venerdì 27 dicembre 2019

Gli uomini di Neanderthal? Ecco svelata la causa della loro estinzione

Tratto da "il Giornale del 29 maggio 2019

Una ricerca potrebbe aver svelato la causa dell'estinzione dell'uomo di Neanderthal

di Carlo Lanna

 Dopo un’indagine accurata che è stata portata avanti dai geologi dell’Istituto di Scienze Marine del consiglio nazionale delle ricerche di Bologna e dell’università della Florida a Gainesville, è stata svelata la causa dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal.

È noto a tutti che ben 40mila anni fa i Neanderthal si sono estinti ma nessuno aveva mai approfondito le cause, almeno fino a questo momento. La ricerca ha di fatto evidenziato una verità che, in un certo qual modo, potrebbe rivelare uno dei più grandi misteri del genere umano. I Neanderthal si sarebbero estinti a causa degli effetti provocati dall’Evento Laschamp. Un crollo del campo magnetico terrestre che perdurò per più di 2000 anni, ha provato un aumento delle radiazioni ultra-violette. L’evento è stato determinate, in quanto ha favorito la sopravvivenza dei Cro-Magnon a discapito dell’uomo di Neanderthal. A quanto sembra l’essenza di un recettore acrilico, ha svolto un ruolo importante nella loro estinzione.

La ricerca è stata portata avanti da un’analisi che ha confrontato dati e DNA genetici degli uomini presenti sulla Terra, prima e durante l’estinzione dei Neanderthal. Si è così dimostrato che l’Evento Laschamp è la causa scatenante dell’estinzione. L’evento ha portato all’estinzione anche di alcuni mammiferi.

venerdì 13 dicembre 2019

La Legge del ritmo: espansione e contrazione


di Vito Foschi

Chi si appresta a leggere o studiare testi esoterici o più generale spirituali si troverà a che fare con il concetto di ritmo o movimento che spesso fa il paio con quello di dualità, perché il ritmo è fatto di due movimenti, potremmo dire di andata e di ritorno o più precisamente di espansione e contrazione. È facile mostrare l’esistenza del ritmo nella vita di tutti i giorni, basti pensare al respiro composto dai due movimenti di inspirazione ed espirazione che coinvolge tutti gli esseri viventi, alle maree, al sole, ai cicli lunari, ecc. Ma oltre a queste evidenze, il ritmo lo ritroviamo nella vita di tutti i giorni. Quante volte è capitato che in poco tempo si sono accumulati avvenimenti positivi o negativi? Per esempio, nel giro di breve tempo si rompono lavatrice, auto e si prende un brutto malanno e poi per mesi o anni non succede niente e si procede con il tran tran quotidiano. In qualche modo il tempo si contrae e accadono più avvenimenti e poi si espande rallentando e non accade niente di eccezionale. Se riflettiamo sulla preparazione di un esame universitario vedremo una prima fase di contrazione in cui tutte le energie sono focalizzate sull’obiettivo, ci si chiude in casa, non si perde tempo in altro e poi tutta l’energia accumulata viene rilasciata al momento dell’esame: contrazione ed espansione.
Da un certo punto di vista queste considerazioni sono rassicuranti perché si può essere certi che dopo un periodo di contrazione in cui si concentrano più avvenimenti seguirà un periodo di distensione in cui la vita scorrerà più tranquilla. Conoscendo questa legge in qualche modo si possono governare i cicli di contrazione e di espansione. Per esempio una spesa voluttuaria si potrà fare in un periodo di espansione perché si è certi che non ci saranno spese improvvise, o in fase di espansione si possono accumulare risorse per affrontare con maggiore serenità i periodi di contrazione. Abbiamo fatto esempi sul piano materiale individuale, ma tale regola vale a tutti i livelli ritrovandosi a livello sovraindividuale, psichico e spirituale. La legge di contrazione ed espansione è legge universale e la ritroviamo anche a livello cosmico nella vita di stelle e pianeti.
A livello storico è facile individuare periodi di espansione e contrazione osservando la vita di una nazione o di una civiltà. A livello psichico abbiamo fatto l’esempio dell’esame universitario, ma a tutti sono capitati periodi che si è giù senza apparente motivo e altrettanti periodi di euforia inspiegabile. I cicli spirituali sono di più difficile individuazione, ma si possono notare gli effetti. Se siamo completamente immersi nella materialità di tutti i giorni senza che rimanga spazio per lo spirito potremmo essere in un ciclo di contrazione spirituale, notando effetti contrari potremmo trovarci in una fase di espansione spirituale.
I cicli sono di breve, medio e lungo termine e si possono intrecciare fra di loro. Nello stesso tempo si potrebbe essere in un ciclo di contrazione spirituale lungo e in uno di espansione materiale breve. Riuscire ad armonizzare i vari cicli orientando psiche e spirito risulta di gran giovamento.



