mercoledì 13 maggio 2020

DI SAN VALENTINO E ALTRI MISTERI

tratto da L'Opinione del 12 febbraio 2020

di Dalmazio Frau

A breve ricorrerà puntuale e immancabile con tutta la propria panoplia commerciale, la festività di San Valentino, che da mito agiografico, nei secoli, è diventata la realtà agrodolce dei Peanuts o – peggio – il momento di sgravarsi la coscienza tra le coppie più ipocrite e vili con una scatola di cioccolatini, un invito a cena o un mazzo di fiori, dopo di che tutto ritorna come prima.

Invece, approfittando della data, mi piace ricordare un amore antico, perduto nelle nebbie della leggenda, di come esso fu cantato e di come esso fu dipinto in maniera sublime e insuperata, tra il 1872 e il 1877, da Edward Burne Jones nel suo The Beguiling of Merlin.

L’opera raffigura l’infatuazione di Merlino per Nimue, la Dama del Lago dalla quale l’arcimago che guidò le armate di Artù, viene imprigionato in catene fatte d’aria o di cristallo, o nel folto d’un bosco, in una caverna inaccessibile dalla quale egli continuerà a vivere e a profetare sino al Giorno del Giudizio. Merlino, sapiente e potente, indifeso davanti all’amore di Nimue, è mostrato nel suo essere avviluppato dal biancospino delle Fate, mentre la Dama del Lago al suo fianco, legge il libro di incantesimi che gli ha abilmente sottratto. È forse la volontà stessa del Gran Mago di cedere il proprio sapere per amore della Dama, dunque non un inganno, ma un dono d’amore per lei…

Da questo, mutevole ed evanescente, riscopriamo una versione che invece canta di Merlino e di Viviana, la Dama del Lago, in maniera differente e sorprendente.

Ormai vecchio il sommo druida s’innamora di Viviana, ancora giovane e splendida, e per lei e per lei soltanto, con la propria magia costruisce, in mezzo a un lago, un castello invisibile. Dopo di questo crea per sé un sepolcro incantato, una grotta di cristallo che, dopo la loro morte, accoglierà incorrotti per sempre il suo corpo e quello di Viviana. Ma la Dama del Lago, dopo essersi fatta insegnare da Merlino gli arcani delle arti magiche, con un inganno, lo rinchiuderà ancora vivo nel sepolcro incantato.

Questa è la versione tradotta e adattata dell’antica ballata su come Merlino s’innamorò e cedette la propria vita per amore a Viviana:

Presso la fontana

Lui un giorno la trovò,

Vide da lontano il giallo

Della veste che portava su di sé

“Dimmi cosa vuoi

Che io ti possa regalare,

Grande è il mio potere,

Quello che vuoi io posso fare”.

“Non ti prenderai gioco di me, tu

Non sei certo quello che

Io sto aspettando.

Quando lui verrà,

Allora mi alzerò

E, seguendo lui,

Di qui io me ne andrò”,

“Tu non credi di essere qui per me

Ma ancora troppo giovane tu sei

Quando avrai come me vissuto mille anni,

Allora forse capirai”.

“Dimmi cosa vuoi

E io te la darò,

Tu pensi ancora che non mi seguirai mai,

Ma di te farò un albero fiorito,

Poi ti guarderò fino a quando appassirai”.

“Non ti prenderai gioco di me, tu

Non sei certo quello che

Io sta aspettando.

Hai vissuto già

Per mille anni,

Ma sei giovane, lo vedo,

Forse più di me”.

Quella volta infine si adirò

E in un vasto lago la mutò

E dall’alto di una bianca torre

Per il resto del tempo lui l’amò. (*)

E così il potente Merlino, in grado di comandare ai venti e alle tempeste, di evocare la nebbia, far danzare le grandi pietre azzurre alla musica della sua arpa; Merlino Il Figlio del Diavolo, forgiatore di Re; Merlino l’incantatore che parla agli animali e domina i draghi, per amore s’inginocchia e per amore costruisce un nuovo mondo, fatto della trama stessa dei sogni e delle meraviglie, scegliendo, per amore, di trascorrere l’immensità del tempo a guardare la donna che ha scelto come propria compagna per sempre.

