sabato 22 febbraio 2020

L’Umanesimo esportato a Est e Dracula al servizio del Papa Pio II contro l’islam

tratto da Il Giornale del 27 giugno 2019

di Matteo Strukul

Pensare di spendere l’espressione «Rinascimento Dark», con riferimento alle terre d’Ungheria, Valacchia e Transilvania, potrebbe avere il sapore dell’azzardo. Se non altro per quella che è la prima parte della definizione. Senza tenere inutili lezioni, osserveremo che sono però almeno due le direttrici che, in questo senso, uniscono l’Italia del Rinascimento con le terre dell’Est.

Da una parte v’è il più che comprensibile valore militare dei guerrieri di quelle lande: János Hunyadi, ad esempio, il quale militò per almeno tre anni sotto le insegne del biscione al servizio del duca di Milano, Filippo Maria Visconti. In seguito egli fu voivoda di Transilvania e reggente del regno d’Ungheria. Lo stesso potrebbe dirsi, sempre sotto il profilo squisitamente militare ma a parti invertite, di Filippo degli Scolari - noto anche come Pippo Spano e che fu cavaliere dell’Ordine del Dragone, fondato da Sigismondo di Lussemburgo - che aveva origini palesemente fiorentine. Non a caso proprio a lui Andrea del Castagno dedicò un magnifico ritratto. A quella stessa societas draconistrarum, peraltro, appartenne anche, giusto per esser chiari, Vlad Dracul II, il padre di Vlad Tepes, l’Impalatore, l’uomo che originò in seguito il personaggio letterario di Dracula creato da Bram Stoker. Insomma sotto questo primo profilo, l’idea di un rinascimento dark, diffuso nei Paesi dell’Est è tutt’altro che peregrino giacché molte e ribadite sono le interazioni fra i due territori in esame. Ma se da un punto di vista militare gli scambi e le condivisioni possono essere molteplici, diverso potrebbe sembrarci, a tutta prima, il comune terreno del mecenatismo e dell’arte. Non fu così. Anzi, quanto detto per il profilo militare vale in egual misura per quel che concerne l’aspetto delle architetture e dell’amore per la cultura e la bellezza. In quest’ottica, ad esempio, ricorderemo che, nella seconda metà del Quattrocento, il re ungherese Mattia Corvino, figlio di János Hunyadi e allievo dell’umanista János Vitéz, finanziò i primi monumenti di matrice palesemente rinascimentale in Transilvania, è il caso della loggia della fortezza di Vajdahunyad e della tomba di suo padre. A questo devono aggiungersi gli interventi presso il palazzo principesco di Alba Iulia, caratterizzato da decorazioni chiaramente ispirate alle residenze patrizie veneziane di quel periodo: i soffitti dipinti e dorati, le pareti ricoperte di carte da parati venete e di quadri raffiguranti imperatori romani. Nomi come quel li del veronese Giacomo Resti, del mantovano Giovanni Landi e del veneziano Agostino Serena, lo dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio. Da ultimo v’è da considerare l’apporto del sapere, plasmato principalmente presso l’università di Padova, da parte di una nutrita schiera di nobili ungheresi e transilvani che nel centro veneto del Rinascimento - si pensi a figure come Donatello che qui realizzò l’altare ligneo del Santo e il monumento equestre al Gattamelata o alla pittura di Andrea Mantegna - furono studenti delle discipline più diverse. Anche qui qualche nome può certamente confermare questa nostra tesi: Iohannis Megirnig da Sibiu, laureato in medicina, Stephanus Ungarus di Transilvania e János Vitéz, dottori in diritto canonico, Paul Benkner di Brasov, magister artium. Insomma, sostenere l’esistenza di un rinascimento, intriso dei cupi colori delle lande dell’est è posizione non peregrina, anzi è del tutto evidente che per differenti ragioni il rapporto fra le due aree geografiche era oltremodo stretto, complice il ruolo della Serenissima Repubblica di Venezia quale possibile cerniera geografica. Non a caso molti degli esponenti italiani dei cavalieri dell’Ordine del Drago furono veronesi o padovani in quanto appartenenti alle famiglie degli Scaligeri o dei Carraresi. Tuttavia, il campione di questa versione meticcia del Rinascimento, l’uomo che per certi aspetti ne unì vizi e virtù, in maniera estrema, fu proprio Vlad III di Valacchia, detto Dracula. A questo proposito, a integrazione di quanto da tempo si è sostenuto, ossia che l’Impalatore fosse un principe sanguinario e crudele, intendiamo raccontare in queste pagine un volto meno conosciuto del voivoda: quello del principe guardiano, del difensore della propria terra e del proprio popolo e protettore ultimo del Cristianesimo. A fugare immediatamente qualsivoglia smentita, ricorderemo infatti che Vlad III di Valacchia fu l’unico principe cristiano, seppur ortodosso, a rispondere e aderire alla crociata indetta da papa Pio II, nato Enea Silvio Piccolomini, che chiedeva disperatamente di organizzare una difesa cristiana contro lo strapotere ottomano di Maometto II, il Conquistatore. Convocati infatti, con la bolla Vocavit nos del 1459, i principi cristiani d’Europa a Mantova, il pontefice dovette ben presto affrontare una drammatica serie di rifiuti da parte di Firenze, Venezia, Milano e poi dai regni di Francia, Inghilterra e Spagna. Perfino il re d’Ungheria tentennò, aspettando. Solo Dracula, dunque, ebbe il coraggio di affrontare un nemico che, nei numeri, gli era almeno venti volte superiore. E lo fece in piena solitudine. Certo, le ragioni dell’opposizione di Vlad a Maometto II erano di vario ordine: religioso, naturalmente, ma il voivoda intendeva anche fare di Valacchia e Transilvania un unico voivodato indipendente, in grado di autodeterminarsi, cancellando la propria sudditanza all’impero ottomano che prevedeva un tributo annuale di mille bambini e una tassa di diecimila ducati da pagare alla porta di Costantinopoli. Rimane il fatto che questo ruolo di ribelle da un lato e di guardiano della fede cristiana dall’altro, venne grandemente apprezzato dal pontefice, al punto che Pio II nei suoi Commentarii ebbe parole di paura e di apprezzamento insieme per Dracula. Egli lo definì, fra l’altro, «uomo di corporatura robusta e d’aspetto piacente che lo rende adatto al comando. A tal punto possono divergere l’aspetto fisico e quello morale dell’uomo!». Il pontefice aveva infatti visto nel 1463 un ritratto del voivoda inciso sulla copertina di un incunabolo viennese giunto fino a lui. Marin Mincu, autorevole accademico, docente di letteratura presso l’Università di Costanza, ha addirittura sostenuto che Vlad III Dracul avrebbe conosciuto Cosimo de’ Medici e Marsilio Ficino, intrattenendo con loro rapporti epistolari, nutriti dalla sua passione per il Codex Hermeticum e la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto di cui proprio Ficino era il massimo esperto del tempo. Una tale sete di cultura, da parte del voivoda, viene confermata dagli storici e dai cronisti del tempo, così come la perfetta conoscenza parlata e scritta di sette lingue: il tedesco, l’ungherese, l’italiano, il latino, il greco, il turco e lo slavo. Ma vi è di più. Nel 1462, finalmente, il pontefice riuscì effettivamente a mettere insieme una somma ragguardevole che poi, nell’impossibilità di destinare direttamente a Vlad, fece pervenire a Mattia Corvino, re d’Ungheria, con preghiera di utilizzarla per finanziare le imprese del voivoda di Valacchia e Transilvania. Ma Corvino si guardò bene dal farlo, nonostante da oltre un anno Dracula avesse impetrato il suo aiuto, e anzi si limitò a incamerare la somma messa a disposizione dal papa, volta a finanziare la campagna di Vlad, tradendo poi quest’ultimo. Per questo, dunque, nella saga a fumetti che ho scritto per i disegni di Andrea Mutti, ho cercato di far emergere il personaggio storico in una prospettiva molto più europea e molto meno hollywoodiana. Certo, non abbiamo rinunciato alla spettacolarità. Andrea, in questo senso, ha adottato una tecnica efficacissima e magnifica, ad acquerello, ispirandosi al lavoro di un grande maestro come Ivo Milazzo, e lavorando magistralmente con gli inchiostri, arricchiti dai colori plumbei e lividi di Vladimir Popov. Lo studio delle architetture dei castelli, dei palazzi, delle case giunge da una formidabile ricerca di carattere storiografico e iconografico e dai miei molti viaggi in Transilvania. Rovesciando la prospettiva, l’intento è stato quello di far comprendere che Vlad fu per il suo popolo ciò che per i Cubani sarebbe stato qualche secolo dopo Che Guevara: un liberatore, un difensore, un condottiero pronto a tutto pur di battersi per la propria terra e, aggiungiamo, la religione cristiana. Un’icona, dunque. E anche un personaggio molto più complesso di come lo abbiamo sempre conosciuto nella semplice, seppur affascinante, versione di principe delle tenebre. Inferiore nei numeri e nelle forze, egli condusse una campagna di guerra senza quartiere contro Maometto II, arrivando a fare terra bruciata non appena il sultano invase la Valacchia, avvelenando i pozzi, bruciando i boschi, trasformando le pianure in deserti di cenere. Nel famigerato attacco notturno del 17 giugno 1462, magnificamente immortalato nella tela del pittore rumeno Theodor Aman, che porta il titolo de La battaglia con le torce, Vlad assaltò a sorpresa il campo ottomano, sterminando una parte importante delle forze del sultano, fallendo nell’obiettivo d’ucciderlo perché Maometto II aveva disseminato il campo di alcuni sontuosi padiglioni che confusero Vlad, celando agli occhi di quest’ultimo la sua tenda. Tuttavia, quando il mattino successivo il sultano mosse con il proprio esercito verso Targoviste, sede della reggia di Vlad, venne accolto lungo la via da una foresta di ventimila impalati. La vista di un simile scempio lasciò sconvolto e ammirato Maometto II, il quale giunse alla conclusione che un uomo disposto a fare per la propria terra ciò che aveva compiuto Vlad non si sarebbe mai arreso. Decise dunque di ripiegare verso Costantinopoli, lasciando il comando al fratello di Vlad, Radu il Bello, che nell’inverno di quell’anno sarebbe riuscito a prevalere momentaneamente contro Vlad solo grazie al tradimento dei Sassoni di Transilvania, dei Boiardi e del re ungherese Mattia Corvino, ben felice di aizzare i propri baroni contro quel principe guerriero, decisamente fuori controllo. Vlad si consegnò infine a Mattia e rimase prigioniero presso il castello di Buda, in Ungheria, per una dozzina d’anni. Nel 1475, sarebbe riuscito a tornare libero e a riconquistare per la terza volta la Valacchia e la Transilvania. Ma questa è davvero un’altra storia.

mercoledì 19 febbraio 2020

AL CASINÒ DI SANREMO CON MUSSOLINI

tratto da L'Opinione del 15 luglio 2012

di Cristiano Bosco

“Gioco d’azzardo, massoneria ed esoterismo intorno all’ombra di Matteotti”. È questo il sottotitolo di Al casinò con Mussolini, fresco di stampa per le edizioni Lindau, scritto da Riccardo Mandelli, docente di materie storico-filosofiche, autore di narrativa, soprattutto per ragazzi, e di saggistica. Una interessante inchiesta sull’industria dell’azzardo e sugli ambienti finanziari, politici e culturali da cui questa traeva linfa nei primi decenni del ‘900.

Come nasce il Suo libro? Come si sono svolte le Sue ricerche?

