giovedì 15 ottobre 2015

I SENTIERI DI SAN MICHELE

Culti micaelici e antica viabilità sui monti del Chianti
di R. Centri e L. Pecchioni

Sui monti del Chianti il nome di San Michele Arcangelo ritorna costantemente, caratterizzando chiese, eremi, torrenti e la vetta stessa della catena: Monte San Michele, che fino all’inizio del novecento era meta di processioni devozionali. Il contesto geografico è reso coerente dall’esistenza di una strada antichissima, che rappresentava nel medioevo un importante itinerario per i pellegrini e un punto di riferimento per le transumanze. Di essa rimane un avvincente intreccio di sentieri, ricchi di curiosità e scorci suggestivi: un patrimonio culturale che aspetta da molto tempo di essere riscoperto, sia in senso archeologico, sia semplicemente turistico.
Proprio in Chianti, in un eremo dedicato a San Michele, esattamente settecento anni fa nasceva una confraternita le cui costituzioni si sarebbero diffuse in buona parte dell’occidente europeo. I monaci, solo in seguito definiti girolamini, scelsero questi luoghi per rifugiarsi sotto la protezione dell’Arcangelo, come fecero già molti eremiti in precedenza. Per gli autori del presente volume l’anniversario è stato uno stimolo a procedere in una ricerca specificamente dedicata ai culti e alle titolazioni micaeliche del Chianti, argomento raramente affrontato in modo esteso.    

tra gli argomenti trattati:
VIABILITÀ E PROPOSTE SENTIERISTICHE
SAN MICHELE NELLE DONAZIONI PRO-ANIMA
I LONGOBARDI E LE TITOLAZIONI A SAN MICHELE
L'ABBAZIA DI SAN PIETRO E SAN MICHELE DE' MONTI
MONTEDOMINI E ORSANMICHELE
LE TRADIZIONI MICAELICHE TRA IL XVII E IL XIX SECOLO
(...)


giovedì 8 ottobre 2015

Il mistero Gesù

Dove visse Gesù durante l’adolescenza e la maturità, prima di ricomparire, a trent’anni, sulla scena pubblica?
Quelle arcane vicende sono andate veramente così come le hanno narrate i quattro Evangelisti Luca, Marco, Matteo e Giovanni?
Il Cristo sopravvisse alla crocifissione?
Si recò sul serio nel lontanissimo Ladakh ove ancor oggi è visitabile la Tomba di Issa, un predicatore che proveniva dalla Terra Santa?
Che cosa è realmente la Sindone e come si è formata quell’immagine che ricorda il corpo inanime di un uomo?
Chi era quello sventurato “imitatore” di Gesù che rispondeva al nome di Simon Mago?
Chi erano, da dove provenivano – e soprattutto! – quanti erano i Magi che avrebbero portato i doni al Divin fanciullo?
Questo libro è una buona occasione per conoscere qualcosa in più sul personaggio che ha segnato la storia.


Il Golgota racconta. Nascita, «anni perduti», presunti miracoli e morte sulla croce di Gesù
di Roberto Volterri
Scipioni Editore   -  Valentano (VT)
128 pagine

sabato 3 ottobre 2015

“Massoneria e Mediterraneo”

trattoa da "L'Opinione" del 29 settembre 2015 (http://www.opinione.it/cultura/2015/09/29/fossati_cultura-29-09.aspx)

di Gianni Fossati

Vi sono libri che valgono per un titolo che definisce il loro contenuto con una chiarezza implacabile, “Massoneria e Mediterraneo” di Francesca Parisi a cura di Luigi Danesin è molto di più: un testo che approfondisce con rigore i rapporti dell’area del mediterraneo e dei Paesi che vi si affacciano. Un approccio particolare nel quale circola aria nuova e prospettive coraggiose ma reali, nonostante la complessità della materia, in un contesto spesso caratterizzato da un linguaggio che si attarda su considerazioni non sempre supportate da rigore scientifico.

Il libro, uscito in questi giorni per i tipi di Editoriale Programma, prende le mosse dalla felice intuizione del Prof. Franco Franchi già Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia convinto che al tramonto del secondo millennio fosse giunto il momento di rivolgere l’attenzione al Mare Nostrum per risalire alla nostra matrice comune. Questo anche il senso della prefazione di Luigi Danesin che non a casa annette particolare importanza all’Università intesa anche come luogo di formazione dei giovani e della classe dirigente.