Buon San Valentino dunque, e non dimenticate che dietro ogni leggenda, esiste sempre – nascosta ma non troppo - una terribile verità che strazia il cuore e dilania l’anima, ma che rende questo mondo un po’ migliore.

(*) La versione è di Luisa Zappa

sabato 9 maggio 2020

Ufo gli archivi inediti

Il prossimo giugno uscirà in libreria il libro "Ufo gli archivi inediti", (Luxco Editions) di Francesca Bittarello, nota ufologa, ideatrice ed organizzatrice del Convegno di Ufologia città di Pomezia e di Ufology WORLD. Il libro è acquistabile dal sito della casa editrice senza spese di spedizione al seguente indirizzo: https://www.luxcoeditions.com/catalogue/ufo-gli-archivi-inediti
Il libro gode di una prefazione di Pablo Ayo e di una postafazione di Antonio Chiumiento. Il fenomeno UFO esplose a livello mediatico tra gli anni cinquanta e i sessanta: oggetti volanti sconosciuti e misteriosi umanoidi venivano avvistati ovunque nel mondo, con numerosi testimoni che nonostante le derisioni e l’ostilità della stampa, rilasciavano delle dichiarazioni preziose e ricche di dettagli. L’autrice ha vagliato a lungo molti casi, in parte inediti al grande pubblico, andando a estrarre dal proprio archivio personale proprio i casi appartenenti a quel periodo storico. Così facendo è riuscita a fornire una rilettura in chiave attuale dei casi più comprovati e dei testimoni più credibili, scovando delle informazioni importanti che, grazie alla mentalità tecnologica dei nostri giorni, riusciamo a comprendere con maggiore chiarezza. Dall’Austria alla Germania, dalla Francia alla Norvegia, dagli Stati Uniti al Brasile, gli UFO e i loro piloti extraterrestri sono stati visti e raccontati, storie affascinanti e rivelatrici che spesso sono finite in dei trafiletti giornalistici di poco conto e dimenticate. Non mancano poi tanti casi italiani: Torino, Rovigo, Siena, Livorno, Porto Torres e tanti altri luoghi del nostro Paese dove una generazione – quella dei nostri nonni e padri - ha visto qualcosa di alieno con i propri occhi e ce lo ha raccontato.

Non mancano le analisi di eventi a noi più recenti e talvolta sconvolgenti, come il “Caso Lubian”, riportato qui per la prima volta al pubblico: nelle campagne di Reggio Emilia si sono avvicendati avvistamenti UFO, presenze misteriose, esseri zoomorfi e persino i Men in Black. L’autrice propone inoltre una nuova e efficace metodologia di casistica dei casi UFO, dei testimoni, dei debunkers, sul mimetismo degli oggetti volanti non identificati e sul fenomeno dei Cerchi nel Grano, argomento quest’ultimo che studia da anni.

Categoria: Ufologia
Autore: Francesca Bittarello
Formato A5 / 283 pagine
Data 20 giugno 2020
ISBN: 978-2-902114-17-7
Prezzo: 16,49 euro
https://www.luxcoeditions.com/catalogue/ufo-gli-archivi-inediti

mercoledì 6 maggio 2020

La maledizione dei Faraoni tra realtà e fantasia

in collaborazione con il blog Fanta-Teorie:

