sabato 17 ottobre 2020

Il mistero del genoma umano: tracce di organismi primordiali

 tratto da "Il Giornale" del 26/07/2020

Dopo aver anticipato i tempi raccontando l'incubo della pandemia, Quammen ci racconta l'albero intricato della vita e i misteri nascosti nel dna dell'uomo

di Matteo Carnieletto Andrea Indini

Immaginate un albero, di quelli secolari. Alla base, il tronco affonda le proprie radici nella terra. Non puoi vedere fino a dove arrivano. Puoi immaginarlo. È da lì che viene. È da lì che succhia linfa vitale, giorno dopo giorno.

Punti, poi, lo sguardo verso l'alto e la chioma è tanto grande da coprire la visuale del cielo azzurro che gli piomba addosso. È immobile, ma in continua mutazione. Da lontano sembra un tutt'uno ma, mano a mano che ti avvicini, puoi scorgere ogni diramazione dei suoi rami. Verrebbe da dire: proprio come la vita. Ma non è così. Questa poteva, infatti, essere un'immagine che andava bene per descrivere, anche se in modo sommario, l'intuizione che aveva avuto Charles Darwin quando, nello scrivere L'origine della specie nel 1859, illustrava quanto aveva appreso durante il secondo viaggio a bordo della HMS Beagle e metteva le basi alla teoria dell'evoluzione facendo così sgretolare il credo creazionista secondo cui la vita data da Dio è immutabile. Si trattò di una vera e propria rivoluzione per la biologia, ma ben presto anche l'idea secondo cui le informazioni ereditarie si trasmettessero solo verticalmente fu superata. La scoperta del trasferimento genico orizzontale ha, infatti, rivelato che in alcuni casi il materiale ereditario viene trasmesso lateralmente. Saltando da una linea all'altra.

Mentre eravamo chiusi in casa, obbligati dal lockdown imposto per contenere la pandemia da coronavirus, molti di noi hanno ripreso in mano un capolavoro uscito dalla penna di David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie (Adelphi). Lo aveva scritto in tempi non sospetti, era il 2012 (in Italia sarebbe uscito un paio di anni dopo), ma già preconizzava quello l'inferno in cui ci siamo venuti a trovare quest'anno. Il salto di specie, dall'animale all'uomo, e la nascita di una malattia di cui non si conosce cura. "La zoonosi (il salto di specie, ndr) – ci metteva in guardia – è una parola del futuro, destinata a diventare assai più comune nel corso di questo secolo". Mentre correvamo a studiare quello che ci stava esplodendo in torno, il saggista statuniteste, autore anche del bellissimo Alla ricerca del predatore alfa, ci metteva davanti a un altro processo in atto da sempre: l'evoluzione della specie. In libreria è, infatti, arrivato da qualche settimana, sempre edito da Adelphi, L'albero intricato. Si tratta di un saggio puntuale (come lo sono sempre i suoi lavori), in alcuni tratti anche ostico, che ha il pregio di aiutare a capire quei processi millenari che da sempre plasmano la vita e che, grazie alla scoperta fatta da Carl Woese negli anni Settanta con il suo lavoro su batteri e archei, si è compreso essere molto più intricati di quanto non immaginassimo. "Woese era uno scienziato mosso dalla più intensa curiosità sulle domande più profonde riguardanti la vita sulla Terra - spiega Quammen in una recente intervista al Giornale - utilizzò la biologia molecolare per rispondere a quelle domande".

È stato Woese a scoprire che i geni non si spostano soltanto in senso verticale, passando cioè da una generazione alla successiva, ma anche lateralmente. Non solo. Possono addirittura attraversare i confini di specie o passare da un regno a un altro. L'uomo stesso è una sorta di mosaico composto da molteplici forme di vita. Siamo "l'equivalente genetico di una trasfusione di sangue". Per almeno l'otto per cento, infatti, il nostro genoma presenta residui di retrovirus che hanno intaccato il dna dei nostri antenati. Si chiama eredità infettiva. Alcuni di questi si sono riadattati e hanno inizato a svolgere funzioni a dir poco fondamentali. Ne è un esempio la sincitina 2, il gene produttore della membrana che, durante la gravidanza, si sviluppa fra la placenta e il feto per portare il nutrimento al nascituro e smaltire gli scarti. Senza di quello non sarebbe possibile la gravidanza.

