Il Sito del Mistero vi augura buone feste
Blog dedicato ai misteri, esoterismo, antiche civiltà, leggende, Graal, Atlantide, ufo, magia
lunedì 25 dicembre 2017
giovedì 21 dicembre 2017
mercoledì 13 dicembre 2017
La Grande Guerra degli esoteristi
tratto da Tempi del 18 ottobre 2017
di Sandro Consolato
Il matematico fiorentino, il musicista calabrese, l’archeologo romano, il filosofo idealista, la nobildonna medianica e un misterioso ieronimo
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola – Siamo arrivati quasi alla fine del penultimo anno del centenario della Grande Guerra. In Italia piuttosto svogliatamente, e c’è da prevedere che ci sarà un sussulto solo per ricordarsi, tra breve, di Caporetto. Molto avrebbe potuto e dovuto essere fatto dal ministero della Pubblica istruzione per ricordare nel modo migliore il profondo intreccio tra vita intellettuale e artistica ed esperienza bellica, ma è difficile aspettarsi adeguate iniziative da chi due anni fa (Miur, Nota prot. n. 3401 del 19 maggio 2015) invitava le istituzioni scolastiche regionali a celebrare il Centenario del 24 maggio aprendo col riferimento ad una «data [che] rappresenta l’inizio di una pagina buia della nostra storia». Ma qui non è di questo che vogliamo parlare. Non senza rapporti con l’interventismo degli intellettuali e degli artisti, vi è una storia poco nota che riguarda la cultura italiana e la Grande Guerra, ed è quella dell’attiva partecipazione ad essa degli esoteristi. Ed è questa storia che vorremmo raccontare.
Intanto, è bene ricordare che l’esoterismo è ormai entrato a livello internazionale nella storia delle idee e nella stessa storiografia nazionale, come dimostrano gli Annali 21 e 25 della Storia d’Italia Einaudi, dedicati a La Massoneria (2006) e all’Esoterismo (2010), entrambi a cura di G. M. Cazzaniga. Tuttavia pure in queste due opere della Grande Guerra non si dice granché, e perfino il ruolo della massoneria in questa importante vicenda non trova adeguata trattazione, mentre la ha per ciò che riguarda l’irredentismo prebellico. Ma qui non è neanche della massoneria, il cui impegno di fatto non ebbe alcun risvolto da dirsi realmente “esoterico”, che intendiamo parlare, pur se in una certa misura si ha a che fare anche con essa.
Tutto ebbe inizio alle Giubbe Rosse?
Vi è ormai tutta una serie di studi rigorosi (v. ad es. F. Giorgio, Roma Renovata Resurgit, Il Settimo Sigillo, 2011) che evidenziano come nella storia italiana si siano di tempo in tempo manifestate correnti esoteriche rifacentesi all’ermetismo ma anche alla tradizione romana, e però datesi pure il compito, nei secoli della frammentazione politica e del dominio straniero, di riportare l’Italia alla sua unità “augustea”. E se “unitarista” fu anche la massoneria italiana dall’età napoleonica in poi, in ciò deve vedersi pure l’influsso in essa di tali correnti. E basterebbe pensare al documento carbonaro del 1821 intitolato “Patto d’Ausonia”, prefigurante un’Italia con Roma capitale e comprendente penisola e isole con tutti i territori già veneziani e Trieste e Fiume, per capire come la Grande Guerra dovesse essere voluta quale coronamento di un progetto concepito da lunghissimo tempo.
In età giolittiana, nella Firenze delle “Giubbe Rosse”, appare un giovane musicista calabrese, come venuto dal nulla. Si chiama Amedeo Rocco Armentano (1886-1966) ed entra nella massoneria fiorentina nel 1907. Ma ARA, così sarà pure conosciuto, ha in proprio, in campo esoterico, qualcosa di più: è il depositario di un insegnamento segreto, proprio ad una tradizione squisitamente italica, pitagorica. Un’antica torre sul mare, la Torre Talao, nella nativa Scalea (Cs), è, dal 1913, la “rocca” della Schola Italica, con le sue pratiche. Verso il 1910 circa il maestro conosce ed inizia Arturo Reghini (1878-1946), matematico, anche lui massone, amicissimo di Papini. Nel 1912 Armentano e i suoi discepoli entrano nel Rito filosofico italiano di Eduardo Frosini (1879-?) per dare un più ampio respiro alle loro idee, anche quelle storiche e politiche, che si esprimono nell’articolo di Reghini “Imperialismo pagano”, che appare nel 1914 sulla rivista La Salamandra. «Imperialismo Pagano – dirà poi ARA – non significa un ritorno al Paganesimo, ma alla Romanità, cioè a quell’idea dell’Unità che nacque in Roma ma che è universale ed eterna». Da qui «un movimento riallacciantesi sul serio all’antica sapienza pitagorica, occidentale e, più che mediterranea, tirrenica».