https://fanta-teorie.blogspot.com/2020/04/la-maledizione-dei-faraoni.html

Sono molte le superstizioni riguardo le maledizioni delle tombe degli antichi Faraoni. Fantasia o Realtà?
Sembra che ci sia poco di vero nei nefasti auguri incisi sulle antiche tombe egizie. Queste maledizioni servivano soprattutto per tenere lontano i predoni di tombe. Probabilmente i sacerdoti che le emanavano erano davvero convinti della loro efficacia e per questo le disseminavano ad ogni tomba che avesse importanza. Almeno questo siamo stati predisposti a pensare secondo la storia tradizionale. E se invece i sacerdoti usavano le maledizioni per nascondere un altro pericolo? Almeno una parte di loro, ovvero quelli che conservavano la vera conoscenza degli antichi, coloro che per molti hanno costruito la Grande Piramide e la Sfinge. Chi siano questi antichi sapienti non ci è dato saperlo ma possiamo solo ipotizzare.
Partiamo dal principio.
Nel 1956 Zakharia Ghoneim riuscì tramite calcoli matematici basati sulla struttura a trovare l'entrata della Piramide di Djoser che secondo l'egittologia classica è la prima piramide costruita dagli antichi egizi. A differenza delle successive quella di Djoser è a gradoni molto simile alle piramidi presenti in Sud America e in Mesopotamia. A questo punto due possono essere le motivazioni di tale somiglianza.
1) I costruttori della piramide di Djoser condividevano le conoscenze dei costruttori delle piramidi mesopotamiche e sud Americane.
2) La struttura a gradoni è più semplice da realizzare e man mano che sono diventati esperti piramidisti (è un termine sbagliato ma concedetemi la vena poetica) poi hanno iniziato a costruirle come quelle nella piana di Giza.

Aperta la piramide di Djoser non trovarono la mummia ma solo una tomba con molti oggetti di valore. Anche questa tomba conteneva una maledizione ma Ghoneim morì molti anni dopo.


Piramide a gradoni di Djoser - Immagine da Wikipedia

A questo punto arriviamo al famosissimo Tutankhamon. Per prima cosa nella sua tomba non ci sono funeste dichiarazioni di morte rivolte ai profanatori di tombe ma un lieto messaggio che auspica serenità e pace al faraone stesso.
Il capo della spedizione Howard Carter morì 16 anni dopo la scoperta della tomba, per vecchiaia. Ad alimentare le dicerie sulla maledizione furono le morti a catena verificatesi dopo la scoperta della cripta. Morirono Lord Carnavon, suo fratello, l'infermiera che  aveva assistito il Lord, il segretario del Lord, tre collaboratori e sua moglie.
35 anni dopo arrivò un medico a chiarire l'accaduto, il dottor Geoffrey Dean che per casualità trovò in un suo paziente gli stessi sintomi che portarono al decesso Carnavon e gli altri.
Trattasi di istoplasmosi detto anche "il male delle caverne". E' diffuso da funghi microscopici che si annidano in animali (principalmente pipistrelli), detriti organici e polvere.


Maschera d'oro di Tutankhamon - immagine da Wikipedia

Rimane comunque senza spiegazione la morte di molti altri studiosi egittologi avvenuta quando le spedizioni nella terra dei faraoni sono diventate di massa. A venire in aiuto di questi misteriosi decessi sono le conseguenze di Hiroshima e Nagasaki. Per quanto sembra assurdo queste morti strane, attribuite alle maledizioni dei faraoni sono il risultato di cancrena atomica in quanto hanno gli stessi sintomi delle vittime delle due bombe atomiche.
Lo stesso Ghoneim nei suoi studi afferma che la pece e le bende usate per mummificare erano assai radioattive. Pare che i sacerdoti egizi erano a conoscenza di tale male ma non sappiamo dire se conoscevano la radioattività oppure lo ritenevano una manifestazione di una divinità.
Inoltre i residui presenti nella pece e nelle bende si disperdevano nell'ambiente della tomba rendendo la sala altamente radioattiva.
Pertanto la lunga permanenza di studiosi con le mummie li ha fatti ammalare e morire.
Mistero risolto? Pare proprio di si. Almeno fino a prova contraria ma ci rimane il dubbio su quanto i sacerdoti sapessero sulla radioattività e sull'energia atomica.