D’altra parte ciò che contorna questo grande bacino chiuso in un “habitat” che ha dato origine a civiltà che costituiscono la base stessa della nostra cultura occidentale. L’autrice ha avuto la capacità di offrire al lettore un quadro sufficientemente ampio e diversificato del ruolo che la voce popolare e certa storiografia ha ignorato sul ruolo che la Massoneria ha svolto dal punto di vista geopolitico.

L’affacciarsi di espressioni puntuali riconducibili all’Unione Massonica del Mediterraneo come concreta azione delle Obbedienze Liberali che si affacciano su quelle sponde sembrano condividere la volontà di ricercare la dimensione utile per valorizzare il processo di globalizzazione e ricomporre un tessuto di civile convivenza tra nazioni che si riconoscono in una particolare identità.

Naturalmente non vi è che non veda come la situazione attuale renda utopiche alcune visioni dopo le speranze della Primavera araba che si è trasformata in una stagione di conflitti e di profonde inquietanti incertezze sul corso di una storia che troppo facilmente avevamo creduto avviata verso un progresso in termini di democrazia e diritti. Tuttavia, obiettivo dell’istituzione massonica è proprio quello di superare barriere altrimenti insormontabili.

In questo senso, il richiamo ad Alain de Keghel, già Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Grande Oriente di Francia, appare illuminante rispetto alle sfide del terzo millennio che sembrano quasi impossibili ma sorrette da Franz Kafka, uno dei tragici protagonisti del Novecento europeo: “La vita non cessa d’insegnare, suo malgrado, che non si può mai salvare qualcuno se non con una presenza, e con nient’atro”.

Il bacino del Mediterraneo è tutt’ora distante dall’essere una zona omogenea, esistono infinite disparità che marcano i due mondi e il lavoro da compiere è assai rilevante tuttavia,ancora una volta, come nella esperienza del XVIII secolo l’istituzione di squadra e compasso potrebbe rappresentare un punto di incontro privilegiato dove in nome della tolleranza potrebbero prendere corpo condizioni che consentono di elaborare progetti a misura d’uomo utili alla pacificazione dei popoli.

mercoledì 30 settembre 2015

Appunti per un articolo su Castel del Monte

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: http://micheleleoneblog.blogspot.it/2015/04/appunti-per-un-articolo-su-castel-del.html


Attraversato il portale, il percorso è praticamente obbligato. L’obbligatorietà del percorso, i giochi delle luci e degli accadimenti astronomici lo rendono assai simile ad un labirinto, anzi, lo rendono un labirinto. Labirinto nella sua accezione classica ossia unicursale al pari di quelli rappresentati in molteplici cattedrali e non solo. E nel labirinto, non solo la luce anche le ombre a ricorrersi, a creare una opportunità di scelta, una necessità nel cammino. L’ombra e la luce, destrutturate da ogni valenza morale, sono parte del percorso. Ed ecco che bisogna camminare sul bianco e sul nero, a memoria del massonico pavimento a scacchi, per giungere non alla meta ma solo al passo successivo. La meraviglia ed il senso ritornano forti, perché ad un certo punto, mentre si cammina e si sale bisogna sentire ed utilizzare i sensi quelli fisici e quelli dello spirito. E meravigliarsi di quanto è in noi di luce e tenebra. Ecco allora cosa potrebbe essere, tra le altre cose Castel del Monte un labirinto e in quanto labirinto mandala, in quanto mandala può rimandare allora ad un fiore e se fiore deve essere sia rosa. Se è rosa, non può che essere la Rosa, quella degli iniziati che da un lato genererà i filosofi Rosa+Croce e dall’altro rimanderà ai custodi del Graal. Graal che secondo alcune leggende qui sarebbe custodito.