Ekatlos e la Grande Orma
Già nel 1913 Reghini ha presente che è vicino un grande conflitto europeo, ma Armentano pare averlo già previsto molto tempo prima. E in quello stesso anno, in un altro milieu esoterico, a Roma, accade pure qualcosa di straordinario, se dobbiamo credere alla relazione su una serie di eventi accaduti tra il 1913 e il 1923 che è pubblicata con il titolo “La Grande Orma”. La scena e le quinte e con la firma “Ekatlos” venne poi pubblicata nel 1929 sulla rivista Krur, diretta da Julius Evola. Ekatlos scrive: «Sulla fine del 1913 cominciarono a manifestarsi segni che qualcosa di nuovo richiamava le grandi forze della tradizione nostra. Questi segni ci furono direttamente palesi». Racconta dunque del ritrovamento, in un antico sito romano e in seguito a indicazioni pervenute per vie misteriose, di uno scettro e di una benda con i segni di un rituale. Eseguito «per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta», il rito avrebbe visto accorrere «forze di guerra e forze di vittoria». «La guerra immane, che divampò nel 1914, inaspettata per ogni altro – spiega sempre Ekatlos – noi la conoscevamo. L’esito, lo conoscevamo. L’una e l’altro furono visti là dove le cose sono, prima di esser reali. E vedemmo l’azione di potenza che una occulta forza volle dal mistero di un sepolcro romano».
Vi è chi ha voluto vedere, nascosto dietro il nome Ekatlos il principe Leone Caetani (1869-1935), insigne islamista, deputato democratico costituzionale tra il 1909 e il 1913, poi vicino al socialista interventista Bissolati e volontario lui stesso nel 1915, ufficiale nell’artiglieria di montagna in Cadore fino al 1917. Più sicura sembra peraltro l’identificazione dello stesso aristocratico romano con un altro esoterista, autore nel 1910, con il nome di “Ottaviano”, di tre scritti per la rivista Commentarium, espressione della Fratellanza di Miriam, fondata nel 1896 dall’ermetista Giuliano Kremmerz (1861-1930). Che comunque la relazione di Ekatlos provenisse dall’ambito kremmerziano ne è prova il fatto che a consegnarla ad Evola nel 1929 fu la nobildonna Camilla Calzone Mongenet, discepola di Kremmerz. Significativo, in ordine alla Grande Guerra, che la Mongenet, come emerge dalle carte di un processo del dopoguerra in cui ebbe come avvocato difensore Farinacci, si ritenesse una sorta di madrina mistica dei combattenti. Non è molto chiara la posizione di Kremmerz sulla guerra, ma se sappiamo per certo, come scrisse Reghini, che era «un buon italiano», è anche vero che in una sua lettera ai discepoli del 1° giugno 1917 palesa più larghi sentimenti umanitari ed esprime il suo sconforto per «i sanguinosi risultati dell’ora presente». Pure tra i suoi discepoli troviamo però volontari in guerra, come il tenente pugliese Giovanni Bonabitacola (1880-1945), che poi dal 1921 guiderà la Miriam romana. Dalla migliore storia della Miriam in circolazione (www.giulianokremmerz.it/STORIA/HOME_Storia.htm) apprendiamo peraltro che per la salvezza dei Fratelli al fronte «Kremmerz trasmise il rito del Pretium, forse di origine romana, comunque antichissimo ed assai complesso. Il rito funzionò perfettamente: ai Fratelli che furono chiamati in guerra fu consegnata la scheggia rituale e grazie al suo potere tornarono tutti illesi, ad eccezione di un fratello che comunque fu soltanto ferito».
Volontari per il fronte partono anche Armentano e i suoi. Armentano è in Cadore con gli Alpini, e alpino è pure uno dei suoi primissimi e fidati discepoli, Giulio Guerrieri, che a Parigi aveva, come del resto lo stesso Armentano, stretto rapporti amichevoli con quello che diventerà più tardi il più famoso esoterista del Novecento: René Guénon. Lo stesso Gran maestro del Rito filosofico, Eduardo Frosini, si arruola volontario, ma finirà poi prigioniero degli austriaci. Reghini si vede invece più volte respinta la domanda di arruolamento, e solo nel febbraio del 1917 viene finalmente ammesso all’Accademia militare di Torino, finendo poi al fronte come sottotenente del Genio. Ma Reghini ha attivamente operato fin dal 1914 per l’intervento. Già nel settembre di quell’anno, nell’articolo “Sempre Avanti” de Lacerba di Papini, aveva invitato monarchia e governo a rompere la neutralità e ad entrare in guerra contro l’Austria per guadagnare le «terre irredente» e stabilire l’egemonia italiana sull’intero Adriatico. Sempre nel 1914, allorché Giovanni Amendola, massone ma anche vicino alla teosofia, è assunto al Corriere della Sera, che la direzione di Luigi Albertini indirizza su posizioni interventiste, Reghini invita il politico napoletano a recarsi da Armentano a Scalea per concordare linee comuni d’azione. Nel 1915 lo troviamo in prima fila nel «radioso maggismo»: è lui che – come racconterà il suo confratello ed amico Giulio Parise – «al termine di una dimostrazione sul Campidoglio, alzata una bandiera, condusse la folla al Quirinale a chiedere e ad ottenere la dichiarazione di guerra».
