sabato 11 giugno 2016

“L’INFINITA RICERCA: IL SANTO GRAAL — TRA STORIA E LEGGENDA”

Sabato 11 Giugno 2016 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “IDialoghi di Esoterismo”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi ad un’interessantissima serata in compagnia di CORINNA ZAFFARANA (Soror A.X.E.L.) la quale ci introdurrà ad un tema di estremo fascino:

“L’INFINITA RICERCA: IL SANTO GRAAL — TRA STORIA E LEGGENDA”

Il Santo Graal simboleggia l’infinita ricerca di una parte perduta di noi stessi ed è l’allegoria della tensione mistica propria dell’animo più elevato: ma si tratta di mito o realtà?
Qual è l’origine del suo nome?
Come, perché e quando il mito della sua impossibile ricerca si unisce alle vicende dei nobili Cavalieri della Rotonda? Cosa sappiamo veramente circa Giuseppe di Arimatea? E’ possibile che questo mito affondi le sue radici in era pre-cristiana?
Corinna Zaffarana, storica e studiosa di esoterismo europeo, ci conduce alla ricerca delle vere origini della leggenda del Graal, esplorando quanto veramente in nostro possesso all’interno dei documenti che ci offrono la storia, la letteratura, le leggende popolari, i miti dell’Europa pre-cristiana e la psicoanalisi.

Anche in questa occasione il nostro Centro si pregia di invitarvi ad un evento di grande interesse a cui, naturalmente, non dovete assolutamente mancare!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.

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mercoledì 8 giugno 2016

Dossier Majorana di Leandro Castellani

di Simone Berni (*)

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PORTA PORTESE Domenica 22 Maggio 2016 sull’ultima bancarella di Via Bargoni in angolo con Via Parboni, avvistato Dossier Majorana di Leandro Castellani edito nel 1974 da Fratelli Fabbri Editore, in vendita a 4€.





(*) Simone Berni, bibliofilo e cacciatore di libri.

sabato 4 giugno 2016

Il mistero del Flogisto

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di Stefano Benini, a cura di Vincenzo Rizzo

Da una ricerca genealogica spunta la figura di Stefano Benini, giovane con la passione per le scienze naturali, la fisica e soprattutto la chimica. Teorie e princìpi, così come erano intesi nel Settecento, emergono con l’intento di fare chiarezza nelle conoscenze e fare il punto della situazione. Verità, fantasie, supposizioni ed utopie concorrono a tracciare il cammino della Scienza.
Dedicato prevalentemente alla teoria del Flogisto, il libro incuriosirà gli appassionati di storia della scienza ma anche di alchimia e scienze ermetiche, che potranno visionare la traduzione completa dal latino con testo a fronte. Il volume contiene inoltre un commento critico, un resoconto sullo stato della chimica nel XVIII secolo e le biografie dei principali scienziati dell’epoca.

