mercoledì 19 giugno 2019

“L’ERRORE DEGLI DEI”, INTERVISTA ALLA TASSELLI

tratto da "L'Opinione" del 28 novembre 2013

di Luca Bagatin



Patrizia Tasselli, toscana doc, un passato da operaia di fabbrica, appassionata di viaggi, esoterismo e di culture arcaiche, da diversi anni e collaboratrice della rivista di Studi Esoterici “Officinae”, organo ufficiale della Massoneria italiana della Gran Loggia d’Italia degli Alam. Patrizia ha dato alle stampe, alcuni anni fa, un romanzo che abbiamo recentemente recensito, ovvero “L’errore degli Dei”, edito da Giuseppe Laterza, con prefazione dell’ufologo Roberto Pinotti, che è la storia del viaggio di Cassandra, ricercatrice figlia del comandante Fonelli a guida del sottomarino Trieste, misteriosamente scomparso nelle acque del Mar Nero negli anni precedenti alla fine della Guerra Fredda. Un viaggio da Istanbul sino ai confini dell’Iraq, che condurrà la protagonista alla scoperta dell’esistenza di curiosi buchi neri che hanno la proprietà di far precipitare le persone a ritroso nel tempo. Ed ecco che Cassandra scoprirà che suo padre - e tutto l’equipaggio del Trieste - sono in realtà stati sbalzati indietro, nell’Era prediluviana, assieme ad un manipolo di alieni dediti a ricercare l’enzima Nue attraverso esperimenti sul cervello degli esseri umani, che si dice sia in grado di unificare i due emisferi del cervello e, dunque, essere in grado di creare una razza superiore, ove la razionalità dell'emisfero sinistro possa fondersi con l’emotività dell’emisfero destro del cervello. Un’avventura descritta sotto forma di spy-story che, in realtà, racchiude profondi significati simbolico-esoterici e mitologici, ove la scienza moderna si fonde con il mito mesopotamico di Gilgamesh, Re di Uruk, che è stato spesso oggetto di studio dell’autrice. Oggi abbiamo l’amichevole possibilità di intervistare Patrizia Tasselli, la quale ci racconterà, più in dettaglio, com’è nata l’idea di questo libro ed i suoi arcani e reconditi segreti.

Dunque Patrizia, perché non inizi parlandoci un po’ di te? Come è nato, fra l’altro, il tuo interesse per la mitologia e l’esoterismo?

Credo che l’interesse per la mitologia sia nato in me da bambina, leggendo i tanti libri di novelle che fortunatamente i miei genitori e gli zii mi regalavano. Finito Carosello chiudevo la porta della mia cameretta e lasciavo fuori il mondo di campi e fabbriche, piccoli laboratori artigiani ricavati negli scantinati, botteghe di ferramenta dove si vendeva di tutto, chiodi, segatura, ddt sfuso, saponette e profumi. Spaziavo tra “Piccole donne”, “L’uccello di fuoco”, “Il Barone di Münchhausen” e quello rampante di Calvino, fino all’arrivo degli Anni Sessanta, il boom economico, la borsa di studio e la scuola “in città”. La mattina l’Istituto Tecnico e il pomeriggio il corso di taglio e cucito, perché “non si sa mai”, diceva la mia mamma. All’inizio di quegli anni avvenne il mio folgorante incontro con “Civiltà Sepolte” di Ceram e nacque in me la passione per tutto ciò che è antico, primario, fonte, origine. E naturalmente nascosto, come la “mitica” Troia realmente esistita e alla fine scoperta. Quasi un decennio dopo Peter Kolosimo fece il resto con il suo “Non è terrestre”, suscitando definitivamente in me l’interesse verso la cosiddetta archeologia misteriosa, relegata immeritatamente dall’archeologia ufficiale nel ghetto delle pseudoscienze come fantarcheologia o pseudoarcheologia. Durante gli anni mi sono convinta che gli oggetti misteriosi trovati sparsi su tutta la terra - i cosiddetti OOPArt, Out Of Place ARTifacts, oggetti fuori posto - siano la testimonianza di civiltà perdute nell’abisso del tempo o dello spazio. Il passo successivo è stato la lettura delle leggende, o meglio dei miti, in chiave esoterica, ossia nella consapevolezza che contenessero verità nascoste, comprensibili solo a chi fosse disposto a cercare sotto la cenere il fuoco apparentemente spento.

