FANTASMI: DUE NUOVI TITOLI DELLA NEONATA GOLEM LIBRI
La neonata Golem Libri pubblica due importanti opere su fantasmi, poltergeist e case infestate.
Fantasmi. Storie vere, di Hereward Carrington, e La casa infestata. Il Grande Mistero di
Amherst, di Walter Hubbell: due classici della ricerca psichica finora inediti in Italia.
Esordisce con due libri – Fantasmi. Storie vere, di Hereward Carrington, e La casa infestata.
Il Grande Mistero di Amherst, di Walter Hubbell – dedicati rispettivamente ai fantasmi e al
poltergeist, la casa editrice Golem Libri, che con la sua produzione intende proporsi come
punto di riferimento per chiunque sia interessato a temi "di confine" come parapsicologia,
ufologia e storia delle credenze sul soprannaturale.
Fantasmi, spettri e case infestate sono argomenti che, pur senza essere mai del tutto passati
di moda, sono di recente tornati particolarmente in voga, sia tra i semplici appassionati che
tra i cultori di parapsicologia. Non molto, però, è stato fatto in ambito editoriale per
rispondere a questa nuova ondata di interesse con produzioni di qualità che affrontassero la
questione in maniera divulgativa ma autorevole. Il testo di Carrington e quello di Hubbell
offrono invece, tanto al curioso che al ricercatore, un contributo di indubbio valore
documentale ed interpretativo. Si tratta di due opere – notissime in ambito internazionale ma
che finora erano rimaste inedite in Italia – che con stile semplice e godibile introducono il
lettore alla questione della reale esistenza di due misteriosi ed inquietanti fenomeni (assai
simili tra loro ma con caratteristiche specifiche diverse): l'infestazione e il poltergeist.
Il testo di Carrington lo fa presentando una ricca mole di testimonianze originali di persone
che sostengono di aver avuto a che fare con apparizioni di defunti e con luoghi funestati da
presenze invisibili, mentre il libro di Hubbell ricostruisce, dall'interno e, per così dire, "in
presa diretta", l'evoluzione, sempre più incredibile e drammatica, di un unico caso: quello
della giovane Esther Cox e delle spaventose manifestazioni che per oltre un anno sconvolsero
la quiete della piccola casa di Amherst in cui viveva insieme agli altri membri della sua
famiglia. Due prospettive diverse, quindi, ma che insieme si integrano fornendo un quadro
d'insieme completo e approfondito che non mancherà di appassionare e di stimolare ulteriori
interrogativi.
Contatti
Sito web: www.golemlibri.it
Facebook: www.facebook.com/golemlibri
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
domenica 16 febbraio 2014
domenica 9 febbraio 2014
Campi Elettromagnetici - il K2
In collaborazione con Hesperya
tratto da http://www.hesperya.net/il-ghost-hunting/campi-elettromagnetici/
tratto da http://www.hesperya.net/il-ghost-hunting/campi-elettromagnetici/
di Roberta Faliva
Uno dei principali strumenti di
supporto alle indagini del mistero è rappresentato dal K2. Questo
dispositivo è un tipo particolare di rilevatore di campi
elettromagnetici a bassa frequenza (EMF) che ha la peculiarità di
individuare tracce di fonti di energia e di rilevare fluttuazioni di
campi elettromagnetici nell’ambiente.
In fisica, il campo elettromagnetico è
un campo tensoriale responsabile dell’interazione elettromagnetica. Il
campo è generato nello spazio dalla presenza di cariche
elettriche, e può manifestarsi anche in assenza di esse, trattandosi
di un’entità fisica che può essere definita indipendentemente dalle
sorgenti che l’hanno generata.
Secondo numerose teorie, gli spiriti
sono composti da energia e si ritiene che quando un’anomalia è presente
questa vari improvvisamente il campo elettromagnetico.
Ciò accade perché le possibili entità presenti hanno bisogno di
assorbire l’energia intorno a loro per potersi manifestare, fisicamente o
uditivamente. Da qui quindi l’idea che i fantasmi possono
realmente comunicare con i viventi disturbando i campi
elettromagnetici che circondano il dispositivo K2. Le particolari
energie elettromagnetiche, che si possono sviluppare durante un fenomeno
paranormale, possono essere quindi captate da questo ricevitore.
Questo strumento rileva la frequenza del campo elettromagnetico in
MilliGauss o micro Tesla.
