venerdì 27 dicembre 2013

Alla ricerca dell'impossibile. Ecco le mappe del Paradiso

tratto da Il Giornale del 24 dicembre 2012


La British Library pubblica un "atlante" illustrato con tutte le carte dell'Eden: in Persia era un parco di caccia, nel '400 era in Africa

di Aridea Fezzi Price

 

Nostalgia e utopia necessaria all'uomo, sempre altrove, inaccessibile, fuori dal tempo, nella storia della nostra civiltà il Paradiso è stato oggetto di continua ricerca non solo metaforicamente, ma anche come luogo reale potenzialmente identificabile sulla superficie della terra.
Alessandro Scafi, uno studioso appassionato dell'arte della cartografia che insegna Storia della cultura del Medioevo e del Rinascimento al Warburg Institute di Londra da anni si dedica a tappeto allo studio delle mappe del Paradiso esplorando la millenaria ricerca dell'Eden nella tradizione giudeo cristiana senza tralasciare la visione del firdaws e del jannah dell'islam. È nell'antico impero persiano che affondano le radici del termine paradiso: «paridaiza» indicava un parco di caccia per le elites reali, e in seguito «parádeisos» un vasto campo con ruscelli, alberi, fiori e animali per i piaceri dell'aristocrazia. Crollato il grande impero di Ciro sotto la sferza di Alessandro Magno, l'eredità semantica sopravvisse nell'Egitto ellenistico e romano con il greco e l'ebraico in virtù delle traduzioni ordinate da Tolomeo II Filadelfo per arricchire la grande biblioteca di Alessandria, e così fino al «parádeisos en Edem» della Genesi. Radicalmente diverse dalle mappe moderne, fondendo insieme diverse dimensioni temporali - classiche, bibliche, contemporanee - e unendo geografia e storia, le mappae mundi medievali si ponevano come strumenti di meditazione e di arricchimento morale, di qui la difficoltà a descrivere il fascino immenso di queste carte che sotto la lente di ingrandimento costituiscono ognuna e in ogni dettaglio una visione diversa del mondo.
Ci riesce brillantemente Scafi nella sua coltissima rassegna delle Maps of paradise pubblicata in un'elegante edizione illustrata dalla British Library di Londra (pagg. 176, sterline 20). Lo studioso ha compresso anni di ricerche in un erudito distillato di geografia sacra corredando ogni capitolo di un ricco apparato bibliografico.
Emblematica la complessa Hereford Mappa Mundi inglese, attribuita a Richard of Haldingham, un'opera tracciata intorno al 1300 che dipinge un vasto mondi di mostri e meraviglie della natura attingendo a fonti tardo classiche, Plinio in particolare, per illustrare il procedere della «storia» partendo dal paradiso rappresentato come principio in oriente, al mare Mediterraneo che forma l'asse centrale della parte inferiore occidentale della mappa. Della stessa epoca la Ebstorf Mappa Mundi (Germania del Nord) in cui il Giardino dell'Eden è rappresentato in un rettangolo nella parte superiore della carta e che illustra Adamo ed Eva, i quattro fiumi, l'Albero della conoscenza del bene e del male. Affascinante la mappa Catalan Estense (1450-60) in cui l'autore rappresenta l'Eden lungo l'equatore nel Corno d'Africa. In quegli stessi anni il monaco veneziano Fra' Mauro suggerisce l'inaccessibilitá del paradiso come «altrove» ponendo l'Eden in un tondo all'esterno della sua mappa del mondo.
Con la Riforma e la diffusione della geografia tolemaica ritenuta perduta nell'Europa occidentale fino al XV secolo, la funzione cartografica cambia. Con il rapporto spazio tempo definito matematicamente le mappe tolemaiche ignoravano la dimensione storica per prediligere la geografia, come esemplficato nella mappa di Ulm di Lienart Holle, Cosmographia del 1486. I mutamenti teologici incidono sulla rappresentazione del paradiso, per Lutero dopo la Caduta e la maledizione di Dio il giardino dell'Eden è perduto per l'uomo, annullato dal diluvio universale. Dal '500 l'interesse per la geografia sacra si rinnova soprattutto nei circoli protestanti per illustrare alla lettera la Bibbia avviando un nuovo genere cartografico non meno affascinante e intensificando l'antico dibattito sulla ricerca dell'impossibile.