sabato 2 maggio 2020

Atlantide fu distrutta da uno tzunami, ora la cercano in Andalusia

tratto da "Il Giornale" del 28/08/2009

Esperti concordi sull'idea che fu un'onda (molto) anomala a distruggere la civiltà  di cui racconta Platone e che con il suo mito  affascina il mondo occidentale da tre secoli. Ora in Spagna cominciano le ricerche guidate da due scienziati tedeschi

di Vincenzo Pricolo

Per la prima volta nella storia delle ricerche su Atlantide i maggiori esperti sembrano finalmente d'accordo su un punto centrale: la grande civiltà tramandata dagli Egizi e raccontata da Platone fu travolta da un enorme tsunami.
«Le due tesi principali oggi in concorrenza su quale fosse l'Atlantide di Platone sono Santorini, nell'Egeo, e Donana, sulla costa atlantica spagnola, e in entrambi i casi gli esperti sono ormai orientati a credere che venne distrutta da un grande tsunami», dice all'Ansa Rainer Kuehne. Lo studioso tedesco è con le sue ricerche l'ispiratore, insieme a Werner Wickboldt, degli scavi che iniziano sulla costa dell'Andalusia alla ricerca della misteriosa città di Tartessos, forse all'origine del mito di Atlantide.
«Io sono convinto dell'ipotesi Tartessos - dice Kuehne - anche se alcuni argomenti giustificano la tesi, proposta nel 1950 da Spyridon Marinatos, secondo cui la grande eruzione vulcanica che distrusse Santorini sarebbe stata all'origine sia del collasso della civiltà minoica che della leggenda di Atlantide».
Nel racconto di Platone Atlantide era una potenza navale situata oltre le Colonne d'Ercole che dominò parte dell'Europa occidentale e dell'Africa 9mila anni prima del tempo di Solone, che avrebbe appreso della civiltà scomparsa dagli egizi. E furono gli egizi, secondo Platone, a raccontare a Solone che, dopo avere fallito l'invasione di Atene, Atlantide sprofondò «in un giorno e una notte di disgrazia».
Essendo una storia funzionale ai dialoghi di Platone, quella di Atlantide è stata a lungo, almeno fino a tutto il Medioevo, considerata come un mito concepito dal filosofo greco per illustrare le proprie idee politiche.
E fu solo nel corso dell'Ottocento e del Novecento si moltiplicarono le teorie più o meno scientifiche, le rivelazioni di sensitivi, ricostruzioni «fantastoriche» e soprattutto le ipotesi su dove si trovasse la mitica civiltà platonica: dai Caraibi all'Antartide passando per Lemuria, il «continente perduto». E ancora, la stessa America (con le sue civiltà precolombiane), la Sardegna (con le Colonne d'Ercole «spostate» al Canale di Sicilia), il deserto del Sahara, in mezzo all'Oceano Atlantico (e quindi ora sotto il Mar dei Sargassi), Cipro, Rodi, Creta...
Quel che è certo è che il mito di Atlantide affascina l'immaginario letterario e culturale dell'Occidente da almeno tre secoli, da quando cioè all'inizio del Settecento lo studioso svedese Olaus Rudbeck ipotizzò che la civiltà scomparsa fosse fiorita in Scandinavia.
Come osservò lo scrittore americano Lyon Spraugue de Camp: «La ricerca di Atlantide colpisce le corde più profonde del cuore per il senso della malinconica perdita di una cosa meravigliosa, una perfezione felice che un tempo apparteneva al genere umano. E così risveglia quella speranza che quasi tutti noi portiamo dentro: la speranza tante volte accarezzata e tante volte delusa che certamente chissà dove, chissà quando, possa esistere una terra di pace e di abbondanza, di bellezza e di giustizia, dove noi, da quelle povere creature che siamo, potremmo essere felici».