Al casinò con Mussolini rappresenta, in un certo senso, il seguito del mio precedente libro, L’ultimo sultano. Come l’Impero ottomano morì a Sanremo, che narrava la vicenda di Maometto VI Vahdeddin, ultimo sultano ottomano che venne in esilio a Sanremo nel 1923 e vi morì nel 1926. Quel volume lasciava parecchie questioni aperte ed irrisolte, molti argomenti ancora da trattare, tra cui il tema  del gioco d’azzardo. Agli inizi del ‘900, Sanremo era un centro di spionaggio di prim’ordine, dal punto di vista internazionale, ed era stata anche teatro di eventi di livello mondiale, come la conferenza del 1920 in cui nacque l’assetto attuale del Medioriente. Nella moltitudine di elementi da approfondire, ho iniziato indagando sullo strano suicidio del podestà di Sanremo Pietro Agosti, un episodio poco chiaro e che faceva sorgere molti dubbi. Partendo da quella morte, analizzando diverse fonti è emersa una lunga serie di misteri, connessioni, rapporti, relazioni con la politica, tutti legati alla realtà del casinò.

Un serie di misteri connessi, si scoprirà, con l’omicidio Matteotti.

Del celebre caso Matteotti conoscevo quanto un lettore di storia, ero a corrente di una pista affaristica, ma ignoravo che si legasse così strettamente al gioco d’azzardo, cosa che ho appreso solo strada facendo nelle mie ricerche. È stato un concatenarsi di sorprendenti scoperte, un lungo lavoro, durato alcuni anni, su fonti di archivio che, messe insieme, si richiamano tra loro: talvolta, mi è venuta incontro anche la fortuna, come ad esempio nel caso delle carte del sindacalista Angelo Oliviero Olivetti, amico di Mussolini dai tempi in cui erano entrambi rifugiati in Svizzera. I documenti sono visibili al pubblico solo da poco tempo, e dalla loro lettura emerge che Olivetti,  figura centrale del sindacalismo rivoluzionario, era collegata alle trattative tra Mussolini e chi teneva in mano le redini del gioco d’azzardo in Italia. Le prove più chiare del coinvolgimento dei vertici del fascismo in quel mondo torbido, infatti, provengono dall’archivio di Olivetti, che teneva una viva corrispondenza con il Duce.

Si può dire che Sanremo, città dal passato glorioso, sia il vero personaggio principale del libro?

Sanremo è sicuramente la protagonista. Non si tratta dell’unico luogo dove si trovava il gioco d’azzardo: tra il 1922 ed il 1924 le bische, più o meno legali come il casinò – che peraltro non era legalizzato, ma autorizzato di volta in volta – si trovavano in tutta la provincia. In Riviera, oltre a Sanremo, c’erano Bordighera, Ospedaletti, i Balzi Rossi. Nell’archivio di Stato vi sono faldoni pieni zeppi di segnalazioni relative al gioco d’azzardo: Sanremo ed il territorio circostante, storicamente, erano la punta di diamante, direttamente in contatto con la Costa Azzurra e con certi ambienti. Era una città straordinaria, fino alle due guerre mondiali fu uno dei centri dell’Europa cosmopolita, per poi diventare una periferia di Milano e Torino. Sanremo era un centro dove convergevano grandi capitali, dalle prospettive internazionali, che svolgeva un ruolo di rilievo negli ambienti del turismo, dei trasporti, dei grandi alberghi, ed ovviamente nella rete del gioco d’azzardo. Una città spettacolo, per nulla una città italiana, perché assolutamente fuori dalla sua collocazione geografica: Sanremo era quasi un transatlantico ancorato.

Quale il peso dei cosiddetti ‘poteri occulti’, anche in riferimento all’ascesa del Fascismo?

Era impossibile raccontare quelle vicende senza affrontare, necessariamente, la presenza dei ‘poteri occulti’. Sono temi scivolosi, che ho dovuto trattare perché il casinò di Sanremo nacque con un’impronta massonica, espressione di un mondo molto presente e sviluppato in città: un po’ tutti i protagonisti di quegli anni del casinò erano legati o alla massoneria oppure a gruppi esoterici come la teosofia o l’antroposofia di Rudolf Steiner. Nel famoso saggio di “Dostoevskij e il parricidio”, Sigmund Freud tentava di sviscerare il tema della dipendenza dal gioco d’azzardo, essendo Dostoevskij un giocatore incallito: l’azzardo è un mistero e, di conseguenza, ciò che noi non possiamo sapere è rappresentazione del divino. Secondo questo ragionamento, chi gioca d’azzardo si mette in contatto con l’ignoto, quindi con la divinità, e dio è padre, ergo la sfida del gioco d’azzardo, come sostiene Freud, è la sfida al padre, da cui conseguono autopunizione e sconfitta. Ecco perché il tema del gioco d’azzardo collegato al divino non è prettamente massonico o esoterico, ma è invece ben chiaro nella cultura.

Il Suo libro ricostruisce in modo innovativo lo sfondo del delitto Matteotti. Il quale viene raccontato diversamente, rispetto a quanto presente sui libri di storia.

Prima di essere rapito e ucciso, Giacomo Matteotti stava indagando sugli ultimi decreti legge emanati da Mussolini, che riguardavano le concessioni petrolifere e la liberalizzazione del gioco d’azzardo. E intorno agli affari legati ai due decreti ruotarono le ipotesi subito avanzate dai giornali per spiegare la sua scomparsa; solo più tardi prese piede la versione che fosse stato assassinato a causa della coraggiosa denuncia di brogli e violenze elettorali fasciste. Già Mauro Canali, nel 1997, scrisse un libro molto importante che trattò la questione dell’affarismo dietro al delitto Matteotti, con particolare attenzione al petrolio. Per danneggiare un governo stabile, denunciare l’affarismo ed additare gli scandali era una via molto più efficace rispetto alla denuncia di brogli e violenze: uno degli affari fondamentali era senza dubbio quello del gioco d’azzardo, molto più vicino a Mussolini di quanto non fosse il petrolio. Non è un caso che gli uomini che rapirono e uccisero Matteotti erano tutti legati, in quanto tutti si aspettavano un premio per la fedeltà al Duce. Si stava delineando un trust, che comprendeva la Banca Commerciale Italiana, il finanziere e trafficante d’armi levantino Basil Zaharoff, tra le figure più agghiacciati della storia, un grande finanziere inglese nel business dei vagoni letto, Georges Marquet che era agente per conto del Re di Spagna: figure che stavano costruendo un’alleanza chiarissima, la stessa che si stava creando attorno all’azienda dei vagoni letto e dei trasporti di lusso. La concorrenza non piaceva, per questo vi fu un tentativo di instaurare un monopolio sul gioco, ed è estremamente probabile che per le mani di Matteotti passarono elementi in grado di mettere in seria crisi i rapporti del Fascismo con questo mondo di affari oscuri.

Ma la morte di Matteotti, si scopre nel suo volume, non è che la punta dell’iceberg.

La morte di Matteotti è solo la più tragicamente famosa tra quante costellano un lungo cammino in cui si affiancano progetti politici, finanziari ed esoterici. Vi fu una notevole catena di morti, anche soltanto quelle del dopoguerra: se si pensa a tutti i concessionari del casinò di Sanremo, dal ‘46 al ‘59-’60, almeno uno su due fa una strana fine. Era alquanto improbabile che morissero nel proprio letto. Ecco perché, scrivendo, alle volte ho avuto paura, provando la sensazione di essere capitato in mezzo a forze davvero oscure e potenti. Tuttavia, il mio libro non ha alcuno scopo se non quello di approfondire la storia: è un’opera che permette di leggere anche il presente, ovviamente, pur non avendo alcuna proiezione su di esso, fermando la narrazione agli anni ‘50. Si parla di “ombra di Matteotti”, perché non è un volume sul famigerato delitto, ma su tantissime vicende su cui aleggia, sempre, questa celebre morte, che ha segnato la storia del Paese.

Per chi volesse leggerlo:

venerdì 14 febbraio 2020

Cos’è la Mano della Gloria?

in collaborazione con l'autore Michele Leone: https://micheleleone.it/la-mano-della-gloria/


La Mano della Gloria tra folklore e magia


La Mano della Gloria potrebbe essere un oggetto presente nelle più tetre storie di Sir Arthur Conan Doyle o di Edgar Allan Poe. Come oggetto magico è presente nel popolare gioco di ruolo Dungeons & Dragons, i più giovani l’hanno incontrata, anche se proposta in una forma blanda, nelle storie del maghetto Potter. La realtà spesso supera la fantasia e questo oggetto è un feticcio realmente esistito. Era usato da ladri o da alcuni sprovveduti, perversi, fattucchieri. Oggi trova la sua collocazione in qualche museo o nelle Camere delle Meraviglie di collezionisti di oggetti particolari.


            Feticcio: Oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale. Il vocabolo, adottato nel 16° sec. dai navigatori portoghesi (feitiço) per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente alle reliquie sacre della devozione popolare e, più in generale, a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana.


Cos’è la Mano della Gloria e come si prepara?

La Mano della Gloria è, stando alla maggior parte delle versioni, la mano amputata ad un criminale mentre penzola dalla forca. A seconda dei “gusti” o delle idee dei vari autori sull’argomento può essere la mano destra o sinistra. Una volta presa, la mano, deve essere avvolta in un panno funerario e quando si è distanti da occhi indiscreti bisogna strizzarla per renderla esangue.

Ti riporto un paio delle tante descrizioni sul come preparare questo feticcio:

“Prendi la mano destra o sinistra di un criminale che pende da un patibolo accanto ad una strada; avvolgila in un panno funebre e così avvolta spremerla bene sino a far uscire l’ultima goccia di sangue. Quindi metterla in un recipiente di terracotta con salnitrio, sale e pepe lungo, il tutto ben in polvere. Lascialo in questo recipiente per quindici giorni, quindi estrailo ed esponilo alla piena luce del sole durante i giorni caldi fino a quando non diventa abbastanza asciutta. Se il sole non è abbastanza forte mettilo in un forno con felce e verbena. Quindi crea una specie di candela dal grasso di un criminale impiccato, cera vergine, e usa la Mano della gloria come candelabro per tenere questa candela quando accesa, e poi quelle in ogni luogo in cui vai con questo lo strumento dannoso deve rimanere immobile”. (Petit Albert).

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“La Mano di Gloria è la mano di un uomo che è stato impiccato, ed è preparata nel modo seguente: Avvolgi la mano in un pezzo di lenzuolo, tirandolo stretto, in modo da spremere il sangue che può rimanere dopo l’amputazione; quindi metterla in un recipiente di terracotta con salnitro, sale e pepe lungo, tutto accuratamente in polvere. Lascia che rimanga quindici giorni in questo sottaceto fino a quando non è ben asciugata, quindi esponila al sole nei giorni più caldi, fino a quando non è completamente seccata o, se il sole non è abbastanza caldo, asciugala in un forno riscaldato con la verbena e felce. Quindi fai una candela con il grasso di un uomo impiccato, cera vergine e sesamo della Lapponia.” (Sabine Baring-Gould).

Sulla fabbricazione della candela da porre sulla Mano della Gloria la “storia” diventa ancora più cruenta, e ti sconsiglio di leggere questo paragrafo se sei particolarmente sensibile. Molti vogliono che per rendere ancor più efficaci gli effetti della Mano di Gloria fosse necessario fabbricare la candela con il grasso di un bambino nato morto o strappato con ferocia dal ventre della madre mentre questa era ancora incinta.

Quali erano le proprietà della Mano della Gloria?

Immobilizzare o addormentare le persone a cui era presentata;
Far luce solo per colui che la impugna, mentre altre persone vicine al ladro restavano al buio;
Rendere invisibile colui che portava la Mano della Gloria;
Ardere senza consumarsi;
Poter aprire qualunque serratura posta nelle sue vicinanze;
Segnalare la presenza di persone sveglie nella casa da derubare per mezzo della non accensione di uno degli stoppini posti sulle dita della Mano della Gloria.
Testimoni

Ora, quasi fossimo nell’aula di un tribunale, chiamerò tre testimoni a parlare della Mano della Gloria. Questi sono diversi per formazione, credenze ed epoche nelle quali sono vissuti Alla fine trarrò le mie conclusioni o, se preferisci, farò l’arringa finale.