 

 

 

domenica 15 dicembre 2013

Il simbolismo in un cartone animato

di Vito Foschi

Un giorno cercando un cartone animato per il 'capofamiglia', ovvero per il bimbo, mi sono fermato su quello di He-man trasmesso su una tv locale. Erano anni che non lo vedevo, anche se è uno dei pochi di cui ho un ricordo preciso. A parte queste rimembranze, quello che mi ha colpito ad un tratto è stata la presenza sul pettorina del muscoloso eroe di una croce patente rossa. Una croce molto simile a quella templare, ma arrotondata. Sicuramente un caso, nessun intento misterioso da parte degli autori, ma sicuramente una dimostrazione della potenza dei simboli. Alla fine all'eroe si appioppa una croce simil templare. Un altro personaggio del cartone è una specie di maghetto pasticcione, la cui natura è sconosciuta. E' un essere svolazzante apparentemente senza piedi e il cui volto è nascosto da una sciarpa. La curiosità di questo personaggio, spalla comica dell'eroe, è di aver un cerchio disegnata sulla tunica, che sembra richiamare il suo nome che credo fosse Orco. Ma il cerchio può essere anche uno zero e ricordare la carta dei tarocchi chiamato il matto. Un altro caso, un personaggio pazzerello che ha come simbolo lo zero del matto dei tarocchi? Queste le prime riflessioni che mi sono venute in mente, ma ad una seconda analisi mi sono ricordato della tigre che funge da cavalcatura all'eroe. Caratteristica del personaggio è la sua doppia identità, principe imbelle agli occhi di tutti e nascostamente, dopo trasformazione, eroe senza paura e dalla forza erculea. La trasformazione riguarda anche la tigre che accompagna il principe. L'animale agli occhi di tutti è solo un animale da compagnia preda di attacchi di panico, ma dopo la trasformazione diventa la coraggiosa cavalcatura di He-man. Tra l'altro durante la trasformazione acquista anche una sella. Cosa pensare di questa tigre ambivalente? Sappiamo che in genere le cavalcature rappresentano il dominio degli istinti e cavalcarle significa dominare i propri istinti. Quindi il principe imbelle non domina gli istinti e perciò la tigre è vittima di attacchi di panico che sono quelli del principe, mentre quando diventa He-man la tigre è cavalcata e quindi gli istinti domati.
Un altro personaggio curioso, di cui non ricordo il nome è una sorte di maga saggia guida spirituale del gruppo di eroi che ha il potere di trasformarsi in falco e ciò non ci può non ricordare il dio Horus della mitologia Egizia?
Sicuramente tutta una serie di coincidenze, niente di esoterico, testimonianza della potenza viva dei simboli, che spariti dalla cultura ufficiale, vittime del razionalismo e del progressismo si sono rifugiati nella letteratura fantastica. Così mentre la cultura ufficiale continuava a nutrirsi dei suoi paradigmi progressisti, i bambini continuavano ad essere educati ai sacri valori degli eroi, che si chiamino Uomo ragno o He-man e non più di Artù o Orlando.

domenica 8 dicembre 2013

Intervista a Vito Foschi su Fenix















Sul numero di dicembre di Fenix, fra qualche giorno in edicola, potete trovare un'intevista di Simone Leoni e Stefano Ranucci a Vito Foschi sull'Apocalisse di Giovanni.


Atena e il mito di Aracne

di Vito Foschi

La dea Atena, la romana Minerva è dea della sapienza nella mitologia greca, figlia di Zeus che la partorisce già adulta. Fra i tanti miti associati alla dea ci soffermiamo su quello di Aracne che ci permetterà di fare alcune considerazioni. Riassumiamo brevemente il mito.

Aracne era una valente filatrice, che abituandosi ad essere elogiata incominciò a vantarsi di essere non solo la più brava fra i mortali, ma addirittura in grado di gareggiare con gli dei. Atena, dea dai molteplici ingegni, sia muliebri sia guerrieri, protettrice dei filatori, è irritata dalla superbia della donna. Non può sopportare che una comune mortale affermi di essere più brava di una dea nell'arte della tessitura. Sotto forma di vecchia si reca dalla fanciulla e le consiglia di non offendere gli dei. Per tutta risposta Aracne, ribadisce di essere migliore di Atena, al che la dea riprende le sue sembianze e sfida la giovane ad una gara di tessitura. La dea tessé un arazzo rappresentante lo scontro fra Poseidone e la città di Atena, mentre Aracne un'immagine degli amori di Zeus. La dea non potendo ammettere di essere stata sconfitta distrugge l'opera di Aracne e per punirla della sua superbia la trasforma in ragno, costretta a filare in eterno la sua tela. Questo mito evidenzia le capacità muliebri della dea Atena.

