tratto da http://www.centrostudilaruna.it
"Venerdì santo. Nella cappella dei Cavalieri del Graal, sul
“Montsalvat”, Parsifal, il “puro eroe” o “puro folle”, fa ritorno. Egli ha
superato l’inconsapevolezza inerente alla sua stessa innocenza primitiva. Egli
ha resistito alla lusinghe “delle fiori” e di Kundry, la bella creatura del mago
Klingsor, che ottiene redenzione attraverso l’amore. La lancia del Graal che il
re Amfortas aveva perduto peccando, egli l’ha riconquistata nel castello di
Klingsor: è la lancia per la cui ferita sgorgò il sangue di redenzione di Gesù
ma che anche piagò Amfortas, l’indegno e il lussurioso che volle accostare il
Graal. Questa lancia, ora Parsifal la riporta dunque alla roccia del Graal. Al
suo tocco, la ferita ardente di Amfortas scompare e il prodigio del venerdì
santo si compie ancora una volta. Il Graal – che è coppa in cui Gesù bevve
nell’ultima cena e che raccolse il suo sangue divino – si fa luminosa. Dall’alto
scende una bianca colomba – lo Spirito Santo – fra la mistica esaltazione dei
Cavalieri del Montsalvat".
Questa – come tutti sanno – è la trama del
dramma mistico di Riccardo Wagner: solo attraverso il quale i più sanno qualcosa
circa la leggenda del Graal. Dramma mistico al cento per cento, di un devoto
languore cristiano che già provocò l’aspra rivolta del Filosofo del “superuomo”
della “volontà di potenza”, di Federico Nietzsche, contro il suo amico, Riccardo
Wagner. Ma quali sono le fonti da cui Wagner ha tratto il suo dramma? E quali
sono le corrispondenze effettive tra tale dramma e quelle fonti?
A tale
riguardo s’impone un riconoscimento suscettibile ad estendersi anche al rapporto
fra le opere della “Trilogia” wagneriana col contenuto effettivo dell’antica
mitologia nordica. Non vi è adeguazione. Non vi è corrispondenza. Wagner ha
preso degli spunti per formar arbitrariamente un mondo d’arte e di musica che
sta per sé e che, fuor dal suo valor estetico, sotto vari riguardi, fuorvia, più
che non propizi, la comprensione vera dei significati più profondi celati nei
miti e nelle leggende originarie.
Ciò vale anche per il Mistero del
Graal. Le fonti effettive di questa leggenda, provenzali e germaniche, non
concordano che scarsamente con i tratti più salienti del dramma wagneriano.
Parsifal non è un “puro”, egli ha già conosciuto, e “tecnicamente”, Banchefleur
e, in nome della sua vocazione cavalleresca, ha lasciato morire sua madre.
Kundry non è una bella creatura demonica strumento di Klingsor ma una vecchia al
servigio degli stessi cavalieri del Graal. La lancia non è mai stata rapita. In
Wolfram Von Eschenbach il Graal non è una coppa, ma una pietra, e una pietra
“luciferina”: in altri testi, è un singolare oggetto che appare e sparisce ed è
dotato di proprio movimento senza che nulla nemmeno da lontano possa richiamare
il calice dell’Eucaristia. Simboli essenziali, come la spada spezzata e la prova
della spada, il re morto o in letargo e la sua resurrezione, sono stati
tralasciati da Wagner. E così via. Ma oltre a tutto questo è da dirsi che il
contesto dei testi ci mostra che quella del Graal non è una leggenda cristiana
che alla superficie, che i suoi elementi costitutivi sono di ben altra natura e
retrocedono ben più lontano.
La tradizione cattolica, infatti, nulla sa
circa il Graal, e lo stesso dicasi per i primi testi del cristianesimo in
genere.
La letteratura cavalleresca fiorita intorno al Graal si affolla
inesplicabilmente in un breve periodo, suscita un intenso interesse e poi
scompare subitamente: nessun testo è anteriore al primo quarto del XII secolo e
nessuno è posteriore al primo quarto del XIII secolo. Onde, l’impressione che si
ha è quella di qualcosa di sotterraneo affiorato momentaneamente, ma subito
respinto e soffocato da un’altra forza: quasi al titolo di una tradizione
segreta che sotto “spoglie strane” tramandava un insegnamento poco riconducibile
a quello della Chiesa allo stesso modo che la posteriore letteratura dei
cosiddetti Fedeli d’Amore (secondo quanto è risultato dalle ricerche del
compianto Luigi Valli), o la stessa letteratura ermetico-alchemica o, infine la
tradizione stessa dei Templari. E – si noti – Wolfram Von Eschenbach chiama
esattamente i cavalieri del Graal “templeise”, cioè i templari...
Quando
agli oggetti che figurano nella leggenda del Graal: una lancia, una coppa che da
“nutrimento di vita”, o una pietra che ha il potere di designare i cavalieri
atti a rivestire dignità regale – tali oggetti si ritrovano già in tradizioni
precristiane. Tutti e tre, ad esempio, figurano già fra gli oggetti simbolici
che, secondo una leggenda irlandese, la “razza divina” preistorica dei Tuatha
avrebbe portati seco in Irlanda venendo da Avallon, un’enigmatica terra
occidentale che forse è la stessa Atlantide del racconto di Platone. Vi è di
più. La stessa antica tradizione romana presenta singolari corrispondenze. Numa
costituì il collegio sacerdotale dei Salii a custodire un pegno, concesso dal
Cielo, della grandezza dell’impero, pegnum imperii. Questi sacerdoti
erano dodici – come dodici sono i principali cavalieri che custodiscono il
Graal. Essi recavano una hasta o lancea, che è l’alto oggetto
custodito, insieme alla coppa, da quei cavalieri. E di tale coppa, o anche della
pietra regale, che è il Graal, essi hanno l’equivalente, in quanto ché ciascuno
dei Salii ha, insieme alla hasta, un ancile, cioè uno scudo che però il
Dumézil ha dimostrato avere il significato di recipiente che fornisce
l’ambrosia, cioè un mistico nutrimento, proprio come la coppa del Graal o il
recipiente dei Tuatha. E poiché, secondo questa leggenda romana, l’ancile
sarebbe stato ricavato da un aerolito, o pietra divina discesa dal cielo, in ciò
non solo vi è corrispondenza con la pietra regale o “fatidica” dei Tuatha
(pietra che ancora oggi si conserva a Westmister e che è nera, nera come il
misterioso lapis niger dei romani), ma vi è anche un motivo che riporta
alla versione della leggenda del Graal secondo la quale lo stesso Graal sarebbe
stato ricavato da una pietra caduta dal cielo, da uno smeraldo che ornava la
fronte di Lucifero prima della sua rivolta. In più, la leggenda riferisce che,
sotto tale forma, il Graal fu anche perduto da Adamo, fu riconquistato da Seth,
passò in fine nelle mai di Giuseppe di Arimatea, un cavaliere ai servigi di
Ponzio Pilato, il quale, dopo la morte di Gesù, lo portò in una regione che in
alcuni testi reca enigmaticamente proprio il nome della regione atlantica
misteriosa, patria originaria dei Tuatha, la razza divina che già aveva gli
oggetti equivalenti a quelli della leggenda del Graal: nell’Avallon, insula
Avallonis, l’isola bianca, ille blanche. Da qui si sviluppa un nuovo
ciclo di leggende, ove le vicende dei “cavalieri celesti” alla ricerca del Gral
si intrecciano con quelle della corte di Re Artù, cioè con motivi che provengono
da antichissime tradizioni celtiche, se non anche druidiche.