Testimone 1: James G. Frazer

V’è un fruttuoso ramo della magia omeopatica che si basa sui morti; poiché, come il morto non può né vedere, né udire, né parlare, così, applicando i principi omeopatici, si possono rendere le persone cieche, sorde e mute usando le ossa dei morti o qualsiasi altra cosa che sia toccata dall’infezione della morte. […] In Europa si attribuivano tali proprietà alla Mano della Gloria, cioè la mano di un impiccato, seccata e conciata. Se una candela fatta con il grasso di un malfattore morto anch’esso sulla forca venina inserita nella Mano della Gloria come in un candeliere e accesa, rendeva immobili tutti coloro a cui fosse presentata; e non potevano muovere neppure un dito, come se fossero morti. Talvolta la mano del morto diviene una candela, o meglio un mazzo di candele, poiché viene dato fuoco alle sue dita avizzite; ma se uno degli abitanti della casa fosse sveglio, una delle dita non si accenderebbe. Tali nefande lampade si possono spegnere soltanto col latte. Spesso è prescritto che la candela del ladro sia fatta con il dito di un bambino appena nato, o, meglio ancora, di uno non ancor nato. Spesso vien considerato necessario che un ladro abbia tante candele, quanti sono gli abitanti della casa, perché se ne avesse una di meno, qualcuno in casa si potrebbe svegliare e pigliarlo. Una volta che queste candele brucino non c’è che il latte che possa spegnerle. Nel Seicento i ladri usavano assassinare delle donne incinte per estrarne delle candele dall’utero. (Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 2013 pp. 43-44).

Testimone 2: Michael Howard

“I veri occultisti sono generalmente dell’opinione che i termini magia <<bianca>> e magia <<nera>> siano in pratica privi di significato, anche se si possono applicare in teoria. Per spiegare questa affermazione piuttosto contraddittoria è necessario rendersi conto che la potenza usata nella magia (che ha origine nella mente umana) è una forza neutra che può essere utilizzata per fini positivi o negativi. Infine, la responsabilità dell’uso del potere è solo del mago, e risiede nei suoi sentimenti.

In passato le candele erano usate in molte occasioni, in quella che gli ignoranti chiamano <<magia nera>>. Forse l’esempio più famoso del loro uso, è quello della spaventosa <<Mano della Gloria>>. Si credeva che fosse la mano amputata ad un omicida, che fosse coperta di cera ed avesse degli stoppini sulle punta delle dita. Una volta acceso, questo oggetto disgustoso aveva il potere di far perdere coscienza agli occupanti di una casa, e di aprire anche le porte chiuse a chiave. Un ladro che non ne possedeva una sarebbe stato un ladro incompleto!

C’è, in realtà, qualche elemento di verità in fatti del genere che per noi moderni sono solo degli orrori e delle insensatezze? Sì, ma la <<mano>> non era un arto appena amputato ad un carcerato, bensì una comune candela di cera a forma di mano. Delle bizzarre candele di questo genere possono ancora oggi essere acquistate nei negozi di novità, oppure l’amatore se le può fabbricare una, degna di qualsiasi film dell’orrore, versando cera in un guanto di gomma da massaia.

Degli occultisti seri non se ne occuperanno – tranne che per divertirsi un po’ – poiché è piuttosto improbabile che la <<Mano della Gloria>> sia di qualche utilità, anche per un ladro acrobata, e sembra che non neutralizzi neanche gli allarmi, per cui la sua utilità risulta proprio limitata!” (Michael Howard, Magia delle candele. Significato occulto, uso, formule, rituali, Hermes Edizioni, Roma 1999, pp. 53-54).

Testimone 3: Francesco Maria Guaccio

In un paesino della diocesi di Liegi – per alcuni Huy, per altri Dinant – due individui giungono, di notte, in un albergo. Fingendosi molto stanchi, dichiarano, dopo aver cenato, di non sentirsela d’andare a cercare un letto altrove, e, con molta insistenza e sfacciataggine, chiedono all’oste di lasciarli dormire in cucina, presso il fuoco.

Una fantesca, alla quale i due viaggiatori non vanno a genio, si mette a spiarli da un forellino per vedere che mai fanno. Nel cuore della notte li vede estrarre da una borsa una mano mozza, ungerle le dita e accostarle al fuoco. Se ne accendono quattro su cinque, ei maghi stupiscono; riprovano, ma la fiamma non s’appicca. Uno esclama allora: «Come mai? Qualcuno in casa è sveglio?» E, appesa la mano al camino, con le quattro dita che ardono come candele (ma con luce fosca), escono di casa, e, fischiando in un certo modo, chiamano i complici perché vengano a rubare. La fantesca, che li ha seguiti, chiude loro l’uscio in faccia, e, corsa nella camera da letto dei padroni, li scorge entrambi immersi in un sonno cosi profondo che non riesce a destarli neppure trascinandoli in mezzo alla stanza. I ladri cercano frattanto d’entrare passando per la finestra, ma la donna accorre e li butta giù dalla scala; essi però insisto­ no, e tentano d’introdursi da un’altra parte. Ricordandosi della lampada, la serva – convinta che sia essa la causa del torpore degli abitanti – spegne le quattro dita; subito i dormienti si svegliano, accorrono e scacciano i malviventi. Acciuffati pochi giorni dopo, confessano il maleficio.

[…]

Anton Welch riferisce un fatto narratogli dalle mogli di Michal Gross e Beschiess. Note entrambe per complicità in stregoneria, avevano da poco sottratto dalla bara, nel cimitero di Germmgen, due cadaveri di bimbi, che i rispettivi genitori- Bernhard e Anton Lerchen – avevano appena sotterrato, e li avevano inceneriti a pro delle loro magie. S’erano valse, dapprima, d’un fianco con le costole, poi avevano usato il braccio destro come una di quelle lampade diaboliche di cui ho già parlato: da utilizzare la notte, nel caso avessero dovuto propinare a qualcuno il farmaco malefico. Le dita ardevano alle estremità con fiamma sulfurea e violacea: quando la fiamma si spegneva, rimanevano intatte, come se non avessero servito da alimento al fuoco, e potevano perciò essere riaccese a piacere. (Compendium Maleficarum, Giulio Einaudi Editore, Torino 1992, pp. 206-214).

Conclusioni

Rileggendo questo articolo per scrivere le conclusioni, mi rendo conto che molto altro ancora ci sarebbe da dire su questo bizzarro, osceno feticcio. Mancano J. Dee ed altri testimoni e maghi. Chissà che non ne faccia un libricino. Qualcuno vuole che Mano della Gloria in inglese Hand of Glory, sia la corruzione o la trasformazione della parola francese mandragore: mandragora. Da mandragore a main de gloire a hand of glory. Probabilmente se non vi fosse stata una incomprensione linguistica la tentazione di tagliare mani a uomini appesi alla forca non sarebbe venuta ai ladruncoli inglesi o agli pseudo maghi.

I tre testimoni, diversi per formazione, idee ed epoche in cui sono vissuti ci hanno dato spunti di riflessione diversi e soprattutto punti di vista altri. Sulla Mano della Gloria, non è difficile trovare informazioni on-line, come su molti argomenti, ed è ancor più facile trovare molti Gran Maestri Ierofanti Ciarlatani pronti a raccontarti verità sino ad oggi inaudite per molti o pochi denari. Qualcuno potrebbe anche dirti che la Mano di Gloria, fatta dei materiali più improbabili è uno strumento di altissimissima Magia, oggetto indispensabile per ogni apprendista stregone.

La Magia, indipendentemente dalla possibilità che i suoi effetti siano reali o presunti, è prima di tutto un percorso di Conoscenza; conoscenza di sé stessi e del Mondo Universo. Conoscenza, quella del mago, che deve unirsi alla Sapienza e alla Saggezza. Senza conoscenza si è poco più che simpatiche (non sempre) scimmie ammaestrate e comprare a casaccio oggetti e (pseudo) rituali non farà di noi dei maghi né delle persone sagge. Come saggio non sarebbe il ladro che provasse ad andare in giro con una Mano della Gloria all’interno di una stazione di polizia. Eppure, la Mano della Gloria è o può essere l’occasione per ognuno di noi di apprendere, usi e costumi, tradizioni, mentalità di epoche diverse ed anche qualcosa sulla Magia. Si sulla magia, per imparare a distinguerla dalle volgari (nel senso di volgo) pratiche folkloristiche o dalle credenze popolari. La Mano della Gloria può essere l’occasione per rileggere vecchie storie con occhi nuovi, per entrare in punta di piedi nella storia delle idee e dell’immaginario senza scomodare Durand. Ci sono un’infinità di possibilità. A te scegliere se essere una scimmietta ammaestrata o un ricercatore/ricercatrice sulla strada della conoscenza.

       Gioia – Salute – Prosperità


mercoledì 12 febbraio 2020

RIVOLUZIONE MARTE: STUDIO IPOTIZZA LIVELLI DI OSSIGENO IDONEI ALLA VITA

tratto da L'opinione del 23 ottobre 2018

di Redazione

La ricerca del California Institute of Technology (Caltech), portata avanti dal gruppo di Vlada Stamenković e pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, rivoluziona totalmente l’idea che avevamo del pianeta Rosso: l’acqua salata presente nel sottosuolo di Marte conterebbe ossigeno sufficiente per ospitare la vita.

I calcoli eseguiti indicano inoltre che l’ossigeno presente potrebbe supportare la vita non solo di microrganismi ma anche di animali più complessi.

Immagine presa da Wikipedia
“I nostri calcoli indicano - scrivono gli studiosi nell'articolo - che in un serbatoio d'acqua salata di questo tipo ci potrebbero essere elevate concentrazioni di ossigeno disciolto”. Concentrazioni che sarebbero particolarmente elevate nel sottosuolo delle regioni polari. “Non sappiamo se Marte abbia mai ospitato la vita”, continuano i ricercatori del Caltech, ma grazie ai loro risultati è stata ribaltata la convinzione che il Pianeta Rosso non potesse ospitare forme di vita basate sull’ossigeno.

L'astrobiologa Daniela Billi, dell'università di Roma Tor Vergata, commenta così la scoperta: “I requisiti per l'abitabilità delle brine su Marte si arricchiscono ora della possibile presenza di ossigeno, indispensabile però alle sole forme di vita che lo utilizzano per la respirazione. Questa possibilità amplia i possibili metabolismi presenti su Marte”.

Ed il risultato della ricerca si estende anche ad altri pianeti e lune che ospitino sacche di acqua salata o oceani sotterranei, come la lune di Saturno, Encelado, e quella di Giove, Europa.

venerdì 7 febbraio 2020

I GRANDI MITI, DA ORIENTE A OCCIDENTE — Viaggio tra le narrazioni sacre. - presentazione

Sabato 14 Marzo 2020 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate all’“Incontro con l’Autore”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi alla presentazione di un volume straordinario e unico nel panorama editoriale italiano, pubblicato dalla LuxCo Editions:

I GRANDI MITI, DA ORIENTE A OCCIDENTE — Viaggio tra le narrazioni sacre.

L’opera raccoglie i contributi di quattro diversi autori, ROSSANA CARNE, STEFANIA TOSI, CORINNA ZAFFARANA e MARZIO FORGIONE i quali, individualmente esperti nel rispettivo ambito della tematica del mito, tracciano un itinerario ideale che attraverso alcuni miti selezionati del Giappone, dell’Egitto, della Grecia e del Mesoamerica indagano le modalità con cui gli uomini si sono relazionati con il sacro e il divino.
Si tratta perciò di un testo di grande interesse storico-antropologico che nell’ambito della divulgazione non accademica intende offrire al lettore una fonte di informazione e approfondimento chiara, ampia e autorevole.