L'albero descritto da Quammen è a dir poco intricato. E più ti spinge a guardare dove siamo arrivati, più ti obbliga a volgere lo sguardo verso dove tutto ha avuto inizio. Che, poi, è la domanda che muove tutto quanto. "Ci sono prove molecolari forti - spiega Quammen - secondo cui una cellula di archeo sia stata la cellula ospite del primo evento di endosimbiosi che ha condotto alla linea di discendenza di cellule complesse che, oggi, chiamiamo eucarioti, ai quali apparteniamo anche noi". Tra i "donatori" possiamo, infatti, ritrovare organismi primordiali che popolavano la Terra miliardi di anni fa. Oggi abitano in ciascuno di noi in una simbiosi che, come ci fa notare lo scrittore americano, dovrebbe spingerci a interrogarci sui concetti di specie e di individuo.

venerdì 9 ottobre 2020

La Simbologia Occulta nella Leggenda del Graal - Vito Foschi - Book Revi...

Video recensione del libro di Vito Foschi "La Simbologia Occulta nella leggenda del Graal". Un libro che vi consigliamo di acquistare. Vi consigliamo anche di iscrivervi al canale di Roberto La Paglia che regala ogni settimana un video "misterioso" intrigante e professionale.

mercoledì 7 ottobre 2020

Conosci Eratostene di Cirene?

in collaborazione con il blog Fanta-Teorie:

https://fanta-teorie.blogspot.com/2020/08/conosci-eratostene-di-cirene.html


Quanti di noi conosco Eratostene di Cirene?

In pochi quasi certamente eccetto per chi ha studiato matematica, fisica, e altre materie scientifiche in modo più approfondito, non limitandosi all'insegnamento scolastico.

E' vissuto tra il 276 a.c. al 194 a.c. circa. Un vero matusalemme per l'epoca. Secondo i suoi contemporanei e i posteri eccelleva i tutti i campi del sapere. E' stato precettore di Tolomeo IV Filopatore. Viene ricordato per essere stato un erudito matematico, astronomo, geografo, filologo, filosofo e poeta della Grecia antica.

Viene anche suggerito dalla maggior parte dei posteri come il padre della Geodesia (lo studio della forma della terra).

Quasi certamente è stato uno dei primi ad aver tentato di calcolare la dimensione della Terra, avvicinandosi molto alla cifra corretta pur attuando un metodo molto semplice oltre 2200 anni fa.

A lui dobbiamo anche l'algoritmo per trovare i numeri primi che fino a lui era rimasto irrisolto o comunque il metodo non era molto preciso.

Inoltre è stato il terzo direttore della biblioteca di Alessandria d'Egitto.

Un curriculum davvero di tutto rispetto. Ma allora perché quasi nessuno lo conosce? Quali sono le cause?

Bisogna ammettere che per sentirne parlare bisogna aspettare l'università oppure raramente anche le superiori.

A mio modesto parere bisognerebbe rivedere il sistema scolastico italiano e anche le priorità dei libri di testo. Oltre ad Eratostene meriterebbero più spazio anche i Sumeri per esempio. Ma non solo la lista è assai lunga. Purtroppo!

sabato 3 ottobre 2020

UFOLOGY WORLD - 8 novembre

8 NOVEMBRE 2020 all’interno di Cinecittà World a Castel Romano si terrà la nuova edizione di UFOLOGY WORLD per l’Italia organizzato da Francesca Bittarello con 3 Dibattiti, Mostre e Villaggio Espositori. Fra gli ospiti Paola Leopizzi Harris famosa ufologa americana, Bernard Rouch dalla Francia, Adriano Forgione, Pablo Ayo, Dario del Buono e molti altri ancora.