La dea è sinonimo di sapienza, tra l'altro nasce dalla testa di Zeus, ma possiede caratteristiche piuttosto varie. È dea guerriera ed è rappresentata spesso con elmo, lancia e scudo. Certo lo scudo potrebbe rappresentare la difesa della sua verginità, quindi potrebbe essere assimilata sempre alle caratteristiche di una dea femminile, ma la lancia è strumento di offesa e quindi questa interpretazione non regge: Atena è anche una dea guerriera. Essendo una dea della sapienza, le sue capacità guerriere non sono guidate dal furore come nel caso del dio Ares, dio della guerra, e la sua protezione è più sulle decisioni tattiche e strategiche. Non a caso è protettrice di Ulisse, soldato valente, ma soprattutto esperto di stratagemmi e in qualche modo diverso dagli altri eroi Achei. Basti pensare al pessimo carattere e all'irascibilità di Achille che lo fa essere rappresentante terreno del dio della guerra.

Ci si chiede perché Atena unisca tutte queste qualità contraddittorie. Il mito di Aracne lega la dea al ragno, che in molte mitologie è legato ai miti della creazione. Il ragno tesse la tela creando un mondo e attende al suo centro lo svolgersi degli eventi. Ogni parte della ragnatela è collegata, ogni elemento della creazione è collegata, come indicato dal famoso detto della tavola Smeraldina, ciò che è in basso è come ciò che è in alto. Il ragno tira le fila della creazione. Ciò fa ritornare in mente un altro mito, quelle delle Parche che governavano il destino degli uomini. Filavano ed ogni filo corrispondeva la vita di un uomo, ne decidevano lo svolgimento e al momento opportuno recidevano il filo, ovvero ponevano termine alla vita dell'uomo. È evidente che le Parche richiamano il simbolismo del ragno.

Qual è il legame fra Atena e il ragno? Atena è una dea che protegge le arti femminili regala l'ulivo alla città di Atene e nello stesso tempo è una vergine guerriera. L’ipotesi più probabile è che la figura della dea sia il risultato di una trasformazione, ad opera dei conquistatori greci, di un’antica divinità femminile adorata da una popolazione organizzata in una società di tipo matriarcale. I greci avendo una cultura patriarcale modificheranno la figura della dea che diverrà figlia di Zeus, ovvero di un dio-padre e quindi sottomessa ad un uomo.

Il legame con il ragno potrebbe lasciar intendere di essere stata, prima della conquista greca, una dea-madre, quindi generatrice del cosmo.

Questo spiegherebbe le varie caratteristiche della dea un misto di una divinità agricola e feconda e di una divinità guerriera, ma mitigata dalla sapienza. Per i greci il dio della guerra è Ares, non a caso una divinità maschile, mentre la bellicosità della dea viene temperata dalla sapienza come si addice ad una divinità femminile. Per i maschilisti greci sarebbe stato inaccettabile una divinità guerriera femminile.