Molti indagatori del mistero infatti,
dopo aver scrupolosamente eliminato la possibilità che l’attività del K2
non sia dovuta a campi magnetici di genere
domestico-ambientale, utilizzano questo strumento per interagire con
l’entità stessa. Vengono poste una serie di domande che contemplano
come risposta un “sì” o un “no” e si chiede alla presenza
di far accendere le luci del dispositivo in caso di risposta
affermativa e di lasciarle spente in caso di risposta negativa. In rete
circolano video a riprova di questa interazione che lasciano
lo spettatore, anche il più scettico, realmente impressionato.
lunedì 3 febbraio 2014
Sidis, vita struggente del formidabile genio condannato all'oblio
tratto da Il Giornale del 31/01/2014
di Pier Francesco Borgia
Passeggiando per il Woodlan Cemetry di New York ci si può imbattere nell'imponente cenotafio che ricorda Isidor e Ida Straus. Due dei passeggeri che morirono nel naufragio del Titanic il 14 aprile del 1912.
Nonostante la sua ricchezza, possedeva i famosi magazzini Macey's, Isidor Straus era noto soprattutto per il suo rigore morale e per l'amore (corrisposto) per la moglie. Isidor era anche un filantropo e tra le sue opere c'è stata anche la «sponsorizzazione» degli studi di William Sidis. Non un ragazzo qualunque. Bensì un genio. Anzi, il genio per eccellenza. Ancor oggi William Sidis (1898-1944) viene ricordato come l'uomo più intelligente di sempre, dal momento che nessuno ha mai raggiunto il suo stesso risultato nel test che misura il quoziente intellettivo (QI). Isidor Straus era amico dei genitori di Sidis e li supportò in tutto per aiutarli a sviluppare le capacità del figlio prodigio. Un genio che, purtroppo, morirà in solitudine a soli 46 anni per emorragia cerebrale. A differenza del suo mentore, è sepolto in maniera anonima all'ombra di una quercia del South Cemetry di Portsmouth (New Hampshire). Lo ricorda una lastra di granito non più grande di un foglio A4 dove è inciso solo il suo nome («William J. 1898-1944»).
A 18 mesi già leggeva il New York Times, a quattro anni ha imparato da solo il greco e il latino mettendo in pratica un suo personale metodo di decrittazione basato su calcoli matematici di ricorrenza dei termini all'interno delle frasi. Alla sua morte, molti giornali sostennero che fosse capace di parlare correttamente una quarantina di lingue. Di sicuro, secondo gli storici, Sidis possedeva la cosiddetta memoria eidetica. Capacità che lo affiancava a un altro genio precocissimo: Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un tipo molto particolare di memoria «fotografica» che in misura leggera posseggono tutti i bambini e che si perde nel corso della crescita. Una capacità di associare concetti e nozioni a immagini già preconfezionate.
Gli studiosi che si sono occupati del caso Sidis non sono riusciti a scoprire fino a che punto i genitori, entrambi medici, fossero colpevoli di aver spinto la crescita intellettuale di un bambino, non certo diverso dagli altri coetanei, solo forse un po' più dotato. Il padre Boris, immigrato dall'Ucraina, era uno stimato professore di psicologia di Harvard e proprio sul piccolo Billy volle sperimentato alcune sue intuizioni, continuando per anni a sostenere che il figlio era solo l'esempio di un'educazione riuscita, sgombrando il campo da ipotesi di anormalità. Quando William aveva soltanto sei anni già lo scortava nelle aule universitarie di Harvard dove era chiamato a sostenere conferenze sulla geometria non euclidea davanti a un pubblico rigorosamente selezionato. Il padre incassava il plauso di esimi colleghi e poco si curava delle paure e dei traumi del figlio, che di lì a qualche anno sarebbero deflagrati.
La biografia sul «caso Sidis» è sterminata. In America è una figura popolare e leggendaria. Nel '97 Matt Damon e Ben Affleck hanno scritto la sceneggiatura di Will Hunting di Gus Van Sant proprio partendo dal caso Sidis attualizzato ai giorni nostri. Adesso, però, esce un romanzo dello scrittore danese Morten Brask che focalizza l'attenzione sugli aspetti salienti della parabola di questo genio incompreso. La vita perfetta di William Sidis (Iperborea, pagg. 396, euro 17,50) si concentra su alcuni momenti della vita del giovane raccontandoli in maniera non lineare. L'effetto ottenuto è letterario ma aiuta a capire al meglio i rischi di una cieca fiducia in metodi educativi poco inclini a tenere nel dovuto conto la psicologia infantile.
