domenica 29 gennaio 2023

Un viaggio tra mistero, simbolismo e scienza con “Piante magiche”, il volume di Maria Teresa Burrascano

Un viaggio tra mistero, simbolismo e scienza con “Piante magiche”, il volume di

Maria Teresa Burrascano edito da Stamperia del Valentino


Maria Teresa Burrascano con il volume “Piante magiche”, Stamperia del Valentino

64 pagine, euro 10, ci conduce nell’appassionante mondo delle conoscenze

botaniche con tutte le relative implicazioni, da quelle filosofiche della Spagirìa,

l’Alchimia verde, alle valenze magiche ad alcune piante attribuite nel tempo, alla

scoperta delle sostanze psicotrope in queste contenute e dei loro effetti.

“La presenza di un continuo e profondo simbolismo vegetale, in tutte le forme

tradizionali, rende alberi, fiori, piante, parti essenziali di racconti mitici, ma anche di

rappresentazioni artistiche, cioè poetiche, architettoniche. È nostra intenzione, in

questo contesto, evidenziare come il culto vegetale abbia sempre rappresentato una

parte importante nelle culture, nelle religioni e nella spiritualità di tutto il mondo, da

Oriente a Occidente e dal Sud al Nord”, spiega Luca Valentini nella prefazione al

testo.

Il libro è un viaggio attraverso quei miti che vedono incrociare i suoi eroi con il verde

elemento e con i suoi talvolta strabilianti effetti, raccontati attraverso le opere di

antichi autori, da Omero a Porfirio, attraverso il filtro delle religioni misteriche, degli

incantamenti operati da forze ultraterrene, fino a giungere ai riflessi procurati da

questa mitologia botanica sul Cristianesimo nascente. Un viaggio irrinunciabile, in

bilico tra l’irrazionale e lo scientifico: quella linea d’ombra su cui l’umano intelletto

sarà sempre costretto, con alterne vicende, a cimentarsi.

Vari i contesti simbolici nel vasto universo della farmacopea tradizionale associata

agli Erbari Magici - il più noto è quello di Pietro Andrea Mattioli (1501-1577) – che

l’autrice espone e approfondisce in questo libro.

“Se la rappresentazione della Natura come un grande simbolo, che nulla presenta di

estetico o di sentimentale, permette di esplicitare quella Trascendenza Immanente,

che è il fondamento del riconoscimento del Divino nel Tutto”, continua Valentini, “i

frutti della Madre Terra possono assumere anche un preciso connotato medicale”.


La casa editrice

Editore dal 2002, Paolo Izzo, alter-ego della Stamperia del Valentino, gestisce con

estremo rigore le scelte editoriali della sua “creatura”. Il risultato è un catalogo di

alto profilo sia nell’ambito della cultura napoletana, che in quello della produzione

di stampo umanistico, esoterico e storico.


La Stamperia del Valentino vuole riportare all’attenzione del pubblico la Napoli

colta, folkloristica e letteraria. A tal proposito seleziona opere rivolte al curioso colto

come allo studioso, con un occhio all’originalità e completezza dei temi proposti.


Titolo: Le piante magiche

Autore: Maria Teresa Burrascano

Prefazione: Luca Valentini

Collana: I Polifemi

Prezzo: € 10,00

Pagine: 64

ISBN: 979-12-80721-05-1


domenica 22 gennaio 2023

Il vestito stretto

di Cavaliere Vermiglio

Torniamo all'argomento della comunicazione con i morti con un'altra testimonianza. In questo caso le testimonianze sembrano veramente tante. Siamo agli inizi degli anni '60 e una madre dopo anni di sofferenze muore di tumore e lascia 4 figli tra cui una bambina di 12 anni che è la protagonista delle testimonianza. La notte del funerale la bambina sogna la madre arrabbiata che la chiama e la rimprovera dicendole che cosa avete combinato con il vestito che è talmente stretto che se cammina si strappa. Poi si lamenta delle scarpe scomode e indica alla bambina un preciso punto delle cantina dove sono appese un paio di scarpe più comode da mandare tramite la prossima persona che morirà nel paese dopo qualche giorno. La bambina si sveglia e va in cantina e trova effettivamente le scarpe nel punto indicato e poi si reca dalle sarte, tra l'altro amiche di famiglia e le racconta il sogno ad una di loro. La sarta sbianca in viso e sbotta: "Non cucirò più abiti ai morti!" e conferma alla bambina che effettivamente il vestito è stretto perché hanno sbagliato le misure, ma trattandosi di un vestito per un defunto lo hanno rattoppato alla meglio senza curarsi che potesse lacerarsi in caso di movimenti. Anche l'altra sarta conosciuta la storia si spaventa e si prefigge di non cucire più abiti per i morti. Qualche giorno dopo muore una persona e il paio di scarpe comode vengono infilate nella bara.