martedì 3 dicembre 2013

Il coraggio di sognare,la vita di Hugo Pratt

Tratto da L'Opinione del 29 novembre 2013

http://www.opinione.it/cultura/2013/11/29/bagatin_cultura-29-11.aspx

di Luca Bagatin

Hugo Pratt, allorquando nel 1967 ideò il personaggio di Corto Maltese, ebbe il coraggio di sognare. Il coraggio di sognare il viaggio, il cammino dell’uomo senza bandiera, senza ideali precostituiti, senza porti sicuri dove rifugiarsi. Il coraggio di rappresentare un eroe-antieroe libertario, che anticiperà quelli che, decenni dopo, diventeranno classici del fumetto moderno quali Dampyr e Dylan Dog. Hugo Pratt e Corto Maltese sono spesso raccontanti dai saggi del professor Luigi Pruneti, scrittore e attuale Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli Alam, oltre che appassionato di fumetti e di letteratura del fantastico.Ne “Il coraggio di sognare – Hugo Pratt fra avventura e mistero”, Pruneti ha voluto raccogliere in un unico volume edito da Tipheret, gli atti di due convegni, tenutisi rispettivamente a Forlì nel maggio 2013 ed a Pesaro nel 2010, dedicati al fumetto ed alla figura di Corto Maltese. Convegni presentati dall’amico Pietro Caruso, già direttore della rivista “Il Pensiero Mazziniano”, ed alla presenza di studiosi del fumetto, della letteratura d’avventura e di viaggio. Un saggio, “Il coraggio di sognare”, che attraverso i racconti dei relatori, ci racconta la vita e l’opera di Hugo Pratt, nato a Rimini da un padre di origini inglesi e da una madre veneziana, la cui vita fu una continua avventura, un continuo spostamento da un capo all’altro del globo terrestre.E ci racconta della sua collaborazione al Corriere dei Piccoli e le sue celebri opere che ebbero come protagonista il suo Corto: da “Corte sconta della arcana” a “Favola di Venezia”, passando per “La casa dorata di Samarcanda”, sino alle più recenti collaborazioni con l’amico ed allievo Milo Manara ne “Tutto ricominciò con un’estate indiana” ed “El Gaucho”. Corto Maltese, un libero marinaio, un po’ come fu Hugo Pratt, alla ricerca dell’arcano, del mistero e dell’esoterico. Una ricerca che porterà l’autore a farsi iniziare alla Massoneria della Gran Loggia d’Italia presso la Loggia Hermes di Venezia nel 1976, a cinquant’anni di età, raggiungendo, pochi anni prima di morire, il Quarto Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, esperienza di cui per molti versi racconterà nelle tavole di “Favola di Venezia”.“Il coraggio di sognare” racconta di questo e analizza gli aspetti culturali e misteriosi del fumetto, ingiustamente ritenuto semplice strumento di sottocultura ed in realtà di grande valore al pari di un saggio, di un’opera teatrale e/o cinematografica ed è davvero una delle poche opere edite in Italia ad affrontare i significati più reconditi dell’opera di Hugo Pratt. Vorrei concludere con un piccolo inciso, a proposito di Hugo Pratt, che purtuttavia è sfuggito ai relatori dei convegni relativi alla sua opera. È un aspetto purtroppo poco conosciuto, che però anni fa quando vidi il film non mi sfuggì. Sto parlando della presenza di Hugo Pratt quale attore nel film noir di Giancarlo Soldi “Nero” del 1992, ovvero tre anni prima della morte di Pratt. “Nero” è tratto dall'omonimo romanzo noir di Tiziano Sclavi, autore del fumetto Dylan Dog e Pratt nel film recita la parte del commissario di polizia Straniero.La presenza nel film di Hugo Pratt è fondamentale, in quanto segna il passaggio del testimone fra l’antico eroe Corto Maltese - il marinaio viaggiatore senza bandiera - ed il nuovo eroe degli anni Novanta e Duemila, Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo pieno di paure e fobie, ma capace di risolvere le angosce delle persone che a lui si rivolgono, in quanto capace di ascoltare il prossimo. E si noti, nel film, come le pareti dell’appartamento dei protagonisti - Federico e Francesca - siano abbellite da stampe tratte proprio dai fumetti di Pratt e Sclavi. Un piccolo cameo che, per gli amanti del fumetto d’avventura e noir, non può certo mancare.

lunedì 2 dicembre 2013

Alcuni cenni alla simbologia femminile del Graal

di Vito Foschi

Il Graal è un simbolo molteplice che racchiude vari significati. È un tramite per la divinità e rappresenta la molteplicità della potenza di Dio. Fra i suoi vari attributi c’è quello di rappresentare il principio creatore e in genere tutto quello che è legato alla vita: guarigione, nascita e rigenerazione. I suoi cantori gli hanno fatto assumere varie forme, calice, pietra, vassoio, ma le sue proprietà di rigenerazione sono costanti. La forma principale con cui è conosciuto il Graal è quello di un calice o in genere un contenitore. Ci soffermeremo su questa forma.