mercoledì 29 aprile 2020

Atlantide, un sogno che forse era vero

tratto da "Il Giornale" del 31/03/2007

Un saggio dello storico francese Pierre Vidal-Naquet sul continente sommerso

di Roberto Mussapi

Esiste un immaginario atlante dei luoghi fantastici, divenuti veri grazie all'invenzione dei poeti, portati a vita sempiterna dal nulla: il bosco del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, con i suoi elfi e le sue fate volanti, i luoghi prodigiosi incontrati da Ulisse nel suo lungo viaggio di ritorno, dall'isola dei Lotofagi alla caverna del Ciclope, fino all'incantevole paese dei Feaci. Ma accanto a questi e tanti altri luoghi letteralmente fantastici ne esistono alcuni che potremmo definire ibridi: luoghi che paiono frutto di immaginazione, ma che in realtà forse sono esistiti.
Tra questi i monti, le città favolose, le rocche del Milione di Marco Polo: il viaggio è storico, i luoghi esistono, ma il racconto del mercante li trasfigura fino a farli apparire a volte immaginari. Simile in parte, ma con una componente più forte di dubbio, il continente che nessuno di noi ha conosciuto, Atlantide. La leggendaria «isola più estesa della Libia e dell'Asia prese insieme», posta al di là delle Colonne d'Ercole, compare in un dialogo di Platone, il Timeo, e si ripresenta in un altro, in forma di fascinoso e per certi versi oscuro racconto. Nel Crizia Platone mette in scena Solone, il quale avrebbe appreso in un viaggio in Egitto dell'esistenza di quell'isola immensa che un tempo dominava il mondo circostante.
Il Solone fittizio presentato da Platone, in quel dialogo atemporale, composto come il Timeo verso il 355 a.C., evoca la sapienza degli Egizi, depositari della cultura più antica, i quali parlavano di un conflitto avvenuto novemila anni prima tra due potenze, un'antichissima Atene e appunto Atlantide. L'Atene evocata non ha nulla a che vedere con quella in cui vive il filosofo, è oligarchica, retta da dèi che si manifestano in forma di filosofi e guerrieri, mentre su Atlantide, l'isola gigantesca, regna Poseidone, re del mare, che aveva trasformato l'isola in fortezza, «stabilendo gli uni intorno agli altri sempre più grandi, degli anelli di terra e mare, rendendo così inaccessibile agli umani l'isola centrale \ non c'erano infatti né navi né navigazione».
La ricchezza dell'isola è favolosa, messi e frutti, animali domestici e selvatici, minerali tra cui l'oro e il mitico oricalco. La fine della guerra coincide con quella di Atlantide: «violenti terremoti e diluvi. Nello spazio di un sol giorno e di una sola notte funesti, tutta la flotta ateniese fu inghiottita d'un sol colpo sottoterra e l'isola Atlantide si inabissò nello stesso modo nel mare».
Il mito del continente sommerso dalle acque si afferma definitivamente e viene ripreso nei secoli, da Plutarco, Ammiano Marcellino, Plinio il Vecchio, da pensatori ebrei e bizantini, da Proclo, fino all'adozione, in tempi moderni, a scopi nazionalistici: svedesi, spagnoli, italiani, francesi, ognuno scopriva, spesso con notevoli acrobazie geografiche e logiche, in Atlantide la propria terra d'origine, e anche in età nazista vi fu chi tentò di farne la patria originale degli ariani. Atlantide (Einaudi, pagg.142, euro 18), di Pierre Vidal-Naquet, studioso di gran valore recentemente scomparso, è una ricognizione sulla mitica isola, sul continente sommerso dalle onde, come indica bene il sottotitolo, Breve storia di un mito.
Per l'autore Atlantide non è mai esistita, se non come sogno di Platone. La sua opinione, in quanto storico, è ineccepibile. Ma ci potremmo domandare: un sogno di Platone, dell'uomo che rivelò il mondo immateriale delle Idee e l'illusione della Caverna, un sogno di Platone è solamente un sogno? O non l'apparizione, in sogno, e il conseguente racconto, di qualcosa realmente accaduto alle origini, e sepolto dal mare, prima, e poi dal tempo?