Vi segnaliamo due libri dell'autore dell'articolo:

La simbologia occulta nella leggenda del Graal


Il papà racconta

lunedì 2 dicembre 2019

Il papà racconta in cartaceo

Vi consigliamo per un possibile regalo di Natale, il libro "Il papà racconta" di Vito Foschi, nostro valente collaboratore, ora finalmente cartaceo.
Il libro di favole forse un po' lontano dalle nostre tematiche, rimanendo sempre nell'ambito del fantastico contiene una favola con dei risvolti simbolici. Lasciamo ai lettori capire di quale favola si tratti. Il libro è composta da dodici favole in 72 pagine con carattere ampio, in modo da rendere la lettura facile anche ai più piccoli.
Vi lasciamo i titoli delle dodici favole:

Il drago starnutente 
Il topolino bianco
Lo scoiattolo pigro
Le cavallette salterine
I maiali e i cinghiali
La fata golosa
Il nano pasticcione
Il Folletto Burlone
L’Elfo miope
Il fabbro felice
I monelli e la strega del mare
Il principe capriccioso

sabato 23 novembre 2019

RENÉ GUÉNON E L’IDEA METAFISICA*

tratto da: https://drive.google.com/file/d/12D2WJoksEsGgzOrHigN2cWcH7xJgsPb4/view

André Préau

Qualunque siano le conseguenze pratiche che sono state e potranno essere tratte dall’opera di René Guénon e quali che possano essere gli apprezzamenti cui darà luogo, v’è un punto sul quale i suoi fedeli lettori hanno sempre concordato: il loro attaccamento a quest’opera viene prima di tutto da ciò che ha permesso loro di “comprendere”. Per loro, tutto a un tratto, il caos intellettuale in cui vive l’uomo moderno s’è ordinato: hanno avuto la fortissima impressione di “vedere” e, se non “vedevano” tutto, almeno avevano la consapevolezza di possedere, per studiare qualsiasi questione, una posizione nuova e, a loro avviso, superiore. Analizzare quest’impressione, questa “sensazione” di chiarezza che il lavoro di René Guénon dà è un compito più complesso di quanto paia a prima vista; e ci limiteremo a chiarire l’elemento centrale, essenziale, della lucidità guénoniana e che è, crediamo, l’idea metafisica.

Quest’idea che, come ciascuno sa, Guénon ha presentato soprattutto nella sua forma indù, si riassume in poche parole: identità del Sé e di Brahma, Infinito e manifestazione, Essere e Non-Essere, stati molteplici. Quest’idea è “metafisica” in quanto è “ultima”, vale a dire che assicura alla mente la possibilità più grande: ora l’idea dell’Infinito apre all’intelligenza un campo illimitato in cui ogni cosa, qualsiasi visione dell’animo, persino qualsiasi errore, può trovare il suo posto. Permette così d’avvolgere tutto e di riportare tutto all’unità, il che è la prima condizione d’ogni comprensione. E, l’Infinito essendo in una volta Essere e Non-Essere, luce e tenebre, affermazione e negazione, può essere l’origine di tutte le posizioni come di tutte le esclusioni, avvicina e tiene a distanza, identifica e distingue, fa brillare e spegne. Con ciò è principio d’unione e di separazione e, per gli innumerevoli nessi, talvolta stranamente opposti, che implica tra tutte le forme e tutte le idee, è l’origine allo stesso tempo di discordia e d’armonia, di lotta e di conciliazione, vale a dire di vita intellettuale nel senso più elevato della parola, vita “intelligibile” cui partecipiamo debolmente e che è in definitiva quella della stabilità principale. Unità, non-limitazione, dualità del sì e del no, gerarchia: in questa complessa idea, l’intelligenza trova tutti gli elementi di un ordine universale, vale a dire che si
ritrova essa stessa e, con lei, tutti i modi, forme e “intenzioni” del pensiero, tutti i possibili giochi di conoscenza e d’ignoranza.