Eppure il padre era stato nominato dall'allora governatore Theodore Roosvelt direttore dell'Istituto di malattie mentali di New York. Insomma aveva un nome nel campo delle psicopatologie. Nome che potè sfruttare a pieno - ironia della sorte - quando il giovane rampollo fu arrestato dopo una marcia di protesta organizzata dal partito socialista americano nel 1919 (conoscendo molte lingue Sidis era stato reclutato come traduttore nelle riunioni degli operai, molti dei quali immigrati da poco ancora non conoscevano l'inglese). L'unico modo per evitargli la prigione fu quello di farlo dichiarare non sano di mente. Fu il momento in cui il cigno nero che fino a quel momento aveva vissuto nel laghetto di casa posando per la gioia del pubblico, spiccò il volo e corse sulla terraferma goffo e disperato, inseguito da tutti (soprattutto dagli spietati giornalisti). Abbandonò l'insegnamento, cui non era portato per il semplice fatto che non riusciva a dominare classi di studenti strafottenti e molto più grandi di lui. E visse nell'anonimato, con lavori saltuari e occasionali come contabile e magazziniere, licenziandosi ogni qualvolta venisse riconosciuto.
La sua educazione, la sua cultura davvero enciclopedica, non gli offrirono il bene dell'elasticità. Costretto a vivere una vita da emarginato, Sidis venne su nel mito che ogni risposta fosse nei libri e nelle nozioni scientifiche.
Il punto di rottura si registrò proprio il primo giorno del suo primo corso da professore ad Harvard, quando ancora sedicenne distribuì agli studenti le dispense da lui redatte sulla geometria non euclidea. La rivolta degli studenti per lui rimase incomprensibile. Loro lasciavano l'aula indignati mentre Sidis tentava di spiegare balbettando che gli era sembrato naturale scrivere quelle dispense in greco, visto che è la lingua di Euclide. Forse aveva ragione Salvador Dalí, «l'intelligenza senza ambizioni è un uccello senza ali». Sidis si sarebbe salvato soltanto se avesse avuto dei genitori meno meschini e un egoismo più accentuato.
di Pier Francesco Borgia
William aveva il Q. I. più alto di tutti i tempi. A sedici anni insegnava a HarvardLasciò tutto campando di lavoretti. Sempre più disadattato, morì solo
Passeggiando per il Woodlan Cemetry di New York ci si può imbattere nell'imponente cenotafio che ricorda Isidor e Ida Straus. Due dei passeggeri che morirono nel naufragio del Titanic il 14 aprile del 1912.
Nonostante la sua ricchezza, possedeva i famosi magazzini Macey's, Isidor Straus era noto soprattutto per il suo rigore morale e per l'amore (corrisposto) per la moglie. Isidor era anche un filantropo e tra le sue opere c'è stata anche la «sponsorizzazione» degli studi di William Sidis. Non un ragazzo qualunque. Bensì un genio. Anzi, il genio per eccellenza. Ancor oggi William Sidis (1898-1944) viene ricordato come l'uomo più intelligente di sempre, dal momento che nessuno ha mai raggiunto il suo stesso risultato nel test che misura il quoziente intellettivo (QI). Isidor Straus era amico dei genitori di Sidis e li supportò in tutto per aiutarli a sviluppare le capacità del figlio prodigio. Un genio che, purtroppo, morirà in solitudine a soli 46 anni per emorragia cerebrale. A differenza del suo mentore, è sepolto in maniera anonima all'ombra di una quercia del South Cemetry di Portsmouth (New Hampshire). Lo ricorda una lastra di granito non più grande di un foglio A4 dove è inciso solo il suo nome («William J. 1898-1944»).
A 18 mesi già leggeva il New York Times, a quattro anni ha imparato da solo il greco e il latino mettendo in pratica un suo personale metodo di decrittazione basato su calcoli matematici di ricorrenza dei termini all'interno delle frasi. Alla sua morte, molti giornali sostennero che fosse capace di parlare correttamente una quarantina di lingue. Di sicuro, secondo gli storici, Sidis possedeva la cosiddetta memoria eidetica. Capacità che lo affiancava a un altro genio precocissimo: Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un tipo molto particolare di memoria «fotografica» che in misura leggera posseggono tutti i bambini e che si perde nel corso della crescita. Una capacità di associare concetti e nozioni a immagini già preconfezionate.