La bambina che passava i pomeriggi da sola in casa dopo la scuola perché il padre e fratelli erano fuori per lavoro o studio continuava a vedere la madre in casa e per paura si rifugiava a casa dei vicini.

Anche in questo caso lascio a voi lettori decidere se si tratta di sole coincidenze o qualcosa di diverso.

giovedì 12 gennaio 2023

Un uomo provò a "sfidare" Dio: ecco cosa sappiamo su Babele

tratto da "Il Giornale" del 21 Marzo 2021 

Quello della torre di Babele e del sovrano della città punita da Dio, Nimrod, è un mito senza tempo. Che grazie alla casa editrice "L'Ippocampo" rivive in forma di graphic novel

Andrea Muratore

Un sovrano, la sua città, un monumento all’ambizione umana, una punizione divina. Il topos che unisce questi elementi è comune a molti miti e leggende dell’antichità, che hanno nella storia biblica della Torre di Babele il loro esempio classico.

Babele, che nella Bibbia non è altro che la mitica Babilonia, è al centro di un racconto narrato nell’undicesimo libro della Genesi: “Tutta la terra”, narrano le Scritture, aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Contravvenendo così all’imperativo ordine di Dio, che cacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre aveva imposto a loro e ai successori di disperdersi per il mondo.

Nella città, Babele, gli uomini tentarono di ergersi al livello di Dio, con un vero e proprio “assalto al Cielo” la cui materializzazione fu l’edificazione della mitica Torre di Babele, che provocò la risposta diretta del creatore: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”. Dio divise i popoli, le lingue, le culture per punire la hybris, la tracotanza di una stirpe che aveva osato sfidare i suoi imperativi. La Genesi non fa riferimenti diretti al nome dell’uomo che guidò l’impresa, ma nel Talmud babilonese, il nome di uno dei figli di Cam, e dunque membro della stirpe di Noè, chiamato Nimrod è così commentato: "Perché, allora, fu chiamato Nimrod? Perché istigò il mondo intero a ribellarsi (himrid) alla Sua sovranità [di Dio]".

La Genesi, nel capitolo 10, cita Babele tra le città interne al regno di Nimrod. E per questo la tradizione ha associato la sua figura a quella della mitica città che osò sfidare Dio. Un racconto vivo nella memoria collettiva della civiltà plasmata dalla cultura ebraica e cristiana che, recentemente, è stato riproposto anche in forma grafica: Re e Regine di Babele è il titolo di un recente album illustrato realizzato da François Place per la casa editrice “L’Ippocampo” che si apre proprio col riferimento alla figura di Nimrod.

Nimrod, scrive Place, nella storia a tavole guida i suoi seguaci in un bosco all’inseguimento di un cervo bianco e, giunto su una scogliera a picco sul mare, la usa come bastione attorno a cui edificare una torre e, incardinata sulle sue rocce, una città. Quella torre e quella città altro non sono che la mitica Babele, e il racconto prosegue con le nozze di Nimrod con una principessa, Zelia, e la nascita di una dinastia di sovrani che avrebbero governato a lungo la città. Immersi in un’atmosfera fuori dal tempo, con guerrieri, stendardi e cinte murarie che richiamano la foggia medievale sulla scia del racconto di stampo biblico. Profonda fascinazione del mitico “C’era una volta” che proietta fuori dal tempo e dallo spazio le storie, creando il mito. Un mito che, quando si parla di Babele, inevitabilmente attrae. Forse perché nato alle sorgenti della civiltà, da cui sono iniziati a scorrere fiumi giunti, carsicamente, fino ai giorni nostri, attraverso la creazione di una comune costellazione di riferimenti culturali, valoriali, religiosi, un’accumulazione di archetipi e punti di riferimento. Forse perché prova a dare una risposta al mistero profondo della diversità tra popoli e stirpi.