Quest’idea, come Guénon ha ben visto, non è puramente e semplicemente tradizionale, nel senso che vi sono delle tradizioni che non sono metafisiche. La dottrina dell’identità del Sé e di Brahma, che ne è un aspetto essenziale, è ignorata dal Buddismo e non è riconosciuta da alcuna delle tre tradizioni monoteiste. È anzitutto una dottrina del Brâhmanesimo, ma anche del Taoismo e del “Platonismo”; in realtà, allo stato attuale dei documenti accessibili, tali sono proprio le tre grandi sorgenti metafisiche dell’umanità. Va anche aggiunto che, pur lasciando da parte la negazione buddistica, la dottrina dell’identità non è stata criticata in nessun luogo più aspramente che in India, proprio là dove s’era affermata il più fortemente e dove poteva far valere numerosi testi delle Upanishad; e questa critica non è venuta soltanto dal vishnuismo, ma anche dallo shivaismo, segnatamente da quell’importante branca dello Shaiva-Siddhânta. Quest’atteggiamento di numerosi maestri indù è, in ultima analisi, con ogni probabilità imputabile a un indebolimento dello spirito metafisico; ma, poiché la dottrina dell’âtmâ è fondata su dei testi formali della Shruti, è ragionevole supporre che non avrebbe mai incontrato un’opposizione così forte e così estesa se l’esperienza non avesse dimostrato che il suo insegnamento non era privo di pericoli e che il suo senso vero era più sottile di quanto sembrasse a prima vista. L’indù, che si sa identico a Brahma, è tentato di considerare Brahma, che risiede nel loto del suo cuore, come una sorta di gioiello nascosto che sarebbe suo e di cui dovrebbe solo prendere possesso. La “realizzazione” spirituale, con cui diventa ciò che è, viene allora intesa come una sorta d’“affare personale”, per il quale i mezzi tradizionali sono solo procedimenti di risveglio e dei coadiuvanti: l’essenziale per l’uomo è di far penetrare la punta della sua coscienza attraverso tutti gli involucri che gli velano il Sé. Tale realizzazione, in altre parole, rischia assai d’essere concepita semplicemente come il ratto e l’assimilazione del Sé da parte dell’io, mentre essa è anche, e ancor più, il dono del Sé all’io e l’evizione dell’io da parte del Sé. Il Sé universale non è un possesso dell’io individuale, è il suo essere nascosto, cioè si rivela a lui quando piace. Da qui l’insistenza dei maestri sugli atteggiamenti d’amore e di sottomissione e sull’importanza della grazia (prasâda, anugraha, shaktipâta), che non era d’altronde stata dimenticata dalle scuole rimaste legate alla pura dottrina dell’identità, quali il vêdânta shankariano e lo shivaismo del Kashmir.

In modo generale, una dottrina spirituale è, in quanto tale, un’antropologia, cioè è d’ordine cosmologico. È una dottrina della dualità, poiché insegna una via, una direzione, definita al tempo stesso dal suo punto di partenza e dal suo punto d’arrivo: è mediatrice tra jîvâtmâ e Paramâtmâ. La metafisica è per lei un’implicazione, non il suo stesso corpo; e le difficoltà intellettuali che offrirà deriveranno spesso dalla necessità d’armonizzare le formule, sovente contraddittorie, della metafisica e della cosmologia. Una metafisica leggermente irrigidita minaccia la spiritualità; e questa, per difendersi, s’è frequentemente rifugiata in dottrine dualiste e pluraliste che, a loro volta, compromette
vano la sua fondamentale ispirazione dandole un carattere più o meno arbitrario.