Gli studiosi che si sono occupati del caso Sidis non sono riusciti a scoprire fino a che punto i genitori, entrambi medici, fossero colpevoli di aver spinto la crescita intellettuale di un bambino, non certo diverso dagli altri coetanei, solo forse un po' più dotato. Il padre Boris, immigrato dall'Ucraina, era uno stimato professore di psicologia di Harvard e proprio sul piccolo Billy volle sperimentato alcune sue intuizioni, continuando per anni a sostenere che il figlio era solo l'esempio di un'educazione riuscita, sgombrando il campo da ipotesi di anormalità. Quando William aveva soltanto sei anni già lo scortava nelle aule universitarie di Harvard dove era chiamato a sostenere conferenze sulla geometria non euclidea davanti a un pubblico rigorosamente selezionato. Il padre incassava il plauso di esimi colleghi e poco si curava delle paure e dei traumi del figlio, che di lì a qualche anno sarebbero deflagrati.
La biografia sul «caso Sidis» è sterminata. In America è una figura popolare e leggendaria. Nel '97 Matt Damon e Ben Affleck hanno scritto la sceneggiatura di Will Hunting di Gus Van Sant proprio partendo dal caso Sidis attualizzato ai giorni nostri. Adesso, però, esce un romanzo dello scrittore danese Morten Brask che focalizza l'attenzione sugli aspetti salienti della parabola di questo genio incompreso. La vita perfetta di William Sidis (Iperborea, pagg. 396, euro 17,50) si concentra su alcuni momenti della vita del giovane raccontandoli in maniera non lineare. L'effetto ottenuto è letterario ma aiuta a capire al meglio i rischi di una cieca fiducia in metodi educativi poco inclini a tenere nel dovuto conto la psicologia infantile.
Eppure il padre era stato nominato dall'allora governatore Theodore Roosvelt direttore dell'Istituto di malattie mentali di New York. Insomma aveva un nome nel campo delle psicopatologie. Nome che potè sfruttare a pieno - ironia della sorte - quando il giovane rampollo fu arrestato dopo una marcia di protesta organizzata dal partito socialista americano nel 1919 (conoscendo molte lingue Sidis era stato reclutato come traduttore nelle riunioni degli operai, molti dei quali immigrati da poco ancora non conoscevano l'inglese). L'unico modo per evitargli la prigione fu quello di farlo dichiarare non sano di mente. Fu il momento in cui il cigno nero che fino a quel momento aveva vissuto nel laghetto di casa posando per la gioia del pubblico, spiccò il volo e corse sulla terraferma goffo e disperato, inseguito da tutti (soprattutto dagli spietati giornalisti). Abbandonò l'insegnamento, cui non era portato per il semplice fatto che non riusciva a dominare classi di studenti strafottenti e molto più grandi di lui. E visse nell'anonimato, con lavori saltuari e occasionali come contabile e magazziniere, licenziandosi ogni qualvolta venisse riconosciuto.
La sua educazione, la sua cultura davvero enciclopedica, non gli offrirono il bene dell'elasticità. Costretto a vivere una vita da emarginato, Sidis venne su nel mito che ogni risposta fosse nei libri e nelle nozioni scientifiche.
Il punto di rottura si registrò proprio il primo giorno del suo primo corso da professore ad Harvard, quando ancora sedicenne distribuì agli studenti le dispense da lui redatte sulla geometria non euclidea. La rivolta degli studenti per lui rimase incomprensibile. Loro lasciavano l'aula indignati mentre Sidis tentava di spiegare balbettando che gli era sembrato naturale scrivere quelle dispense in greco, visto che è la lingua di Euclide. Forse aveva ragione Salvador Dalí, «l'intelligenza senza ambizioni è un uccello senza ali». Sidis si sarebbe salvato soltanto se avesse avuto dei genitori meno meschini e un egoismo più accentuato.
venerdì 24 gennaio 2014
Alla ricerca dei “Libri dell’Abisso”
di Roberto Volterri e Bruno Ferrante
“Libri
dell’Abisso”?
“Abisso”
dell’animo umano? “Abisso” della follia? “Abisso” delle
conoscenze esoteriche?