Com’è nata l’idea di scrivere “L’errore degli Dei”?

L’idea di scrivere “L’errore degli Dei” è nata dalla sintesi di tre diversi progetti: un racconto sui viaggi nel tempo, uno sulla vita dei primi “ominidi umanizzati” e, infine, il più intrigante: la mia personale lettura del Gilgamesh. La storia del sottomarino scomparso mi è stata suggerita in un sogno che ho avuto la prontezza di spirito di annotare appena sveglia. Non so perché.

Il tuo romanzo è frutto unicamente della tua fervida fantasia oppure...?

La trama del romanzo è frutto della mia fantasia e per la stesura mi sono avvalsa della mia esperienza di viaggiatrice. Non sono mai stata sul Mar Nero e la mia conoscenza diretta della Turchia è limitata a Istanbul e alla Cappadocia, ovviamente è nulla per quanto riguarda l’Iraq. So tuttavia per esperienza come funzionano certi viaggi improvvisati e come si comunica a gesti con la gente; a volte la mia ignoranza delle lingue straniere mi ha aiutata nell’arte dell’arrangiarsi e in questo senso alcuni passi del romanzo sono autenticamente autobiografici. Ho costruito il viaggio di Cassandra ed Emin tramite Google Earth, osservando attentamente le foto di Panoramio, caricate da utenti non professionisti e per questo più realistiche. Ho fatto mie le curve delle strade di montagna, le autostrade, gli alberghi, le case, i siti archeologici con le loro meraviglie e i villaggi con le loro miserie.

Credi davvero che entità extraterrestri esistano davvero e siano all’origine degli antichi miti e simboli che pervadono l’Umanità?

Qui il discorso si fa più complicato. Sono convinta che entità extraterrestri abbiano non solo visitato il nostro mondo, ma che siano intervenuti nella creazione dell’uomo. Non voglio entrare in argomenti che riguardano la fede che anima i creazionisti e difendo a spada tratta il buon Darwin fino a che, tornando indietro nel tempo, non si arriva alla separazione dell’uomo dalla scimmia, che non sappiamo quando sia avvenuta. Forse la separazione non c’è mai stata, le scimmie sono rimaste scimmie e gli ominidi si sono tutti estinti meno uno, l’Homo Sapiens, e non si capisce perché, visto che se Dio ha creato l’uomo dal nulla era perfettamente inutile. Una spiegazione logica, allo stato attuale della conoscenza, è quella di diversi interventi alieni sul Dna di alcuni individui di varie specie di scimmie. Esperimenti falliti meno uno riuscito, si fa per dire, quello da cui deriva la razza umana. Da qualche anno seguo con interesse gli studi di Mauro Biglino, esperto di lingua ebraica antica e collaboratore per anni con le Edizioni San Paolo per la traduzione della Bibbia, studi che sembrano confermare la mia teoria. Se così fosse è veramente possibile che gli antichissimi miti e i simboli indecifrabili che si riscontrano su tutto il globo terrestre siano la testimonianza non tanto di esseri alieni, ma di coloro che li hanno conosciuti e di cui sono stati forse allievi, forse vittime.

Cassandra, la protagonista del romanzo, possiamo dire che è un po’ il tuo alter-ego?

Certo, Cassandra un po’ mi somiglia, ma soprattutto credo sia la figlia che avrei voluto avere, una che si pone domande e cerca risposte, ma più determinata di me nelle sue scelte.

Come mai sei così affascinata dal poema che racconta la storia di Gilgamesh, Re di Uruk?