domenica 8 gennaio 2023

PINOCCHIO, UNA FIABA SENZA TEMPO, INTERVISTA A LUIGI PRUNETI

tratto da L'Opinione del 26 ottobre 2021

di Pierpaola Meledandri

 Il 26 ottobre è l’anniversario della morte di Carlo Collodi, autore di Pinocchio: opera ricca di simboli, archetipi e arcani significati, proposti nella piacevole forma della fiaba. So che è un argomento che ha affrontato a più riprese, vorrei, quindi, che ci parlasse del burattino più famoso del mondo. La prima domanda che le porgo è questa: A cosa è dovuta l’immensa fortuna di Pinocchio?

In effetti, Pinocchio ha avuto una fortuna incredibile, è stato tradotto in 240 lingue e sembra che sia il libro più letto al mondo dopo la Bibbia. Il segreto di questo successo è dovuto a molti fattori. È una fiaba, ma una fiaba particolare, animata non da stereotipi ma da personaggi vivi, da animali e uomini che ricordano a ciascuno figure spesso incontrate nella vita; inoltre il protagonista è un soggetto dinamico che da antimodello, diventa un eroe da imitare. Le sue avventure si configurano, pertanto, come un romanzo di formazione, Il burattino al pari di Renzo Tramaglino, si adegua e comprende ma, a differenza del romanzo di formazione, Pinocchio rimane nella sfera del fantastico.

Le disavventure di Pinocchio sono molteplici, la più clamorosa è la trasformazione in asino che ricorda molto da vicino Le Metamorfosi (L’Asino d’oro), di Apuleio.

Collodi è stato probabilmente ispirato dal capitolo XXXII de L’Asino d’oro di Apuleio, dove Lucius, viene tramutato in asino perché sbaglia ad utilizzare un unguento. Egli, spinto dalla curiositas, si era fatto introdurre dall’amante Fotide, nella casa della sua padrona-strega Panfile.  Pinocchio, si fa convincere, a sua volta, dall’amico Lucignolo a raggiungere il Paese dei Balocchi.

Quali furono le altre fonti o gli autori che ispirarono Collodi?

Sono molte, perché ogni autore trae ispirazione da ciò che ha letto e Collodi leggeva moltissimo. Probabilmente fu ispirato dall’Odissea, dalla Bibbia, dalla Divina Commedia, dalla mitologia dal romanzo picaresco, di cui sono esempi Lazarillo de Tormes e Don Chisciotte della Mancia. Potrei citare poi i Promessi sposi. Ad esempio il passo in cui Pinocchio è convinto dai cattivi compagni a marinare la scuola per andare a vedere il pescecane ricorda il traviamento della Monaca di Monza, mentre il carro che porta i bambini nel Paese dei balocchi rammenta quello dei monatti.

Vi è poi il teatro di cui Carlo Lorenzini era un estimatore, vi sono, infatti, in Pinocchio espressioni che ricordano l’Alfieri e la Francesca da Rimini di Silvio Pellico, Goldoni e Moliere, mentre l’omino di burro canta: “Tutti la notte dormono / E io non dormo mai”, riferimento esplicito alla canzone Te voglio bene assje. Il brano comparve per la prima volta nella festa di Piedigrotta del 1835. Le parole sono di Raffaele Sacco, non si sa chi l’abbia musicata, anche se s’ipotizza che sia stato Donizetti. Voglio infine ricordare che il nome del cane Melampo è ripreso dalla poetessa lucchese Teresa Bandettini (Amarilli Etrusca) che scrisse: “Chi veglia il gregge? Ah che già fu Melampo / terror di lupi e contro i ladri scampo”.

Un’interpretazione che è stata all’opera di Collodi, è addirittura di tipo religioso: Geppetto falegname come Giuseppe e Gesù. La Fatina, Madre salvifica e provvidenziale, la storia del bambino ribelle che lascia la casa paterna un remake della parabola del Figliol prodigo. Troppo azzardata questa lettura?