Di
sicuro un “Abisso” in cui si è da sempre immerso chi ha cercato di
varcare l’effimera, evanescente “soglia” che sembra separare questa a volte
noiosa realtà immanente da una meno ovvia ma forse più pericolosa realtà
trascendente ove si nascondono le “ombre” più oscure delle umane vicende…
“Ombre”
attraversate nel corso dei secoli da inquietanti, luciferini, personaggi dei
quali il mitico “dottor Faust” di marlowiana memoria sembra apparire come una
sorta di tragico mentore ispirato al realmente esistito Johann Georgius Faustus
Helmstetensis, astrologo e necromante della cittadina di Ingolstadt, vissuto a
cavallo tra XV e XVI secolo.
Roberto Volterri |
“Ombre”
in cui si mossero, brancolarono, soffrirono, molti altri suoi epigoni,
personaggi intorno ai quali l’odor di zolfo aleggiava inesorabilmente…
Quali,
ad esempio, John Dee , nel 1551 ingiustamente accusato di stregoneria e di aver
cercato di avvelenare Maria I Tudor ma divenuto successivamente astrologo di
fiducia della regina Elisabetta I e suo consigliere per qualsiasi argomento
riguardante “studi proibiti”. Oppure, Edward Talbot, ma per gli amici Edward
Kelley, sedicente medium di Dee e noto per la sua dichiarata abilità
nell’evocare presenze angeliche (o diaboliche?).
Nel
recente “I Libri dell’Abisso”
abbiamo voluto prendere in esame soprattutto alcuni testi “maledetti”,
un po’ in “odor di zolfo”, (forse) mai visti, sfogliati o letti da nessun
essere umano. Forse perché… non sono mai esistiti, forse perché non li abbiamo
ancora ritrovati.
Ovviamente
siamo partiti dal più noto tra gli “pseudobiblia”, ovvero quei testi di
cui tutti parlano, molti sostengono di averli visti, nessuno sa dove siano
realmente: il famigerato “Necronomicon”.
Perchè…
il “Necronomicon” non esiste, lo sanno tutti!
O,
meglio, forse non esiste con questo nome, forse è inutile cercarlo nelle varie
biblioteche dove – lo sappiamo, lo sappiamo, stiamo esagerando! – potrebbe
“vivere” sotto falso nome, custodito con
tanto di improbabile codice alfanumerico, dewey, cdu o meno, con
cui da “qualcuno” lì sarebbe stato collocato. Manca solo il codice ISBN e
poi l’opera di “disinformazione” apparirebbe completa!
Roberto
Volterri – da sempre “stregato” dall’introvabile Grimoire – se ne è bene
accorto scrivendo parte del sequel “I Dèmoni dell’Abisso”, poiché
durante le sue ricerche – sia su libri editi in Italia, sia nel web – sono
apparsi nomi, località e circostanze… del tutto inesistenti.
Eppure
non è a priori escludibile con “assoluta certezza” che da qualche parte, in
qualche polverosa e dimenticata biblioteca, qualcosa di simile al tanto
discusso e “famigerato” “Necronomicon” esista sul serio.
Chi
scrive – soprattutto uno degli autori del libro appena pubblicato… – è
profondamente convinto che il grande Howard Phillips Lovecraft non abbia detto
tutta la verità riguardo al “diabolico” Grimoire.
O
meglio, ha solo raccontato “parziali verità”, espressione questa che non è
affatto sinonimo di “menzogne”.
Lovecraft,
non possiamo non tenerne conto, fu estremamente complesso, geniale quanto si
vuole, ma affetto da infiniti “problemi” d’ordine psicologico fin dalla più
tenera infanzia. Preda di ripetuti esaurimenti nervosi forse provocati anche
dalla madre che gli impediva di uscire di casa perché lo riteneva “brutto”,
afflitto da svariati problemi di natura fisica che lo tennero lontano dalle
aule scolastiche, in preda a continue emicranie – causate, sembra dalla caduta
da un’impalcatura in età adolescenziale – Lovecraft visse sempre all’ombra di
figure femminili rappresentate, oltre che dalla madre, dalle zie anch’esse
iperprotettive.
L’unica
altra figura femminile che appare nella sua strana esistenza è Sonia Haft
Greene, con la quale contrae matrimonio nel marzo del 1924.
Uno
stranissimo matrimonio – forse del tutto “platonico”… – durato ben poco ma che
potrebbe aver influito sulla sua produzione letteraria, poiché la Greene era
stata allieva del famigerato Aleister Crowley, la “Grande Bestia”, il
più famoso “mago” del XX secolo.