La serata sarà condotta e moderata da un ospite d’eccezione, la Dott.ssa LUCIA RONGIOLETTI

Ancora una volta la nostra Associazione si pregia di offrirvi un evento di straordinario interesse al quale non mancare assolutamente!

La partecipazione a questa serata è soggetta a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando i numeri 379.1610521 - 346.9451451 - o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.


sabato 1 febbraio 2020

I Giganti esistevano grazie ad una Luna della Terra?

in collaborazione con il blog Fanta-Teorie:

https://fanta-teorie.blogspot.com/2020/01/i-giganti-esistevano-grazie-ad-una-luna.html

Partiamo dall'inizio. Come si è formata la Luna?

Sono diverse le teorie che si sono successe negli anni:
La Luna si è formata insieme alla Terra
La Luna si è formata dopo la Terra con detriti rimanenti
In origine vi era la Terra. Poi si scontrò con un pianeta delle dimensioni di Marte (circa) chiamata Theia. Da questo impatto nacque la Terra, la Luna e parte della fascia di Asteroidi tra la Terra e Marte.
La Luna era un satellite vagabondo catturato dalla gravità della Terra
La Luna è una base aliena artificiale.
Sulla terza ipotesi ci sarebbe da fare un post in merito perché ricorda molto la teoria di Sitchin tratta dall'Enuma Elish.

Le teorie sono diverse, ognuna con dei pro e dei contro ma attualmente nulla di definito. Forse l'ultimo punto può essere quello più discutibile. Ma non sta a me sindacare.
Leggendo il libro di Peter Kolosimo - Terra senza tempo, mi sono incuriosito molto sul capitolo dei giganti. L'autore ripropone gli studi del Francese Denis Surat e dell'inglese H. S. Bellamy. Ne cita altri ma loro due in particolare.
I due studiosi per prima cosa ipotizzarono che la Terra avesse avuto altre due Lune prima di quella attuale, questo basandosi su degli studi fatti da Horbinger (che addirittura ne ipotizzava 6 o 7). Sempre loro affermano che la Terra ha avuto due grandi ere geologiche, ognuna terminata con un cataclisma dovuto all'impatto della rispettiva luna. Continuano dicendo che questa terza era terminerà con la caduta della terza e ultima luna causando la fine dell'umanità.
Sempre tali studiosi credevano che la seconda luna avesse causato la nascita dei giganti per due motivi: il primo perché emanava raggi radioattivi che aumentava l'evoluzione e la crescita delle forme di vita, secondo perché essendo assai vicina diminuiva la forza di gravità della terra e questo creava meno impedimento gli organismi per crescere.
Inoltre Kolosimo ipotizza che la caduta della seconda luna sia la causa della scomparsa di Atlantide, Lemuria, Mu e Gondwana.

Sulle due lune prima di questa attuale non possiamo tanto sindacare. E' una teoria e per tanto è vera, è falsa fino a prova contraria.
Sulla tesi che l'attuale satellite provocherà un cataclisma invece ho da ridire in quanto secondo i dati del Lunar Laser Ranging la stessa si allontana dalla Terra di 38mm all'anno, fino a quando non ci saluteremo del tutto. Cosa non imminente, credetemi sulla parola.
Secondo un'altra teoria apparsa su Business Insider Italia la Terra aveva due lune un tempo, questo a causa dell'impatto con Theia. I due satelliti che nacquero dalla collisione poi si fusero. Così si potrebbe spiegare perché la nostra attuale Luna ha due facce completamente diverse. Quella rivolta a noi con mari di lava solidificata e quella oscura con rilievi e altopiani. Se fosse vera annullerebbe totalmente le tesi di Surat e Bellamy.

Ma torniamo ai giganti.
Come si spiega che oggi i giganti non ci sono più? Sempre secondo i due studiosi, la causa è da ricondurre alle mancate radiazioni che non solo aumentavano di dimensioni gli esseri viventi ma li rendevano più intelligenti. Questo a detta degli studiosi giustifica la capacità di erigere costruzioni magnifiche come la Grande Piramide, ma soprattutto tutte le reti di caverne e grotte che si trovano nel sottosuolo che sembrano, sempre secondo i due studiosi, essere state create artificialmente collegando apparentemente tutti i centri nevralgici del mondo antico.
Personalmente scarterei le radiazioni soprattutto perché geologi e studiosi non hanno trovato nessun fossile e nessun strato della crosta terrestre perlustrano colpito da strane radiazioni che possano provare tale tesi.
Sulla minore forza di gravità invece?
Ci può stare, ma può la Terra avere un satellite così vicino senza subire danni tali da impedire lo svolgersi della vita?
La prova che Surat e Bellamy offrono a tale teoria sembra essere il fatto che nella seconda era geologica terrestre i mari solcavano l'altopiano delle Ande (luogo dove hanno effettuato numerose ricerche). La pressione che esercitava la seconda luna era tale da schiacciare le acque e farle risalire. Una sorta di mega alta marea perenne.
Una prova al quanto esile, nonostante la scienza accademica conferma la presenza di acqua in un passato remoto in gran parte delle terre ora emerse trovando per esempio sulle Alpi fossili di conchiglie.
In conclusione, seppur suggestive, le teorie di Surat e Bellamy sono da bollare, almeno in parte. Questo non vuol dire che i giganti non siano mai esistiti o siano favole. In tutto il mondo ci sono tracce scritte e non solo della presenza in un lontanissimo passato di esseri giganti e fuori dal comune. Nella Bibbia, nei testi Sumeri, Indù, Sud America, Oceania, tutti parlano di giganti come se fosse una sorta di ricordo condiviso di tutta la razza umana.

Vorrei comunque spezzare una lancia a favore di Kolosimo dicendo che le teorie che propone nel libro Terra senza Tempo, lo fa a scopo conoscitivo e non accademico. Spesso nel libro mette le mani avanti dicendo che trattasi di teorie e che vengono citate solo per curiosità. Molte di queste teorie sono state oggi totalmente sfatate (come quella sopra citata), altre resistono in quanto forse non avremmo mai una risposta definitiva e soddisfacente.

Leggi anche tu Terra senza Tempo di Peter Kolosimo


venerdì 24 gennaio 2020

La legione perduta

Di Vito Foschi

Mi è capitato di vedere in TV il film "Dragon Blade - La battaglia degli imperi" che nei titoli di testa evidenziava che la trama traeva origine da una storia vera. In realtà, la storia è del tutto inventata incentrata su una legione romana che raggiunge un avamposto cinese sulla via della seta e da lì una miriade di avventure. Che l'Impero Romano possa aver avuto dei contatti con l'Impero Cinese non rappresenta certamente un'impossibilità storica, merci e uomini si sono sempre spostati anche se ovviamente con le difficoltà del caso.
Sono noti dei casi in cui truppe partite per spedizioni per terre lontane non siano più tornate in patria per i motivi più vari e si siano fuse in qualche modo con le popolazioni locali dando vita a peculiarità storiche che a volte hanno creato dei piccoli enigmi storico-archeologici. Un caso italiano è quello del comune di Gurro nella valle Cannobina nel Verbano in cui si parla uno strano dialetto, sono presenti parecchie chiome rosse, i cognomi sono totalmente diversi da quelli comuni nella zona e così via. Da dove nascono queste peculiarità? Il tutto risale alla battaglia di Pavia del 1525 in cui si scontrarono le truppe di Francesco I con quello di Carlo V. Nell’esercito francese erano presenti dei mercenari scozzesi che in seguito alla sconfitta trovarono rifugio nel paese di Gurro e non potendo tornare in patria perché in pieno inverno non trovarono di meglio che stabilirsi nel comune in cui avevano trovato rifugio.
Facendo una breve ricerca ho trovato notizie sulla cosiddetta leggenda della legione perduta che ha dato lo spunto al film "Dragon Blade - La battaglia degli imperi". I dati storici sono esigui pertanto si continua a parlare di leggenda più che di storia. I dati certi riguardano una spedizione romana contro l’Impero dei Parti guidata da Marco Licinio Crasso e della battaglia di Carre nella Turchia orientale, combattuta nel 53 A.C. e conclusa con un disastro per l’esercito romano. Molti legionari furono fatti prigionieri e non si seppe più nulla di loro. Alcuni anni dopo i Parti furono sconfitti dai romani, che intimarono loro di restituire i prigionieri, ma i Parti risposero che non ne sapevano nulla. Abitudine dei Parti erano di spostare i prigionieri catturati ad occidente nelle loro estreme propaggini orientali per evitare tentativi di fuga. I soldati romani furono spostati verso il Turkmenistan per fronteggiare gli Unni. Questi i dati certi, ma nel 1955 un sinologo americano, tale Homer Hasenpflug Dubs, in base allo studio degli annali della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C), ipotizzò una presenza romana in Cina. L’ipotesi nasceva dalle descrizioni di alcuni scontri in cui sembrano palesarsi sia le tecniche di combattimento romano come la ormai nota testuggine, sia il tipo di fortificazione formata da palizzate in tronchi di legno. La battaglia fu vinta dai cinesi che fecero circa 200 prigionieri che furono spostati ancora più ad oriente in una città che fu chiamata Li-Jen che sembra una trascrizione in cinese della parola “legione” che è anche il nome con cui i cinesi chiamavano i romani nella regione del Gangsu. A questi prigionieri fu affidato il compito di difendere i contadini dalle incursioni tibetane.
Dubs indicò come possibile locazione della città di Li-Jen, l’attuale Zhelaizhai, in prossimità di Langzhou sulla Via della Seta e da qui lo spunto per il film. Sono state fatte delle ricerche nella località, ma per ora non è stata trovato nulla di significativo che avvalorasse l’ipotesi. Che una legione romana abbia raggiunto il Celeste Impero ad oggi rimane una possibilità non suffragata da sufficienti prove.

sabato 18 gennaio 2020

Le religioni dei Misteri

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/le-religioni-dei-misteri/

Appunti su le religioni dei Misteri nell’antichità


Le religioni dei Misteri del mondo antico sono le progenitrici delle moderne scuole iniziatiche? In questo post proverò a dare una risposta su le religioni dei Misteri nel mondo antico per scoprire se ci possono essere dei punti di contatto con le così dette Società segrete moderne, confraternite e scuole iniziatiche. Soprattutto questo post ha lo scopo principale di provare a raccontare aspetti storici spesso poco noti o difficilmente rintracciabili da quanti si avvicinano spesso troppo incautamente al mondo delle scienze ermetiche e delle religioni. 

La religione greca, in quanto religione della pólis, è in misura estrema una religione pubblica: processioni sacrificali e banchetti comunitari, preghiere recitate ad alta voce e voti, templi visibili da lontano con preziosi doni votivi danno un quadro della eusébeia; tramite questa il singolo si integra nella comunità, mentre chi si isola cade solo nella asébeia. Eppure queste forme di religione <<pubblica>> sono da sempre affiancate da vari culti segreti, cui si accede solo in forza di una particolare iniziazione individuale: i <<misteri>>. <<Iniziare>> si dice myeîn o anche teleîn, l’iniziato mystes, il complesso della cerimonia mystéria, mentre telestérion è il particolare edificio adibito all’iniziazione; il rito può chiamarsi anche teleté, ma questa parola è nel contempo usata per indicare in genere le feste religiose. Anche orgia designa il <<rituale>> in assoluto, ma il termine è impiegato con particolare riferimento ai misteri; il verbo che definisce la cerimonia dell’iniziazione è infatti orgiazein. Celebri e ovunque noti erano i misteri di Eleusi, per gli Ateniesi tà mystéria semplicemente; ma, a quanto pare, essi non erano che la componente più significativa di un gruppo di manifestazioni dello stesso tipo.