«Sono io a far paura alla morte»
Al fronte non mancano esperienze legate al vissuto spirituale della scuola armentaniana. ARA stesso, in una sua lettera dal Cadore, scrive: «Io non posso morire, non debbo morire. Molte cose iniziate mi aspettano per essere finite. […] La morte mi è passata tante volte vicina senza toccarmi, adesso credo essere io a farle paura. […] La vittoria è certa perché i nostri soldati la vogliono, perché noi la vogliamo con tutto il nostro sangue». Reghini, quando ancora è a Firenze, nel luglio 1915, scrive al suo maestro dicendogli di essere riuscito a vederlo al fronte grazie ad un esperimento di magnetizzazione su un confratello, fenomeno i cui particolari ARA confermerà. Più avanti, anche lui al fronte, Reghini gli racconterà di «qualche cosa a cui preme che io resti in questa vita», e del suo talismano, che «quando lo porto non mi succede niente». Il pitagorico fiorentino, verso la fine del 1917, mentre è addetto alla fonotelemetrica in Val Lagarina, sperimenterà pure alcuni suoi “poteri” a fini militari. Armentano, tuttavia, già nella primavera del 1916 ha dovuto lasciare il fronte per una cardiopatia. Il peggio però per lui viene nel marzo 1918, quando è arrestato e rinchiuso nel carcere militare di Vibo Valentia con l’imputazione di tradimento. È un’accusa totalmente falsa, che arriva dall’ex sodale del Rfi Guido Bolaffi, il quale si vendica così dell’espulsione per indegnità dal Rito, accusando ARA di avere, dalla Torre Talao, fornito aiuto ai sottomarini tedeschi nel Tirreno. Solo nel luglio 1918 il maestro calabrese verrà pienamente scagionato dalle accuse, ma rimanendone fortemente amareggiato.
Il 1917 è l’anno di Caporetto. Reghini scrive ad Armentano il 10 novembre: «Il 1917 è stato come tu predicesti un anno terribile. Speriamo nel poi». Alla terribile disfatta di Caporetto si legano peraltro altri eventi che ci riportano al dominio esoterico o magico. A Roma, sul Palatino, cuore sacrale della civiltà romana, proprio nel 1917 l’archeologo Giacomo Boni ha costruito un’ara graminea con sei strati di zolle erbose, quattro festoni di lauro, le sagmine di olivo e le corone e i nastri rosso sangue di toro. Nelle sue intenzioni, come spiegherà l’allieva e biografa Eva Tea, è «il simbolo dell’ara ideale, dove ciascun italiano avrebbe dovuto sacrificare il meglio di sé per le fortune del paese». Boni è allora l’archeologo italiano più famoso nel mondo, a lui si devono scoperte come quella del Lapis Niger nel Foro (1899), ma non è un archeologo qualunque. Boni ha una concezione vivente della romanità e sente da sempre la sua vita di studioso accompagnata da «voci arcane» (sono parole sue), e lo stesso Benedetto Croce lo definirà dall’«aspetto tra di mago e di veggente». Interventista, amico di D’Annunzio, si era anche lui prodigato fin dall’inizio del conflitto, avendo molteplici competenze tecniche, per venire incontro alle esigenze delle truppe alpine, foggiando pure per loro indumenti mimetici ed impermeabili atti a sopportare il freddo, con elmetti di pelle lanata d’agnello che ricordano i copricapi dei signiferi delle legioni romane. E pure le nuove legioni romane ebbero la loro tristissima Canne: «La notte del 23 ottobre 1917 – racconta sempre la Tea – un vento gelido abbatté l’ara graminea negli orti farnesiani. In quell’ora medesima, il nemico entrava in Italia per la porta di Caporetto»! Di Caporetto parla anche la “relazione” di Ekatlos: «1917. Vicende varie. E poi il crollo. Caporetto. Un’alba. Sul cielo tersissimo di Roma, sopra il sacro colle capitolino, la visione di un’Aquila; e poi, portati dal suo volo trionfale, due figure corruscanti di guerrieri: i Dioscuri. Un senso di grandezza, di resurrezione, di luce. In pieno sgomento per le luttuose notizie della grande guerra, questa apparizione ci parlò la parola attesa: un trionfale annuncio era già segnato negli italici fasti».