In tutto
ciò si hanno corrispondenze e connessioni che, per chi sa della logica segreta
che sempre presiede alla formazione dei simboli tradizionali, non sono affatto
casuali o stravaganti. La sostanza originaria della leggenda del Graal si
mantiene anche nella sua successiva forma cristianizzata, in quanto ché suo
motivo centrale non è più il “peccato” di Amfortas, né la “tentazione” del “puro
folle”, non qualcosa di “mistico” bensì qualcosa di essenzialmente “regale” e
guerriero: è il motivo del re morto e della spada spezzata da rinsaldare in
connessione ad un’impresa pericolosa e mortale proposta ad un eroe, che,
riuscendo, si eleva ad una dignità trascendente, contrassegnata da questa
singolare formula, che si trova nell’antico testo del Merlin: "Onore e gloria e
potenza e gioia sempiterna al distruttore della morte!"
Julius
Evola
Articolo intitolato Il Mistero del Graal e
apparso sul quotidiano Il Popolo di Roma il 30 marzo 1934.
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
domenica 5 ottobre 2014
domenica 21 settembre 2014
Le Sorelle Fox
In collaborazione con Hesperya
tratto da http://www.hesperya.net/il-ghost-hunting/le-sorelle-fox/
tratto da http://www.hesperya.net/il-ghost-hunting/le-sorelle-fox/
La Nascita dello Spiritismo
di Roberta Faliva

Kate, Leah e Margaret Fox furono tre sorelle statunitensi che giocarono un ruolo fondamentale nella nascita e diffusione nei paesi anglosassoni del movimento spiritista.
Nel 1848 le due sorelle minori, Kate e Margaret, abitavano in una casa situata ad Hydesville, New York, insieme con i genitori. La casa aveva la fama di essere stregata e verso la fine di marzo di quell’anno la famiglia Fox iniziò ad essere spaventata da suoni, simili a colpi o al rumore di mobilio spostato, la cui origine sembrava essere inspiegabile.Secondo le dichiarazioni delle sorelle, durante la notte del 31 marzo, Kate avrebbe sfidato il presunto spirito autore dei rumori a ripetere lo schiocco delle sue dita, e dichiarò di averne avuto riscontro. Allora le sorelle gli avrebbero chiesto di battere tanti colpi quanti erano gli anni della loro età, e anche in questo caso, secondo loro, il presunto spirito avrebbe fatto quanto richiesto. Furono allora chiamati i vicini a testimoniare di quell’evento, e nei giorni successivi venne sviluppato una sorta di codice di comunicazione in cui i battiti era utilizzati per rispondere “sì” e “no” o per indicare precise lettere dell’alfabeto.
Kate e Margaret furono successivamente mandate nella vicina Rochester, Kate presso la sorella Leah e Margaret presso il fratello David, ma il fenomeno dei battiti le accompagnò nelle loro nuove dimore.
Le sorelle Fox divennero così presto famose e iniziarono a tenere sedute pubbliche a New York, suscitando l’interesse di scienziati e studiosi e molto presto la pratica fece il giro di tutti i più famosi salotti. C’era chi lo faceva per noia e chi per scopi di studio, infatti lo spiritismo cominciava ad essere considerato una vera e propria scienza.
In assenza dei “colpi”, per poter operare comodamente nei salotti vennero rispolverati antichi metodi di operatività psichica come quello del tavolino a tre gambe che diventerà in seguito noto come il “tavolino spiritico”. I colpi battuti dai piedi del tavolino si trovarono quindi ad essere adattati al codice di sequenza colpi-alfabeto inventato a suo tempo dalle sorelle Fox.
Era nato lo spiritismo.
sabato 30 agosto 2014
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLE COINCIDENZE
Le Piramidi di Teotihuacán, Giza e Xianyang
Con
i dati oggi in nostro possesso, è facile constatare ed è già stato dimostrato
da diversi studiosi1 che quanto abilmente riportato in queste
immagini, corrisponde a realtà:
![]() | |
Immagine1 elaborata e resa
disponibile da Luca Bernasconi
|
Ingrandendo
i punti di interesse, ci troviamo di fronte ad una situazione ancora più
particolare, di cui la seguente immagine ne è una rappresentazione
significativa:
![]() |
Immagine2 disponibile dal
sito http://onlythechanges.blogspot.it/
|
Sulla
immagine 1 non ci sono dubbi e l’allineamento è facilmente constatabile da
chiunque abbia accesso ad internet ed utilizzi un programma come Google Earth.
Sulla
immagine 2, vi è maggiore difficoltà di riscontro senza mezzi informatici più
specifici, ma per la seguente analisi statistica, basterà fare riferimento
all’immagine 1.
Ciò
premesso, riporto 2 osservazioni lampanti e scientificamente valide per i tre
complessi piramidali più importanti di Messico, Egitto e Cina, rispettivamente
collocati nelle regioni note come Teotihuacán, Giza e Xianyang:
1) sono allineati lungo un’unica linea planetaria;
2) la loro disposizione sul piano è molto simile;
Essendo
le suddette 2 osservazioni state già oggetto di studi approfonditi da parte di
studiosi1 molto più esperti di me, evito di entrare nel merito dei
valori e delle dimostrazioni, lasciando al lettore l’onere ed il piacere di
approfondire gli argomenti.