Il mio interesse per Gilgamesh ha un’origine davvero curiosa. Stavo in cima a una scala appoggiata alla libreria e spolveravo i libri quando me ne è caduto uno. Sono scesa per raccoglierlo e mi sono accorta che non l’avevo mai letto. Si trattava di una raccolta di racconti egiziani e mesopotamici, tra cui una sintesi del poema di Gilgamesh, che mi incuriosì. Lessi per primo l’episodio della prostituta sacra Shamkhat, che interpretai come il metodo più antico per tenere buoni gli uomini irrequieti, poi lessi la tavola del diluvio. Fui affascinata soprattutto dallo stile del racconto e corsi in libreria a comprare l’opera completa tradotta da Giovanni Pettinato. Mi resi conto che in quel poema antichissimo era contenuta la sostanza di opere scritte in epoche molto più recenti, come la Bibbia, e che Gilgamesh precedeva di gran lunga i poemi di Omero, di Virgilio e Dante, nonché la storia di Siddharta. Solo dopo un’attenta lettura compresi che dietro il racconto delle gesta eroiche del re di Uruk era nascosto non solo un insegnamento etico e sapienziale, ma un vero e proprio messaggio esoterico. Con questa chiave di lettura le avventure di Gilgamesh appaiono come una serie di passaggi iniziatici verso la scoperta del sé. La stupenda allegoria dell’amicizia tra Gilgamesh e Enkidu, l’uno alter ego dell’altro, complementari a se stessi, o meglio due personalità insite nello stesso individuo, rappresenta la complessità dell’animo umano perennemente in bilico tra il bene e il male. Il bene, simbolicamente incarnato da Enkidu, insegna a Gilgamesh l’Amore dopo di che, terminata la sua missione, non ha più motivo di esistere e muore. La morte di Enkidu, divenuto ormai parte integrante di Gilgamesh, non può che rappresentare la morte iniziatica di Gilgamesh stesso che a partire da quel momento comincerà il suo lungo viaggio alla ricerca del senso della vita. Mi sembra che ci siano validi motivi per restare affascinati da questo mito.

Stai già pensando ad un nuovo romanzo, oppure ad un saggio sull’argomento?

Ti dirò che per ora sto fantasticando su un nuovo romanzo che vorrei ambientare nella mitica Atlantide.

Se volete comprare il libro: L'errore degli Dei

La saga di Gilgamesh di Giovanni Pettinato: La saga di Gilgamesh

Mitologia sumerica di Giovanni Pettinato: Mitologia sumerica

sabato 15 giugno 2019

E dalle ceneri risorge la fenice gotica di Gomòria di Carlo Hakim De’ Medici

tratto da: http://www.cacciatoredilibri.com/e-dalle-ceneri-risorge-la-fenice-gotica-di-gomoria-di-carlo-hakim-de-medici/

Un’operazione editoriale benemerita

Eccezionale l’impresa di recupero della Cliquot di Roma che dalle tenebre gotiche del paradiso perduto dei capolavori dimenticati trae il gioiello Gomòria di Carlo Hakim De’ Medici. La prima (ed unica fino ad ora) edizione ormai è prossima a compiere il secolo di vita, anno 1921 per Facchi di Milano, rarissima ai limiti dell’introvabile e posseduta da una decina appena di biblioteche. L’opera originale faceva parte della collana I racconti magici, di cui fu il primo ed unico titolo effettivamente dato alle stampe. Ci fu anche un’edizione di lusso tirata in appena 11 esemplari, probabilmente numerati.

L’operazione di crowdfunding della casa editrice romana non ha reperito i fondi sufficienti al progetto, ma lo stesso è stato comunque portato a compimento, come da intenti. Già nel 2016 e 2017 l’editore si era segnalato per aver ri-dato alle stampe due capolavori come Alla conquista della Luna di Emilio Salgari e Gli esploratori dell’infinito di Yambo. Per  le operazioni di presa diretta del volume e di scansione del testo, l’editore romano si è avvalso della collezione di fantastico italiano di uno dei più grandi collezionisti del genere, anch’egli romano. Dell’opera Cliquot ha stampato 1200 esemplari non numerati e 150 in edizione Deluxe.

Chi fosse Carlo Hakim De’ Medici è materia per pochi. Di lui si ricordano altri romanzi e racconti ascrivibili oggi al genere fantastico, tra cui Nirvana d’amore (Trieste, Bottega d’Arte, 1925) e I topi del cimitero (Trieste, Bottega d’Arte, 1924); quest’ultima è una straordinaria raccolta di racconti.

L’autore fu probabilmente friulano. Si ricordano infatti scritti come Leggende friulane (Trieste, Bottega d’Arte, 1924; stampata ad Udine). Secondo la ricostruzione biografica di Guido Andrea Pautasso nella postfazione al volume, dal titolo Il mistero iniziatico di Gomòria, si evince che Carlo Hakin De’ Medici sarebbe nato a Parigi nel 1887, interessandosi precocemente all’esoterismo iniziatico e sviluppando poi una letteratura erotica-esoterica, sia pur marginale, che comunque seguì il gusto raffinato dei tempi.