Già il 24 maggio del 1918, per l’anniversario della nostra entrata in guerra, Armentano invia a Reghini un biglietto con su scritta una sola parola «VITTORIA!». Il 21 aprile di quello stesso anno, mentre le nostre truppe contengono sul Piave il nemico, Boni ha colto alle pendici del Palatino un segno tanto più fausto in quanto giunto il giorno stesso del Natale di Roma: demolendo la torre medievale dei Frangipane – famiglia che si vantava capostipite della casa regnante d’Austria, gli Asburgo – Boni rinviene il frammento marmoreo di una Nike. Che la Vittoria gli appaia dinanzi dai resti distrutti di una torre riferibile a quella dinastia il cui ultimo imperatore, Carlo d’Asburgo, ha chiamato gli italiani «nemico ancestrale», riconnettendosi così idealmente ai barbari nemici di Roma, è per Boni un omen certo: «Athena-Nike. Simbolo augusto dell’intelligenza vittoriosa sulla forza bruta». La lieta scoperta lo induce a ricostruire l’ara sul Palatino. Nel luglio 1918, dopo l’epica “Battaglia del Solstizio”, Reghini può già scrivere al suo maestro: «Godo nel pensare alla tua gioia per la vittoria grande, da te predetta, voluta e possiamo ben anche dire preparata; perché questa morale, questa coscienza è opera nostra, è frutto del nostro lavoro e della nostra predicazione incessante da dieci anni in qua» (tutte le citazioni dall’epistolario Reghini-Armentano ci vengono dai libri Il figlio del Sole, di R. Sestito, e A. R. Armentano: Massime di Scienza Iniziatica, a cura dello stesso Sestito, Ignis 2003 e 1992).
Quella vittoria venne pochi mesi dopo, e divenne poi anche il nome di tante bambine italiane, ignare di portare un nome che era pure quello di una dea di un culto remoto, una dea che svetta ancora in cima a molti nostri monumenti ai caduti, ma che non ha più neanche il diritto di dare il suo nome a una festa. E questo forse gli esoteristi profeti e operatori della vittoria non lo avevano previsto. Ma questa è un’altra storia, che dipende da un’altra guerra e da una amara sconfitta, e forse anche dalla scomparsa dei nostri “magi”.
di Sandro Consolato
Il matematico fiorentino, il musicista calabrese, l’archeologo romano, il filosofo idealista, la nobildonna medianica e un misterioso ieronimo
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola – Siamo arrivati quasi alla fine del penultimo anno del centenario della Grande Guerra. In Italia piuttosto svogliatamente, e c’è da prevedere che ci sarà un sussulto solo per ricordarsi, tra breve, di Caporetto. Molto avrebbe potuto e dovuto essere fatto dal ministero della Pubblica istruzione per ricordare nel modo migliore il profondo intreccio tra vita intellettuale e artistica ed esperienza bellica, ma è difficile aspettarsi adeguate iniziative da chi due anni fa (Miur, Nota prot. n. 3401 del 19 maggio 2015) invitava le istituzioni scolastiche regionali a celebrare il Centenario del 24 maggio aprendo col riferimento ad una «data [che] rappresenta l’inizio di una pagina buia della nostra storia». Ma qui non è di questo che vogliamo parlare. Non senza rapporti con l’interventismo degli intellettuali e degli artisti, vi è una storia poco nota che riguarda la cultura italiana e la Grande Guerra, ed è quella dell’attiva partecipazione ad essa degli esoteristi. Ed è questa storia che vorremmo raccontare.
Intanto, è bene ricordare che l’esoterismo è ormai entrato a livello internazionale nella storia delle idee e nella stessa storiografia nazionale, come dimostrano gli Annali 21 e 25 della Storia d’Italia Einaudi, dedicati a La Massoneria (2006) e all’Esoterismo (2010), entrambi a cura di G. M. Cazzaniga. Tuttavia pure in queste due opere della Grande Guerra non si dice granché, e perfino il ruolo della massoneria in questa importante vicenda non trova adeguata trattazione, mentre la ha per ciò che riguarda l’irredentismo prebellico. Ma qui non è neanche della massoneria, il cui impegno di fatto non ebbe alcun risvolto da dirsi realmente “esoterico”, che intendiamo parlare, pur se in una certa misura si ha a che fare anche con essa.
Tutto ebbe inizio alle Giubbe Rosse?
Vi è ormai tutta una serie di studi rigorosi (v. ad es. F. Giorgio, Roma Renovata Resurgit, Il Settimo Sigillo, 2011) che evidenziano come nella storia italiana si siano di tempo in tempo manifestate correnti esoteriche rifacentesi all’ermetismo ma anche alla tradizione romana, e però datesi pure il compito, nei secoli della frammentazione politica e del dominio straniero, di riportare l’Italia alla sua unità “augustea”. E se “unitarista” fu anche la massoneria italiana dall’età napoleonica in poi, in ciò deve vedersi pure l’influsso in essa di tali correnti. E basterebbe pensare al documento carbonaro del 1821 intitolato “Patto d’Ausonia”, prefigurante un’Italia con Roma capitale e comprendente penisola e isole con tutti i territori già veneziani e Trieste e Fiume, per capire come la Grande Guerra dovesse essere voluta quale coronamento di un progetto concepito da lunghissimo tempo.