mercoledì 1 giugno 2016

LA TEORIA DELLO ZEP TEPI E IL PROGETTO UNITARIO DI GIZA

Sabato 18 Giugno 2016 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate agli “Incontri con l'Autore”, la nostra Associazione ha il piacere di ospitare il giornalista e scrittore ARMANDO MEI che ci introdurrà ad un viaggio nel Tempo, alle origini dell’uomo attraverso i Misteri dell’Egitto Predinastico, con una conferenza davvero imperdibile sul tema:
“LA TEORIA DELLO ZEP TEPI E IL PROGETTO UNITARIO DI GIZA”.
Il nucleo fondante della “Teoria della Storicità dello Zep Tepi” è nell’analisi della complessità dei fenomeni che caratterizzano l’Antico Egitto. L’approfondimento dei testi antichi, ascritti alla Mitologia, ha restituito una molteplicità di considerazioni che indirizzano la Ricerca verso una necessaria revisione delle proposizioni finora accettate. Un percorso tecnico-scientifico motivato, non da un convenzionale e banale desiderio di contrapposizione, bensì dall’inoppugnabile volontà di rimettere ordine laddove regna il caos.
La Storia dell’evoluzione dei Popoli, fin dall’Antichità più remota, si tramanda attraverso il simbolo. Ogni simbolo racchiude in sé una Storia, un Percorso, un Evento, un Processo. L’uomo, nel suo ancestrale cammino su questo Pianeta, ha delegato alla forma scritta ogni desiderio e/o volontà di tramandare le proprie esperienze – nella Materia e nello Spirito – attraverso la produzione di "segni" che stimolano, per contro, profonde vibrazioni a chi, con essi, entra in diretta simbiosi.
Così è per chi – con profonda umiltà e altrettanta determinazione – ha voluto proporre una svolta concettuale ai parametri che ingessano l’interpretazione sulle origini della Civiltà Egizia, travalicando gli stereotipi - nonché le fallaci e aride proposizioni convenzionalmente accettate – attraverso un modello interpretativo integrato da ulteriori elementi di valutazione.
Nasce, non senza difficoltà operative, la Teoria della Storicità dello Zep Tepi che si propone come coagulante tra la tradizione falsamente mitologica e le ciclopiche vestigia realizzate sulla Piana di Giza, con l’obbiettivo finale di riproporre, dopo millenni, la ricomposizione del Progetto Unitario voluto dai costruttori.
Con il supporto di strumenti scientifici multidisciplinari e andando oltre la staticità delle formulazioni incentrare solo ed esclusivamente sulla funzione della Sfinge e delle Piramidi Maggiori, è stato possibile conciliare Storia e Monumenti. Il Mito, quindi, ritorna alla sua naturale funzione storica; il Simbolo ritorna alla sua concettuale funzione di trasmissione di eredità filosofiche; i monumenti riemergono in tutta la loro complessa relazione con l’Architettura Celeste, in un equilibrio sottile dove si uniscono Materia e Spirito.
Lo Zep Tepi è un capitolo importante della Storia della nostra specie. E’ lo spartiacque tra la naturale evoluzione dell’uomo nelle forme rigeneratrici dello Spirito e la degenerazione nella materia attraverso l’inganno ed il successivo oblio.
E’ la chiave di volta che ha ordito la trama delle società fino a nostri giorni…
Armando Mei
Armando Mei è nato a Torino, nel 1967. Laureato presso l'Università Federico II di Napoli, si interessa di Civiltà Antiche e, in particolare, di Egittologia Predinastica, ovvero del periodo che va dal 3.180 a.C. indietro nel tempo. Nel 2005, ha presentato una Ricerca sulla Piana di Giza, culminata nella formulazione della sua «Teoria sulla Datazione Storica dello Zep Tepi», presentata all'International Conference on Ancient Studies, tenutasi presso la Zayed University di Dubai nel 2010. Ha pubblicato diversi articoli su riviste specializzate, sia italiane che internazionali. Nel 2009, ha pubblicato il suo primo libro: «Giza: le Piramidi Satellite e il Codice Segreto», poi rivisto ed integrato dal libro "36.420 a.C. - Rivelazioni dal Tempo", seguito, nel 2011, dal libro «Oltre le nebbie del Tempo» e nel 2012 da «La porta del Cielo». Questi tre libri sono attualmente fuori catalogo. Nel 2013, ha collaborato con «Archaelogical Park: Bosnian Pyramid of the Sun Foundation» di Visoko, diretta da Semir Osmanagich. La ricerca ha avuto come obbiettivo lo studio della correlazione astronomica del sito. I risultati sono disponibili sul sito della Fondazione bosniaca. Un ulteriore lavoro di ricerca scientifica ha riguardato lo studio dei simboli rinvenuti su un monolite, rivelatosi una Mappa Astronomica risalente a più di 100.000 anni fa. Nel 2013, ha pubblicato il libro "Visoko: La Scienza Occulta delle Piramidi«, a cui ha collaborato Semir Osmanagich, in distribuzione anche in Bosnia. Nel gennaio del 2015 è stato invitato a collaborare, come Guest Author, con il magazine "Ancient Origins". Nel marzo del 2015, pubblica il suo ultimo libro "Il Segreto degli Dèi", il libro che ricostruisce il Progetto Originario di Giza.
Ancora una volta il nostro Centro si pregia di invitarvi ad una serata straordinaria a cui, naturalmente, non dovete assolutamente mancare!
La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.
Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.