Il
mio obiettivo è invece quello di trattare statisticamente i dati a
disposizione.
Partiamo
dall’osservazione n°1: qual è la
probabilità che 3 popoli diversi in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi,
costruiscano per pura coincidenza, 3 complessi piramidali allineandoli lungo
una linea planetaria?
Per
comodità dei lettori, riporto alcune semplici definizioni:
a) Probabilità (classica) di un evento: il rapporto fra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili supposti tutti ugualmente possibili
b) Coincidenza (Garzanti): concomitanza spesso casuale di più circostanze
Per
l’analisi statistica, dobbiamo definire l’estensione di un territorio (spazio
campionario) come “insieme” delle probabilità dei luoghi di costruzione e dobbiamo individuare l’estensione spaziale del complesso
piramidale.
Quest’ultimo dato possiamo stabilirlo
come il rettangolo che contiene le 3 piramidi principali di ogni sito (per
brevità lo chiameremo “rettangolo
contenente”).
Ciò
premesso, analizziamo i dati.
L’estensione
del territorio dominato dai costruttori, è noto solo per Giza, purtroppo.
Anche
in questo caso però, non possiamo ritenere idoneo alla costruzione del
complesso piramidale il 100% del territorio dell’impero dell’Antico Regno
(essendo presenti il Nilo, i rilievi, il deserto, etc.).
Per
semplificare la trattazione, assumiamo cautelativamente che solo il 10% del
territorio presentasse caratteristiche idonee alla costruzione: pianeggiante e
con sufficiente capacità di sopportare il carico delle piramidi.
Per
quanto riguarda Giza, abbiamo i seguenti dati:
2) Estensione impero costruttori: circa 300.000 kmq (dato reale)
3) Estensione territorio idoneo: circa 30.000 kmq (ipotesi cautelativa)
Pertanto
la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel kmq di
territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:
PGiza = 0,7/30.000= 0,0023%
PGiza = 0,7/30.000= 0,0023%
attribuiva
la costruzione delle piramidi al popolo dei Toltechi, ma successivamente ha
abbandonato questa ipotesi per abbracciarne altre non meglio definite.

Quindi,
data l’incertezza sulla data di costruzione e sul popolo che l’ha costruita,
possiamo ipotizzare che i costruttori avessero a disposizione un territorio
vasto almeno 100.000 volte l’estensione del complesso piramidale. E’ un’ipotesi
molto conservativa, considerando la complessità, la maestosità e lo splendore
di Teotihuacan, sarebbe infatti lecito pensare che i costruttori dominassero su
un impero ben più vasto (come termine di confronto basti pensare all’estensione
dell’impero Egizio al tempo della costruzione delle piramidi della piana di
Giza, che è più del doppio).
Semplificando i calcoli, abbiamo:
1) Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato reale)
2) Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3) Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)
Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel punto del territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:
1) Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato reale)
2) Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3) Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)
Pertanto la probabilità che i costruttori scegliessero casualmente proprio quel punto del territorio per costruire il complesso piramidale è pari a:
PTeo=1,15/11.500 = 0,01%
Per il complesso di Xianyang, i dati attualmente in nostro possesso sono veramente scarsi (per cause legate a divieti militari del governo cinese), quindi per non interrompere lo studio, prendiamo come riferimento il rettangolo contenente ed i dati ipotizzati per Teotihuacan (nell’attesa di poter definire almeno il rettangolo contenente con più precisione e magari anche l’estensione dell’impero dei costruttori):
1) Estensione rettangolo contenente: circa 1,15 kmq (dato scelto per analogia con Teotihuacán)
2) Estensione impero costruttori: 115.000 kmq (ipotesi cautelativa)
3) Estensione territorio idoneo: 11.500 kmq (ipotesi cautelativa)
PXian = 1,15/11.500 = 0,01%
Pertanto
la probabilità della coincidenza è:
PCoincidneza = PTeo * PGiza * PXian = 0,01% * 0,0023% * 0,01% = 0,0000000023%
Ovvero,
la probabilità che Egizi, Precolombiani e Cinesi in 3 epoche diverse, in 3
continenti diversi, abbiano costruito per pura coincidenza, i 3 complessi
piramidali di Teotihuacán, Giza e Xianyang
allineandoli lungo quella particolare linea planetaria, è pari a circa 2 su
100.000.000.000 (leggasi “due su cento
miliardi”).
C’è
da fare un considerazione (Osservazione
1 bis) a commento di questo risultato: due siti generici sul pianeta Terra
saranno sempre allineati su una linea planetaria. Quindi la vera coincidenza è
data dal terzo sito che viene costruito sulla linea planetaria definita dagli
altri due siti.
Il
calcolo quindi andrebbe fatto per il sito meno antico, ma siccome l’incertezza
sulla datazione di Xian è troppo elevata, possiamo effettuare il calcolo per
l’unico dei 3 siti per il quale abbiamo più dati a disposizione, ovvero Giza.
Ciò
premesso, la probabilità che gli Egizi scegliessero di costruire il complesso
piramidale d Giza proprio in quel punto, allineandolo per pura coincidenza gli
altri due siti piramidali di Teotihuacán, Giza e Xianyang vale:
PGiza Bis = 0,7/30.000 = 0,0023%
Ovvero
circa 2 probabilità su 100.000.
Analizziamo
ora l’osservazione n°2: partendo
dalla probabilità di coincidenza sopradescritta, qual è la probabilità che i 3
popoli suddetti, in 3 epoche diverse in 3 continenti diversi, dopo aver
allineato per pura coincidenza lungo linee planetarie parallele i 3 complessi
piramidali, abbiano disposto le piramidi secondo una geometria simile?
Per
non entrare nel merito della trattazione, rimando agli studi di cui alla nota 1
e mi limito ad inserire le seguenti immagini per sostenere l’ipotesi della
disposizione “molto simile”:

Le
immagini parlano da sole, non ci sarebbe nemmeno bisogno di commentarle, ma
basta osservare che per i 3 siti piramidali vi è l’allineamento delle 2
piramidi maggiori ed il disallineamento della terza piramide, la più piccola.
L’angolo
di disallineamento tra la piramide più piccola e l’asse di allineamento delle
altre due è lo stesso (precisione del decimo di grado) per i 3 siti piramidali.
Nelle
immagini compare la costellazione di Orione, ma non verrà considerata nello
studio delle probabilità di coincidenza.