Gioia – Salute - Prosperità

© Michele Leone

sabato 26 settembre 2015

Sindone, il «giallo» del rattoppo sfuggito agli esperti

tratto da "il Giornale" del 11-04-2009


di Redazione

Ventuno anni dopo la datazione al radiocarbonio, la Sindone di Torino, che l’anno prossimo sarà di nuovo esposta, rimane un mistero. Nessuno è in grado di spiegare come quella immagine si sia formata, e la stessa datazione al medioevo è stata messa in dubbio dalle più recenti scoperte scientifiche. Va in onda alle 18 di questa sera, su Retequattro (con replica domani, giorno di Pasqua, alle 9 di mattina), Il mistero della Sindone, un documentario che presenta con immagini esclusive e tridimensionali gli studi più accreditati sul lenzuolo che secondo la tradizione avvolse il corpo di Gesù rimasto per tre giorni nel sepolcro. Particolarmente interessante è l’intervista a Raymond Rogers, uno degli studiosi coinvolti negli esperimenti al radiocarbonio eseguiti nell’88, scomparso nel 2005 e fino a pochi anni prima convintissimo sostenitore della datazione medioevale. Rogers prima di morire pubblicò su una rivista scientifica e testimoniò in un video le sue ultime ricerche e il motivo che gli aveva fatto cambiare idea. Lo studioso ha potuto provare che proprio nell’angolo della Sindone da dove erano stati prelevati i tre campioni analizzati al radiocarbonio era stato eseguito, tra XIV e XV secolo, un rammendo. I risultati di Rogers sono stati confermati nell’agosto scorso da Roberto Villareal, del laboratorio di Los Alamos, che ha dimostrato come su quel campione di Sindone siano presenti fili di lino e di cotone intrecciati con l’aggiunta di una sostanza gommosa. Dunque la presenza di materiale molto più recente ha falsato l’esperimento, come attesta il documentario e come si può leggere nell’ultimo libro sull’argomento, Inchiesta sulla Sindone (Piemme) scritto dal vaticanista Marco Tosatti.

mercoledì 23 settembre 2015

Le porte degli inferi in Toscana

Dal principe degli etruschi al sommo poeta, luoghi e leggende della discesa nell'Averno

Sin dal tempo degli Etruschi le terre di Toscana e del nord del Lazio sono caratterizzate da una speciale familiarità con l’Inferno. Prima le antiche necropoli con le loro leggende e le loro immagini inquietanti, poi la letteratura dantesca e i suoi sviluppi romantici, hanno consolidato un rapporto che sembra distinguere l’identità toscana, la sua psicologia e il suo immaginario.
Al contempo queste suggestioni si sono concentrate su luoghi assolutamente reali: i numerosi ingressi agli inferi che gli antichi hanno creduto tali utilizzandoli per il loro visionari “andirivieni”.
Dagli orridi montani ai laghi vulcanici, dai borbottii delle pozze solfuree al silenzio delle foreste sacre, questa ricerca si propone di svelare la realtà antropologica del contatto tra Toscana e Inferno e, certo osando un po’, le modalità cultuali e insediative che resero possibile l’esistenza di questi passaggi.

Autore: Bernardo Tavanti
Copertina flessibile: 108 pagine
Editore: Press & Archeos (31 dicembre 2013)
Lingua: Italiano


domenica 20 settembre 2015

Il Santo Graal

di Ingrid H. Shafer



Le leggende del Graal rappresentano una fusione di elementi Cristiani e pre-Cristiani. Motivi comuni delle varie versioni della storia date da Chrétien de Troyes (ca. 1150-1190), Wolfram von Eschenbach (c. 1170-1220), ed altri, comprendono un castello magico, abitato dal castrato Re Pescatore, una vergine che porta il Graal, e un eroe maschile che ricerca il Graal. Il testo irlandese precristiano ''Adventures of Art, Son of Conn'' (Avventure di Art, figlio di Conn) già contiene la maggior parte dei temi della ricerca del Graal. Il Graal stesso è variamente identificato come una coppa luminosa, una boccia, un gioiello e (da Wolfram) una pietra, in grado di donare un'infinità di cibo e bevande. E' una fonte di giovinezza e salute, sorgente di saggezza e verità. Durante una visita con il dio Manannan, il re Cormac (figlio di Art) e la sua famiglia si trovano ad un tavolo coperto da una tovaglia che - all'improvviso - inizia a produrre cibi e bevande a volontà. Nella sua forma cristianizzata, il Graal è stato identificato con la coppa usata da Cristo durante l'Ultima Cena, il contenitore in cui il suo Sangue è stato raccolto da Giuseppe d'Arimatea, e la coppa eucaristica. Il re Pescatore è generalmente associato ad una lancia sanguinante (che lo avrebbe ferito), a sua volta collegata con la lancia del dio celtico Lug e con la lama che ha trafitto il fianco di Gesù in croce.