LA VENDITA DEI BIGLIETTI PER UFOLOGY WORLD E' SOLO ON-LINE: www.ufologyworld.it


mercoledì 30 settembre 2020

Jacques Bergier: «Come nacque “Il mattino dei maghi”»

tratto da: http://blog.ilgiornale.it/scarabelli/2019/11/24/jacques-bergier-come-nacque-il-mattino-dei-maghi/

di Andrea Scarabelli


È appena uscita, per Edizioni Bietti, la traduzione italiana di Io non sono leggenda, l’autobiografia di Jacques Bergier, il mitico autore de Il mattino dei maghi, manifesto del “realismo fantastico” scritto a quattro mani con Louis Pauwels e pubblicato da Gallimard nel 1960. L’edizione dell’autobiografia dell’“Amante dell’Insolito e Scriba dei Miracoli” (come lui stesso aveva fatto scrivere sul suo biglietto da visita) comprende vari materiali aggiuntivi, molti dei quali pubblicati in prima edizione mondiale. Oltre a un ricordo dell’autore ad opera di Sebastiano Fusco, che lo incontrò in varie occasioni, il volumetto contiene un ricco apparato di note, un capitolo tagliato nell’edizione francese (Retz, 1977) e il progetto editoriale di una delle opere che avrebbe dovuto costituire il seguito di un libro epocale come pochi altri. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo qui un estratto del capitolo di Io non sono leggenda dedicato all’incontro tra Jacques Bergier e Louis Pauwels – il primo, scienziato e fisico comunista, il secondo, amante della spiritualità e discepolo di Gurdjieff, nonché uomo di destra – contenente anche informazioni su come nacque Il mattino dei maghi, nonché sulle reazioni “a caldo” del pubblico di fronte alla sua comparsa.

Non sempre riesco a decifrare le tracce del futuro. Mi capita di fare previsioni con una tale esattezza che sfiora il paradosso temporale, ma spesso ciò non succede. Quando incontrai Louis Pauwels, nel 1959, non avrei mai immaginato che ciò avrebbe cambiato molte vite. Grazie agli studi di cui ho già parlato, entrai in contatto con l’alchimista René Alleau, che mi presentò Pauwels. Ciò che mi colpì – e continua a colpirmi – è la sua curiosità. Pauwels è di una curiosità indomita, una disposizione naturale frequente tra i russi e gli europei dell’Est ma molto rara in un europeo occidentale.

Quando lo conobbi, aveva appena concluso Monsieur Gurdjieff. Ci scambiammo riflessioni e idee, e progettammo un’opera che non avrebbe mai visto la luce: uno studio globale sulle società segrete. Tale progetto – come scoprimmo solo dopo – era del tutto impossibile, per il semplice fatto che se una società è davvero segreta è impossibile studiarla.

Il progetto morì dunque di morte naturale, ma io e Pauwels continuammo a collaborare. Andavo da lui, a Mesnil, e passavamo intere giornate a parlare, dopodiché si svegliava alle quattro del mattino e cominciava a dattiloscrivere le nostre conversazioni. Tale metodo – che usiamo tuttora – è anche alla base del suo libro L’ammirevole Blumroch. Ovvero, la colazione del superuomo. Tutto parte da uno scambio di riflessioni e informazioni. Mi duole non aver conservato i fascicoli che costituivano il punto di partenza delle mie storie, ma non potevo prevedere che i nostri lavori sarebbero stati analizzati e commentati da cima a fondo. Alcuni di questi fascicoli si trovano a casa di Pauwels, altri nella camera blindata del ristorante Quick-Élysées (Champs-Élysées, 114), che funge da magazzino, ma purtroppo la maggior parte di essi è andata perduta.

Mentre Il mattino dei maghi cresceva, ci accorgemmo che la sua struttura era altrettanto bizzarra e unica: vi avevamo inserito lunghe citazioni, ma anche storie di pura immaginazione – cosa che, per quanto ne so, non è mai stata fatta da nessuno. Quando ci mettemmo alla ricerca di un titolo, io proposi Approcci generali, che però avrebbe generato confusione, avendo un taglio, per così dire, umoristico. Suggerii allora Il Graal e la Galassia, ma Claude Gallimard, futuro editore dell’opera, ci fece notare che pochissimi sapevano cosa fossero il Graal e le galassie (e come dargli torto, pensando ai lettori di Sartre e Gide?). Fu Pauwels a trovare Il mattino dei maghi, titolo definitivo del libro, che uscì nel 1960.