Anche
in questo caso, dobbiamo stabilire un criterio per determinare uno spazio
campionario.
Un
criterio possibile è quello di suddividere il rettangolo contenente in una
maglia quadrata con estensione di un ettometro quadrato (valore plausibile in
considerazione delle dimensioni di base delle piramidi).
Pertanto
per Giza abbiamo 70 quadrati contenenti all’interno dei quali i costruttori
avrebbero potuto collocare le proprie piramidi (per definizione un quadrato contiene la piramide quando il vertice
della piramide coincide con il baricentro del quadrato).
La
prima piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della
maglia, pari a:
P1Giza = 1/70 =1,43%
La seconda piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:
P2Giza = 1/69 = 1,45%
La terza piramide ha una probabilità di capitare proprio nel punto giusto della maglia, pari a:
P3Giza = 1/68 = 1,47%
Pertanto
la probabilità totale di disporre per pura coincidenza le Piramidi proprio
secondo lo schema attuale è di:
PTGiza = 1,43%*1,45%*1,47% = 0,0003%
Ovvero
ci sono 3 probabilità su un milione.
Ripetendo
i calcoli anche per Teotihuacán e Xianyang , otteniamo:
PTTeo = 0,00007% PTXian = 0,00007%
La
probabilità parziale per l’osservazione 2 vale: 0,00000000000000014%
(Leggasi circa 1 probabilità
su mille milioni di miliardi)
La
probabilità totale che si verifichi contemporaneamente l’osservazione 2 e
l’osservazione 1 è la seguente:
Ptotale bis = 0,0000000000000000000000000032%
(Leggasi circa 3 probabilità
su mille di miliardi di miliardi)
Anche
in questo caso, riportando l’esempio del dado a 6 facce, dovremmo lanciarlo per
29 volte di seguito ed ottenere
sempre 6!
La PGiza Bis equivale a lanciare il dado 6 volte di seguito ed ottenere sempre 6.

Non
appena avrete raggiunto l’obiettivo di ottenere 6 volte di seguito un 6, avrete
capito che la teoria classica è valida. In caso contrario, fatevi qualche
domanda.
E’
doveroso evidenziare il fatto che non ho preso in considerazione l’immagine 2:
infatti se avessi dovuto analizzare anche la probabilità che le singole
piramidi di un sito sono allineate con le corrispettive degli altri 2 siti,
allora credo che avrei avuto difficoltà anche solo a pronunciare il numero che
rappresenta la probabilità di coincidenza totale.
A
questo punto, il lettore esperto di statistica, o il lettore esperto di
archeologia, potranno sollevare numerose obiezioni sulle ipotesi cautelative
che ho dovuto fare per ottenere un valore di probabilità della coincidenza.
Come
per i miei precedenti 2 studi ( http://unina.academia.edu/SimoneScottoDiCarlo ), sottolineo che il mio
obiettivo è dare un ordine di grandezza al problema e non una soluzione
precisa.
Pertanto,
variando i dati in ingresso e variando le ipotesi cautelative, si otterranno
sempre e comunque dei valori di probabilità di coincidenza così piccoli da
indurre a pensare che la teoria archeologica ufficiale è da rivedere.
Oggi
è insostenibile affermare con leggerezza che quanto sopra esposto sia solo una
pura coincidenza: sono i numeri che mettono in forma matematica ciò che la
logica e l’intuito suggeriscono da anni; vi è stata una scelta precisa e non
casuale da parte dei costruttori a Teotihuacán, Giza e Xianyang di allineare i
3 siti piramidali lungo linee planetarie e di disporre le piramidi secondo
geometrie simili.
Negare
questa verità oggi significa sostenere che la Terra è ancora al centro dell’Universo ed il Sole
e le Stelle immutabili le girano intorno.
Ma
se si accetta questa verità, il passo successivo è scoprire chi e quando (e
magari anche perché e come) ha scelto di costruire i 3 complessi piramidali in
3 continenti diversi in quel modo così particolare.
Una
sfida enorme, la cui complessità richiede lo sforzo di ricerca di tutti gli
studiosi ufficiali e di tutti gli appassionati del settore. Collaborare per
capire e scoprire, senza aggrapparsi ai “dogmi archeologici” che stanno
oscurando una delle pagine più belle e più antiche della storia umana.
Pinerolo
Simone Scotto di Carlo
20/08/2014
Nota
1: cito tra tutti, il libro di Fabio Garuti “L’ombra di Orione”.
Fonti:
sabato 23 agosto 2014
Così nacque Godzilla, il mostro più amato
tratto da Il Giornale del 22 agosto 2014
di Gianfranco de Turris
Godzilla compie sessant'anni. È il «mostro» più famoso del cinema mondiale con ventisette seguiti e due rifacimenti americani dell'episodio di esordio: il primo (1998) pessimo, un vero fiasco, nonostante la regia fosse affidata al famoso Roland Emmerich, quello di Stargate e Indipendence Day , che realizzò un Godzilla che assomigliava ad Alien; il secondo uscito da poco e diretto da Gareth Edwards, un esperto di effetti speciali.
Il titanico sauro del Mesozoico apparve nel 1954 nell'omonimo
film di Ishiro Honda, il regista giapponese specializzato nella
fantascienza e nel fantastico. Godzilla, però, non è come ci si potrebbe
aspettare semplicemente una brutta bestiaccia che semina distruzione
realizzata solo per spaventare. Ha un suo preciso valore simbolico.
L'idea venne nel 1952-3 al vicedirettore della società cinematografica
Toho che si chiamava Mori, il quale, come raccontò in una intervista
Honda, pensò «di legare in un film la paura della bomba atomica...
all'apparizione di un mostro preistorico». Tomoyuki Tanaka, produttore
della Toho che aveva ben presenti i film di mostri realizzati negli USA,
la concretizzò. Erano trascorsi appena sette-otto anni
dall'annientamento di Hiroshima e Nagasaki e il ricordo e la paura erano
ancora profondissimi. Nacque così Gojira che in giapponese si pronuncia
Gogilà e che venne trasformato in Occidente in un nome che nella
pronuncia inglese suonasse quasi uguale. Nella intervista citata Ishiro
Honda spiega anche l'origine del termine originale: Gojira è la fusione
dell'inglese gorilla e del giapponese kujira, balena, ed era il
soprannome di un tecnico cinematografico della Toho robusto e tozzo,
passato scherzosamente al mostro.