Secondo me sì, è più che azzardata. Il cardinale Giacomo Biffi, scrisse un bel libro sull’argomento, citando, oltre alla parabola del Figlio prodigo, “l’eterno motivo agostiniano: la scoperta della verità, che non è fuori di noi, ma in noi stessi: in interiore nomine habitat veritas”. Inoltre, quando Pinocchio è impiccato alla Quercia grande, prima di morire, mormora “Oh babbo mio! Se tu fossi qui”. Il punto ricorda Matteo (27, 46): “Padre mio perché mi hai abbandonato”. Infine, la casina nel bosco indica la chiesa e i colori della fatina, il bianco e il turchino, sono quelli della Madonna. Ciò tuttavia non è sufficiente a dare una valenza religiosa a un’opera dove non è presente una chiesa o un sacerdote. Gli unici riferimenti a una religiosità popolare si hanno quando i pescatori, pensando che Geppetto sia affogato, se ne tornano a casa “brontolando sottovoce una preghiera” o quando Pinocchio tirato fuori dall’acqua dopo che era stato gettato in mare, afferma: “Che vergogna fu quella per me! Che Sant’Antonio benedetto non la faccia provare nemmeno a voi!”.

Nella storia di Pinocchio, vi sono molti aspetti di carattere iniziatico: il viaggio, le prove continue, la morte e la rinascita, le trasformazioni e il raggiungimento di uno stato esistenziale superiore. Il capolavoro di Collodi è forse una parabola iniziatica?

Lo è certamente, ma anche la vita di ciascuno di noi è caratterizzata da continue iniziazioni. Le fiabe sono spesso delle raffigurazioni del percorso esistenziale dell’uomo che da una situazione di difficoltà, attraverso il superamento di prove, raggiunge un livello superiore di autocoscienza e il successo. Basti pensare a Biancaneve, a Pollicino, a Hansel e Gretel. Il protagonista parte sempre da uno stato infelice (indigenza estrema, infelicità familiare), nel labirinto della foresta incontra i vari minotauri, conosce la morte iniziatica, riesce ad avere la meglio e risorge a nuova vita.

Molti autori, insistono, però, sulle valenze esoteriche, se non massoniche di Pinocchio.

Pinocchio è una fiaba complessa, pertanto, è stato interpretata in tante chiavi diverse: civile, valoriale, politica, antroposofica, psicoanalitica, magica, alchemica, astrologica, cabalistica, massonica e, come abbiamo, detto cristiana, in realtà Carlo Lorenzini voleva scrivere solo una fiaba “morale” e pedagogica. Basti pensare che nella stesura originale il romanzo terminava con l’impiccagione di Pinocchio. La morale era chiara: chi non ubbidisce ai genitori, chi non rispetta le regole, chi non ascolta i buoni consigli, fa una brutta fine. In seguito, spinto dai lettori e dall'editore proseguì il racconto con un Pinocchio prima pentito e infine redento.Questo non toglie che una storia quando è pubblicata, come scrisse Umberto Eco, appartiene a chi la legge che è libero d’interpretarla come meglio crede.

L’autore di Pinocchio, Collodi, era un Libero Muratore?

Molti lo affermano; Elèmire Zolla, scriveva: “Il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile” e aggiungeva che i valori iniziatici di Pinocchio “provengono dalla cultura di base della cerchia massonica cui Collodi apparteneva”, ove ferveva “una rinascita del pitagorismo antico, culminata poi con Arturo Reghini”. Su posizioni simili sono Coco e Zambrano, Pietro Citati e altri autori. Io la penso come Fulvio Conti: la massoneria del periodo collodiano non ha niente da spartire con Reghini, il martinismo, il neopaganesimo, il neo-pitagorismo. Nell’età di Carlo Lorenzini la massoneria italiana era penetrata da razionalismo e positivismo ed era tutta protesa ad esaltare il mito della scienza e del progresso. I temi più dibattuti erano quelli sociali, dei diritti civili, dell’educazione, della laicità. D’altra parte, dopo la morte dell’autore, il Grande Oriente Italiano non rivendicò l’appartenenza di Collodi. Scrive Conti: “Del resto il suo nome non figura nell’elenco degli affiliati del Grande Oriente d’Italia fra Ottocento e Novecento, che sono emersi dagli scavi archivistici degli ultimi anni. Elenchi certo incompleti, ma che pur tuttavia comprendono alcune decine di migliaia di nomi. Né vi sono riferimenti a Collodi nei numerosi e approfonditi studi sulla massoneria in Toscana che sono apparsi in tempi recenti”. Lo stesso autore, infine, ricorda che “le questioni esoteriche e rituali ebbero per alcuni decenni un peso marginale nella vita del Grande Oriente e delle singole logge”. L’unico indizio a favore dell’appartenenza massonica di Collodi è una lettera indirizzata da Collodi a Pietro Barbera, datata 4 marzo del 1884 che termina così: “In ogni caso mi creda sempre. Il Fratello Collodi”. Per Ferdinando Tempesti, non ci sono dubbi: è la prova dell’appartenenza di Collodi ai “figli della vedova”. Io non ho mai visto l’originale, citato Maria Jole Minicucci negli atti convegno, ma ci andrei piano. Una rondine se rondine è, non fa primavera.