Riflettendo su questi motivi, Roger Sherman Loomis ha concluso che la tradizione del Graal è celtica in origine, poiché "viola le più elementari regole dell'etica e dei rituali cristiani", e per questo "non sarebbe sorta in ambienti cristiani". Per sottolineare il concetto, egli chiede: ''Come è possibile che una sacra reliquia, o anche solo una comune patena o un ciborio, possa essere affidata ad una amabile fanciulla, e non ad un prete o un sacrestano?"
Rispondendo alla sua retorica domanda, egli conclude: "Non c'è da meravigliarsi se la Chiesa non ha mai riconosciuto i romanzi del Graal come autentici, anzi, ha mostrato sempre sospetto per il loro background non molto ortodosso".

Ovviamente, la storia del Graal, particolarmente nelle sue origini celtiche e secondo la versione di Wolfram, si sposa bene con una teologia che insiste sull'assoluta mascolinità di Dio, l'inferiorità della donna e su una morale che esalta l'ascetismo sessuale. La moderna tradizione cattolica, tuttavia, esalta il ruolo di Maria come "Madre di Dio" (con un termine greco theotokos o "Portatrice di Dio"), e le sue caratteristiche materne, che in passato erano viste nella antica Magna Mater. Ed oggi, trent'anni dopo il II Concilio Vaticano, le donne possono servire come ministri eucaristici.

I modi di interpretare e descrivere il Graal sono molti e controversi; ciò può essere giustificato dal fatto che il tema del Graal cominciò a diffondersi durante il Medioevo, periodo di intenso fermento in fatto religioso e agitazione intellettuale. Il Graal è un potente simbolo che rappresenta insieme la fecondità femminile, la saggezza, la divinità. Non soltanto la portatrice del Graal è quasi sempre una giovane fanciulla, ma il Graal stesso contiene la luminosa immagine di un bambino su di sé o sopra l'ostia che vi è contenuta. Ci vuole un po' di immaginazione per vedere in questa immagine l'archetica connessione tra il Graal-grambo materno, e la storia cristiana dell'Incarnazione-Annunciazione, simboleggiata dalla coppa eucaristica. In questo contesto è interessante notare che Henry e Renée Kahane sostengono che Graal derivi dalla parola greca krater, concetto chiave per gli ermetisti.

E' sicuramente più di una semplice coincidenza il fatto che le leggende del Graal siano nate proprio in un periodo in cui i dibattiti più accesi dell'epoca concernevano il mistero dell'Eucarestia, una controversia che culminò nella promulgazione del dogma della transustanziazione del IV Concilio Laterano del 1215. Nella liturgia, l'Eucarestia diventa "Comunione", il sacro pane sacramentale, cibo spirituale nella forma di pane e vino. Questo sottolineò l'importanza dell'Incarnazione, e della presenza di Dio-nel-mondo, in contrasto con la posizione dei Catari, i quali sostenevano che il mondo e qualsiasi cosa in esso, compreso il matrimonio e la procreazione, erano il "male", e il corpo di Cristo soltanto un'illusione. Per loro. come nelle leggende l'importante era vedere il Graal, così anche solo assistere all'elevazione dell'Ostia consacrata aveva lo stesso effetto di grazia della partecipazione alla Comunione. Dopo una durissima persecuzione, i Catari (anche chiamati Albigesi) furono sterminati. Ironicamente, la loro dottrina dualista non si estinse completamente, ma influenzò la frangia Neo-Platonica dei cattolici con la sua visione negativa della vita e del mondo.

Tra le numerose versioni medievali della Ricerca del Graal, Mircea Eliade considerò il Parzival di Wolfram von Eschenbach come ''la più completa storia e coerente mitologia del Graal''. Eliade fu colpita in particolare dal fatto che deliberatamente Wolfram incluse numerosi motivi orientali, e fece ciò con molto rispetto. Wolfram sostenne che la fonte originaria del suo racconto era una saga Ebraico-Musulmana; il padre di Parzival visse per un po' di tempo in Africa, dove si sposò con una musulmana ed ebbe un figlio; questi viaggiò a lungo in Asia ed Africa; il fratello di Parzival sarebbe presto diventato il celebre prete Gianni, monarca Indiano.
In breve, Eliade nota che


[...] è evidente che il simbolismo del Graal dell'opera di Wolfram e dei suoi successori e lo scenario da loro dipinto, rappresenta una sintesi spirituale che va oltre i contributi delle diverse tradizioni. Dietro il suo interesse nei confronti dell'Oriente, si può intravvedere la profonda disillusione causata dal fallimento delle Crociate, l'aspirazione ad una tolleranza religiosa che avrebbe incoraggiato un avvicinamento al mondo dell'Islam, una profonda nostalgia di una "cavalleria spirituale" [...]