Fu fonte di ispirazione per Svevo?

Si ritiene che una copia del romanzo Gomòria possa essere appartenuta a Italo Svevo e comunque il libro andò in mano agli intellettuali dell’epoca, che la esibivano come una “squisitezza” esotica. Scrive Pautasso:

“[…] il lettore di Gomòria potrebbe individuare un parallelo tra il malessere psicologico che affligge Gaetano Trevi, bohèmien dedito all’etere, descritto come un megalomane inetto e incallito fumatore, e le ossessioni, le manie, la gestualità e i caratteri già presenti nei personaggi dei famosi romanzi dello scrittore triestino, Una vita e La coscienza di Zeno [uscito nel 1923], facendo emergere affinità che non sembrano essere dovute al caso.”

Il romanzo esoterico è per sua definizione un espediente dei maestri per poter tramandare segreti alchemici e iniziatici senza manifestarsi apertamente. Una elaborata matrioska a più piani di lettura e comprensione. Il lettore digiuno e il neofita in genere vedono solo un romanzo, più o meno accattivante, più o meno rispondente ai canoni del gusto in voga all’epoca. Ma l’adepto può cogliervi segni e segreti che a sua volta potrà tramandare.

La sua mente allora si sperdette in visioni aurate, le pupille del suo cervello si abbagliarono e i suoi avidi pensieri si arrestarono sopraffatti da una emozione nuova.


mercoledì 12 giugno 2019

Le saghe nordiche raccontate da Neil Gaiman

tratto da "Il Giornale" del 18-11-2018

di Matteo Sacchi

Un lungo viaggio nello spazio e nel tempo. Per visitare tutti i nove mondi: Asgard, la casa di Odino; Alfheim dove vivono gli elfi della luce; Nidavellir dove i nani creano oggetti magnifici; Midgard, la patria degli uomini; Jotunheim, la terra dei giganti del gelo; Vaheim dove vivono i Vanir dei diversi che hanno dovuto piegarsi a Odino; Niflheim, luogo di oscure foschie; Muspell, terra del fuoco; e infine Hel dove vanno i morti che non sono caduti valorosamente in battaglia.

Ecco cosa regala Neil Gaiman ai suoi lettori in Miti del nord (Mondadori). Gaiman non è uno studioso professionale di mitografia norrena. Al grande pubblico è noto per i romanzi, come American Gods e Coraline, o fumetti, come Sandman, o graphic novel, come Mr Punch. Ma a partire da American Gods, libro in cui gli dei nordici vengono raccontati come se vivessero negli Stati Uniti dei giorni nostri, e passando per la sceneggiatura di La leggenda di Beowulf, Gaiman ha mostrato di conoscere molto bene le saghe scandinave, di coglierne la potenza.

Come spiega nell'introduzione di Miti del nord, lo hanno colpito a partire dalla sua infanzia. All'inizio una infatuazione pop dovuta ad uno dei fumetti più belli del geniale Stan Lee (che ci ha lasciato questa settimana) ovvero Thor. Da lì, Gaiman ha continuato a studiare le avventure di Odino, Loki e tutti gli altri Aesir. In questo saggio-antologia, che però ha la scrittura agile di un romanzo, raccoglie i miti tramandati dall'Edda poetica e dell'Edda di Snorri. Con la bravura da divulgatore che gli è propria, accompagna il lettore attraverso le radici, il tronco e i rami di Yggdrasil, l'albero mondo che collega ogni cosa. Se le divinità dei vichinghi si spostano usando Bifrost, il ponte dell'arcobaleno, per i più giovani il ponte verso la dimora di Thor, gli inganni di Loki e il disastro cosmico del Ragnarök potrebbe essere proprio Gaiman. Racconta di come i nani ricostruirono in fili d'oro la chioma della divina e bellissima Sif, proprio come uno scaldo (l'aedo dei vichinghi) alla corte di Ragnar Lodbrok. Il tutto con - a chiusura - un glossario ben fatto.

sabato 8 giugno 2019

Droni e Ufo

Vi riporto un breve estratto di un articolo di qualche anno fa pubblicato sul giornale online "L'Opinione" dal titolo "Nell'anno 2014 la guerra dei droni"  in cui si afferma che gli avvistamenti di Ufo sono da addebitarsi agli esperimenti militari su droni:

"Il drone, per i non addetti ai lavori, è un piccolo aeromobile, controllato a distanza da un pilota. Inventato negli Stati Uniti negli anni Trenta, venne perfezionato durante il periodo della Guerra fredda. Gli archivi storici americani hanno svelato che il fenomeno degli avvistamenti di oggetti volanti non identificati, i famosi Ufo, che avevano ispirato film, libri e alimentato teorie di invasioni di alieni dallo spazio negli anni Cinquanta e Sessanta, altro non erano che voli sperimentali di droni militari americani."

L' articolo è di Paolo Dionisi ed è stato pubblicato il 18 luglio 2014.

Per chi volesse leggere l'articolo nella sua interezza vi lascio il link:

http://www.opinione.it/esteri/2014/07/18/dionisi_esteri-18-07/

Buona lettura.




sabato 1 giugno 2019

“Cangrande, Dante e il ruolo delle stelle” di Maurizio Brunelli

tratto da http://www.cacciatoredilibri.com/cangrande-dante-e-il-ruolo-delle-stelle-di-maurizio-brunelli/

Esce Cangrande, Dante e il ruolo delle stelle, di Maurizio Brunelli (Verona, Gingko Edizioni, 2019).

Sullo stesso argomento, l’autore era già noto per Cangrande 1. della Scala : il sogno di un principe cortese (Foggia, Bastogi Editrice Italiana, 2013).

Dalla scheda editoriale:

“Nessuna persona colta al tempo di Dante dubitava dell’influenza degli “astri” sull’uomo e sulla materia in genere e per questo l’Astrologia era una scienza che veniva insegnata nelle Università. Avrebbe allora potuto un vaticinio astrologico influenzare una famiglia come i Della Scala di Verona, già potente localmente ed emergente nella Lombardia d’allora, a tal punto da pianificare per il figlio più giovane e promettente un progetto ambizioso di espansione territoriale? Un’espansione che avrebbe potuto in seguito assumere le proporzioni di un Regno?

O forse la profezia forniva ad Alberto della Scala, il padre di Cangrande, la conferma delle stelle di un’idea che già egli cullava e che avrebbe potuto realizzarsi solo se dalle stelle ne avesse avuto la consacrazione? Se cioè quel piano avesse avuto un uomo capace di realizzarlo?

Si spiegherebbe così l’insolita determinazione di Cangrande (“in non curar d’argento né d’affanni”) nel realizzare il suo grande progetto.

E potrebbe Dante Alighieri aver conosciuto il vaticinio ed il progetto in occasione del suo “primo rifugio e primo ostello”, ossia della sua prima venuta a Verona? E qualche anno più tardi, una volta constatato che questo progetto non era stato frutto solo di brama di potere ma aveva una natura etica, potrebbe averlo spinto a scegliere di nuovo Verona per seguire da vicino i passi di colui che come Enrico VII pareva essere “l’uomo della Provvidenza”?

L’autore prova a dimostrare tutto ciò. Propone, soprattutto, l’esistenza di questo vaticinio e la reale possibilità che esistesse un oroscopo oggi perduto. Avanza infine la suggestiva ipotesi che Cangrande si sentisse per questo davvero un predestinato dalle stelle e che proprio questa consapevolezza gli avrebbe dato l’energia necessaria al raggiungimento del suo fine.”

mercoledì 29 maggio 2019

Enrique de Villena “el negromante”

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleone.it/enrique-de-villena-appunti-tra-storia-leggenda-e-letteratura/

Enrique de Villena appunti tra storia, leggenda e letteratura


Enrique de Villena (1384 –1434) si è presentato quasi per magia mentre ordinavo degli appunti volanti dopo un pantagruelico pranzo pasquale. A proposito di Gargantua e Pantagruele, a breve un post che avrà a che fare con il lavoro di da François Rabelais, ma non ti “spoilero” nulla per ora.

Torniamo a Enrique de Villena, potrebbe essere il personaggio di un romanzo e queste mie poche righe spesso lasceranno il sentiero della storia per avventurarsi in quello dell’immaginazione e della fantasia. D’altronde immaginazione e fantasia sono alla base di ogni operazione magica.