La sua pubblicazione ha suscitato numerose reazioni. Jean Paulhan e Raymond Queneau mi dissero che, se avessero letto il manoscritto, per consentirne la pubblicazione l’editore sarebbe dovuto passare sul loro cadavere.

Impossibile ricordare tutti gli attacchi. Un integralista (l’estrema destra della Chiesa cattolica) scrisse un libro in cui dimostrava che Il mattino dei maghi ci era stato dettato da Satana in persona. Comunisti e uomini di sinistra pubblicarono studi dimostrando che era una macchinazione per distogliere il popolo francese dai veri problemi. Un autore tedesco di fantascienza, Walter Ermsting, spiegò che il libro ci era stato trasmesso telepaticamente dal sistema solare di Altair. Quanta immaginazione…!

Lavorando con Louis Pauwels forse non avrò penetrato i grandi segreti cosmici, ma ho imparato due cose. Anzitutto, che un non-scienziato può essere un uomo valido e degno di amicizia; prima di conoscerlo, consideravo questa tipologia al di sotto del livello umano. In secondo luogo, il nostro rapporto mi ha insegnato l’importanza dello stile. L’enorme successo de Il mattino dei maghi è dovuto in gran parte allo stile di Pauwels. Per quanto mi riguarda, non nutro l’ambizione di essere uno scrittore, ma so di avere un gran talento nel raccontare storie. Quando discutevo con Pauwels, gli parlavo come se mi trovassi davanti al fuoco del campo coi miei compagni di lotta, o nei campi di concentramento cogli altri deportati.

Di recente, agli inizi del 1976, ho esaminato l’ultima edizione de Il mattino dei maghi. Il novantadue per cento dei fatti indicati all’interno del libro è esatto; purtroppo non siamo riusciti a verificare la restante parte, essendo coperta dal segreto militare: ebbene, la veridicità del nostro libro è superiore a quella di qualsiasi altra opera scientifica contemporanea. L’esattezza dei migliori libri scientifici non supera in media il cinquanta per cento, vale dire che un fatto su due è falso. Nemmeno i dubbi degli scienziati cambiano nulla. Quando sono al potere, come gli antropologi nella Germania hitleriana o Lyssenko nella Russia di Stalin, spediscono chi contraddice le loro teorie nei campi, inverando le parole di Max Planck: «La verità non trionfa mai, ma i suoi avversari hanno il brutto difetto di morire sempre». Non amo affatto il termine “divulgazione” e credo sia impossibile “divulgare senza volgarizzare”, come recita il motto di una nota casa editrice. Ma si può certamente spiegare, anche se ciò implica un tradimento: infatti, il solo linguaggio della verità è di tipo matematico, e la matematica non può essere espressa a parole. Mi sono dovuto sforzare parecchio per inserire ne Il mattino dei maghi una sola formula matematica. Anche Jacques Monod ce l’ha fatta, nella sua celebre opera Il caso e la necessità, antitesi (o antidoto?) de Il mattino dei maghi. Tuttavia, se è giusto difendere ciò che si crede vero, bisogna essere anche capaci di evitare l’errore. Ebbene, l’unica formula inserita da Monod nel suo libro è sbagliata…

Sono convinto che gli aspetti più favolosi del mondo possano essere formulati solo a partire dalla matematica, ma che sia altrettanto necessario parlarne con uomini come Pauwels, dotati di una certa dote poetica. Ho avuto un’esperienza analoga – piuttosto deludente – con il cineasta Alain Resnais, a cui ho esposto le teorie matematiche moderne sul tempo. Non ci ha capito nulla, ma qualcosa è passato, generando film come L’anno scorso a Marienbad, in cui un uomo incontra una donna ben prima di averla vista, e Je t’aime, je t’aime, storia di un viaggiatore nel tempo che orbita sempre intorno a un istante (la sua destinazione), prima di fermarsi.