Ė
quindi abbastanza plausibile che l’infelice unione coniugale del “Solitario
di Providence” – il quale, ricordiamocelo, aveva conosciuto la Greene il 12
Marzo 1921 e per lei, nel 1922, aveva
addirittura scritto il racconto “The Horror at Martin’s Beach”… – abbia
avuto come naturale conseguenza qualche influenza, qualche “ispirazione” per
dar vita alla descrizione, alla cronologia più o meno attendibile, con cui HPL
menziona per la prima il “Necronomicon” proprio in quegli anni, nel
racconto “The Hound”.
Pur
non trascurando l’ipotesi che il “Necronomicon” possa derivare dalla
celeberrima “Clavicula Salomonis”, un Grimoire magico che
Lovecraft avrà molto probabilmente conosciuto nella sterminata biblioteca del
nonno, biblioteca in cui passò quasi
tutti gli anni della sua sofferta adolescenza…
Ma
tra i “Libri dell’Abisso” non potremmo non annoverare anche
l’intraducibile (fino ad ora…) “Manoscritto Voynich”, definito come “il
libro più misterioso del mondo”.
Bruno Ferrante |
Datato
al XV secolo mediante il metodo del C14 applicato all’analisi delle pergamene
che lo compongono, potrebbe essere stato redatto tra il 1404 e il 1438.
Ma
di questa datazione non siamo del tutto certi…
Il
“lieto evento”, la sua nascita, oscilla di molto a seconda delle… preferenze e
del substrato culturale dei vari studiosi che si sono, da circa un secolo,
impegnati nello studio di questo strano reperto.
Compreso
Bruno Ferrante, il quale ha l’indiscusso merito di avere utilizzato un inedito
approccio di tipo storico-informatico dedicato alle curiose raffigurazioni,
botaniche, astronomiche, “mediche”, che lo abbelliscono. Ma non solo…
Le
indagini, le ricerche storico-iconografiche hanno dato vita ad una nuova
ipotesi: nei dintorni del lago Balaton, in Ungheria, è possibile che si
svolgessero singolari pratiche basate su cure idrotermali e fitoterapiche –
forse sotto l’influenza di particolari “congiunzioni astrali” – volte a
superare “difficoltà di concepimento” da parte di alcune auguste regnanti
dell’epoca.
Manoscritto Voynich |
Tale
ipotesi fornirebbe una spiegazione – dotata di un accettabile “spessore
probatorio” – alle curiose raffigurazioni di leggiadre fanciulle, dalle gote
arrossate, a volte con il ventre prominente, immerse in improbabili “vasche” e
“tubazioni” dalle quali esce acqua forse arricchita con i principi attivi
estratti da alcune delle piante visibili nella sezione “Botanica” del “Manoscritto
Voynich”, raccolte e distillate in ben precisi periodi dell’anno,
verosimilmente indicati nella sezione “Astronomica” del misterioso
documento. Chissà? Forse è questa la strada da percorrere…
Manoscritto Voynic, immagine |
Il
“Manoscritto Voynich “ – noto anche come MS408, codice con cui è
catalogato presso la “Beinecke Rare Book and Manuscript Library” dell'Università di
Yale – compare per la prima volta a
Praga, la “magica” Praga dell’imperatore Rodolfo II, la Praga del “mago” John
Dee e del suo del tutto inaffidabile collaboratore Edward Kelley, la Praga
degli alchimisti, la Praga da cui, verosimilmente, venne inviato a Roma per
essere decifrato da quel geniale gesuita “tuttologo” che rispondeva al nome di
Athanasius Kircher, uomo dai molteplici e strani interessi scientifici.
A
Roma, al Collegio Romano, qualcosa successe, forse qualche foglio, qualche
pergamena andò “perduta”, forse non venne mai restituita ai confratelli di
Villa Mondragone, poiché all’appello mancano ben quattordici fogli. Che stiamo
da tempo cercando…
Ci
fermiamo qui, suggerendo ulteriori ricerche “sul campo”, in alcune istituzioni
ecclesiastiche, in sperdute e dimenticate chiese – in particolare nelle loro
cantine… – nelle innumerevoli biblioteche di cui è fortunatamente dotata l’Urbs
aeterna, muta testimone di strane vicende storiche, di intrighi culturali,
di (quasi) insondabili “misteri”…
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