Tutte queste notizie ce le raccontano Luigi Cozzi e Riccardo Rosati in Godzilla 2014 (Profondo Rosso, pagg. 150, euro 19), un libro che percorre, film dopo film, la storia di questa bestia che terrorizza il mondo, ma soprattutto il Giappone.
Essa infatti, oltre a simboleggiare
la paura dell'atomica, affonda nei ricordi ancestrali del popolo
nipponico e nella sua mitologia: come ci spiega Riccardo Rosati il
pericolo viene spesso da mare nei miti giapponesi, e Godzilla,
risvegliato dagli esperimenti atomici americani nel Pacifico, emerge
dalle acque dell'oceano seminando la morte. Cozzi invece ricorda che dal
punto di vista cinematografico Godzilla ha almeno due
antenati-ispiratori: King Kong (1933) e Il risveglio del dinosauro
(1953).
La saga di Godzilla, con i suoi alti e bassi e differenti registi (ad un certo punto il ciclopico sauro si trasformerà in difensore del Giappone ed in un simpatico mostro amico dei bambini) attraversa tutta la storia del dopoguerra del Paese del Sol levante, descrivendone indirettamente la varie fasi di crescita e di trasformazione economico-sociale, evidenziati da Rosati: 1954-1975, 1984-1995. 1999-2004. La saga di Godzilla va oltre il puro divertimento da ragazzini. Alle sue spalle è possibile vedere qualcosa d'altro: il ricorso ai miti, il messaggio contro i pericoli dell'uso bellico dell'atomo, la descrizione di come si è evoluta/involuta la società giapponese abbandonando le sue tradizioni e sempre più occidentalizzandosi.
di Gianfranco de Turris
Godzilla compie sessant'anni. È il «mostro» più famoso del cinema mondiale con ventisette seguiti e due rifacimenti americani dell'episodio di esordio: il primo (1998) pessimo, un vero fiasco, nonostante la regia fosse affidata al famoso Roland Emmerich, quello di Stargate e Indipendence Day , che realizzò un Godzilla che assomigliava ad Alien; il secondo uscito da poco e diretto da Gareth Edwards, un esperto di effetti speciali.
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Tutte queste notizie ce le raccontano Luigi Cozzi e Riccardo Rosati in Godzilla 2014 (Profondo Rosso, pagg. 150, euro 19), un libro che percorre, film dopo film, la storia di questa bestia che terrorizza il mondo, ma soprattutto il Giappone.
La saga di Godzilla, con i suoi alti e bassi e differenti registi (ad un certo punto il ciclopico sauro si trasformerà in difensore del Giappone ed in un simpatico mostro amico dei bambini) attraversa tutta la storia del dopoguerra del Paese del Sol levante, descrivendone indirettamente la varie fasi di crescita e di trasformazione economico-sociale, evidenziati da Rosati: 1954-1975, 1984-1995. 1999-2004. La saga di Godzilla va oltre il puro divertimento da ragazzini. Alle sue spalle è possibile vedere qualcosa d'altro: il ricorso ai miti, il messaggio contro i pericoli dell'uso bellico dell'atomo, la descrizione di come si è evoluta/involuta la società giapponese abbandonando le sue tradizioni e sempre più occidentalizzandosi.
Alla ricerca di chi avvelenò Rudolf Steiner
tratto da Il Giornale del 18/08/2014
di Luca Negri
Gli anni che precedettero e videro l'esplosione delle due guerre mondiali, paiono avere un retroscena occulto poco indagato dalla storiografia ufficiale
I lavori pionieristici di Giorgio Galli, Nicholas
Goodrick-Clarke e René Alleau hanno fatto un po' di luce sulle radici
esoteriche, o meglio sataniche, dell'ideologia nazista, ma ancora molto
rimane da capire. Da diversi anni anche lo studioso romano Andrea
Franco, laureatosi con una tesi sul pensatore tradizionalista René
Guénon sotto la supervisione del filosofo cattolico Augusto Del Noce,
scrive saggi e tiene incontri pubblici proprio su questi argomenti.
Dunque non potevano mancare nel suo libro Chi ha avvelenato Rudolf Steiner? (pag. 205, euro 13,90) fresco di stampa per Uno editori. Si tratta di una biografia, molto accurata e documentata, del filosofo, occultista e pedagogista austriaco, fondatore dell'Antroposofia, nato nel 1861 e mancato nel 1925. È appunto il mistero dietro la sua morte, probabilmente non naturale, come suggerisce il titolo, ad occupare un buon numero di pagine. Steiner infatti dovette abbandonare prematuramente la terra, e il movimento antroposofico in un momento molto delicato della sua storia, perché fu avvelenato. Almeno così riportano molte testimonianze di suoi collaboratori. L'ipotesi è abbastanza credibile, dato che aveva molti nemici, sia dentro la Chiesa cattolica e sia fra i militanti del movimento nazista ancora ai primordi. Da tempo Steiner affermava che il cristianesimo rosacruciano, di cui si considerava un continuatore, avrebbe sempre trovato un avversario accanito nel gesuitismo.
Infatti alcuni membri della Compagnia di Gesù non si risparmiarono
calunnie mezzo stampa ai suoi danni. Inoltre, l'incendio che distrusse
il Goetheanum, tempio dell'Antroposofia costruito interamente in legno
a Dornach in Svizzera, fu opera di un malcapitato (morì fra le fiamme
nell'impresa) aizzato da sacerdoti gesuiti. Avversari ancora più
agguerriti degli antroposofi erano però i cosiddetti ariosofi che
fondevano dottrine esoteriche, paganesimo germanico e razzismo. Da
quella fucina uscì il Nazismo e non stupisce che Hitler criticò Steiner
fin dal 1921, con la poco originale accusa di essere un agente
dell'ebraismo. Dal canto suo, Steiner poco prima della dipartita aveva
profetizzato che nel 1933 si sarebbe manifestata la Bestia
dell'Apocalisse. Sarà una semplice combinazione, penseranno gli storici
ufficiali, ma è noto che proprio in quell'anno il Fürer prese il potere.
di Luca Negri
Gli anni che precedettero e videro l'esplosione delle due guerre mondiali, paiono avere un retroscena occulto poco indagato dalla storiografia ufficiale
Dunque non potevano mancare nel suo libro Chi ha avvelenato Rudolf Steiner? (pag. 205, euro 13,90) fresco di stampa per Uno editori. Si tratta di una biografia, molto accurata e documentata, del filosofo, occultista e pedagogista austriaco, fondatore dell'Antroposofia, nato nel 1861 e mancato nel 1925. È appunto il mistero dietro la sua morte, probabilmente non naturale, come suggerisce il titolo, ad occupare un buon numero di pagine. Steiner infatti dovette abbandonare prematuramente la terra, e il movimento antroposofico in un momento molto delicato della sua storia, perché fu avvelenato. Almeno così riportano molte testimonianze di suoi collaboratori. L'ipotesi è abbastanza credibile, dato che aveva molti nemici, sia dentro la Chiesa cattolica e sia fra i militanti del movimento nazista ancora ai primordi. Da tempo Steiner affermava che il cristianesimo rosacruciano, di cui si considerava un continuatore, avrebbe sempre trovato un avversario accanito nel gesuitismo.