 Se esaminiamo il geroglifico egizio rappresentante la donna vedremo la presenza di un pozzo d’acqua. La donna, sorgente di vita, è legata all’acqua, sorgente di vita per eccellenza ma anche liquido amniotico. Il pozzo d’acqua come grembo materno. Nell’antico Egitto l’acqua assumeva un significato particolare. Le sue capacità agricole dipendevano dalla regolarità delle piene del Nilo. Tutto dipendeva dall’acqua. Non a caso tutte le grandi civiltà si sono sviluppate intorno a corsi d’acqua: il Nilo, il Tevere, il fiume Giallo, il Tigre e l’Eufrate, l’Indo. Nell’antica Mesopotamia una divinità dell’oltretomba chiamata Enki, riempiva di acqua le vasche dei primi templi. Poi semidei in forma di pesce la donavano agli uomini. I fedeli persiani la raccoglievano in anfore e versavano libagioni in coppe approntate dinanzi agli altari. In queste antiche cerimonie religiose, la vasca e il bacile, l’anfora e la coppa rappresentavano la creazione della vita.
Il Graal ha memoria di questi antichi miti. Forse un legame diretto non esiste, ma questi simboli sono universali e portano con sé memoria degli antichi significati. La potenza del simbolo è quella di rappresentare significati universali a tutti gli uomini e di passare indenne attraverso le generazioni umane assumendo nuovi significati ma conservando gli antichi.
Questa simbologia connessa all’origine della vita è indubbiamente legata alla donna e alla sua qualità di generatrice di vita. Il Graal contiene questa simbologia femminile, perché è un dispensatore di vita. In alcune leggende il Graal è legato alla Lancia sanguinante. Il sangue cola nel Calice e la lancia è simbolo maschile per eccellenza. Il Calice, la donna, la lancia, l’uomo, generano la vita e rappresentano l’atto creatore di Dio. Quale migliore rappresentazione della potenza creatrice divina del mistero della generazione di una vita dall’unione di un uomo e di una donna? E, di fatto, in passato quale altro simbolo si poteva utilizzare? Più tardi lo sviluppo della ceramica portò l’immagine di un Dio vasaio. Già nell’antico Egitto fu adottato il simbolo del vaso per significare il verbo creare.


 Il Graal essendo un contenitore possiede anche quest’immagine del vaso come simbolo della creazione divina. Anche il Dio cristiano che crea l’uomo dal fango riprende quella di un dio vasaio. Più tardi nel Medioevo Dio prende il compasso per creare. Il riferimento è all’architettura che allora sviluppava imponenti opere.
Il Graal rappresenta il tutto, perciò racchiude in sé il principio maschile e femminile. A volte reso più esplicito dalla presenza della Sacra Lancia. Simbolo maschile e quindi della guerra. Crea insieme al Graal-donna la vita, ma distrugge i nemici.
Nella tradizione cristiana un collegamento fra la donna e un contenitore esiste nella Litania Lauretana, la Vergine Maria viene descritta come: “Vas sprirituale, vas onorabile, vas insigne devotionis”, ovvero “vaso spirituale, vaso dell’onore, vaso pregiato di devozione”. La Vergine è descritta come un contenitore, il “contenitore” per eccellenza perché ha custodito il Figlio di Dio.
Un esempio di connessione fra il simbolo del vaso e la donna si ritrova nelle decorazioni della chiesa di S. Vitale a Ravenna in cui la regina Teodora viene accomunata ad un vaso. La metafora è sempre quella della donna come contenitore della vita.


Trattando di generazione, il ricordo di antichi culti legata alla Grande Madre, è evidente. La simbologia femminile del Graal è piuttosto forte a scapito di quella maschile, nonostante il tempo trascorso e l’avvento del cristianesimo e del Dio Padre. Anche per questo il simbolo del Graal, nonostante i tentativi di riportarlo all’ortodossia, rimane fondamentalmente un simbolo eteredosso.
Bibliografia
  • L’avventura del Graal di Andrew Sinclair
  • Il segreto dei geroglifici di Christian Jacq

mercoledì 13 novembre 2013

Lex Aurea 49

Vi segnaliamo il numero 49 della rivista esoterica Lex Aurea che contiene un articolo di Vito Foschi di cui potete leggere altri contributi nel blog. Il link da cui poter scaricare è questo qui:

http://www.fuocosacro.com/pagine/lexaurea/lexaurea49.pdf