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venerdì 27 maggio 2016

Il Sacro Graal, un mito dalle infinite letture

prelevato da http://www.centrostudilaruna.it

Tratto da la Padania del 12 maggio 2001.

di Alberto Lombardo

Esistono pochi temi che incontrino tanto favore nell'immaginario popolare - al punto di ispirare romanzi, saggî, film, dipinti, drammi teatrali, opere musicali, giochi e via lungamente dicendo - quanto quello del Graal. Si tratta di un emblema stesso della spiritualità, che nelle sue innumerevoli varianti e interpretazioni riconduce essenzialmente sempre a uno stesso tema, quello cioè della cerca cavalleresca, del perfezionamento spirituale, della prova iniziatica. E così chi abbia un minimo di dimistichezza con i testi medievali fondamentali sul tema (quelli di Robert de Boron, di Wolfram von Eschenbach, di Chrétien de Troyes per citarne alcuni dei più noti) assiste sempre con un certo disappunto alle divagazioni e le mistificazioni che di questo tema così ricco e interessante vengono fatte dalle tante scuole spiritualistiche che purtroppo infestano il panorama pseudoreligioso caratteristico dei tempi attuali. Così, il Graal ai giorni nostri riassume variamente l'idea di quella "panacea di tutti i mali" che un'umanità abbruttita e degradata ricerca nel piccolo misticismo d'accatto.

È chiaro, però, che a tutti i temi ci si può avvicinare con animo, predisposizione e capacità differenti. Questo è del resto un fatto tipico ed essenziale di tutto il linguaggio dei miti, e cioè la comprensione dei simboli è data a tutti, ma a livelli diversi, secondo le capacità intellettuali e intuitive di ciascuno. Una guida di tutto valore, per il tema in questione, costituisce certamente Luce del Graal, testo recentemente ristampato dalle Edizioni Mediterranee dopo circa cinquant'anni dalla prima edizione italiana. Si tratta di una raccolta di alcuni degli scritti più significativi e penetranti sul tema: da Guénon a Vendryes, da Jean Marx a Viscardi a R. Nelli sono riunite diverse interpretazioni, alternate ad alcuni dei passi più significativi della letteratura medievale europea sul tema. L'introduzione alla nuova edizione è di uno dei più noti filologi romanzi, Francesco Zambon, che definisce giustamente il volume come "un'eccellente iniziazione al mito del Graal e alla lettura dei testi che lo elaborarono a partire dal Medio Evo".

Ci sembra importante rilevare un ultimo elemento: questa edizione è stata pubblicata sulla base della copia del libro che giaceva nella biblioteca che fu di Julius Evola, la quale recava la dedica di Cristina Campo: giusta ci è sembrata la decisione del curatore, Gianfranco De Turris, di dedicare a entrambi questi due studiosi, pur così diversi, la nuova edizione.

AA.VV., Luce del Graal. Mito - esoterismo - storia - epica cavalleresca, Edizioni Mediterranee, Roma 2001, pp. 320, £35.000.

mercoledì 25 maggio 2016

"La Sindone contestata difesa spiegata"

di Simone Berni (*)

ANDARE PER MERCATINI / MONTEPULCIANO 2. Secondo resoconto di un lunedì a 17°C di temperatura e col sole in faccia a spasso ai limiti della provincia di Siena in cerca di ottime occasioni da prendere al volo. Trovato un libro di cui attualmente neanche una copia risulta disponibile su Internet: "La Sindone contestata difesa spiegata" di Giulio Ricci (Roma, Collana Emmaus, 1992), si tratta con ogni probabilità di un libro stampato in proprio. Infatti, risulta essere stampato a Casavatore (Napoli) dalla tipografia Greco. Un libro pressoché introvabile per gli appassionati e studiosi del caso della Sindone.





sabato 21 maggio 2016

La malattia dell’angoscia

In collaborazione con la rivista Lettera E Spirito: https://drive.google.com/file/d/0BwS7BAey84TnLU1hbGpEcmQ4b2s/view?pref=2&pli=1

