconcertanti ed evidenti sono però le simbologie arabe presenti nelle vicinanze della porta della carta vicino la Basilica di San Marco. Qui sono rappresentati in un angolo i così detti "quattro mori", i tetrarchi Diocleziano, Galerio, Massimiliano e Costanzo.
In realtà la tradizione lega queste figure all’alchimia come testimoniato da un fregio alla base dello stesso raffigurante due putti e due draghi intrecciati che portano un cartiglio con la scritta in veneziano arcaico "uomo faccia e dica pure ciò che gli passa per la testa e veda ciò che po’ capitargli".
Sempre sullo stesso lato della Basilica sono presenti due colonne provenienti da Acri ove cultura cristiana e mora si mescolano in una mistica commistione di immagini tra le quali spiccano tre enigmatici criptogrammi per alcuni invocazioni al dio del mussulmani Allah.
Tra i personaggi più enigmatici, però, sicuramente spicca Casanova, mago e scrittore nato nella città il 2 Aprile 1725 e sepolto nella chiesa di San Barnaba anche se della sua tomba sono state perse le tracce. La sua storia "misteriosa" parte all’età di otto anni quando, per guarirlo da un male che gli costringeva a tenere sempre la bocca aperta, la zia lo portò da una strega guaritrice. Sarà da allora che lo scrittore iniziò ad interessarsi alle arti magiche che gli procurarono problemi con l’Inquisizione e che lo portarono ad esser imprigionato nei famosi "piombi" veneziani dai quale riuscì in una clamorosa fuga. Sicuramente egli ebbe contatti con la massoneria e con Amadeus Mozart per la realizzazione del suo "Don Giovanni" ispirato anche alla vita del veneziano e con il famoso Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro proveniente da Aix de Provence. Secondo la tradizione i due si incontrarono nella città nel 1769 per scambiarsi formule e magici rituali e le formule per l’elisir di eterna giovinezza.
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