In età giolittiana, nella Firenze delle “Giubbe Rosse”, appare un giovane musicista calabrese, come venuto dal nulla. Si chiama Amedeo Rocco Armentano (1886-1966) ed entra nella massoneria fiorentina nel 1907. Ma ARA, così sarà pure conosciuto, ha in proprio, in campo esoterico, qualcosa di più: è il depositario di un insegnamento segreto, proprio ad una tradizione squisitamente italica, pitagorica. Un’antica torre sul mare, la Torre Talao, nella nativa Scalea (Cs), è, dal 1913, la “rocca” della Schola Italica, con le sue pratiche. Verso il 1910 circa il maestro conosce ed inizia Arturo Reghini (1878-1946), matematico, anche lui massone, amicissimo di Papini. Nel 1912 Armentano e i suoi discepoli entrano nel Rito filosofico italiano di Eduardo Frosini (1879-?) per dare un più ampio respiro alle loro idee, anche quelle storiche e politiche, che si esprimono nell’articolo di Reghini “Imperialismo pagano”, che appare nel 1914 sulla rivista La Salamandra. «Imperialismo Pagano – dirà poi ARA – non significa un ritorno al Paganesimo, ma alla Romanità, cioè a quell’idea dell’Unità che nacque in Roma ma che è universale ed eterna». Da qui «un movimento riallacciantesi sul serio all’antica sapienza pitagorica, occidentale e, più che mediterranea, tirrenica».
Ekatlos e la Grande Orma
Già nel 1913 Reghini ha presente che è vicino un grande conflitto europeo, ma Armentano pare averlo già previsto molto tempo prima. E in quello stesso anno, in un altro milieu esoterico, a Roma, accade pure qualcosa di straordinario, se dobbiamo credere alla relazione su una serie di eventi accaduti tra il 1913 e il 1923 che è pubblicata con il titolo “La Grande Orma”. La scena e le quinte e con la firma “Ekatlos” venne poi pubblicata nel 1929 sulla rivista Krur, diretta da Julius Evola. Ekatlos scrive: «Sulla fine del 1913 cominciarono a manifestarsi segni che qualcosa di nuovo richiamava le grandi forze della tradizione nostra. Questi segni ci furono direttamente palesi». Racconta dunque del ritrovamento, in un antico sito romano e in seguito a indicazioni pervenute per vie misteriose, di uno scettro e di una benda con i segni di un rituale. Eseguito «per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta», il rito avrebbe visto accorrere «forze di guerra e forze di vittoria». «La guerra immane, che divampò nel 1914, inaspettata per ogni altro – spiega sempre Ekatlos – noi la conoscevamo. L’esito, lo conoscevamo. L’una e l’altro furono visti là dove le cose sono, prima di esser reali. E vedemmo l’azione di potenza che una occulta forza volle dal mistero di un sepolcro romano».
Vi è chi ha voluto vedere, nascosto dietro il nome Ekatlos il principe Leone Caetani (1869-1935), insigne islamista, deputato democratico costituzionale tra il 1909 e il 1913, poi vicino al socialista interventista Bissolati e volontario lui stesso nel 1915, ufficiale nell’artiglieria di montagna in Cadore fino al 1917. Più sicura sembra peraltro l’identificazione dello stesso aristocratico romano con un altro esoterista, autore nel 1910, con il nome di “Ottaviano”, di tre scritti per la rivista Commentarium, espressione della Fratellanza di Miriam, fondata nel 1896 dall’ermetista Giuliano Kremmerz (1861-1930). Che comunque la relazione di Ekatlos provenisse dall’ambito kremmerziano ne è prova il fatto che a consegnarla ad Evola nel 1929 fu la nobildonna Camilla Calzone Mongenet, discepola di Kremmerz. Significativo, in ordine alla Grande Guerra, che la Mongenet, come emerge dalle carte di un processo del dopoguerra in cui ebbe come avvocato difensore Farinacci, si ritenesse una sorta di madrina mistica dei combattenti. Non è molto chiara la posizione di Kremmerz sulla guerra, ma se sappiamo per certo, come scrisse Reghini, che era «un buon italiano», è anche vero che in una sua lettera ai discepoli del 1° giugno 1917 palesa più larghi sentimenti umanitari ed esprime il suo sconforto per «i sanguinosi risultati dell’ora presente». Pure tra i suoi discepoli troviamo però volontari in guerra, come il tenente pugliese Giovanni Bonabitacola (1880-1945), che poi dal 1921 guiderà la Miriam romana. Dalla migliore storia della Miriam in circolazione (www.giulianokremmerz.it/STORIA/HOME_Storia.htm) apprendiamo peraltro che per la salvezza dei Fratelli al fronte «Kremmerz trasmise il rito del Pretium, forse di origine romana, comunque antichissimo ed assai complesso. Il rito funzionò perfettamente: ai Fratelli che furono chiamati in guerra fu consegnata la scheggia rituale e grazie al suo potere tornarono tutti illesi, ad eccezione di un fratello che comunque fu soltanto ferito».