di René Guénon *

Oggigiorno è di moda, in certi ambienti, parlare di “inquietudine metafisica”, e perfino di “angoscia metafisica”; queste espressioni, evidentemente assurde, sono ancora di quelle che tradiscono il disordine mentale della nostra epoca; ma, come sempre in casi simili, può essere interessante cercar di precisare che cosa vi sia sotto questi errori e che cosa implichino esattamente tali abusi di linguaggio. È ben chiaro che coloro che parlano in questo modo non hanno la benché minima nozione di che sia veramente la metafisica; ma ancora ci si può chiedere perché essi vogliano trasferire, nel concetto che si fanno di questo dominio loro sconosciuto, questi termini, d’inquietudine e d’angoscia, piuttosto che altri qualsiasi che vi sarebbero altrettanto fuori posto.
Forse occorre vederne la prima ragione, o la più immediata, nel fatto che tali parole rappresentano dei sentimenti che sono particolarmente caratteristici dell’epoca attuale; la predominanza che vi hanno acquisito è d’altronde abbastanza comprensibile, e potrebbe perfino esser considerata come legittima in un certo senso se si limitasse all’ordine delle contingenze, giacché essa è manifestamente fin troppo giustificata dallo stato di squilibrio e d’instabilità di tutte le cose, che va continuamente aggravandosi, e che non è sicuramente atto a dare un’impressione di sicurezza a coloro che vivono in un mondo così agitato. Se vi è in questi sentimenti qualcosa di morboso, gli è che lo stato da cui essi sono causati e mantenuti è anormale e disordinato di per sé; ma tutto ciò, che non è insomma che una semplice giustificazione di fatto, non rende sufficientemente conto dell’intrusione di questi stessi sentimenti nella sfera intellettuale, o almeno in quella che i nostri contemporanei ritengono tale; quest’intrusione dimostra che in realtà il male è più profondo, e che deve trattarsi di qualcosa che si riallaccia a tutto il complesso della deviazione mentale del mondo moderno.
A questo proposito, si può innanzitutto notare che la perpetua inquietudine dei moderni non è altro che una delle forme di quel bisogno d’agitazione da noi spesso denunciato, bisogno che, nella sfera mentale, si traduce nel gusto per la ricerca in se stessa, ossia per una ricerca che, invece di trovare il suo sbocco nella conoscenza come normalmente dovrebbe essere, prosegue indefinitamente senza condurre davvero a niente, e che è peraltro intrapresa senza alcuna intenzione di giungere a una verità cui tanti nostri contemporanei non credono nemmeno. Riconosciamo che una certa inquietudine può avere un posto legittimo al punto di partenza di ogni ricerca, come movente incitante a questa stessa ricerca, giacché è evidente che, se l’uomo fosse soddisfatto della sua condizione d’ignoranza, vi resterebbe indefinitamente e non cercherebbe in nessun modo di uscirne; addirittura sarebbe meglio dare un altro nome a questo genere d’inquietudine mentale: in realtà, essa non è altro che quella “curiosità” che, secondo Aristotele, è l’inizio della scienza e che, beninteso, non ha niente in comune con i bisogni puramente pratici cui gli “empiristi” e i “pragmatisti” vorrebbero attribuire l’origine di ogni conoscenza umana; ma in ogni caso, la si chiami inquietudine o curiosità, è qualcosa che non può più avere alcuna ragion d’essere né di sussistere in alcun modo una volta giunta al termine la ricerca, vale a dire una volta raggiunta la conoscenza, di qualsiasi ordine di conoscenza d’altronde si tratti; a maggior ragione essa deve necessariamente sparire, in modo completo e definitivo, quando si tratti della
conoscenza per eccellenza, che è quella del dominio metafisico. Nell’idea di un’inquietudine senza fine, e di conseguenza inservibile a trarre l’uomo dalla sua ignoranza, si potrebbe dunque vedere il marchio di una sorta di “agnosticismo”, che può essere più o meno incosciente in molti casi, ma che non per questo è meno reale: parlare di “inquietudine metafisica” equivale in fondo, lo si voglia o no, sia a negare la stessa conoscenza metafisica, sia perlomeno a dichiarare la propria impotenza a ottenerla, il che praticamente non fa grande differenza; e, quando questo “agnosticismo” è veramente incosciente, s’accompagna abitualmente a un’illusione che consiste nel prendere per metafisica ciò che non lo è affatto, e che non è neppure una conoscenza valevole ad alcun livello, foss’anche in un ordine relativo, vogliamo dire la “pseudo-metafisica” dei filosofi moderni, che è effettivamente incapace di dissipare la benché minima inquietudine, per la ragione che non è una vera conoscenza, e che, proprio al contrario, non può che accrescere il disordine intellettuale e la confusione delle idee di coloro che la prendono sul serio, e rendere la loro ignoranza tanto più incurabile; in questo come da qualsiasi altro punto di vista, la falsa conoscenza è certamente assai peggiore della pura e semplice ignoranza naturale. Certuni, come abbiamo detto, non si limitano a parlare di “inquietudine”, ma arrivano perfino a parlare di “angoscia”, il che è ancor più grave, ed esprime un’attitudine forse ancor più