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sabato 2 agosto 2014
Dai dolmen a Palladio, i segreti (ancora utilissimi) dell'architettura invisibile
tratto da Il Giornale del 24 luglio 2014
Pubblicato anche in italiano il libro dell'architetto francese che spiega come progettare le abitazioni in armonia con le forze della natura. Grazie alle conoscenze interdisciplinari degli antichi
di redazione
Finalmente pubblicata in italiano la «summa» dell'antica sapienza del costruire in armonia con le energie della terra e dello spazio. Dai dolmen ai templi egizi, dall'arte medievale a Palladio, il libro «L'archiettura invisibile» (Georges Prat, Edizioni DBS Zanetti, 36 euro) è un viaggio nella storia dell'architettura che svela i segreti di una vita più sana.
C'è infatti un'architettura invisibile celata dietro alcune tra le più celebri opere create dall'uomo nel corso della sua storia. Ed è questa architettura a rendere tali opere luoghi «speciali, energetici», centri in cui mistero e misticismo si intrecciano e permeano ogni pietra. Da Stonehenge a Carnac, dalla cattedrale di Chartres al complesso templare di Luxor, da Mont-Saint-Michel al tempietto palladiano di Villa Barbaro a Maser: ecco alcuni dei capolavori di uomini vissuti in secoli diversi e lontani per cultura, luoghi di provenienza e lingua ma uniti dalla comune conoscenza di un sapere antico.
Lo racconta, dati alla mano, il francese Georges Prat: poliedrica figura di architetto, urbanista le cui decennali ricerche nel campo della radioestesia e della geobiologia hanno dato vita a una collana di pubblicazioni che ha avuto grande successo in Francia e in altri Paesi d'Europa.
Il primo di questi volumi, «L'architettura invisibile» è stato pubblicato in francese nel 1999, è ora disponibile in italiano, pubblicato dall'Associazione Avalon nelle Edizioni DBS Zanetti. L'impaginazione e la traduzione, a cura di Anna Maria Amabile e Alessia Martinazzo, riprendono in modo fedele l'opera originaria e sono stati seguiti dallo stesso Prat.
L'opera aiuta a capire perché - dall'antichità ad oggi - furono scelti proprio certi luoghi e non altri per la costruzione di alcuni monumenti e perché venne dato loro un determinato orientamento o una certa forma. Sono interrogativi la cui risposta si traduce oggi in supporto per la scelta dei luoghi e dei modi in cui costruire. Essere consapevoli di queste informazioni significa - spiega Prat - recuperare conoscenze remotissime, riscoperte dopo l'oblio degli ultimi quattro secoli. Non solo: significa soprattutto realizzare edifici sani, in armonia con le forze dell'ambiente in cui si trovano e capaci di trasmettere benessere a chi li vive.
Afferma Prat nell'introduzione: «L'essere umano è un microcosmo, un piccolissimo campo spazio-temporale al centro di un gigantesco macrocosmo di cui subisce le influenze. L'uomo è immerso in un campo di energie che provengono dalla Terra e dallo Spazio. L'equilibrio di questi irraggiamenti determina la sua salute, mentre le perturbazioni prodotte dal sottosuolo del nostro pianeta generano degli squilibri e degli stati di debolezza favorevoli all'insorgenza di malattie».
Dobbiamo ricordare, secondo Prat, che certe proporzioni regolano l'intero universo: la crescita di un essere umano e lo sviluppo di una pianta come le distanze tra i pianeti. Queste nozioni erano conosciute dagli antichi che - dimostra Prat - seppero utilizzarle coniugandole ad astrologia, matematica e geobiologica per riconoscere le energie cosmotelluriche e usarle per curare fisicamente gli uomini ed elevarli spiritualmente.
Il volume, 336 pagine a colori e copertina cartonata, si apre con un'introduzione al mondo delle energie sottili applicate sia all'uomo che al pianeta terra (geobiologia). Dopo aver ricordato alcune tradizioni orientali da sempre attente a questo aspetto, Prat riporta anche le ricerche più significative di alcuni scienziati e medici occidentali (Kirlian, Bovis, Hartmann...) dedicate all'ambito energetico e vibratorio.
Queste conoscenze sono però solo il punto di partenza di un'indagine originale e appassionata, che rilegge sotto nuova luce numerosissimi luoghi, religiosi e non, appartenenti a epoche e culture diverse (menhir, chromlech, allineamenti, dolmen e calvari, ma anche piramidi, tumuli, templi, santuari buddisti, sinagoghe, moschee e chiese romaniche e ogivali), di ciascuno dei quali l'autore ci fornisce accurati rilievi geobiologici.
Attraverso di essi Prat dimostra come l'edificazione dei luoghi altamente energetici sparsi su tutto il globo (siano essi dei semplici menhir o delle maestose cattedrali gotiche) sia sempre sorretta da un'architettura invisibile. Ciò significa che gli antichi sapevano rilevare ed utilizzare le energie telluriche (potenziate talvolta da tracciati regolatori basati sul numero aureo) a beneficio del popolo o dei fedeli.
Ma quali sono queste energie che l'autore ci invita a riconoscere nei luoghi vibratori?
In primo luogo l'irraggiamento sulla superficie terrestre delle reti dei metalli: dai più abbondanti come il nichel (rete Hartmann) e il ferro (rete Curry) ai più preziosi come l'oro, portatori ciascuno di effetti nocivi o curativi per l'uomo. Ma anche l'interferenza dovuta a faglie e correnti d'acqua sotterranee, la presenza di «camini cosmotellurici» e l'esistenza di flussi sacri che collegano vari luoghi di culto tra loro. L'appendice all'edizione italiana infine è dedicata all'opera di Andrea Palladio ed è corredata dai rilievi geobiologici di vari palazzi e chiese di Venezia e Vicenza.