Volontari per il fronte partono anche Armentano e i suoi. Armentano è in Cadore con gli Alpini, e alpino è pure uno dei suoi primissimi e fidati discepoli, Giulio Guerrieri, che a Parigi aveva, come del resto lo stesso Armentano, stretto rapporti amichevoli con quello che diventerà più tardi il più famoso esoterista del Novecento: René Guénon. Lo stesso Gran maestro del Rito filosofico, Eduardo Frosini, si arruola volontario, ma finirà poi prigioniero degli austriaci. Reghini si vede invece più volte respinta la domanda di arruolamento, e solo nel febbraio del 1917 viene finalmente ammesso all’Accademia militare di Torino, finendo poi al fronte come sottotenente del Genio. Ma Reghini ha attivamente operato fin dal 1914 per l’intervento. Già nel settembre di quell’anno, nell’articolo “Sempre Avanti” de Lacerba di Papini, aveva invitato monarchia e governo a rompere la neutralità e ad entrare in guerra contro l’Austria per guadagnare le «terre irredente» e stabilire l’egemonia italiana sull’intero Adriatico. Sempre nel 1914, allorché Giovanni Amendola, massone ma anche vicino alla teosofia, è assunto al Corriere della Sera, che la direzione di Luigi Albertini indirizza su posizioni interventiste, Reghini invita il politico napoletano a recarsi da Armentano a Scalea per concordare linee comuni d’azione. Nel 1915 lo troviamo in prima fila nel «radioso maggismo»: è lui che – come racconterà il suo confratello ed amico Giulio Parise – «al termine di una dimostrazione sul Campidoglio, alzata una bandiera, condusse la folla al Quirinale a chiedere e ad ottenere la dichiarazione di guerra».
«Sono io a far paura alla morte»
Al fronte non mancano esperienze legate al vissuto spirituale della scuola armentaniana. ARA stesso, in una sua lettera dal Cadore, scrive: «Io non posso morire, non debbo morire. Molte cose iniziate mi aspettano per essere finite. […] La morte mi è passata tante volte vicina senza toccarmi, adesso credo essere io a farle paura. […] La vittoria è certa perché i nostri soldati la vogliono, perché noi la vogliamo con tutto il nostro sangue». Reghini, quando ancora è a Firenze, nel luglio 1915, scrive al suo maestro dicendogli di essere riuscito a vederlo al fronte grazie ad un esperimento di magnetizzazione su un confratello, fenomeno i cui particolari ARA confermerà. Più avanti, anche lui al fronte, Reghini gli racconterà di «qualche cosa a cui preme che io resti in questa vita», e del suo talismano, che «quando lo porto non mi succede niente». Il pitagorico fiorentino, verso la fine del 1917, mentre è addetto alla fonotelemetrica in Val Lagarina, sperimenterà pure alcuni suoi “poteri” a fini militari. Armentano, tuttavia, già nella primavera del 1916 ha dovuto lasciare il fronte per una cardiopatia. Il peggio però per lui viene nel marzo 1918, quando è arrestato e rinchiuso nel carcere militare di Vibo Valentia con l’imputazione di tradimento. È un’accusa totalmente falsa, che arriva dall’ex sodale del Rfi Guido Bolaffi, il quale si vendica così dell’espulsione per indegnità dal Rito, accusando ARA di avere, dalla Torre Talao, fornito aiuto ai sottomarini tedeschi nel Tirreno. Solo nel luglio 1918 il maestro calabrese verrà pienamente scagionato dalle accuse, ma rimanendone fortemente amareggiato.
Il 1917 è l’anno di Caporetto. Reghini scrive ad Armentano il 10 novembre: «Il 1917 è stato come tu predicesti un anno terribile. Speriamo nel poi». Alla terribile disfatta di Caporetto si legano peraltro altri eventi che ci riportano al dominio esoterico o magico. A Roma, sul Palatino, cuore sacrale della civiltà romana, proprio nel 1917 l’archeologo Giacomo Boni ha costruito un’ara graminea con sei strati di zolle erbose, quattro festoni di lauro, le sagmine di olivo e le corone e i nastri rosso sangue di toro. Nelle sue intenzioni, come spiegherà l’allieva e biografa Eva Tea, è «il simbolo dell’ara ideale, dove ciascun italiano avrebbe dovuto sacrificare il meglio di sé per le fortune del paese». Boni è allora l’archeologo italiano più famoso nel mondo, a lui si devono scoperte come quella del Lapis Niger nel Foro (1899), ma non è un archeologo qualunque. Boni ha una concezione vivente della romanità e sente da sempre la sua vita di studioso accompagnata da «voci arcane» (sono parole sue), e lo stesso Benedetto Croce lo definirà dall’«aspetto tra di mago e di veggente». Interventista, amico di D’Annunzio, si era anche lui prodigato fin dall’inizio del conflitto, avendo molteplici competenze tecniche, per venire incontro alle esigenze delle truppe alpine, foggiando pure per loro indumenti mimetici ed impermeabili atti a sopportare il freddo, con elmetti di pelle lanata d’agnello che ricordano i copricapi dei signiferi delle legioni romane. E pure le nuove legioni romane ebbero la loro tristissima Canne: «La notte del 23 ottobre 1917 – racconta sempre la Tea – un vento gelido abbatté l’ara graminea negli orti farnesiani. In quell’ora medesima, il nemico entrava in Italia per la porta di Caporetto»! Di Caporetto parla anche la “relazione” di Ekatlos: «1917. Vicende varie. E poi il crollo. Caporetto. Un’alba. Sul cielo tersissimo di Roma, sopra il sacro colle capitolino, la visione di un’Aquila; e poi, portati dal suo volo trionfale, due figure corruscanti di guerrieri: i Dioscuri. Un senso di grandezza, di resurrezione, di luce. In pieno sgomento per le luttuose notizie della grande guerra, questa apparizione ci parlò la parola attesa: un trionfale annuncio era già segnato negli italici fasti».