La segretezza era assoluta, il solo dubbio era se <<il sacro>> fosse in questi casi <<proibito>>, apórrheton, o semplicemente <indicibile>>, árrheton. Simbolo dei misteri è la cesta chiusa da un coperchio, la cista mystica; solo l’iniziato ne conosce il contenuto; il serpente, che si attorciglia attorno ad essa o ne esce, è segno di <<indicibile>> terrore. Gli scrittori pagani non andarono altre le allusioni e quelli cristiani, intenzionati a svelare il segreto, non riuscirono ad andare oltre vaghe supposizioni. Solo per un caso fortunato uno gnostico fu in rado di fornire alcuni dettagli fondamentali su Eleusi. (Walter Burkert, La religione greca, Jaca Book, Milano 20103, pp. 497-498).

Le parole di Burkert ci aiutato ad entrare nel labirinto delle religioni dei misteri, che per dirla con un facile gioco di parole sono un mistero (nel senso moderno del termine) ancora in buona parte da decifrare e svelare.

Si potrebbe definire elemento fondante delle religioni dei misteri l’iniziazione, questa è un elemento in comune a tutti i culti misterici. Quando parliamo di mistero, in questo contesto, dobbiamo sempre riferirci al senso originario della radice my che sta a significare chiudere gli occhi o chiudere la bocca. Nel suo lessico, Suda fa chiaramente riferimento a questa radice in riferimento alla parola mysteria: vengono chiamati misteri perché quelli che li ricevono chiudono la bocca e non spiegano queste cose a nessuno. La parola myêin significa chiudere la bocca. Era praticata una iniziazione o le iniziazioni erano molteplici? La domanda potrebbe essere anche formulata chiedendosi se vi erano diversi gradi o livelli di iniziazione.

Almeno a partire dall’età ellenistica l’intero sistema iniziatico prevedeva inoltre livelli di approfondimento diversi: dopo aver partecipato ai Piccoli e Grandi Misteri si poteva accedere infatti allo stadio della epoptéia(contemplazione), esplicitamente ricordato da Plutrarco come possibile distanza di almeno un anno dai Grandi Misteri. È possibile che l’intero percorso iniziatico fosse categorizzato da gradi successivi, in una scala di conoscenza progressiva probabilmente costituitasi nella sua forma più compiuta molto tardi e attestata solo in età imperiale in maniera completa. Un brano di Teone di Smirne utilizzando un luogo comune del confronto tra processo iniziatico e la conoscenza scientifica afferma, senza accennare esplicitamente ad Eleusi, che l’iniziazione presenta cinque tappe:

La purificazione;
La trasmissione dei riti iniziatici misterici;
La epoptéia (contemplazione);
La “legatura” e l’“imposizione delle corone”;
La felicità ottenuta dal favore divino e dalla convivenza con gli dei.
Anche se non fa menzione del santuario di Demetra, la sequenza, la presenza della epoptéia e altri particolari mostrano in maniera evidente che lo scrittore si riferisce ai Misteri. La successione è anche confermata dalle altre fonti, come si è visto: coincidono la purificazione e la prima catechesi nei Piccoli misteri, quindi in un secondo momento la vera e propria iniziazione e solo al terzo stadio la epoptéia, che Plutrarco si è visto, pone ad almeno un annodi distanza dalla seconda tappa. La sequenza, quindi, corrisponde pienamente alle nostre indicazioni e spiega ulteriormente la complessità della celebrazione iniziatica e della progressiva catechesi vissuta dagli adepti. La legatura e l’imposizione delle corone di cui si parla può essere chiarita con alcune informazioni che dipendono dalla spiegazione lessicale di un modo di dire, a proposito del quale si specifica che <<i misti si legano la mano destra e il piede sinistro con un pezzo di stoffa, e ciò è detto coronare di zafferano>>. Se anche questo quarto stadio, quindi, sembra corrispondere a una vera e propria celebrazione, l’ultimo invece, è il conseguimento effettivo e la pienezza dell’apprendimento religioso, quindi l’effetto determinato dal percorso di ascesi spirituale seguito, più che uno specifico momento celebrativo. Il concetto non è nuovo nella trattatistica, in quanto appare già in Aristotele che ricorda come: <<la vita, in quanto iniziazione ed esecuzione perfetta di questi misteri, deve essere piena di serenità e di gioia>>. (Enzo Lippolis, Mysteria. Archeologia e culto del santuario di Demetra ad Eleusi, Bruno Mondadori, Milano 2006, pp. 108-109).

La molteplicità dei diversi gradi di iniziazione è presente nella storia delle società segrete o di segreti e ancora oggi, questo metodo di <<pedagogia>> cultuale è mantenuto vivo da molte confraternite iniziatiche.

Il passaggio dalle tenebre alla luce è un tema che sovente si ritrova nei riti iniziatici, così come lo spavento che dovevano provare gli iniziandi mentre subivano le prove iniziatiche. Una delle conseguenze delle cerimonie era l’entusiasmo nel senso originario di enthusiasmós – parola composta da en (in) e theos (dio) il dio dentro, indiamento, con il dio dentro di se o invasamento divino – una delle attestazioni più chiare dell’entusiasmo è riscontrabile nelle prassi cultuali del divino Dioniso. Alla fine delle cerimonie d’iniziazione il neofita pronunciava una dichiarazione di beatitudine o un rappresentante della comunità che lo aveva appena accolto la faceva al neofita, questa prassi era chiamata makarismós. Per quanto i riti di iniziazione abbiano lo scopo di causare delle forti emozioni, di smuovere la coscienza e di agire in tutti gli “strati” dell’essere dell’iniziando, solitamente, anche le prassi cultuali che dovevano generare un forte spavento non erano mai cruente. Si possono ipotizzare alcune pratiche di umiliazione corporale nei riti di Attis e Cibele e nel culto di Mitra.

Le Religioni dei Misteri, i culti misterici erano custodi della paradosis – nel suo significato primario sta per abbandono o consegna, in quello secondario, che a noi interessa è la trasmissione verbale o tramite scritti di insegnamenti in particolar modo i precetti e le pratiche rituali. In altre parole è la cosa trasmessa o tramandata – e al neofita o all’iniziando veniva fatto ascoltare lo hieròs logos – discorso sacro -, di questi due aspetti della religiosità greca conosciamo poco o nulla.

Sullo hieròs logos e il mito e la indicibilità del primo è interessante l’osservazione di Ileana Chirassi Colombo: Potremmo osservare il <<mito vero>> nel senso pettazzoniano si propone analogo a quel tipo di racconto che in greco, ad un certo punto e in certe circostanze, diventa hieros, <<sacro>>, ma è esplicitamente logos hieròs, con il significato di discorso particolare che segnala un enunciato che si oppone al mythos per il semplice fatto di dover essere segreto. Non detto. L’esempio più noto è lo hieròs logos che protegge la <<rivelazione>> del complesso mitico-rituale più famoso della grecità, i misteri di Eleusis, un enunciato che non si poteva rivelare, dire, quindi non consisteva nel suo mythos. Il racconto celebre del famoso ratto di Kore è infatti un racconto, un mito, tutt’altro che segreto poiché è esplicitamente raccontato nel celebre Inno a Demeter della raccolta pseudoepigrafica degli Inni di Omerici ed in molte altre varianti, senza protezione. Mentre il senso segreto, il valore vero del messaggio si nasconde altrove (Ileana Chirassi Colombo, Il mito e il ‘900, in Natale Spineto, (a c.), Interrompere il quotidiano. La costruzione del tempo nell’esperienza religiosa, Jaka Book, Milano 2005, p.112).

Tra mito e discorso sacro non possiamo non pensare al Discorso Sacro di Ermete all’interno del Corpus Hermeticum. A differenza di altri trattati del Corpus inizia come consuetudine con il passaggio dalle tenebre alla luce, ed è ipotizzabile sia stato scritto all’interno di circoli giudaici.

Prima di chiudere queste considerazioni su le religioni dei Misteri è utile fermarsi ancora un attimo sul senso di hieros: (l’uomo graecus) Dice ancora hieros dal sanscrito isirah, forte, vivificante. Le hiera sono le potenze in relazione all’azione divina: i fiori sono hiera; lo sono la luce irradiante e la terra carica di frutti e di messi. È in rapporto alla potenza divina che degli esseri e degli oggetti sono hieroi. Hieros logos è il discorso sugli dei. Il re e il prete sono hieroiper il loro rapporto con la potenza divina; hieros anthropos è l’iniziato delle religioni ai misteri. L’iniziato non è un uomo santo, ma un uomo messo in relazione con la potenza misteriosa divina. (Julien Ries, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, Jaka Book, Milano 2007, p. 359).

Trovo di estremo interesse l’idea di hieros anthropos, una definizione che da un lato fa chiarezza e spazza via il pre-giudizio legato alla santità di quanti sono in relazione con il divino nella contemporaneità, ma, soprattutto, perché lo hieros anthropos è l’anticipatore per certi versi dell’homo hermeticus©.

Per homo hermeticus intendo l’iniziato che – in quanto in rapporto con il sacro e la sua ierofania, in quanto in relazione con il simbolo ed esperitore dei Misteri – si pone (e non potrebbe essere diversamente, in quanto la sua ri-cercaè tangente tanto alla magia quanto al sacro, tanto al simbolo quanto ai Misteri e allo hieros) su un piano diverso – non in senso qualitativo – rispetto all’homo religiosus e all’homo symbolicus, pur avendo tratti comuni a entrambi. Non è possibile e non sarebbe giusto omologarlo ora all’uno ora all’altro: l’homo hermeticus è qualcosa di diverso, che deve essere ancora svelato sia nell’ambito delle scienze profane sia in quello delle scienze ermetiche. È giunto il momento che egli irrompa per mezzo dell’Ermeneutica delle Scienze Ermetiche nelle Geisteswissenschaften (Scienze dello Spirito). Al pari dell’homo religiosus vive nella storia e oltre la storia: egli è usufruitore e a volte creatore di riti; il mito non gli è estraneo e l’iniziazione è il suo punto di partenza e di arrivo: nasce iniziando e muore iniziatore.

Non è compito di queste pagine dare vita all’homo hermeticus, anche se in senso lato sono pregne della sua presenza soprattutto nelle società di segreti.

In Grecia, in relazione con i misteri possiamo identificare tre tipi di organizzazioni religiose:

I <<professionisti>> itineranti;
L’apparato sacerdotale, il clero, addetto ad un santuario;
Le <<confraternite>> o associazioni, tra cui Tiasi e Fratria
La Fratria assumeva la forma di una confraternita riconoscendo l’origine dei suoi membri da un comune capostipite. La Fratria, alla sua origine, dava la garanzia del diritto di cittadinanza. In seguito divenne un modo per garantire la legittimità della nascita di una persona. L’accettazione nelle forme solenni avveniva a 17 anni, mentre il <<candidato>> veniva presentato al momento della nascita. La Fratria aveva un suo proprio statuto e regolamento e il Fratiarco (capo della Fratria) veniva eletto ogni anno. Questa modalità di elezione è rimasta pressoché simile per millenni all’interno delle società segrete e delle scuole iniziatiche. Nei territori dell’Attica la festa principale era quella delle Apaturie. La Fratria onorava diverse divinità le due principali erano Zeus e Atena, questi erano detti Fratrio e Fratriaerano le due divinità sotto il cui patrocinio si svolgevano le Apaturie. Durate queste feste che duravano tre giorni nel mese di Pianepsione (ottobre – novembre) si formalizzava l’iscrizione dei fanciulli alle Fratrie di appartenenza.