Nell'architettura sacra nulla è lasciato ai capricci del caso, ci insegna Georges Prat. Gli antichi costruttori sapevano come armonizzare le energie provenienti dal sottosuolo e quelle venute dal cosmo al fine di elevare spiritualmente l'umanità.
A noi uomini e donne del presente non resta che riscoprire l'antica saggezza, anche grazie a quest'opera.
Pubblicato anche in italiano il libro dell'architetto francese che spiega come progettare le abitazioni in armonia con le forze della natura. Grazie alle conoscenze interdisciplinari degli antichi
di redazione
Finalmente pubblicata in italiano la «summa» dell'antica sapienza del costruire in armonia con le energie della terra e dello spazio. Dai dolmen ai templi egizi, dall'arte medievale a Palladio, il libro «L'archiettura invisibile» (Georges Prat, Edizioni DBS Zanetti, 36 euro) è un viaggio nella storia dell'architettura che svela i segreti di una vita più sana.
C'è infatti un'architettura invisibile celata dietro alcune tra le più celebri opere create dall'uomo nel corso della sua storia. Ed è questa architettura a rendere tali opere luoghi «speciali, energetici», centri in cui mistero e misticismo si intrecciano e permeano ogni pietra. Da Stonehenge a Carnac, dalla cattedrale di Chartres al complesso templare di Luxor, da Mont-Saint-Michel al tempietto palladiano di Villa Barbaro a Maser: ecco alcuni dei capolavori di uomini vissuti in secoli diversi e lontani per cultura, luoghi di provenienza e lingua ma uniti dalla comune conoscenza di un sapere antico.
Lo racconta, dati alla mano, il francese Georges Prat: poliedrica figura di architetto, urbanista le cui decennali ricerche nel campo della radioestesia e della geobiologia hanno dato vita a una collana di pubblicazioni che ha avuto grande successo in Francia e in altri Paesi d'Europa.
Il primo di questi volumi, «L'architettura invisibile» è stato pubblicato in francese nel 1999, è ora disponibile in italiano, pubblicato dall'Associazione Avalon nelle Edizioni DBS Zanetti. L'impaginazione e la traduzione, a cura di Anna Maria Amabile e Alessia Martinazzo, riprendono in modo fedele l'opera originaria e sono stati seguiti dallo stesso Prat.
L'opera aiuta a capire perché - dall'antichità ad oggi - furono scelti proprio certi luoghi e non altri per la costruzione di alcuni monumenti e perché venne dato loro un determinato orientamento o una certa forma. Sono interrogativi la cui risposta si traduce oggi in supporto per la scelta dei luoghi e dei modi in cui costruire. Essere consapevoli di queste informazioni significa - spiega Prat - recuperare conoscenze remotissime, riscoperte dopo l'oblio degli ultimi quattro secoli. Non solo: significa soprattutto realizzare edifici sani, in armonia con le forze dell'ambiente in cui si trovano e capaci di trasmettere benessere a chi li vive.
Afferma Prat nell'introduzione: «L'essere umano è un microcosmo, un piccolissimo campo spazio-temporale al centro di un gigantesco macrocosmo di cui subisce le influenze. L'uomo è immerso in un campo di energie che provengono dalla Terra e dallo Spazio. L'equilibrio di questi irraggiamenti determina la sua salute, mentre le perturbazioni prodotte dal sottosuolo del nostro pianeta generano degli squilibri e degli stati di debolezza favorevoli all'insorgenza di malattie».
Dobbiamo ricordare, secondo Prat, che certe proporzioni regolano l'intero universo: la crescita di un essere umano e lo sviluppo di una pianta come le distanze tra i pianeti. Queste nozioni erano conosciute dagli antichi che - dimostra Prat - seppero utilizzarle coniugandole ad astrologia, matematica e geobiologica per riconoscere le energie cosmotelluriche e usarle per curare fisicamente gli uomini ed elevarli spiritualmente.
Il volume, 336 pagine a colori e copertina cartonata, si apre con un'introduzione al mondo delle energie sottili applicate sia all'uomo che al pianeta terra (geobiologia). Dopo aver ricordato alcune tradizioni orientali da sempre attente a questo aspetto, Prat riporta anche le ricerche più significative di alcuni scienziati e medici occidentali (Kirlian, Bovis, Hartmann...) dedicate all'ambito energetico e vibratorio.
Queste conoscenze sono però solo il punto di partenza di un'indagine originale e appassionata, che rilegge sotto nuova luce numerosissimi luoghi, religiosi e non, appartenenti a epoche e culture diverse (menhir, chromlech, allineamenti, dolmen e calvari, ma anche piramidi, tumuli, templi, santuari buddisti, sinagoghe, moschee e chiese romaniche e ogivali), di ciascuno dei quali l'autore ci fornisce accurati rilievi geobiologici.
Attraverso di essi Prat dimostra come l'edificazione dei luoghi altamente energetici sparsi su tutto il globo (siano essi dei semplici menhir o delle maestose cattedrali gotiche) sia sempre sorretta da un'architettura invisibile. Ciò significa che gli antichi sapevano rilevare ed utilizzare le energie telluriche (potenziate talvolta da tracciati regolatori basati sul numero aureo) a beneficio del popolo o dei fedeli.
Ma quali sono queste energie che l'autore ci invita a riconoscere nei luoghi vibratori?
In primo luogo l'irraggiamento sulla superficie terrestre delle reti dei metalli: dai più abbondanti come il nichel (rete Hartmann) e il ferro (rete Curry) ai più preziosi come l'oro, portatori ciascuno di effetti nocivi o curativi per l'uomo. Ma anche l'interferenza dovuta a faglie e correnti d'acqua sotterranee, la presenza di «camini cosmotellurici» e l'esistenza di flussi sacri che collegano vari luoghi di culto tra loro. L'appendice all'edizione italiana infine è dedicata all'opera di Andrea Palladio ed è corredata dai rilievi geobiologici di vari palazzi e chiese di Venezia e Vicenza.
Nell'architettura sacra nulla è lasciato ai capricci del caso, ci insegna Georges Prat. Gli antichi costruttori sapevano come armonizzare le energie provenienti dal sottosuolo e quelle venute dal cosmo al fine di elevare spiritualmente l'umanità.
A noi uomini e donne del presente non resta che riscoprire l'antica saggezza, anche grazie a quest'opera.