Quest’ultima soluzione tuttavia non è stata quella del buddismo, come se obbedisse suo malgrado a qualche secondo fine metafisico. Partendo, come l’Induismo, della dualità del samsâra e della liberazione, distrugge il primo termine con l’idea d’illusione, di vuoto; e, quanto al secondo, lo vela in un’apofasi assoluta. Realizza l’unità in modo negativo, è l’unità del Vuoto. Infine, per dare il colpo di grazie all’uomo e lasciarlo senz’alcuna prospettiva di futuro, che diventerebbe velocemente per lui l’occasione di un desiderio, rompe il sûtrâtmâ, che riunisce tra loro i vari stati dell’essere, e non lascia più di fronte all’asceta che un compito da adempiere. Alla lunga, come si sa, questa dottrina non ha potuto mantenere il rigore della sua negazione originaria(1).
Nelle tradizioni monoteiste, al contrario, si è in pieno “realismo” e la nozione scritturale di creazione è stata interpretata dogmaticamente nel senso di un’irriducibile dualità del Creatore e della creatura. Senza dubbio si potrebbe far osservare che questa dualità, essendo d’ordine cosmologico e corrispondente a una prospettiva temporale, non contraddice la non-dualità metafisica. Si può considerare la creazione come inclusa nell’Atto eterno e infinito – Dio essendo e irraggiando per un solo e medesimo atto –; ma, dal momento che non lo si fa, si traspone quest’idea su un piano puramente razionale, temporale, la si “pensa” per mezzo di schemi la cui relatività è evidente e che implicano in qualche modo una dualità: o, in relazione a Dio, quella di un interno (il Creatore) e di un esterno vuoto che si tratta di riempire, o in Dio stesso quello della potenza, corrispondente allo stato “anteriore” alla creazione, e dell’atto, corrispondente allo stato “posteriore” o, se si preferisce, allo stesso Fiat creatore. Gli Indù hanno un Dio creatore, che è Brahmâ, ma il suo atto rientra nel dominio della Shakti, non in quello di Parama-Shiva. Senza dubbio la differenza e la distanza hanno i loro analoghi in ciò che abbiamo chiamato l’Atto eterno e infinito, che è l’unione, non la confusione, di Shiva e della Shakti: esse ne rappresentano dei “momenti” che una dottrina monistica rischierebbe di dimenticare. Ma i “momenti” dell’unità e dell’identità sono a loro volta, dal punto di vista in cui ci poniamo, un po’ troppo trascurati nelle teologie monoteiste, in cui l’unità divina s’oppone puramente e semplicemente alla diversità creata. L’esperienza degli spirituali, che ha fatto temere che il Sé, riconosciuto come divino, non venisse a gonfiare l’io invece di ridurlo e d’esaurirlo, ha con ogni probabilità giocato un ruolo importante nella costante affermazione del dualismo; cui è venuto ad aggiungersi, presso i teologi della Chiesa latina, l’influenza decisiva e ben nota dell’aristotelismo.
Se dunque la dottrina dell’identità non è accettata dalle tradizioni monoteiste, il minimo tuttavia che se ne può asserire è che infesta tutto il pensiero “platonico”, incluso il “platonismo cristiano”, per non parlare dei sufi, soggetti d’altronde alla duplice influenza dell’India e del neoplatonismo. S’è espressa, talvolta in modo molto chiaro, vuoi negli scritti di uomini naturalmente metafisici – ad esempio in Plotino e Nicola Cusano – o in quelli di spirituali che cercano di tradurre le loro illuminazioni. Ma, fondamentalmente estranea all’aristotelismo, è divenuta, dalla fine del Rinascimento, che è stato anche quella del platonismo, e malgrado certi sforzi dei cartesiani, e soprattutto dei filosofi romantici tedeschi, quasi estranea al pensiero moderno. L’opinione di Cartesio, che l’idea dell’Infinito fosse la prima di tutte, è rimasto per molti lettera morta e, in modo generale, la filosofia degli ultimi secoli è mancata del campo necessario alla sua speculazione. Sebbene reagisca oggi piuttosto fortemente contro il razionalismo e il materialismo, resta nondimeno lo specchio del suo tempo, ossia di un’epoca che trae dalle scienze positive la maggior parte del suo nutrimento intellettuale; e il desiderio, abbastanza naturale, di rimanere sempre in piena continuità con la scienza, di non abbandonare alcun punto di contatto con essa, la ricollega in realtà ai modi di pensiero e di conoscenza propriamente umani, razionali. Vorremmo quasi dire, se l’espressione non fosse così irriverente, che la filosofia moderna ha una palla al piede: la palla del “pensiero scientifico”, relativo per definizione. A parte alcune felici eccezioni, lo stato della filosofia contemporanea – per riprendere un paragone molto usato – è ancora sotto molti aspetti simile a quello dell’astronomia prima di Copernico: le costruzioni più ingegnose sono accumulate attorno a un postulato cui non si vuol rinunciare e che è qui la supremazia dell’uomo(2). Se si indica la “terra” come la dimora dell’uomo, il suo ambiente naturale, il “sole” come la verità che attrae le intelligenze, si potrebbe dire che l’attuale situazione intellettuale richiede una rivoluzione che faccia passare da un sistema geocentrico a un sistema eliocentrico, che faccia preferire la verità all’uomo, o più precisamente la verità in breve alla verità umana. Questa rivoluzione, Guénon l’ha compiuta per molti dei suoi lettori.
Ha restituito loro le regioni ipercosmiche e sovra-umane della realtà, quel che il pensiero moderno ha ritenuto di dover trascurare e quel che si è dimostrato incapace di sostituire. Senza dubbio si può giudicare che l’opposizione che Guénon ha stabilito tra le civiltà tradizionali e il mondo moderno è la parte della sua opera più visibile e più caratteristica; ma si sarebbe capita male senza il suo sfondo metafisico. Ecco perché ciò che abbiamo chiamato l’idea metafisica, con i suoi diversi aspetti e i suoi punti di partenza cosmologici, ci pare rappresentare la parte centrale del suo messaggio, la verità più “vivente” e più importante che ci abbia portato o richiamato. Siegfried Lang ha caratterizzato abbastanza bene la sua opera come un “rifugio della metafisica”.