sabato 25 aprile 2020

ATLANTIDE Il posto delle favole

tratto da "il Giornale" del 31/12/2006

di Idolina Landolfi

È il Platone del dialogo «atlantico» Crizia (ma anche del Timeo, sebbene in minor misura), ad avere innescato nel IV secolo a.C. uno dei dibattiti più durevoli che si conoscano, che attraversa tutto il mondo antico, quello latino, il medievale, il secolo dei Lumi e l'Ottocento romantico, fino ai nostri giorni, in cui non pare placato - sebbene ridotto, ormai, a qualche voce isolata e per lo più bislacca. È mai esistita la mitica Atlantide, il continente sommerso dai flutti per volere di Zeus, una volta accortosi che la nobile schiatta dei suoi abitanti «stava degenerando verso uno stato miserevole», quello di ogni cupidigia ed eccesso?
Platone lo propone nel Timeo come «un discorso certamente singolare, ma tutto vero», stando almeno a come lo raccontò un giorno Solone, riferendo eventi anteriori di novemila anni. (Discorso soprattutto di natura politica: l'Atene preistorica, «la migliore in guerra e \ governata da ottime leggi» sconfigge con il suo valoroso esercito la potenza marinara.) E se è esistita, dov'era esattamente collocata? Ancora la tradizione platonica resta in tal senso la più autorevole: oltre le colonne d'Ercole (lo stretto di Gibilterra), in pieno oceano, ed era più grande della Libia e dell'Asia messe insieme: un'isola meravigliosa, regno di una perpetua età dell'oro; ma fattasi in seguito bellicosa, tanto da attaccare vari imperi del Mediterraneo e la stessa Atene. La quale, come dicevamo, riesce a contrastare l'aggressione.
Era quella, però, un'epoca di continui rivolgimenti ambientali, in un pianeta ancora magmatico e non ben raffermato nei suoi confini: le distruzioni «per acqua» erano le più frequenti, diluvi e maremoti scompigliavano le linee del mondo e annegavano il genere umano, metodo evidentemente tra i più pratici per la divinità, quando riteneva giunto il momento di punire quel «coso con due gambe» (per dirla con Gozzano) se alzava un po' troppo la cresta - salvo risparmiarne sempre, chissà perché, due esemplari, una coppia che in maniere più o meno fortunose (Deucalione e Pirra, per citarne una, dai cui sassi gettati sulla Grande Madre Terra rinascono gli uomini e le donne) perpetua il genere umano. Così, per Atlantide, e per la stessa Atene, il destino è segnato: «Dopo che in seguito, però, avvennero violenti terremoti e diluvi, nello spazio di un sol giorno e di una sola notte funesti, tutta la nostra flotta fu inghiottita d'un sol colpo sottoterra e l'isola Atlantide s'inabissò allo stesso modo nel mare».
La ricerca di Atlantide - intellettuale, per pura sete di conoscenza, e materiale, per via dei tesori che essa celava - sarà da allora in poi inesausta; di fantasie atlantidee abbonda la letteratura di ogni epoca, e anche di spedizioni più o meno disastrose negli abissi oceanici - comunque a tutt'oggi fallimentari. Del resto Platone la descrive nel Crizia in maniera straordinariamente allettante: proprietà di Poseidone al momento della pacifica spartizione del mondo tra gli dèi olimpî, egli la rende un vero paradiso in onore della fanciulla Clito, che fa sua sposa e con la quale genera le cinque coppie di maschi, primo fra tutti Atlante, futuri sovrani del regno, origine della stirpe (e non si sa come, data la mancanza di femmine - ma certi eccessi del vecchio filosofo sono noti: nella gerarchia delle incarnazioni sostiene che le peggiori siano quelle di donna e di animale, ultimi i pesci). La terra spontaneamente ferace, le fonti di acqua calda e fredda, i preziosi metalli che vi abbondano (tra cui il leggendario oricalco «dai riflessi di fuoco», che rivestiva statue e palazzi), gli animali di ogni specie, domestici e selvaggi, elefante compreso, «il più grosso e il più vorace»; e ancora le opere che Poseidone compie, «da dio par suo», le plurime cinte murarie, il sistema di canali e il porto, crocevia di popoli dove giungevano le merci più disparate e preziose, e i templi d'oro e d'avorio e d'argento...