Già il 24 maggio del 1918, per l’anniversario della nostra entrata in guerra, Armentano invia a Reghini un biglietto con su scritta una sola parola «VITTORIA!». Il 21 aprile di quello stesso anno, mentre le nostre truppe contengono sul Piave il nemico, Boni ha colto alle pendici del Palatino un segno tanto più fausto in quanto giunto il giorno stesso del Natale di Roma: demolendo la torre medievale dei Frangipane – famiglia che si vantava capostipite della casa regnante d’Austria, gli Asburgo – Boni rinviene il frammento marmoreo di una Nike. Che la Vittoria gli appaia dinanzi dai resti distrutti di una torre riferibile a quella dinastia il cui ultimo imperatore, Carlo d’Asburgo, ha chiamato gli italiani «nemico ancestrale», riconnettendosi così idealmente ai barbari nemici di Roma, è per Boni un omen certo: «Athena-Nike. Simbolo augusto dell’intelligenza vittoriosa sulla forza bruta». La lieta scoperta lo induce a ricostruire l’ara sul Palatino. Nel luglio 1918, dopo l’epica “Battaglia del Solstizio”, Reghini può già scrivere al suo maestro: «Godo nel pensare alla tua gioia per la vittoria grande, da te predetta, voluta e possiamo ben anche dire preparata; perché questa morale, questa coscienza è opera nostra, è frutto del nostro lavoro e della nostra predicazione incessante da dieci anni in qua» (tutte le citazioni dall’epistolario Reghini-Armentano ci vengono dai libri Il figlio del Sole, di R. Sestito, e A. R. Armentano: Massime di Scienza Iniziatica, a cura dello stesso Sestito, Ignis 2003 e 1992).
Quella vittoria venne pochi mesi dopo, e divenne poi anche il nome di tante bambine italiane, ignare di portare un nome che era pure quello di una dea di un culto remoto, una dea che svetta ancora in cima a molti nostri monumenti ai caduti, ma che non ha più neanche il diritto di dare il suo nome a una festa. E questo forse gli esoteristi profeti e operatori della vittoria non lo avevano previsto. Ma questa è un’altra storia, che dipende da un’altra guerra e da una amara sconfitta, e forse anche dalla scomparsa dei nostri “magi”.
venerdì 8 dicembre 2017
Il Risveglio della Forza e la rinascita di una catena iniziatica
di Vito Foschi
Il Risveglio della Forza è il settimo capitolo della saga
di Guerra Stellari, che come ben esplicitato già nel titolo, racconta di come
torna a rivivere l’ordine dei cavalieri Jedi dopo un periodo di eclissi. La
saga, come abbastanza noto, più che essere un’opera di fantascienza è
tributaria dello studio “L’eroe dai
mille volti” di Joseph Campbell sul mito dell’eroe, da cui George Lucas ha
attinto per la sceneggiatura. Lo stesso studioso ha poi collaborato alla sceneggiatura.
Da ciò le molte similitudini, per esempio, con i miti arturiani, dall’ordine
dei cavalieri, alle spade, alla tavola rotonda dove si riunisce il consiglio
dei Jedi. Se si pensa quanto risulta anacronistica la spada, per quanto laser,
in un futuro con delle armi capaci di annichilire un intero pianeta: eppure è l’arma
principale dei cavalieri Jedi e delle loro nemesi. Spada che come per i
cavalieri medievali passa di padre in figlio. Lo stesso Han Solo, contrabbandiere
e giocatore d’azzardo ricorda un po’ i cavalieri erranti in cerca di avventure.
Per quanto sia un delinquente, stranamente si trova a combattere sempre dalla
parte giusta; ha un fido scudiero, Chewbecca, e un’adeguata cavalcatura, il
Millenium Falcon.
Il Risveglio della Forza è interessante sotto un
particolare punto di vista. L’ordine dello Jedi è sciolto e Luke Skywalker, l’ultimo
maestro, è scomparso: in altri termini una società iniziatica non esiste più
interrompendo una catena iniziatica. Potrebbe sembrare l’attuale situazione
occidentale, in cui non è ben chiaro cosa sia arrivato intatto tramite una
trasmissione regolare nelle moderne società iniziatiche.