La figura dei preti itineranti non era affatto inusuale nell’antica Grecia ed erano a seconda dei casi temuti o considerati dei ciarlatani. Essi erano chiamati in greco antico agyrtes e mantis. Dalla parola agyrtes con l’aggiunta del prefisso men arriviamo ai Menagyrtes: sacerdoti che con la statua della dea Cibele, detta anche Grande Madre, caricata su di un asino, andavano mensilmente in giro per i villaggi come sacerdoti mendicanti.  Il mantis è un profeta, sacerdote indovino, ha la capacità di ascoltare, sentire il messaggio del dio e interpretarlo.

C’è un aspetto che non è possibile tacere in queste pagine su le religioni dei Misteri, anche se in questo momento può essere solo accennato, i Misteri e i Riti, l’Iniziazione e il Segreto sono comuni anche alla magia. Esiste un possibile rapporto tra Misteri e Magia? Interroghiamo in merito Fritz Graf: Cipriano, se dobbiamo credere alla sua autobiografia apocrifa, non si era soltanto sottoposto a un’iniziazione magica presso i preti di Menfi, ma era stato altresì iniziato a tutta una serie di culti misterici in Grecia e altrove. Egli ne dà un elenco piuttosto bizzarro, in cui troviamo i misteri di Cerere a Eleusi, quelli di Artemide Tauropola a Sparta (palese identificazione della crudele Artemide Ortia delle fonti tarde con l’altra Artemide, assai più crudele ancora, dei Tauri, oltre che di Ale Arafenide nell’Attica), di Era ad Argo, di Cibele in Frigia ecc. Va da sé che l’elenco è una pura invenzione, e che l’autore ha un’idea molto vaga della religione pagana greca, frutto di una lettura frettolosa dei testi anteriori. Eppure quest’elenco è significativo, perché fa capire che l’epoca scorgeva una stretta relazione tra magia e misteri. Si ricorderà che Apuleio aveva confutato l’accusa di magia invocando le sue molteplici iniziazioni a culti misterici, i cui segni segreti erano interpretati dai suoi avversari come altrettanti strumenti magici.

[…] Gli autori dei papiri magici non erano stupidi fino al punto di accontentarsi di combinare materiali provenienti da fonti differenti senza una previa eliminazione di contraddizioni e dissonanze. Al contrario, è lecito concludere che il mondo dei misteri non fosse loro estraneo. Si danno casi inequiovoci, in cui la terminologia dei misteri è stata consapevolmente applicata ai riti magici. Non c’è nessun dubbio che il mago si considerasse l’adepto di un culto misterico, che si sottoponeva ad un preciso rituale: un’esperienza molto vicina a quella dei culti misterici che ci sono ben noti. Nel rituale che secondo Betz, proveniva da un’iniziazione al culto dei Dattili, il mago afferma di essere stato iniziato, telesménos, al loro culto. Ma nel rituale magico quest’affermazione ha uno scopo evidente. Essa è diretta contro quegli esseri infernali in cui il mago s’imbatte, e contro i quali si difende invocando la sua iniziazione, ossia la sua familiarità con i poteri che regnano sul mondo infero. E quando un altro mago si rivolge al dio supremo nei termini seguenti: <<io sono Mosé, il tuo profeta, al quale tu hai trasmesso i tuoi misteri celebrati dagli israeliti, egli vuole dimostrare con queste parole la sua intimità con il dio in questione – una dimostrazione confortata dalla sua conoscenza del nome segreto. Poco importa, ai nostri fini, che i misteri qui in gioco siano quelli Israeliti e non quelli dei Greci.

Ma se tra magia e misteri corrono legami così stretti, quali sono dunque le loro caratteristiche comuni? Ce ne sono, secondo me, almeno tre: magia e mistero sono segreti; cercano il contatto diretto con il divino; infine, ci si accosta ed essi mediante un complesso rituale di iniziazione (Fritz Graf, La magia nel mondo antico, Editori Laterza, Bari 2009, pp. 94-96)

Accedere ai culti era formalmente abbastanza semplice, spesso erano aperti tanto agli uomini quanto alle donne, in alcuni casi anche ai non liberi, ma bisognava versare una tassa, l’obolo per ricevere l’iniziazione. Tale obolo è presente ancora oggi nella maggior parte delle Fratellanze iniziatiche.

Come puoi aver intuito questo post su le religioni dei Misteri ha appena socchiuso la porta sul mondo delle religioni antiche e del mondo magico ed ermetico. Spero che ti fornisca almeno una minima indicazione da seguire per le tue ricerche.

  Gioia – Salute – Prosperità

martedì 7 gennaio 2020

La curiosa scoperta dell'Uomo di Neanderthal

in collaborazione con il blog Fanta-Teorie:

https://fanta-teorie.blogspot.com/2019/12/la-curiosa-scoperta-delluomo-di.html

Chi non ha mai sentito parlare dell'uomo di Neanderthal?
Fino a poco tempo fa si pensava che la sua scomparsa era dovuta all'arrivo dell'uomo Sapiens, più veloce, più forte e più intelligente.
Oggi una nuova teorie apparsa in un articolo di Wired (e non solo) conclude dicendo che invece l'estinzione dell'uomo di Neanderthal è stata solo sfortuna.
Clicca qui per leggere l'articolo

Ma come e chi ha scoperto l'uomo di Neanderthal?
Scopriamolo in questo riassunto tratto dal libro Terra senza Tempo di Peter Kolosimo.

In una sera del 1856 un gruppo di operai stavano scavando in una cava di pietra nella Valle di Neander (da qui il nome Neanderthal) vicino Dusseldorf. D'un tratto si imbatterono in alcuni resti di ossa. Non vi fecero molto caso anche perché non era insolito trovare resti simili durante degli scavi. Anche queste ossa sarebbero finite nel dimenticatoio se non fosse stato per il proprietario della cava. Un signore di nome Pieper. Tale uomo conosceva un professore di nome Johann Carl Fuhlrott, insegnante di ginnasio, che nel tempo libero si divertiva a cercare, catalogare e studiare resti di ossa, alle quali tesseva racconti di uomini vissuti in epoche antichissime. Appunto il signor Pieper diede queste ossa al signor Fhulrott, in modo che potesse trovare loro un'altra storia.
Ci volle un anno affinché il professore Fhulrott ricavasse una storia da queste ossa insieme all'amico anatomista Hermann Schaaffhausen. Ma alla fine lo fece, consegnando al mondo un modesto saggio dove affermava che le ossa rinvenute nella valle di Neander fossero i fossili di un uomo primitivo. Da qui ha inizio la storia dell'Uomo di Neanderthal.
Inutile dire che tale teoria scatenò un pandemonio nel mondo scientifico di allora, bollando il tutto come fantasia.
Poi nel 1859 uscì il famoso libro L'origine delle Specie del naturista Charles Robert Darwin e allora tutto cambiò. Fhulrott morì nel 1877 ma in vita non godette mai della stima dell'intera comunità scientifica. Divenne celebre e famoso solo dopo la sua morte, un po' come i grandi pittori della storia. Stessa sorte è toccata al collega anatomista Hermann Schaaffhausen.
Però insieme raggiunsero un traguardo molto importante. Di fatto sono stati i padri fondatori della Paleoantropologia.

Mi sento di profetizzare che tra venti o trent'anni studiosi come Zecharia Sitchin, Graham Hancock, Mauro Biglino, Pietro Buffa, e molti altri che oggi non nutrono di buona considerazione dal mondo accademico, domani saranno ritenuti dei rivoluzionari e dei precursori della storia umana. Mi sento di profetizzare che in un futuro non troppo lontano la Paleoastronautica diverrà una realtà quantomeno da considerare ufficialmente anche nel mondo accademico.

lunedì 6 gennaio 2020

Tritemio e la Confraternita Celta

in collaborazione con l'autore Michele Leone

tratto da: https://micheleleone.it/tritemio-e-la-confraternita-celta/

La Confraternita Celta: società segreta o modello di conoscenza “universale”?

Un abate nero, la misteriosa Confraternita Celta e un pizzico di occultismo sembrano gli ingredienti per un romanzo eppure sono parte della storia.

C’è un personaggio che non dovrebbe sfuggire all’interesse di quanti si occupano di occultismo, società segrete e crittografia: Johannes Trithemius (Trittenheim, 1° febbraio 1462 – Würzburg, 13 dicembre 1516), pseudonimo di Johann von Heidenberg italianizzato in Giovanni Tritemio.

Si può guardare a Tritemio come modello di uomo universale del Rinascimento, i cui interessi vastissimi spaziavano dalla matematica allo studio delle lingue (tra le molte lingue conosceva l’ebraico e il caldeo), dalla astrologia alla crittografia, all’occultismo. Venne definito “bibliofago” e “abate nero” a causa dei suoi interessi. Era in contatto e corrispondenza con uomini di ingegno, principi, cabalisti, alchimisti, maghi e astrologi, ed ebbe come allievi Paracelso e Cornelius Agrippa von Nettesheim (dei quali ti parlerò in un prossimo post). L’opera che su tutte lo ha consacrato all’immortalità è la Steganographia, edita postuma e messa nell’Indice dei libri proibiti nel 1609.

L’abate nero tra i suoi studi di magia non esclude quelli di magia oscura e demonologia e definisce il De officiis spirituum (Liber Officiorum Spirituum), attribuito a Salomone come un libro maledetto e diabolico. L’incipit di questo libro è: In hoc libro sunt omnia secreta artium. Questo volume è importante per gli studiosi delle cose occulte perché è una delle pietre d’angolo della Pseudomonarchia Daemonum e dell’ Ars Goetia.


La tradizione vuole che mentre Tritemio era all’Università di Heidelberg, spinto dai suoi interessi verso l’occulto e la scienza aderisse o co-fondasse la Confraternita Celta «che studiava l’astrologia, la matematica e la letteratura». Probabilmente ne facevano parte insieme a lui Johann von Dalberg e Rudolf Agricola. Il poeta e letterato Conrad Celtis, pseudonimo di Conrad Pickel (10 febbraio 1459 – 4 febbraio 1508), uno tra gli uomini che contribuirono alla formazione di Tritemio, potrebbe essere stato in qualche modo ispiratore della Confraternita Celta, non tanto per la facile assonanza con il suo cognome, ma perché in uno dei suoi numerosi viaggi, durante un soggiorno in Italia, ebbe modo di apprezzare il modello delle Accademie umanistiche del nostro paese. Al suo rientro in Germania Celtis volle imitare questo modello esemplare di cultura e fondò prima l’accademia: Sodalitas Litterarum Vistulana (1496) e successivamente in Ungheria, la Sodalitas Litterarum Hungaria. L’accademia Sodalitas Litterarum Rhenana fondata da Celtis intorno al 1495 aveva tra i sui membri anche Tritemio.

È pertanto l’alchimia una casta meretrice, che ha molti amanti, ma tutti delude e a nessuno concede il suo amplesso. Trasforma gli stolti in mentecatti, i ricchi in miserabili, i filosofi in allocchi, e gli ingannati in loquacissimi ingannatori… (da Annalium Hirsaugensium Tomus II, S. Gallo, 1690, 225; citato in Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, cap. 58, Bompiani 2007).

Ci sarebbe molto altro da dire, ma per oggi penso possa andare bene così

   Gioia – Salute – Prosperità

venerdì 27 dicembre 2019

Gli uomini di Neanderthal? Ecco svelata la causa della loro estinzione

Tratto da "il Giornale del 29 maggio 2019

Una ricerca potrebbe aver svelato la causa dell'estinzione dell'uomo di Neanderthal

di Carlo Lanna

 Dopo un’indagine accurata che è stata portata avanti dai geologi dell’Istituto di Scienze Marine del consiglio nazionale delle ricerche di Bologna e dell’università della Florida a Gainesville, è stata svelata la causa dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal.