Una sorta, insomma, di paese fuori dal tempo e dallo spazio, che sarebbe facile riferire - come è stato ampiamente fatto - all'opera di una razza non terrestre. Ben a ragione, fra le tante altre cose interessanti, scrive Pierre Vidal-Naquet, nel suo ultimo saggio Atlantide. Breve storia di un mito (Einaudi, pagg. 141, euro 18, traduzione di Riccardo Di Donato), a proposito del racconto di Atlantide e della guerra contro Atene, che Platone «ha inventato un genere letterario che resta ancora in vita, \ la fantascienza. Di tutti i miti che ha creato, è in qualche modo il solo che abbia attecchito».
Dalle prime ipotesi di localizzazione, quelle greche (l'isola di Creta, e Santorini, Thera per gli antichi, sconvolte entrambe da un'eruzione vulcanica), lo studioso francese segue le tracce del mito nelle varie epoche: dalla letteratura ellenistica, Diodoro Siculo, attraverso Plinio il Vecchio, Ammiano Marcellino, fino, in era cristiana, ai vari tentativi di conciliare la tradizione biblica con la classica greca (individuando talvolta il continente perduto nella Palestina). Alcuni, come Origene, si concentrano sul conflitto Atlantide-Atene, metafora dello scontro di forze entrambe demoniache. Altri, come Proclo, vi vedono l'opposizione cosmica tra «il mondo dell'Uno e quello della Diade, tra lo Stesso e l'Altro». Per l'umanista Marsilio Ficino Atlantide era e resta un luogo della mente (ma non per questo meno veridico); quindi, con la scoperta dell'America, nasce tutto un filone di ricerca atto ad identificare Atlantide col Nuovo Mondo, nonché a giustificare storicamente, a vario titolo, i diritti accampati su di esso dal regno di Spagna (operazione nazionalistica ripresa dalla Germania nazista e dai suoi ideologi, Himmler in testa, che riconoscerà in Atlantide la patria favolosa della superiore razza ariana).
Eredità di Atlantide ritroviamo nell'isola di Bensalem di Francesco Bacone, governata da sapienti e abitata da una popolazione casta; mentre ancora nel XVII secolo la bizzarra mente di uno svedese, Olaüs Rudbeck, la ravvisa nella Svezia, e con sussidio di ponderosi volumi tende a dimostrare che la Scandinavia, con i suoi gloriosi abitatori, è appunto culla di ogni civiltà occidentale. L'ubicazione nelle Canarie o nelle Azzorre è più volte ripresa, a distanza di secoli; per Voltaire è l'isola di Madera. Il padre dell'occultismo francese, Fabre d'Olivet, fonde tradizione biblica e racconto platonico, col risultato di uno stupefacente pastiche. E, per rimanere in ambito esoterico, ecco William Blake, che complica il succitato pastiche con la tradizione americana e celtica, e il suo Albione, antenato dei Bretoni, altri non era se non il «patriarca del continente atlantico».
Approdando alla Francia ottocentesca, chi non conosce il viaggio tra le rovine di Atlantide del capitano Nemo e del professor Arronax in Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne? Meno noto da noi, ma egualmente significativo, il romanzo Atlantide di Pierre Benoit, che la colloca nell'Hoggar, altipiano sahariano, e le attribuisce una società governata da donne, la cui regina, Antinea, si serve degli uomini e poi li uccide, esponendoli, ben imbalsamati, nella «sala di marmo rosso». Vedete un po' come e quanto può ribaltarsi la misoginia platonica.