I personaggi e le storie di Pinocchio come il Gatto e la Volpe, il Grillo Parlante, la bambina dai capelli Turchini e ancora scimmioni, pavoni spennati, faine, cani, il paese degli acchiappacitrulli a cosa fanno riferimento?

Pinocchio, pur essendo collocato nella dimensione “metastorica e atemporale propria delle fiabe” è ispirato dalla Toscana post risorgimentale nella quale visse Collodi, che era un uomo deluso dalla politica, dalla meschinità e dalla scarsa attenzione sociale del nuovo stato unitario. Molte situazioni e personaggi presenti in Pinocchio sono perciò desunti dalla società dell’autore.

La città di acchiappacitrulli, per esempio, è Firenze, gabbata dal trasferimento della capitale a Roma e lasciata con 100 milioni di debiti. Le gazze ladre e gli uccellaci da rapina sono gli speculatori del business della Firenze capitale. Gli ideali risorgimentali erano stati traditi, l’Italia nata nel 1859-0 era diventata una terra infelice in mano a corrotti, approfittatori e ladri, posti al di sopra del potere. Il gatto e la volpe sono due imbonitori, il primo ripete ossessivamente quello che l’altro afferma, essi non si avvalgono del ragionamento ma nella “insistenza ossessiva degli enunciati”. Il Grillo Parlante, invece, potrebbe essere stato ispirato da un prete di nome Zipoli col quale Lorenzini convisse per un po’ di tempo, era un uomo tanto colto quanto pedante. L’omino di burro, ricorda i trafficanti di bambini, vera e propria piaga dell’Italia post-unitaria, mentre lo scimmione giudice potrebbe accennare il mal funzionamento della giustizia, asservita al potere e alla corruzione.

Secondo lei quale è la caratteristica di fondo del mondo dove vive e opera Pinocchio?

Sicuramente la miseria e la fame che Collodi aveva provato da bambino. Geppetto, dice all’inizio del racconto: “Lo voglio chiamar Pinocchio. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina”. Nel capitolo XII Pinocchio dice a Mangiafoco che il suo babbo fa per mestiere il povero e che guadagna “quanto ci vuole per non avere mai un centesimo in tasca”. Il termine fame compare in Pinocchio ben 44 volte. Scrive Giovanni Spadolini: “Collodi avrà viva come pochi la coscienza della povertà, anzi della miseria delle classi popolari del suo tempo. Strenuo difensore della proprietà privata, invocherà una più equa ripartizione delle risorse senza mai cedere al socialismo né tanto meno al comunismo”, definito “Tanto per uno nulla a nessuno”.

giovedì 29 dicembre 2022

I libri più belli? Naturalmente quelli che non esistono

tratto da "Il Giornale" del 16 Marzo 2021

Gli pseudobiblia hanno una qualità unica. Essendo libri citati come veri in altre opere letterarie, o cataloghi o Indici, ma del tutto immaginari, sono facilissimi da leggere

di Luigi Mascheroni

Gli pseudobiblia hanno una qualità unica. Essendo libri citati come veri in altre opere letterarie, o cataloghi o Indici, ma del tutto immaginari, sono facilissimi da leggere. Non esistendo.