Lavorare con Pauwels è piacevole. È al tempo stesso entusiasta e critico – il solo atteggiamento possibile quando, come disse Talbot Mundy, si attraversano frontiere in cui «gli avvenimenti, come le sentinelle, aprono il fuoco senza preavviso». Ecco perché ne Il mattino dei maghi non si trovano (e solo Dio sa quante ne abbiamo vagliate!) truffe come dischi volanti, astrologia, radioestesia, ectoplasmi, guaritori filippini… I nostri emulatori non hanno avuto la stessa onestà, ma non possiamo farci nulla.

È difficile spiegare come mai io e lui non abbiamo mai litigato, cosa che accade spesso durante le collaborazioni. Penso sia dovuto al fatto che la nostra relazione non è competitiva. Ciò che interessa a me non importa a lui, e viceversa, facendo sì che la nostra sia una visione binoculare dell’universo, a cui teniamo parecchio (come noto, lo sguardo binoculare è reso possibile dalla distanza che separa gli occhi). Per continuare con questa metafora, potrei dire che il nostro sguardo intercetta radiazioni che di norma l’occhio non percepisce. Risiede qui il nucleo del realismo fantastico.

L’espressione risale allo scrittore belga Franz Hellens e si applica perfettamente al nostro percorso – anche se tengo a precisare che non è una filosofia in senso vero e proprio, quanto piuttosto un atteggiamento di fronte alle cose. È infatti impossibile, al contrario di quanto ripetuto giorno e notte dagli sciocchi, “aderire” al realismo fantastico. A questo proposito, ricordo sempre l’aneddoto del segretario di Darwin.

«Signore» gli disse, «c’è qui una che ha letto la sua opera. Vorrebbe dirle che ha finalmente accettato l’universo!».

«Alla buon’ora!» tagliò corto Darwin.

Il realismo fantastico rende l’universo più gradevole, ma è impossibile che dia i natali a una religione o una filosofia. Il mattino dei maghi uscì nel 1960. Allo stato attuale delle cose, gli manca solo l’indice dei nomi. Ma Pauwels e io non ne possiamo davvero più. Io credevo che l’opera passasse inosservata. Pauwels, più ottimista, sperava di raggiungere le mille copie. Entrambi avevamo fatto male i conti…


sabato 26 settembre 2020

IL FANTASMA DEL MUSEO È «tornata» la contessa Lydia

 tratto da "Il Giornale" del 24/04/2007

Appassionata di esoterismo e scomparsa nel '45, dopo mezzo secolo sarebbe all'improvviso riapparsa nelle stanze di casa sua, in via Sant'Andrea 6

di Stefania Vitulli

Nobildonna. Appassionata lettrice di volumi di spiritismo e di esoterismo. Organizzatrice di esclusive serate in compagnia di una sfera di cristallo, in un salottino dorato della sua casa milanese, per evocare chissà quali misteriose presenze e predire il futuro ai nipoti.

Con queste credenziali, pareva inevitabile che la contessa Lydia Caprara Attendolo Bolognini, una volta deceduta, si trasformasse in un fantasma. E che tornasse ad abitare, dando discreto disturbo ai suoi «vicini», la sua splendida casa di via Sant'Andrea 6 a Milano, donata al Comune alla sua morte nel 1945 e da 1963 divenuta Museo di storia contemporanea. Ama manifestarsi nelle quiete notti del centro storico milanese, aggirarsi nelle numerose stanze dei suoi palazzi di via Sant'Andrea e via Bagutta 24, immerse in quelle ore in un silenzio di tomba, nel cuore di quello che oggi è il quadrilatero della moda e che fino a mezzo secolo fa era ancora il presidio dei milanesi di razza, delle antiche famiglie nobili, degli intellettuali bohémien, del maestro Toscanini. La contessa si agita. Sposta i mobili originali del suo appartamento al primo piano del museo: cassapanche, sedie imbottite, porcellane, quadri, rari reperti egizi che le rammentano la nascita, nel 1876, e l'infanzia ad Alessandria d'Egitto. A volte fa così tanto rumore che «sembra abbia ospiti». Di lei, i testimoni affermano di vedere l'ombra, di sentire correnti fredde attraversare le stanze o un improvviso calore emanare dai mobili, porte sbattere, finestre ermeticamente chiuse aprirsi. Si fa sentire, la contessa Lydia, soprattutto quando la gestione del palazzo la turba. Che si tratti di ristrutturazioni, di tinteggiatura delle pareti, di acquisizione di mobili o quadri o semplicemente di una festa in suo onore, non manca mai di dire la sua.