Val appena la pena aggiungere che le verità più alte sono, per loro natura, proprie al dominio dell’inesprimibile e che non si rivelano con qualche formula, per quanto indovinata e opportuna possa essere. Mal si concilierebbero con procedimenti affrettati, che s’accontenterebbero d’opporre un dogmatismo a un altro dogmatismo. Come il ghiaccio di cui parla lo Yi-king («Si cammina sul ghiaccio. Grande circospezione»), i nostri concetti ci portano sempre solo fino a un certo punto; e la dottrina più chiara giace a nostra insaputa su un fondo yin, su un mistero, proprio come dietro al Deus revelatus, e velata dal suo splendore, si trova ancora il Deus absconditus che l’ha generato(3). Si tratterebbe, dunque, non tanto di “trasmettere” un’idea quale ad esempio quella dell’identità (se ne può solo trasmettere l’abito) quanto di studiarne le diverse espressioni, di meditarla e di comprenderla, se possibile, nelle sue più utili sfumature. Non è questione, beninteso, di cogliere lo spirito impercettibile in alcuna rete concettuale, ma soltanto d’affinarne e orientare la concezione, in modo che possa irradiare più liberamente in un dato ambiente mentale e, innanzitutto, in noi stessi.


* André Préau, René Guénon et l’idée métaphysique, in Études Traditionnelles,
n. 293-294-295, Numéro spécial consacré à René Guénon, 1951.

1) Per il suo spirito e le sue conclusioni, tale rigore può essere paragonato a quello di Simone Weil quando scrive che importa poco sapere se il Bene esiste o no, poiché in ogni modo «ciò che non è lui non è bene», o ancora che la questione delle ricompense non dev’essere posta, poiché implica un ritorno dell’anima a se stessa, un rilassamento del suo sforzo verso il Bene (vedi La connaissance surnaturelle, pp. 284 e segg. e p. 321).