Strano. Gli pseudolibri sono libri mai scritti, che esistono solo come titolo, magari con degli estratti, di cui si parla in qualche romanzo, soprattutto di fantascienza o dell'orrore. Eppure su di loro si conta ormai una lunga letteratura, la cui consistenza è inversamente proporzionale alla sostanza dei titoli in oggetto. Che non hanno pagine. Libri fantasma. Esempio colto: gli immaginifici pseudobiblion recensiti in Finzioni di Jorge Luis Borges. Esempio popolare: nel primo film della saga di Fantozzi, il protagonista corre alla stazione per riportare un giallo alla figlia di un azionista dell'Azienda dal titolo Hanno ucciso un caro ometto, volume che ovviamente nessuno ha mai scritto.

Il primo a parlarne scientificamente fu Lyon Sprague de Camp in un articolo ormai leggendario, e che forse neppure esiste: The Unwritten Classics (ovvero I classici mai scritti), uscito su The Saturday Review of Literature nel 1947. Poi la materia è stata ripresa, approfondita, ampliata, e così gli pseudolibri di per sé libri che esistono solo in altri libri - alla fine si sono imparentati con altre categorie di libri: quelli esistiti e andati distrutti; libri apocrifi; libri che esistono ma è come se non esistessero perché rarissimi o irreperibili ma diventati di culto. La lista è lunga, e va dal manoscritto anonimo che secondo Alessandro Manzoni raccontò per primo la storia di Renzo e Lucia al manoscritto di cui Il nome della rosa è un'Eco, fino alla raccolta di racconti Three Early Stories di J. D. Salinger, pubblicata postuma nel 2014: tradotto in Italia l'anno dopo dal Saggiatore come I giovani, il libro fu contestato dagli eredi di Salinger, ritirato dalla vendita, mandato al macero e poi resuscitato da Simone Berni che si è autopubblicato una serie di parodie libri fisici con pagine bianche, sigla il Sabbiatore, autore lo stesso Salinger - tipo I bambini, Gli adolescenti, Gli adulti...

Colti giochi letterari, pastiche, divertissement bibliofili... Sull'argomento un ottimo manuale di partenza (a proposito: il Manuale delle Giovani Marmotte è uno pseudolibro dell'universo immaginario della Disney, ideato nel 1954 da Carl Barks, ma che nel '69 la Mondadori pubblicò per davvero) è il libricino dei superesperti Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco Pseudobiblia (appena uscito da Bietti) che riprende un vecchio saggio apparso in appendice ai I libri maledetti di Jacques Bergier (Mediterranee, 1972). Bene. Qui dentro troverete tutto quello che c'è sui libri che non ci sono, dal troppo celebre Necronomicon di H.P. Lovecraft al maledetto Libro di Thoth, dalle Stanze di Dzyan al terribile Il Re Giallo di cui ha osato parlare apertamente R. W. Chambers nel 1895, ma la cui lettura - ammesso che si possa leggere un libro inesistente - dicono renda pazzi.

mercoledì 21 dicembre 2022

Alla scoperta di Stonehenge: quando andare e cosa vedere

tratto da "Il Giornale" del 16 Settembre 2021

Stonehenge è un complesso megalitico dal grande fascino, visitato soprattutto durante equinozi e solstizi: tutti i consigli su quando andare e cosa vedere

di Angela Leucci


Stonehenge è forse il complesso megalitico più affascinante al mondo. Tale fascino deriva sia dal fatto che costituisce una testimonianza preistorica antichissima, sia dal mistero che avvolge quest’opera dell’uomo, tutt'oggi ammantata di leggende.

Si ritiene infatti che il suo scopo fosse quello di costituire un osservatorio astronomico. Tuttavia, nel tempo, alcune pietre sono cadute e state ricollocate: pochi monoliti sono quindi nella collocazione originaria, sebbene siano stati spesi impegni ed energia per decenni a cavallo tra ‘800 e ‘900, al fine di restituire una verità storica, artistica e scientifica al luogo. Ma molti interrogativi restano aperti ancora oggi.

Il luogo in ogni caso è una delle mete preferite degli over 60: Stonehenge viene vista e studiata a scuola, visitata attraverso i tour virtuali, ma è tutto un altro paio di maniche essere lì, soprattutto in determinati periodi dell’anno. Come in occasione dell'equinozio d'autunno o, ancora, del solstizio d'estate.