Una vita tra corte e solitudine quella di Enrique ultimo rampollo della nobile casata degli Aragona, Gran Maestro dell’Ordine militare di Calatrava. Enrique de Villena rinunciò più o meno volontariamente al suo matrimonio – della moglie pare si fosse invaghito il re di Spagna che lo propose per la Gran Maestranza che prevedeva il celibato – e di diede ad un celibato non privo d’amori clandestini e no.

Enrique de Villena è una sorta di Faust ante litteramnella visione di molti, di qui il suo soprannome “il negromante” o “l’astrologo”, per altri è un ciarlatano, per altri ancora un cultore della scienza intesa in senso moderno, traduttore di diverse opere tra cui la Divina Commedia, un letterato poeta che ha ispirato con la sua persona altri letterati e poeti. Probabilmente Enrico era tutto questo, in anticipo di circa cent’anni sul Siglo de Oro. Di Enrique de Villena è citato ad esempio nel El Laberinto de Fortuna o Las Trescientasdi Juan de Mena (1411 – 1456, esponente del dantismo):



Aquel claro padre, aquel dulce fuente,

Aquel que en el Castalo monte resuena,

Es Don Enrique Señor de Villena,

Honra de España, y del siglo presente.

O incluyo, Sabio, Autor muy sciente,

Otra, y aun otra vegada yo lloro,

Porque Castilla perdió tal tesoro,

No conocido delante la gente.

Perdió los tus libros, sin ser conocidos,

Y como en exequias te fueron ya luego,

Unos metidos al ávido fuego,

Y otros sin orden no bien repartidos.


Già il fuoco, fuoco a cui furono condannate le opere di Enrico: il fuoco casuale degli incendi e il fuoco causale della volontà di condannare opere e pensieri.


Dove imparò queste arti? Su tutte ti riporto due ipotesi.


<<Nacido en 1384, nuestro Enrique pasó los primeros veintiocho años de su vida en la corona de Aragón y es allí donde entró en contacto con textos y representantes del esoterismo occidental. Allí fue partícipe del incipiente humanismo catalán de los reinados de Juan I el cazador(1387-1396) y su primo Martín el humano(1396-1410), reyes que protegieron y financiaron las actividades de astrólogos, alquimistas y cabalistas, llegando a contener la biblioteca de Martín I más de tres mil volúmenes (Ryan, 2011: 105-171; Scott Lucas, 2003: XVI). Sólo por mencionar los más representativos, Villena llegó a tener en su biblioteca el Liber Raziel, el Kiranides, el Picatrix, la Agricultura Caldea, obras alquímicas como la Tabla Esmeraldao el Libro de Quintaescenciade Juan de Rupescissa, diversas obras de época alfonsina como el Lapidario, el Libro de los agüeros, el Libro de las formas e ymagenesy diversas obras atribuidas a Hermes Trismegisto como Los secretos de Hermes. Sin embargo, la intromisión de la dinastía castellana de los Trastámara en Aragón en 1412, conocido como Compromiso de Caspe, fue un hecho imprevisto que hizo menos relevante y deseable su presencia en el reino, debiendo moverse a Castilla e interrumpir súbitamente sus tareas intelectuales: “había de estar poco en Valencia y donde entendía tomar mi camino para Castilla y tenía liados mis libros que para ellos tuviera menester” (Carr, Cátedra, 1983: 293)>>.[1]


La seconda ipotesi è più suggestiva, ed è quella che lo ha reso celebre:

Si vuole che Enrique de Villena abbia imparato le arti oscure come la negromanzia nella Cueva de Salamanca– la grotta di Salamanca – con altri sei “studenti” ed avendo come maestro il Diavolo in persona. I sette apprendisti negromanti, erano membri di una setta o società segreta di cui si è persa memoria, in altre versioni di questa leggenda gli insegnamenti erano impartiti da Asmodeo. Non ti dico di più su questa grotta perché nelle prossime settimane sarà oggetto di uno o più post.


Ci sarebbe ancora molto da dire sia su Enrique de Villena sia sulla Spagna, le arti magiche, astrologiche e l’esoterismo occidentale, per oggi può bastare.