nettamente antimetafisica se fosse possibile; i due sentimenti sono d’altronde più o meno connessi, in quanto entrambi hanno la loro comune radice nell’ignoranza. L’angoscia, in effetti, non è che una forma estrema e per così dire “cronica” della paura; ora l’uomo è naturalmente portato a provar paura di fronte a ciò che non conosce o non comprende, e questa stessa paura diviene un ostacolo che gli impedisce di vincere la sua ignoranza, giacché lo induce ad allontanarsi dall’oggetto alla cui presenza la prova e al quale ne attribuisce la causa, mentre in realtà questa causa non è tuttavia che in lui stesso; addirittura questa reazione negativa è spessissimo seguita da un vero e proprio odio nei confronti dell’ignoto, soprattutto se l’uomo ha più o meno confusamente l’impressione che si tratti di qualcosa che supera le sue attuali possibilità di comprensione.
Se però l’ignoranza può essere dissipata, perciostesso la paura ben presto si dissolverà, come nel ben conosciuto esempio della corda scambiata per un serpente; la paura, e di conseguenza l’angoscia che ne è un caso particolare, è perciò incompatibile con la conoscenza e, se arriva al punto d’essere davvero invincibile, la conoscenza diverrà impossibile, anche in assenza di qualsiasi altro impedimento inerente alla natura dell’individuo; in questo senso si potrebbe dunque parlare, non di una “angoscia metafisica”, ma al contrario di una “angoscia antimetafisica”, giuocante in certo qual modo il ruolo di un vero e proprio “guardiano della soglia”, secondo l’espressione degli ermetici, vietando all’uomo l’accesso al dominio della conoscenza metafisica.
Occorre ancora spiegare più completamente come la paura derivi dall’ignoranza, tanto più che a questo proposito abbiamo recentemente avuto modo di constatare un errore abbastanza sorprendente: abbiamo visto attribuire l’origine della paura a una sensazione d’isolamento, e questo in un’esposizione basata sulla dottrina vêdântica, mentre questa al contrario insegna espressamente che la paura è dovuta alla sensazione di una dualità; e infatti, se un essere fosse veramente solo, di che potrebbe aver paura? Si dirà forse che può aver paura di qualcosa che si trova in lui stesso; ma anche questo implica che, nella sua attuale condizione, vi siano in lui degli elementi che sfuggono alla sua comprensione, e di conseguenza una molteplicità non unificata; il fatto che sia isolato o meno non cambia d’altronde niente e non interviene in nessun modo in un caso simile. D’altra parte, non si può invocare validamente, a favore dell’isolamento come spiegazione, la paura istintiva avvertita nell’oscurità da molte persone, segnatamente dai bambini; questa paura è dovuta in realtà all’idea che nell’oscurità possano esservi delle cose che non si vedono, quindi che non si conoscono, e che per questa stessa ragione sono temibili; se al contrario l’oscurità fosse considerata come priva di qualsiasi presenza sconosciuta, la paura sarebbe senza oggetto e non si produrrebbe. È vero che l’essere che prova paura cerca d’isolarsi, ma appunto per sottrarvisi: egli assume un atteggiamento negativo e si “ritrae” come per evitare ogni possibile contatto con ciò che teme, e da ciò provengono senza dubbio la sensazione di freddo e gli altri sintomi fisiologici che accompagnano abitualmente la paura; ma questa specie di difesa irriflessiva è d’altronde inefficace, giacché è ben evidente che, qualunque cosa un essere faccia, non può isolarsi realmente dall’ambiente nel quale è posto dalle sue stesse condizioni d’esistenza contingente, e che, finché si considera come circondato da un “mondo esteriore”, gli è impossibile mettersi interamente al riparo dagli attacchi di quest’ultimo. La paura non può essere causata che dall’esistenza di altri esseri, che, in quanto sono altri, costituiscono tale “mondo esteriore”, oppure di elementi che, sebbene incorporati allo stesso essere, non sono meno estranei ed “esteriori” alla sua coscienza attuale; ma l’“altro”, come tale non esiste che per effetto dell’ignoranza, poiché ogni conoscenza implica essenzialmente un’identificazione; si può dunque dire che più un essere conosce, meno vi è per lui d’“altro” o d’“esteriore”, e che, nella stessa misura, la possibilità della paura, possibilità d’altronde tutta negativa, è per lui abolita; e, finalmente, lo stato di “solitudine” assoluta (kaivalyia), che