mercoledì 22 aprile 2020

Un genovese disegna Atlantide in Sardegna

tratto da "Il Giornale" del 18/07/2006

di Irene Liconte

«L'isola era completamente circondata da mura di pietra su cui si ergevano torri di avvistamento»: così Platone descrive nel «Crizia» la mitica isola di Atlantide, posta oltre le colonne d'Ercole. E se le vestigia dell'imponente architettura difensiva di Atlantide non fossero altro che i nuraghi sardi? Che Atlantide sia identificabile con la Sardegna è l'ipotesi (mutuata dal giornalista e scrittore Sergio Frau) che il disegnatore genovese Enzo Marciante adotta in «Atlantis», il suo ultimo romanzo a fumetti, incentrato sulla guerra mossa da Atlantide all'Egitto nel 1200 a.C. Le opere di Marciante, da «Genova a fumetti» alle biografie di Colombo e Marco Polo, si basano tutte su una rigorosa analisi storica: ecco allora che l'ardita teoria di «Atlantis» è stata sottoposta a un vero processo con tanto di giuria archeologico-scientifica al BerioCafè.
Marciante «sposta» le colonne d'Ercole dallo stretto di Gibilterra al canale di Sicilia proprio sulla base delle fonti antiche, che descrivono i bassi fondali insidiosi e la bonaccia di venti del braccio di mare tra le colonne: caratteristiche che non si adattano alle perturbazioni atlantiche e ai 300 metri di profondità dello stretto di Gibilterra, bensì al canale di Sicilia. Nell'ultima glaciazione il livello del mare sarebbe diminuito di ben 200 metri, facendo affiorare tra la Sicilia e la Libia terre oggi sommerse. La favolosa civiltà di Atlantide coinciderebbe quindi con la civiltà nuragica dell'Età del Bronzo (II°-I° millennio a. C.), artefice di maestosi megaliti alti fino a 25 metri: i nuraghi, appunto. E sono 8000 i nuraghi rinvenuti, sia singole torri sia fortezze come il complesso di Barumini, testimonianze di un'evoluta tecnica di lavorazione della pietra.
Eleganti miniature di navi in bronzo, custodite al Museo Archeologico di Cagliari, rivelano anche un'avanzata tecnica nautica. Le statuette bronzee di animali ritraggono cervi, daini e cinghiali, anziché pecore ed agnelli, mentre quelle umane rappresentano guerrieri armati di scudi, elmi ed archi. E nel tempio di Medinet Habu, in Egitto, l'affresco raffigurante la guerra mossa agli Egizi dai Libi e dai loro alleati, «i popoli del mare» (tra cui le fonti egizie citano gli Shardana, cioè i Sardi) mostra combattenti equipaggiati proprio come i guerrieri del museo di Cagliari. Un popolo di guerrieri e navigatori più che di pastori, quindi, che fortificò un'isola allora lussureggiante di querce, in gran parte abbattute nell'800 per ricavare le traversine della nascente rete ferroviaria italiana. Una civiltà distrutta forse da bellicosi invasori, forse da un terribile cataclisma: un maremoto causato da un'eruzione della faglia siciliana? La catastrofe, secondo Marciante, provocò ai discendenti un trauma collettivo tanto acuto che il ricordo fu relegato nei recessi del mito, sprofondando nel senso del pudore connaturato ai Sardi.
Molte, e veementi, le critiche dei cattedratici a questa ipotesi: Platone data Atlantide al 9500 a. C., mentre la civiltà nuragica conobbe il suo splendore intorno al 1000 a.C.; ed è ritenuta eccessiva la stima dell'abbassamento del livello del mare durante l'ultima glaciazione, limitata al più a qualche decina di metri. Il mito di Atlantide, ultima roccaforte dell'età dell'oro, che Platone situò in uno spazio e un tempo volutamente remoti, conobbe la sua fortuna nel '500 e nell'800, secoli delle grandi esplorazioni e del gusto per l'esotico. Negli ultimi decenni si sta invece affermando l'«endotismo», la riscoperta del fascino delle terre a noi prossime: in quest'ottica la teoria propugnata da Marciante, al di là della sua fondatezza, presenta l'innegabile pregio di offrire il quadro di una Sardegna misteriosa che va oltre le attrattive del suo mare e della sua gastronomia.