Alcune delle opere di Enrique de Villena:

Tratado de astrología
Los doce trabajos de Hércules
Arte de trovar
Ángel Raziel (distrutto)
Libro del aojamiento ó fascinología


Gioia – Salute – Prosperità


[1]CARR, D.; CÁTEDRA, P. (1983) “Datos para la biografía de Enrique de Villena”, La Crónica, 11.2, pp. 293-299. In Mariano Villalba, CÁBALA Y AOJAMIENTO EN EL TRATADO DE LA FASCINACIÓN DE ENRIQUE DE VILLENA, pp. 9-10.

sabato 25 maggio 2019

Dall'eresia al sangue, la storia del lupo come totem culturale

tratto da Il Giornale del 19/11/2018

di Matteo Sacchi

Cosa indossavano i vessilliferi delle legioni romane? Pelli di lupo. In cosa credevano di trasformarsi i guerrieri Berserkir e Úlfheðinn della tradizione norrena durante il voden («furore»)? Lupi o orsi.

Quale animale spadroneggia nelle favole o nelle leggende di santi medievali, come in quella di San Francesco? Il lupo.

In ogni epoca di crisi, rivoluzione francese compresa, la paura prende sempre la stessa forma, quella di lupi immaginari o reali. Il lupo è un animale totem in moltissime culture. Ecco allora che il medievista Riccardo Rao ha scritto un saggio che ricostruisce il lungo percorso del rapporto di amore e odio tra gli uomini e questo canide: Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso (Utet, pagg. 254, euro 18) stando attendo a quanto la percezione del lupo cambi nel tempo. Nel tardo impero romano e nel basso Medioevo il lupo è già un animale mitico, psicopompo, associato alla notte e alle anime dei morti. Anzi, con l'abbandono dei terreni agricoli e il moltiplicarsi delle foreste si crea un ampio spazio in cui il predatore vive indisturbato. Sì è una minaccia per le greggi, ma molto poco per gli umani. Nella mitologia nordica ad esempio prevale il suo essere divino e potente. Per rendersene conto basta guardare i nomi che vanno per la maggiore in alcune popolazioni barbare e derivate da wulf: Wulfila, Ataulfo, Vultulfo, Achiulfo. E anche in Italia vanno di moda Lupo e Lupaldo almeno sino al X secolo. Nasce però anche un lupo mitico che si appoggia alle metafore evangeliche, a partire da Matteo 7,15: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci». Se il lupo reale produce una paura relativa, nell'ambito culturale è sempre più l'incarnazione dell'eretico. Nel XIV secolo, nel piccolo villaggio di Montaillou, sui Pirenei, studiato da Emmanuel Le Roy Ladurie, la gente credeva che i battezzati non potessero essere sbranati dai lupi. E a Firenze tra il XV e XVI secolo ai catecumeni veniva regalato un dente di lupo. E così si capisce come il lupo di Gubbio di San Francesco forse nasconda qualcosa di diverso rispetto a un animale reale. Del resto ammansiscono lupi eretici già Sant'Eustorgio e San Giulio...

Nel frattempo i terreni coltivati avevano ricominciato ad espandersi e i contatti tra uomini e lupi avevano assunto aspetti più cruenti. Dopo l'anno Mille aumentano i racconti di attacchi. Veri o presunti, sono il segno che lo spazio di bosco che separa le due specie si restringe. E nello scontro non può esserci che un vincitore: l'uomo. Ma fu una lotta lunga in cui gli umani potevano essere presi dal timor panico. Capitò spessissimo nel Settecento. In Francia divampò la paura della bestia del Gévaudan, misterioso e gigantesco lupo, a cui vennero attribuite un totale di 136 vittime tra il 1764 e il 1767, o la Bestia feroce di Milano che terrorizzò i contadini attorno alla città nel 1792. Poi pian piano i lupi sono scomparsi e le paure ancestrali sono rimaste soltanto nelle favole e nei miti. Però ora che il lupo torna ad essere un animale relativamente diffuso, in un ambiente estremamente antropizzato, torna il problema di distinguere tra animale reale, miti ancestrali, buonismo animalista e paure eccessive. Tutti aspetti toccati dal libro di Rao, come - tra l'altro - Cappuccetto Rosso, la lupa di Dante e i bambini allevati dai lupi della tradizione tedesca e irlandese... Quindi vi affidiamo ai capitoli del libro e diciamo a Rao: «In bocca al lupo» (editorialmente parlando).