è al di là di ogni contingenza, è uno stato di pura impassibilità. Notiamo incidentalmente, a questo proposito, che l’“atarassia” stoica non rappresenta che una concezione deformata di uno stato del genere, giacché pretende d’applicarsi a un essere che in realtà è ancora sottomesso alle contingenze, il che è contraddittorio; sforzarsi di considerare le cose esteriori come indifferenti, per quanto sia possibile nella condizione individuale, può costituire una sorta d’esercizio preparatorio in vista della “liberazione”, ma niente di più, giacché, per l’essere che è veramente “liberato”, non vi sono cose esteriori; un esercizio del genere potrebbe insomma essere considerato come un equivalente di quel che, nelle “prove” iniziatiche, esprime in una forma o nell’altra la necessità di superare innanzitutto la paura per giungere alla conoscenza, che in seguito renderà tale paura impossibile, poiché non vi sarà allora più nulla che possa aver presa sull’essere; ed è evidente come occorra assolutamente evitare di confondere i preliminari dell’iniziazione con il suo risultato finale.
Un’altra osservazione che, benché secondaria, non è priva d’interesse, è che la sensazione di freddo e i sintomi esteriori cui abbiamo fatto cenno poco fa si producono anche, senza che l’essere che li prova abbia coscientemente paura in senso proprio, nel caso in cui si manifestino influenze psichiche dell’ordine più basso, come per esempio nelle sedute spiritiche e nei fenomeni di “ossessione”; addirittura in questi casi, si tratta della stessa difesa sub-cosciente e quasi “organica”, al cospetto di qualcosa d’ostile e nello stesso tempo d’ignoto, almeno per l’uomo ordinario che non conosce effettivamente se non ciò che è suscettibile di cadere sotto i sensi, vale a dire le sole cose del dominio corporeo. I “timori panici”, che si producono senza alcuna causa apparente, sono anch’essi dovuti alla presenza di certe influenze non appartenenti all’ordine sensibile; essi sono peraltro spesso collettivi, il che va ancora contro la spiegazione della paura con l’isolamento; e non si tratta necessariamente, in questo caso, di influenze ostili o d’ordine inferiore, giacché può anche succedere che un’influenza spirituale, e non solamente un’influenza psichica, provochi un terrore di questo tipo presso dei “profani” che l’avvertono vagamente senza nulla conoscerne della sua natura; l’esame di questi fatti, che insomma non hanno niente d’anormale checché ne possa pensare l’opinione corrente, non fa che confermare ancora che la paura è realmente proprio causata dall’ignoranza, e per questa ragione abbiamo ritenuto opportuno segnalarli di sfuggita.
Per ritornare al punto essenziale, possiamo dire ora che coloro che parlano di “angoscia metafisica” dimostrano con ciò, innanzitutto, la loro totale ignoranza della metafisica; inoltre, la loro stessa attitudine rende invincibile quest’ignoranza, tanto più che l’angoscia non è una semplice passeggera sensazione di paura, ma una paura divenuta in qualche modo permanente, insediata nello “psichismo” stesso dell’essere, e per questo può esser considerata come una vera e propria “malattia”; finché non la si supera, costituisce propriamente, alla stessa stregua di altri gravi difetti d’ordine psichico, una “squalificazione” nei confronti della conoscenza metafisica.
D’altra parte, la conoscenza è il solo rimedio definitivo contro l’angoscia, come pure contro la paura sotto tutti le sue forme e contro la semplice inquietudine, poiché queste sensazioni non sono che delle conseguenze o dei prodotti dell’ignoranza, e pertanto la conoscenza, una volta raggiunta, le distrugge interamente nella loro stessa radice e le rende d’ora innanzi impossibili, mentre, senza di essa, anche se sono allontanate momentaneamente, possono sempre riapparire a seconda delle circostanze. Se si tratta della conoscenza per eccellenza, quest’effetto si ripercuoterà necessariamente in tutti i domini inferiori, e così queste stesse sensazioni svaniranno anche nei confronti delle cose più contingenti; infatti, come potrebbero colpire colui che, vedendo tutte le cose nel principio, sa che, quali che siano le apparenze, esse non sono in definitiva che degli elementi dell’ordine totale? Così accade per tutti i mali di cui soffre il mondo moderno: il vero rimedio non può venire che dall’alto, ossia da una restaurazione della pura intellettualità; fintantoché si cercherà di porvi rimedio dal basso, ossia accontentandosi d’opporre delle contingenze ad altre contingenze, tutto quel che si pretenderà di fare sarà vano e inefficace; ma chi potrà capirlo mentre è ancora in tempo?

* R. Guénon, Initiation et Réalisation spirituelle, Éditions Traditionnelles, Paris, 1952, cap. III: La maladie
de l’angoisse.