Cos’è il complesso di Stonehenge

Stonehenge è definito un cromlech, ossia un complesso costituito da menhir e triliti disposti in circolo. È stato menzionato per la prima volta dallo scrittore Diodoro Siculo nel I secolo a.C. ed è ritenuto opera dei druidi - anche se leggenda vuole che sia stato Re Artù a ordinare ai giganti di portare il complesso litico nel luogo attuale. Le ipotesi più accreditate dagli studiosi indicano che il complesso risale all’età del bronzo e fosse utilizzato per rituali pagani.

Cosa vedere a Stonehenge

Naturalmente la ragione principale che porta i visitatori a Stonehenge è il cromlech. Va però sottolineato come il complesso megalitico sia recintato, quindi durante le visite guidate il punto più vicino alle pietre che si può raggiungere è situato a 10 metri dalla struttura. Sono ammesse però delle visite speciali, al di fuori dell’orario delle visite guidate e quindi all’alba e al tramonto: si può restare sul luogo, camminando tra le pietre per un’ora, in gruppi di 26 persone per volta.

Nei dintorni del cromlech sono presenti delle case neolitiche, che sono per la verità delle ricostruzioni delle abitazioni un tempo occupate da chi costruì di fatto il cerchio di monoliti.

Inoltre nei pressi c’è un piccolo museo. Questa mini-esposizione contiene oltre 250 resti archeologici, come ceramiche, gioielli, strumenti da lavoro e resti umani. Visitando il museo si possono approfondire le varie teorie su Stonehenge, sulle persone che anticamente utilizzavano questo luogo e sul perché sia stato costruito.

Quando recarsi a Stonehenge

È meglio visitare il cromlech durante i mesi più caldi, quindi tra maggio e ottobre, perché la zona non gode sempre di bel tempo e quindi si rischia di rovinarsi la gita. Tuttavia, a ridosso di solstizi ed equinozi, si generano particolari giochi di luce durante le albe o i tramonti. Di conseguenza, partire a ridosso di questi fenomeni astonomici è sicuramente un'idea suggestiva per poter apprezzare al meglio il sito archeologico.

La data non è sempre la stessa ogni anno, sia perché il complesso megalitico ha subito delle modifiche, sia perché le date di solstizi ed equinozi cambiano ogni anno, dato che il calendario solare è una convenzione che non tiene conto dei tempi residui in termini di ore e minuti relativi ai movimenti dei pianeti intorno al Sole.

Consigli per visitare Stonehenge

Il cromlech si trova a 145 chilometri a ovest di Londra, nella contea del Wiltshire, nella pianura di Salisbury. La città più vicina è Amesbury e i collegamenti sono capillari, dato che si tratta di una meta davvero molto ambita.

Il luogo è esposto ai venti e alle intemperie, per cui si consiglia di vestirsi adeguatamente e portare ombrelli e impermeabili - previo controllo delle previsioni del tempo.


giovedì 15 dicembre 2022

ALLA SCOPERTA DEI MISTERI DI ROMA: IL LABORATORIO ALCHEMICO

tratto da "L'Opinione" del 16 settembre 2021

di Pierpaola Meledandri

Il Museo storico nazionale dell’arte sanitaria, noto comunemente come il Laboratorio alchemico, venne inaugurato nel 1933 e si trova all’interno del complesso ospedaliero di Santo Spirito in Sassia. Siffatta raccolta museale non è molto conosciuta perché ha un’ubicazione particolare ed è visitabile solo per appuntamento in alcuni giorni della settimana. Questa scarsa fruibilità rappresenta un limite notevole perché il museo costituisce un’importante testimonianza sulla storia della medicina. L’ospedale di Santo Spirito ha origini lontane; venne fondato, infatti, dal Papa Innocenzo III nel 1198 non solo con lo scopo di ricoverare e curare i malati ma anche come centro d’insegnamento dell’ars medica. Il museo si articola in diverse sale, la prima è la Sala Alessandrina che conserva una vasta biblioteca, alle pareti sono esposte 19 tavole anatomiche a stampa, colorate a mano, risalenti ai primi dell’Ottocento, raffiguranti le “viscere”, il sistema muscolare, l’arterioso, il venoso, il linfatico, l’apparato osseo, il cervello e il fegato. In fondo alla Sala campeggia una statua in gesso su un piedistallo in marmo, raffigura Esculapio l’antico dio greco della medicina.