«La prima volta che mi hanno parlato di queste manifestazioni - ci racconta Roberto Guerri, direttore delle Civiche raccolte storiche di Milano - è stato quando abbiamo preso il Museo e rivisto l'allestimento, nel 1994. Due ragazze delle pulizie sentirono poco prima delle sette del mattino una nitida voce femminile che chiedeva "Chi siete? Cosa fate in casa mia? Cosa volete?". Non ci feci caso. Ma cambiammo il personale e anche i nuovi venuti vedevano un'ombra, di mattina presto e a museo chiuso, dirigersi dalle stanze dell'appartamento "ricostruito" della Contessa agli uffici. Quando la inseguivano e aprivano le porte, non c'era nessuno. Alla fine degli anni Novanta di nuovo la contessa si fece sentire, per dirci "Adesso avete sistemato la mia casa"».

Di nobili origini bolognesi, dei Caprara di Montalba, Lydia sposò a soli sedici anni, nel 1892, il conte Gian Giacomo Morando de Rizzoni, imparentato coi Litta e nipote della più rinomata amante di Umberto I, la «bella Bolognini», di cui, nel più famoso quadro che la ritrae, Lydia indossa la lunghissima collana di perle. La coppia risiederà a Milano, nel palazzo di famiglia di via Sant'Andrea e presso il grandioso castello di Sant'Angelo Lodigiano, feudo degli Attendolo Bolognini dal 1452 e oggi sede della Fondazione che Lydia volle intitolare al marito. I curatori del Museo hanno negli ultimi dieci anni riportato nel palazzo gli arredi originali restaurati e la quadreria sei-settecentesca dei Bolognini, in modo da rendere l'idea di quel che doveva essere casa Morando.

E così la contessa ha potuto sentirsi di nuovo a casa ed è tornata ad abitare le sue stanze: «Gli episodi più eclatanti sono avvenuti durante la ristrutturazione del 2003» continua Guerri. «Il corpo di guardia al pianterreno del Museo passava notti molto agitate. Sentiva che di sopra venivano spostati i mobili. Staccavano l'allarme per controllare: tutto era a posto. Quando decisi di riverniciare la Pinacoteca in un colore violetto, ricominciarono le turbolenze. Dovetti cambiare il colore "sgradito" e la contessa si quietò. I custodi erano arrivati a portare lumi e croci, la notte, per difendersi dal fantasma, e volevano organizzare una veglia la notte del suo compleanno per evocarla e parlarle».

Oggi, che il Museo è come nuovo e si attende che diventi la «Casa della Storia» di tutti i milanesi, la contessa che dice? «L'ultimo episodio misterioso è accaduto l'estate scorsa - ci racconta Beatrice De Angelis, una delle custodi -. Abbiamo passato le mani insieme a una collega sul tavolino ricoperto di velluto rosso che si trova nell'appartamento. E un forte calore è salito dal velluto. Non credo ai fantasmi. Ma quel tavolino ha qualcosa di strano». Forse Lydia cerca di evocare qualcuno che le riporti la sua sfera di cristallo, oggi a Monaco di Baviera nelle mani degli eredi Von Wesendonk, o i suoi libri esoterici, custoditi alla Biblioteca Trivulziana del Castello Sforzesco. Troppo lontano perché una nobildonna sola, di notte, vi si possa avventurare.