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venerdì 1 agosto 2014
MEYRINK Le seduzioni del Diavolo
tratto da Il Giornale del 21 novembre 2005
di Marino Freschi
Gustav Meyrink (1868-1932) è una delle personalità più affascinanti della letteratura minore del Novecento, potremmo definirlo come uno dei simboli della Praga Magica, inventata da lui e codificata dal nostro Angelo Maria Ripellino. Già la sua vita è un romanzo magico: nasce a Vienna, figlio di unattrice di straordinaria bellezza e di un padre segreto, forse un ministro, forse un principe regnante. Cresce a Praga allevato dalla nonna materna. Economicamente ben provvisto, è un giovanotto molto intraprendente in affari finanziari e galanti: fonda una banca, ma viene arrestato per presunti illeciti. Laccusa si rivela infondata, giustificata dal risentimento di un marito a ragione geloso. Durante il suo incarceramento, listituto di credito fallisce sulla scia dello scandalo.
Meyrink è distrutto, decide di farla finita, sta per suicidarsi quando dalla fessura delluscio di casa un fattorino getta un volantino di un catalogo di pubblicazioni occultistiche. Per Meyrink è il segno e la svolta per rifondare la propria esistenza. Diventa un esoterista e insieme uno scrittore. Con una scrittura strana e ambivalente. Lamarezza accumulata nelle imperialregie galere gli ispira novelle animate da un irresistibile estro grottesco, che pubblica sul Simplicissimus, la principale rivista satirica della Germania guglielmina, che ospitò anche lesordiente Thomas Mann. Negli anni di guerra si rivela la sua impetuosa vena di romanziere, con una fitta serie di romanzi, tra cui, nel 1915, Il Golem, un intramontabile best-seller, un autentico capolavoro della narrativa fantastica, un racconto che ha definitivamente consolidato la svolta espressionistica in letteratura e nel cinema con lomonimo film del 1920 di Paul Wegener.
Meyrink aveva lasciato Praga per stabilirsi in un ameno paesetto bavarese, ma la città boema rivive sempre più intensamente nella sua scrittura rapida, straripante, espressionistica, coinvolgente, che diviene suggestiva e trascinante fino a elevarsi a una dimensione magica, fortemente pervasa da una cultura occultistica, che lui praticava e predicava con successo e convinzione, divenendo uno dei principali esponenti dellesoterismo mitteleuropeo, tradotto e introdotto in Italia da Julius Evola. Lattività pubblicistica ed editoriale è così frenetica che il romanzo Langelo della finestra dOccidente, del 1927 - ora ripubblicato da Adelphi (pagg. 459, euro 16) in una nuova e bella traduzione di Dora Sassi e Giusi Drago - è scritto almeno a quattro mani. Infatti gran parte del racconto è opera - accertata dalla critica - di Alfred Schmitt-Noerr, uno studioso affine spiritualmente e vicino di casa di Meyrink.
Il romanzo risulta tutto sommato unitario e linteresse narrativo regge per tutto il racconto. Linvenzione del romanzo è giocata su due dimensioni temporali: quella di Sir John Dee, matematico, astrologo e alchimista dellInghilterra elisabettiana e della Praga di Rodolfo II, e quella contemporanea dello scrittore. La trama duplice è unificata dallesperienza della reincarnazione e di una sofferta avventura iniziatica, cui è destinata la stirpe di John Dee, per cui il romanzo è un esempio - didattico - sulle insidie che minacciano leletto sulla via del risveglio. Il tema del tempo percorre lintero racconto, mescolando con intrigante sapienza narrativa passato e presente, come riconosce il protagonista, scoprendo di essere anche lo studioso elisabettiano: «Il passato è divenuto presente! Il presente è il sommarsi di tutto il passato in un attimo di consapevolezza, oppure è nulla. E poiché questa consapevolezza - questo ricordo - si desta ogni qualvolta lo spirito la chiama, ecco che leterno presente vive nella corrente del tempo». Certo, un mito, ma anche una forte intuizione sul senso dellindividuo, così stretto nelle sbarre di unesistenza singola.
Dopo tanto Signore degli Anelli e Harry Potter - anche questultima opera molto meno «ingenua» di quanto si possa credere, tributaria di segrete suggestioni culturali - la prospettiva magica è ormai acquisita, anche se in Meyrink veniva sublimata nelle figure tradizionali della cultura esoterica del Primo Novecento - quella di Guénon e di Evola -, con il principio demonico della Donna, che è metafisicamente il Due, Satana, la corrosione del nucleo aureo delliniziato, non ancora assurto alla dignità delladepto, che ha realizzato pienamente la sua vocazione esoterica. Dunque, Langelo della finestra dOccidente è romanzo storico e insieme racconto fantastico, ma anche esempio stravagante del romanzo diniziazione, costellato di prove e di incontri fatali, che sintrecciano nella trama quotidiana, che viene continuamente sollevata nel misterioso firmamento dello scontro tra le potenze solari della salvazione e quelle notturne e demoniache della disintegrazione. E come spesso avviene le figure del male sono le più vive, talvolta perfino più simpatiche - come lantiquario moscovita Lipotin del Golem, anche lui reincarnazione di tutti i suoi antenati, ovviamente tutti fedeli servitori dello zar.
Cè poi la seducente principessa caucasica Assja Chotokalungin, che non può non ricordare unaltra femme fatale della letteratura tedesca di quegli anni: Clavdia Chauchat, la bella russa caucasica della Montagna incantata. E questi due romanzi, sorti quasi contemporaneamente, sono a modo loro due racconti ditinerari iniziatici, come ebbe a riconoscere Mann in una celebre conferenza a Princeton. Ma se la magica montagna di Hans Castorp è velata da unatmosfera di ambiguità e dindeterminatezza, gli scenari disegnati da Meyrink o dalla «ditta» Meyrink, più ingenui e certamente più dozzinali, peccano di un didascalismo propagandistico. Eppure queste lacune sono anche gli ingredienti che fanno meglio risaltare la cultura esoterica dello scrittore. Una cultura fantastica che aveva profondamente influenzato gli scrittori praghesi, come Max Brod e perfino Kafka, che nel Castello, in assoluta autonomia, scrive un racconto che sfiora spesso le affascinanti figure della letteratura diniziazione. Meyrink rimane senza dubbio uno scrittore minore quando gli scrittori maggiori si chiamavano Thomas Mann e Franz Kafka.
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