Nella Sala Flajani vi è una raccolta di preparazioni anatomo-patologiche e di modelli in cera di organi, risalenti alla fine del XVIII secolo; rappresentano, soprattutto, alterazioni dei tessuti dovute a patologie come la sifilide e deformazioni prenatali. Nella Sala Capparoni, invece, vi è una collezione di Ex voto che vanno dal periodo etrusco-romano ad anni abbastanza recenti, oltre a suppellettili di farmacia del XVI-XVII secolo. Tra le curiosità presenti nella sala, una piccola Venere anatomica in avorio, con torace e ventre apribili per mostrare la posizione del feto. Particolarmente interessante è poi la Sala Carbonelli con un’esposizione di strumenti chirurgici (trapani per il cranio, seghe ortopediche, lancette da salasso) e di altri per l’oculistica e l’ostetricia, oltre a rari e preziosi microscopi del passato. Fra gli strumenti più singolari ricordiamo la “Siringa di Mauriceau”: un tubicino di gomma che si applicava a una siringa per introdurre acqua benedetta nella cavità uterina, per battezzare i feti che correvano il pericolo di soccombere durante il travaglio. In un’alta vetrina sono conservati due sistemi di conservazione veramente spettacolari: i preparati a secco del sistema nervoso centrale e periferico eseguiti da Luigi Raimondi nel 1844.

Infine, il Museo storico nazionale dell’arte sanitaria, espone un’antica Farmacia con pezzi provenienti dalle spezierie degli ospedali di Santo Spirito, di San Giacomo e di Santa Maria della Consolazione e il Laboratorio alchemico. Quest’ultimo è, sicuramente, la parte più intrigante del museo, anche per l’alone di mistero che vi grava. Dal soffitto pende, come se fosse un lampadario, un coccodrillo impagliato, mentre tra storte, alambicchi, mortai il visitatore avverte quasi l’ombra degli antichi alchimisti. A completare il quadro magico dell’ambiente, si staglia il calco della famosa porta ermetica voluta dal Marchese di Palombara, il cui l’originale si trova nei giardini di piazza Vittorio a Roma. I simboli alchemici, cabalistici e magici incisi sulla porta, dovrebbero rappresentare, secondo consolidate narrazioni, la formula per giungere alla realizzazione della pietra filosofale, atta a trasformare i vili metalli in oro. Quanto succintamente descritto, non è un caso isolato; in Italia, anche a San Leo, celebre per la rocca ove morì Cagliostro, vi è un interessante Museo con vari padiglioni, tra cui uno dedicato all’alchimia.

A Firenze, nel Museo della Specola e in altre celebri collezioni di stato sono esposti animali impagliati e cere anatomiche, oltre a una drammatica rappresentazione, sempre in cera, di un’epidemia di peste. È, nel suo genere, un capolavoro, dovuto allo Zumbo, che contende la palma dell’horror ai pezzi anatomici, “pietrificati”, con una tecnica rimasta segreta, da Girolamo Segato (1792-1836). Questi fu un cartografo, naturalista e egittologo, che partecipò a delle spedizioni nella terra delle Piramidi, dove avrebbe appreso le tecniche d’imbalsamazione. Avendo il Gran Duca di Toscana rifiutato di finanziare le sue ricerche, bruciò i propri appunti, portandosi nella tomba ogni segreto dei suoi studi. Le sue spoglie giacciono ora nella basilica di Santa Croce e una lapide commenta così la sua figura: “Qui giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato, se l’arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell’umana sapienza, esempio d’infelicità non insolito”.

Il Museo storico nazionale dell’arte sanitaria, tuttavia, rappresenta una realtà singolare e interessante che permette per valutare l’evoluzione storica all’ars medica, che per secoli e secoli, abbinò alla ricerca scientifica, precetti religiosi e considerazioni tratte da scenari che niente avevano da spartire con la medicina moderna.