2) Presso i tomisti, il postulato che non può essere messo in discussione è il “realismo” derivato dalla concezione aristotelica dell’“essere” e che fa considerare il platonismo, e ogni forma d’“idealismo”, come una tossina intellettuale.

3) Le formule e le definizioni dogmatiche, scrive Simone Weil, devono essere accettate, «non come verità, ma come qualcosa dietro cui si trova la verità» (Lettre à un religieux, p41)

mercoledì 20 novembre 2019

“Della Favola, del Viaggio e di altre cose” di Sergio Solmi in bancarella

Una piccola segnalazione libraria in collaborazione con Simone Berni (http://www.cacciatoredilibri.com/della-favola-del-viaggio-e-di-altre-cose-di-sergio-solmi-in-bancarella/)

ROMA PORTA PORTESE Domenica 8 Settembre 2019 Su una bancarella di Via Parboni, è stato avvistato un libro (pagine 109 in 8° piccolo) dello scrittore, poeta e saggista Sergio Solmi (1899-1981). Il volume s’intitola: Della Favola, del Viaggio e di altre cose – Saggi sul fantastico ed è stato pubblicato in prima edizione nel 1971 da Riccardo Ricciardi (Milano-Napoli). Si tratta di una raccolta di scritti che apparvero in riviste letterarie o furono presentati come prefazioni a libri di altri autori, qui riuniti per omogeneità di argomento. Il saggio viene offerto, come nuovo, a 15 € (E. P.)


giovedì 14 novembre 2019

Trofeo Letterario La Centuria e La Zona Morta

E’ partita la XII Edizione del “Trofeo Letterario La Centuria e La Zona Morta” per racconti fantasy con la collaborazione dell’Associazione “A Campanassa” di Savona e della manifestazione “Savona  International Model Show 2020”.
L’Associazione Culturale “La Centuria” e il sito “La Zona Morta” gestiranno le varie fasi dell'iniziativa e selezioneranno, tra gli scritti pervenuti, i racconti finalisti, i quali saranno poi valutati da una Giuria di qualità costituita da scrittori quali Davide Longoni, Donato Altomare, Filippo Radogna, Giovanni Mongini, Alessio Banini, Anna Giraldo ed Emanuele Manco, oltre a esperti appassionati del settore dell’Associazione “La Centuria”, dalla Prof.ssa BOTTINELLI Simonetta dell’Associazione “A  Campanassa” e da  autori di  giochi.
Ciascun testo verrà giudicato innanzitutto per l’originalità della trama e della scrittura, per la forma e la chiarezza  narrativa.
Per i primi cinque racconti classificati sono previsti un attestato, una medaglia e la pubblicazione sul sito internet de “La  Centuria” (www.lacenturia.it), sul sito internet “La  Zona  Morta”  (www.lazonamorta.it), sulla rivista cartacea “La Zona Morta Magazine” e sul sito di GdR www.dark-chronicles.eu, nonché sulla  brochure cartacea  ufficiale dedicata alla “Savona  International Model Show” prossima ventura e un libro a testa offerto dalle Edizioni Il Foglio Letterario.
Inoltre il primo classificato riceverà un Premio di 200,00 Euro, il secondo un  Premio di 100,00 Euro e il terzo un Premio di 100,00 Euro in buono-libri.
Per partecipare inviare i testi (max 4 per partecipante e max 21.600 caratteri, spaziature fra parole incluse) in formato .rtf e .txt a: associazione@lacenturia.it, longdav@libero.it e letteratura@dark-chronicles.eu.
La partecipazione al “Concorso letterario La Centuria e La Zona Morta” è pari a Euro 7,00 (sette/00), da versarsi tramite ricarica/accredito su Carta PostePay n. 4023 6009 1499 9893 intestata a Davide Longoni.
La scadenza è prevista per il 20 dicembre 2019, mentre la cerimonia di proclamazione dei vincitori avrà luogo nella tarda mattina/primo pomeriggio del giorno domenica 13 gennaio 2020 all’interno della Torre medievale del Brandale, Piazza del Brandale 2, a Savona (SV).
Ulteriori info all’interno dei siti citati.