È noto a tutti che ben 40mila anni fa i Neanderthal si sono estinti ma nessuno aveva mai approfondito le cause, almeno fino a questo momento. La ricerca ha di fatto evidenziato una verità che, in un certo qual modo, potrebbe rivelare uno dei più grandi misteri del genere umano. I Neanderthal si sarebbero estinti a causa degli effetti provocati dall’Evento Laschamp. Un crollo del campo magnetico terrestre che perdurò per più di 2000 anni, ha provato un aumento delle radiazioni ultra-violette. L’evento è stato determinate, in quanto ha favorito la sopravvivenza dei Cro-Magnon a discapito dell’uomo di Neanderthal. A quanto sembra l’essenza di un recettore acrilico, ha svolto un ruolo importante nella loro estinzione.

La ricerca è stata portata avanti da un’analisi che ha confrontato dati e DNA genetici degli uomini presenti sulla Terra, prima e durante l’estinzione dei Neanderthal. Si è così dimostrato che l’Evento Laschamp è la causa scatenante dell’estinzione. L’evento ha portato all’estinzione anche di alcuni mammiferi.

venerdì 13 dicembre 2019

La Legge del ritmo: espansione e contrazione


di Vito Foschi

Chi si appresta a leggere o studiare testi esoterici o più generale spirituali si troverà a che fare con il concetto di ritmo o movimento che spesso fa il paio con quello di dualità, perché il ritmo è fatto di due movimenti, potremmo dire di andata e di ritorno o più precisamente di espansione e contrazione. È facile mostrare l’esistenza del ritmo nella vita di tutti i giorni, basti pensare al respiro composto dai due movimenti di inspirazione ed espirazione che coinvolge tutti gli esseri viventi, alle maree, al sole, ai cicli lunari, ecc. Ma oltre a queste evidenze, il ritmo lo ritroviamo nella vita di tutti i giorni. Quante volte è capitato che in poco tempo si sono accumulati avvenimenti positivi o negativi? Per esempio, nel giro di breve tempo si rompono lavatrice, auto e si prende un brutto malanno e poi per mesi o anni non succede niente e si procede con il tran tran quotidiano. In qualche modo il tempo si contrae e accadono più avvenimenti e poi si espande rallentando e non accade niente di eccezionale. Se riflettiamo sulla preparazione di un esame universitario vedremo una prima fase di contrazione in cui tutte le energie sono focalizzate sull’obiettivo, ci si chiude in casa, non si perde tempo in altro e poi tutta l’energia accumulata viene rilasciata al momento dell’esame: contrazione ed espansione.
Da un certo punto di vista queste considerazioni sono rassicuranti perché si può essere certi che dopo un periodo di contrazione in cui si concentrano più avvenimenti seguirà un periodo di distensione in cui la vita scorrerà più tranquilla. Conoscendo questa legge in qualche modo si possono governare i cicli di contrazione e di espansione. Per esempio una spesa voluttuaria si potrà fare in un periodo di espansione perché si è certi che non ci saranno spese improvvise, o in fase di espansione si possono accumulare risorse per affrontare con maggiore serenità i periodi di contrazione. Abbiamo fatto esempi sul piano materiale individuale, ma tale regola vale a tutti i livelli ritrovandosi a livello sovraindividuale, psichico e spirituale. La legge di contrazione ed espansione è legge universale e la ritroviamo anche a livello cosmico nella vita di stelle e pianeti.
A livello storico è facile individuare periodi di espansione e contrazione osservando la vita di una nazione o di una civiltà. A livello psichico abbiamo fatto l’esempio dell’esame universitario, ma a tutti sono capitati periodi che si è giù senza apparente motivo e altrettanti periodi di euforia inspiegabile. I cicli spirituali sono di più difficile individuazione, ma si possono notare gli effetti. Se siamo completamente immersi nella materialità di tutti i giorni senza che rimanga spazio per lo spirito potremmo essere in un ciclo di contrazione spirituale, notando effetti contrari potremmo trovarci in una fase di espansione spirituale.
I cicli sono di breve, medio e lungo termine e si possono intrecciare fra di loro. Nello stesso tempo si potrebbe essere in un ciclo di contrazione spirituale lungo e in uno di espansione materiale breve. Riuscire ad armonizzare i vari cicli orientando psiche e spirito risulta di gran giovamento.



Vi segnaliamo due libri dell'autore dell'articolo:

La simbologia occulta nella leggenda del Graal


Il papà racconta

lunedì 2 dicembre 2019

Il papà racconta in cartaceo

Vi consigliamo per un possibile regalo di Natale, il libro "Il papà racconta" di Vito Foschi, nostro valente collaboratore, ora finalmente cartaceo.
Il libro di favole forse un po' lontano dalle nostre tematiche, rimanendo sempre nell'ambito del fantastico contiene una favola con dei risvolti simbolici. Lasciamo ai lettori capire di quale favola si tratti. Il libro è composta da dodici favole in 72 pagine con carattere ampio, in modo da rendere la lettura facile anche ai più piccoli.
Vi lasciamo i titoli delle dodici favole:

Il drago starnutente 
Il topolino bianco
Lo scoiattolo pigro
Le cavallette salterine
I maiali e i cinghiali
La fata golosa
Il nano pasticcione
Il Folletto Burlone
L’Elfo miope
Il fabbro felice
I monelli e la strega del mare
Il principe capriccioso

sabato 23 novembre 2019

RENÉ GUÉNON E L’IDEA METAFISICA*

tratto da: https://drive.google.com/file/d/12D2WJoksEsGgzOrHigN2cWcH7xJgsPb4/view

André Préau

Qualunque siano le conseguenze pratiche che sono state e potranno essere tratte dall’opera di René Guénon e quali che possano essere gli apprezzamenti cui darà luogo, v’è un punto sul quale i suoi fedeli lettori hanno sempre concordato: il loro attaccamento a quest’opera viene prima di tutto da ciò che ha permesso loro di “comprendere”. Per loro, tutto a un tratto, il caos intellettuale in cui vive l’uomo moderno s’è ordinato: hanno avuto la fortissima impressione di “vedere” e, se non “vedevano” tutto, almeno avevano la consapevolezza di possedere, per studiare qualsiasi questione, una posizione nuova e, a loro avviso, superiore. Analizzare quest’impressione, questa “sensazione” di chiarezza che il lavoro di René Guénon dà è un compito più complesso di quanto paia a prima vista; e ci limiteremo a chiarire l’elemento centrale, essenziale, della lucidità guénoniana e che è, crediamo, l’idea metafisica.

Quest’idea che, come ciascuno sa, Guénon ha presentato soprattutto nella sua forma indù, si riassume in poche parole: identità del Sé e di Brahma, Infinito e manifestazione, Essere e Non-Essere, stati molteplici. Quest’idea è “metafisica” in quanto è “ultima”, vale a dire che assicura alla mente la possibilità più grande: ora l’idea dell’Infinito apre all’intelligenza un campo illimitato in cui ogni cosa, qualsiasi visione dell’animo, persino qualsiasi errore, può trovare il suo posto. Permette così d’avvolgere tutto e di riportare tutto all’unità, il che è la prima condizione d’ogni comprensione. E, l’Infinito essendo in una volta Essere e Non-Essere, luce e tenebre, affermazione e negazione, può essere l’origine di tutte le posizioni come di tutte le esclusioni, avvicina e tiene a distanza, identifica e distingue, fa brillare e spegne. Con ciò è principio d’unione e di separazione e, per gli innumerevoli nessi, talvolta stranamente opposti, che implica tra tutte le forme e tutte le idee, è l’origine allo stesso tempo di discordia e d’armonia, di lotta e di conciliazione, vale a dire di vita intellettuale nel senso più elevato della parola, vita “intelligibile” cui partecipiamo debolmente e che è in definitiva quella della stabilità principale. Unità, non-limitazione, dualità del sì e del no, gerarchia: in questa complessa idea, l’intelligenza trova tutti gli elementi di un ordine universale, vale a dire che si
ritrova essa stessa e, con lei, tutti i modi, forme e “intenzioni” del pensiero, tutti i possibili giochi di conoscenza e d’ignoranza.

Quest’idea, come Guénon ha ben visto, non è puramente e semplicemente tradizionale, nel senso che vi sono delle tradizioni che non sono metafisiche. La dottrina dell’identità del Sé e di Brahma, che ne è un aspetto essenziale, è ignorata dal Buddismo e non è riconosciuta da alcuna delle tre tradizioni monoteiste. È anzitutto una dottrina del Brâhmanesimo, ma anche del Taoismo e del “Platonismo”; in realtà, allo stato attuale dei documenti accessibili, tali sono proprio le tre grandi sorgenti metafisiche dell’umanità. Va anche aggiunto che, pur lasciando da parte la negazione buddistica, la dottrina dell’identità non è stata criticata in nessun luogo più aspramente che in India, proprio là dove s’era affermata il più fortemente e dove poteva far valere numerosi testi delle Upanishad; e questa critica non è venuta soltanto dal vishnuismo, ma anche dallo shivaismo, segnatamente da quell’importante branca dello Shaiva-Siddhânta. Quest’atteggiamento di numerosi maestri indù è, in ultima analisi, con ogni probabilità imputabile a un indebolimento dello spirito metafisico; ma, poiché la dottrina dell’âtmâ è fondata su dei testi formali della Shruti, è ragionevole supporre che non avrebbe mai incontrato un’opposizione così forte e così estesa se l’esperienza non avesse dimostrato che il suo insegnamento non era privo di pericoli e che il suo senso vero era più sottile di quanto sembrasse a prima vista. L’indù, che si sa identico a Brahma, è tentato di considerare Brahma, che risiede nel loto del suo cuore, come una sorta di gioiello nascosto che sarebbe suo e di cui dovrebbe solo prendere possesso. La “realizzazione” spirituale, con cui diventa ciò che è, viene allora intesa come una sorta d’“affare personale”, per il quale i mezzi tradizionali sono solo procedimenti di risveglio e dei coadiuvanti: l’essenziale per l’uomo è di far penetrare la punta della sua coscienza attraverso tutti gli involucri che gli velano il Sé. Tale realizzazione, in altre parole, rischia assai d’essere concepita semplicemente come il ratto e l’assimilazione del Sé da parte dell’io, mentre essa è anche, e ancor più, il dono del Sé all’io e l’evizione dell’io da parte del Sé. Il Sé universale non è un possesso dell’io individuale, è il suo essere nascosto, cioè si rivela a lui quando piace. Da qui l’insistenza dei maestri sugli atteggiamenti d’amore e di sottomissione e sull’importanza della grazia (prasâda, anugraha, shaktipâta), che non era d’altronde stata dimenticata dalle scuole rimaste legate alla pura dottrina dell’identità, quali il vêdânta shankariano e lo shivaismo del Kashmir.

In modo generale, una dottrina spirituale è, in quanto tale, un’antropologia, cioè è d’ordine cosmologico. È una dottrina della dualità, poiché insegna una via, una direzione, definita al tempo stesso dal suo punto di partenza e dal suo punto d’arrivo: è mediatrice tra jîvâtmâ e Paramâtmâ. La metafisica è per lei un’implicazione, non il suo stesso corpo; e le difficoltà intellettuali che offrirà deriveranno spesso dalla necessità d’armonizzare le formule, sovente contraddittorie, della metafisica e della cosmologia. Una metafisica leggermente irrigidita minaccia la spiritualità; e questa, per difendersi, s’è frequentemente rifugiata in dottrine dualiste e pluraliste che, a loro volta, compromette
vano la sua fondamentale ispirazione dandole un carattere più o meno arbitrario.