Nella tradizione celtica originaria, tuttavia, e nel racconto di Wolfram, l'amore umano e l'aspirazione alla sessualità sono trattati come valori positivi. In contrasto con il Galahad di Chrétien (che raggiunge il Graal attraverso una vita di ascesi e di rinuncia ai piaceri della carne, mantenendosi un cavaliere vergine - e proprio per questo considerato perfetto), Parzival raggiunge il Graal spirituale pur con la sua amata Condwiramurs. Wolfram considera l'amore nuziale come un misterioso ed potentissimo sacramento.

Inoltre c'è un preciso passo in cui si evidenzia che proprio tramite il suo amore coniugale Parzival diventa degno del Graal. Il ricordo di sua moglie Condwiramurs non solo lo sostiene nel suo vagabondare, ma la sua elezione a Re del Graal è immediatamente seguita da una notte d'amore con la sua Condwiramurs in una tenda della foresta. Wolfram scrive: ''Così, io credo, si prese piacere fino a mezzo il mattino. Da ogni parte l'esercito si fece da presso a guardare [...] Ora non era più tempo di dormire. Il re e la regina si alzarono. Un prete cantò la messa" (Wolfram 802). Dal passo pare ovvio che Wolfram consideri un atto d'amore tra il re e la regina come una valida ragione per ritardare la celebrazione. Qui, come in altre opere epiche, Wolfram rifiuta il fatto che la Chiesa sia la sola mediatrice tra Dio e l'umanità. Proprio questo anticlericalismo può spiegare l'insinuazione che Wolfram fosse in realtà un Cataro.

Così Wolfgang Spiewok, il traduttore tedesco, scrive nel suo commento: ''Wolfram trasforma l'amore romantico cortese (Minne) nel genuino amore coniugale: fondamento del matrimonio, che in questo trova compimento'' e, per Wolfram ''Dio non si incontra (come sostenuto da alcuni chierici) attraverso l'ascetismo e il rifiuto del mondo, ma attraverso le relazioni sociali vissute al servizio di Dio." Secondo Spiewok, è proprio questa visione non dualistica del mondo materiale l'elemento che assicurò a Wolfram una immensa popolarità delle sue opere durante i successivi secoli che precedettero la Riforma. Se Spiewok ha ragione, allora la storia raccontata da Wolfram rappresenta un antidoto popolare al prevalente dualismo del tardo Medioevo.

Fonte primaria:

Wolfram von Eschenbach. Parzival.
Fonti secondarie:

Eliade, Mircea. A History of Religious Ideas Volume 3: From Muhammad to the Age of Reforms. Trans. Alf Hiltebeitel and Diane Apostolos-Cappadona. Chicago: The University of Chicago Press, 1985.
Jungmann, Joseph A. The Mass of the Roman Rite: Its Origins and Development (Missarum Sollemnia). 2. Vols. Trans. Francis R. Brunner. Westminster, ML: Christian Classics, 1986.
Kahane, Henry and Renée. The Krater and the Grail: Hermetic Sources of the Parzival. Urbana: University of Illinois Press, 1965.
Loomis, Roger Sherman. Arthurian Tradition & Chrétien de Troyes. New York: Columbia University Press, 1961.
Markale, Jean. Women of the Celts. Trans. A. Mygind, C. Hauch and Peter Henry. London: Gordon Cremonesi, 1975.
Matarasso, Pauline M., trans. The Quest of the Holy Grail. New York: Penguin Books, 1984.
Matthews, John. The Grail: Quest for the Eternal. New York: Crossroad, 1981.
Neumann, Erich. Die Große Mutter: eine Phänomenologie der weiblichen Gestaltungen des Unbewußten. 1974. Olten: Walter-Verlag, 1985.
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Copyright © 1996, Ingrid H. Shafer.

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