Quest’ultima soluzione tuttavia non è stata quella del buddismo, come se obbedisse suo malgrado a qualche secondo fine metafisico. Partendo, come l’Induismo, della dualità del samsâra e della liberazione, distrugge il primo termine con l’idea d’illusione, di vuoto; e, quanto al secondo, lo vela in un’apofasi assoluta. Realizza l’unità in modo negativo, è l’unità del Vuoto. Infine, per dare il colpo di grazie all’uomo e lasciarlo senz’alcuna prospettiva di futuro, che diventerebbe velocemente per lui l’occasione di un desiderio, rompe il sûtrâtmâ, che riunisce tra loro i vari stati dell’essere, e non lascia più di fronte all’asceta che un compito da adempiere. Alla lunga, come si sa, questa dottrina non ha potuto mantenere il rigore della sua negazione originaria(1).
Nelle tradizioni monoteiste, al contrario, si è in pieno “realismo” e la nozione scritturale di creazione è stata interpretata dogmaticamente nel senso di un’irriducibile dualità del Creatore e della creatura. Senza dubbio si potrebbe far osservare che questa dualità, essendo d’ordine cosmologico e corrispondente a una prospettiva temporale, non contraddice la non-dualità metafisica. Si può considerare la creazione come inclusa nell’Atto eterno e infinito – Dio essendo e irraggiando per un solo e medesimo atto –; ma, dal momento che non lo si fa, si traspone quest’idea su un piano puramente razionale, temporale, la si “pensa” per mezzo di schemi la cui relatività è evidente e che implicano in qualche modo una dualità: o, in relazione a Dio, quella di un interno (il Creatore) e di un esterno vuoto che si tratta di riempire, o in Dio stesso quello della potenza, corrispondente allo stato “anteriore” alla creazione, e dell’atto, corrispondente allo stato “posteriore” o, se si preferisce, allo stesso Fiat creatore. Gli Indù hanno un Dio creatore, che è Brahmâ, ma il suo atto rientra nel dominio della Shakti, non in quello di Parama-Shiva. Senza dubbio la differenza e la distanza hanno i loro analoghi in ciò che abbiamo chiamato l’Atto eterno e infinito, che è l’unione, non la confusione, di Shiva e della Shakti: esse ne rappresentano dei “momenti” che una dottrina monistica rischierebbe di dimenticare. Ma i “momenti” dell’unità e dell’identità sono a loro volta, dal punto di vista in cui ci poniamo, un po’ troppo trascurati nelle teologie monoteiste, in cui l’unità divina s’oppone puramente e semplicemente alla diversità creata. L’esperienza degli spirituali, che ha fatto temere che il Sé, riconosciuto come divino, non venisse a gonfiare l’io invece di ridurlo e d’esaurirlo, ha con ogni probabilità giocato un ruolo importante nella costante affermazione del dualismo; cui è venuto ad aggiungersi, presso i teologi della Chiesa latina, l’influenza decisiva e ben nota dell’aristotelismo.
Se dunque la dottrina dell’identità non è accettata dalle tradizioni monoteiste, il minimo tuttavia che se ne può asserire è che infesta tutto il pensiero “platonico”, incluso il “platonismo cristiano”, per non parlare dei sufi, soggetti d’altronde alla duplice influenza dell’India e del neoplatonismo. S’è espressa, talvolta in modo molto chiaro, vuoi negli scritti di uomini naturalmente metafisici – ad esempio in Plotino e Nicola Cusano – o in quelli di spirituali che cercano di tradurre le loro illuminazioni. Ma, fondamentalmente estranea all’aristotelismo, è divenuta, dalla fine del Rinascimento, che è stato anche quella del platonismo, e malgrado certi sforzi dei cartesiani, e soprattutto dei filosofi romantici tedeschi, quasi estranea al pensiero moderno. L’opinione di Cartesio, che l’idea dell’Infinito fosse la prima di tutte, è rimasto per molti lettera morta e, in modo generale, la filosofia degli ultimi secoli è mancata del campo necessario alla sua speculazione. Sebbene reagisca oggi piuttosto fortemente contro il razionalismo e il materialismo, resta nondimeno lo specchio del suo tempo, ossia di un’epoca che trae dalle scienze positive la maggior parte del suo nutrimento intellettuale; e il desiderio, abbastanza naturale, di rimanere sempre in piena continuità con la scienza, di non abbandonare alcun punto di contatto con essa, la ricollega in realtà ai modi di pensiero e di conoscenza propriamente umani, razionali. Vorremmo quasi dire, se l’espressione non fosse così irriverente, che la filosofia moderna ha una palla al piede: la palla del “pensiero scientifico”, relativo per definizione. A parte alcune felici eccezioni, lo stato della filosofia contemporanea – per riprendere un paragone molto usato – è ancora sotto molti aspetti simile a quello dell’astronomia prima di Copernico: le costruzioni più ingegnose sono accumulate attorno a un postulato cui non si vuol rinunciare e che è qui la supremazia dell’uomo(2). Se si indica la “terra” come la dimora dell’uomo, il suo ambiente naturale, il “sole” come la verità che attrae le intelligenze, si potrebbe dire che l’attuale situazione intellettuale richiede una rivoluzione che faccia passare da un sistema geocentrico a un sistema eliocentrico, che faccia preferire la verità all’uomo, o più precisamente la verità in breve alla verità umana. Questa rivoluzione, Guénon l’ha compiuta per molti dei suoi lettori.
Ha restituito loro le regioni ipercosmiche e sovra-umane della realtà, quel che il pensiero moderno ha ritenuto di dover trascurare e quel che si è dimostrato incapace di sostituire. Senza dubbio si può giudicare che l’opposizione che Guénon ha stabilito tra le civiltà tradizionali e il mondo moderno è la parte della sua opera più visibile e più caratteristica; ma si sarebbe capita male senza il suo sfondo metafisico. Ecco perché ciò che abbiamo chiamato l’idea metafisica, con i suoi diversi aspetti e i suoi punti di partenza cosmologici, ci pare rappresentare la parte centrale del suo messaggio, la verità più “vivente” e più importante che ci abbia portato o richiamato. Siegfried Lang ha caratterizzato abbastanza bene la sua opera come un “rifugio della metafisica”.

Val appena la pena aggiungere che le verità più alte sono, per loro natura, proprie al dominio dell’inesprimibile e che non si rivelano con qualche formula, per quanto indovinata e opportuna possa essere. Mal si concilierebbero con procedimenti affrettati, che s’accontenterebbero d’opporre un dogmatismo a un altro dogmatismo. Come il ghiaccio di cui parla lo Yi-king («Si cammina sul ghiaccio. Grande circospezione»), i nostri concetti ci portano sempre solo fino a un certo punto; e la dottrina più chiara giace a nostra insaputa su un fondo yin, su un mistero, proprio come dietro al Deus revelatus, e velata dal suo splendore, si trova ancora il Deus absconditus che l’ha generato(3). Si tratterebbe, dunque, non tanto di “trasmettere” un’idea quale ad esempio quella dell’identità (se ne può solo trasmettere l’abito) quanto di studiarne le diverse espressioni, di meditarla e di comprenderla, se possibile, nelle sue più utili sfumature. Non è questione, beninteso, di cogliere lo spirito impercettibile in alcuna rete concettuale, ma soltanto d’affinarne e orientare la concezione, in modo che possa irradiare più liberamente in un dato ambiente mentale e, innanzitutto, in noi stessi.


* André Préau, René Guénon et l’idée métaphysique, in Études Traditionnelles,
n. 293-294-295, Numéro spécial consacré à René Guénon, 1951.

1) Per il suo spirito e le sue conclusioni, tale rigore può essere paragonato a quello di Simone Weil quando scrive che importa poco sapere se il Bene esiste o no, poiché in ogni modo «ciò che non è lui non è bene», o ancora che la questione delle ricompense non dev’essere posta, poiché implica un ritorno dell’anima a se stessa, un rilassamento del suo sforzo verso il Bene (vedi La connaissance surnaturelle, pp. 284 e segg. e p. 321).

2) Presso i tomisti, il postulato che non può essere messo in discussione è il “realismo” derivato dalla concezione aristotelica dell’“essere” e che fa considerare il platonismo, e ogni forma d’“idealismo”, come una tossina intellettuale.

3) Le formule e le definizioni dogmatiche, scrive Simone Weil, devono essere accettate, «non come verità, ma come qualcosa dietro cui si trova la verità» (Lettre à un religieux, p41)

mercoledì 20 novembre 2019

“Della Favola, del Viaggio e di altre cose” di Sergio Solmi in bancarella

Una piccola segnalazione libraria in collaborazione con Simone Berni (http://www.cacciatoredilibri.com/della-favola-del-viaggio-e-di-altre-cose-di-sergio-solmi-in-bancarella/)

ROMA PORTA PORTESE Domenica 8 Settembre 2019 Su una bancarella di Via Parboni, è stato avvistato un libro (pagine 109 in 8° piccolo) dello scrittore, poeta e saggista Sergio Solmi (1899-1981). Il volume s’intitola: Della Favola, del Viaggio e di altre cose – Saggi sul fantastico ed è stato pubblicato in prima edizione nel 1971 da Riccardo Ricciardi (Milano-Napoli). Si tratta di una raccolta di scritti che apparvero in riviste letterarie o furono presentati come prefazioni a libri di altri autori, qui riuniti per omogeneità di argomento. Il saggio viene offerto, come nuovo, a 15 € (E. P.)


giovedì 14 novembre 2019

Trofeo Letterario La Centuria e La Zona Morta

E’ partita la XII Edizione del “Trofeo Letterario La Centuria e La Zona Morta” per racconti fantasy con la collaborazione dell’Associazione “A Campanassa” di Savona e della manifestazione “Savona  International Model Show 2020”.
L’Associazione Culturale “La Centuria” e il sito “La Zona Morta” gestiranno le varie fasi dell'iniziativa e selezioneranno, tra gli scritti pervenuti, i racconti finalisti, i quali saranno poi valutati da una Giuria di qualità costituita da scrittori quali Davide Longoni, Donato Altomare, Filippo Radogna, Giovanni Mongini, Alessio Banini, Anna Giraldo ed Emanuele Manco, oltre a esperti appassionati del settore dell’Associazione “La Centuria”, dalla Prof.ssa BOTTINELLI Simonetta dell’Associazione “A  Campanassa” e da  autori di  giochi.
Ciascun testo verrà giudicato innanzitutto per l’originalità della trama e della scrittura, per la forma e la chiarezza  narrativa.
Per i primi cinque racconti classificati sono previsti un attestato, una medaglia e la pubblicazione sul sito internet de “La  Centuria” (www.lacenturia.it), sul sito internet “La  Zona  Morta”  (www.lazonamorta.it), sulla rivista cartacea “La Zona Morta Magazine” e sul sito di GdR www.dark-chronicles.eu, nonché sulla  brochure cartacea  ufficiale dedicata alla “Savona  International Model Show” prossima ventura e un libro a testa offerto dalle Edizioni Il Foglio Letterario.
Inoltre il primo classificato riceverà un Premio di 200,00 Euro, il secondo un  Premio di 100,00 Euro e il terzo un Premio di 100,00 Euro in buono-libri.
Per partecipare inviare i testi (max 4 per partecipante e max 21.600 caratteri, spaziature fra parole incluse) in formato .rtf e .txt a: associazione@lacenturia.it, longdav@libero.it e letteratura@dark-chronicles.eu.
La partecipazione al “Concorso letterario La Centuria e La Zona Morta” è pari a Euro 7,00 (sette/00), da versarsi tramite ricarica/accredito su Carta PostePay n. 4023 6009 1499 9893 intestata a Davide Longoni.
La scadenza è prevista per il 20 dicembre 2019, mentre la cerimonia di proclamazione dei vincitori avrà luogo nella tarda mattina/primo pomeriggio del giorno domenica 13 gennaio 2020 all’interno della Torre medievale del Brandale, Piazza del Brandale 2, a Savona (SV).
Ulteriori info all’interno dei siti citati.