Nel film, quello ben vivo è il lato oscuro della Forza
con il suo Primo Ordine fatto di maestri ed allievi. Anche qui sembrerebbe una
situazione in cui la catena iniziatica, per quanto volta al male, si sia
interrotta con la morte dell’Imperatore nel sesto film della saga. Interessante
che Kylo Ren, fra i protagonisti principale del film e adepto del lato oscuro,
conserva come una reliquia il teschio con il relativo casco di Dart Fener, suo
nonno materno e anch’egli seguace del male per quanto alla fine della sua vita
si redime. Non solo, Kylo Ren, per quanto non ne abbia bisogno indossa un casco
che richiama quello di Dart Fener. Questi particolari tendono a creare un
legame con il predecessore e servono in qualche modo a mantenere un legame con
il passato e a preservare la catena iniziatica. L’indossare il casco è solo un
aspetto superficiale, visivo, ma contribuisce a rendere visibile il legame. Il
teschio custodito privatamente da Kylo Ren è un legame più forte, fisico e
metafisico con il passato.
In questa situazione di sconforto c’è ancora chi crede
nella possibilità di ripristinare l’ordine dello Jedi ritrovando l’ultimo
maestro scomparso. Leila Organa, generale della Resistenza, ne è convinta.
Leila è sorella di Luke e anche se in forma limitata partecipe del potere della
Forza. La sua non è solo una convinzione: sa per certo che il fratello è vivo.
Infatti, grazie ai suoi poteri, quando muore Han Solo lo percepisce
immediatamente. Parte interessante della storia sono le modalità di rinascita
dell’ordine dei cavalieri Jedi. Da una parte c’è sicuramente la ricerca attiva
ma infruttuosa del maestro scomparso, dall’altra parte c’è la rinascita
“spontanea” dell’ordine.
Su un pianeta desertico una ragazza orfana, Rey,
sopravvive recuperando rottami. Di notte spesso sogna un’isola in mezzo
all’oceano. Dopo una serie di eventi fortuiti, tipici dei film d’avventura,
capita nella taverna di Maz Kanata, curiosa aliena di almeno mille anni. È qui,
in un luogo mondano, avviene il risveglio della Forza e di conseguenza
dell’Ordine Jedi. “Casualmente” il nome Rey ricorda molto la parola inglese
ray, raggio in italiano. La ragazza stabilisce subito un buon rapporto con Han
Solo dimostrando insospettabili capacità tecniche di pilota non indifferenti.
Nella taverna la ragazza sente un irresistibile richiamo che la spinge nei
sotterranei dell’edificio. Qui trova un baule al cui interno trova una spada
laser. La tocca e riceve la visione degli eventi che hanno coinvolti i
precedenti proprietari dell’arma. La donna è predestinata perché possiede la Forza allo stato latente, ma
ha bisogno dell’oggetto fisico della spada per risvegliarsi e risvegliare
l’ordine iniziatico scomparso. Questo è l’evento interessante del film, perché
ci consegna una possibile modalità di risveglio di una catena iniziatica
interrotta. Anche senza una continuità da maestro ad allievo, è possibile che
individui particolarmente qualificati possano risvegliare ciò che dorme e
riallacciare la catena iniziatica. Oltre alle qualificazioni è necessario un
qualche forma di lascito; nel caso del film la spada laser appartenuta a Luke
Skywalker e prima ancora al padre Anakin. Il contatto con i precedenti maestri
crea una particolare aurea che Rey, particolarmente qualificata riesce a
percepire. Dopo l’iniziale rifiuto, la ragazza diventa sempre più consapevole
dei suoi poteri, che impara ad usare per sfuggire dalla prigionia in cui l’ha
costretta Kyle Ren. L’adepto del male viene addirittura sconfitto in uno
scontro mentale dalla giovane inesperta.
Alla fine del film viene scoperta l’ubicazione di Luke
che è proprio un’isola deserta in mezzo all’oceano, l’isola del sogno
ricorrente di Rey. In questo modo la catena iniziatica è in realtà mai
interrotta, perché la giovane donna può ricevere gli insegnamenti direttamente
dal maestro. Il vecchio Luke è una sorta di maestro superiore sconosciuto che
come nei vari miti compare per donare i suoi insegnamenti.
L’interesse maggiore, credo, sia nella possibilità che un
individuo particolarmente qualificato tramite una qualche forma di lascito, un
oggetto, un libro, dei rituali, possa riattivare una catena iniziatica
interrotta. Rey riesce ad usare i suoi poteri e a sconfiggere Kyle Ren ben
prima di incontrare il suo maestro. Potrebbe essere che Luke dal suo rifugio
sull’isola abbia praticato una sorta di richiamo verso la donna, ma in ogni caso
resta l’evidenza che il richiamo si materializza tramite l’oggetto spada ed è
sentito solo da uno specifico individuo.
Non conosco direttamente la situazione degli ordini
iniziatici occidentali, però un film profano come il Risveglio della Forza
regala la speranza che anche in una situazione disastrosa è possibile
riattivare un ordine iniziatico.
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sabato 2 dicembre 2017
Ufo, il punto di vista di Carl Jung
tratto da Il Fatto Quotidiano del 17 agosto 2015
di Vladimiro Bibolotti
Carl Gustav Jung, il celebre psicanalista svizzero allievo di Sigmund Freud, viene spesso citato a proposito del fenomeno degli UFO. Luminare della psichiatria, grande scienziato, i suoi studi sugli oggetti volanti non identificati vengono usati ancora oggi, per contestare tale realtà, citando il “Mito moderno” senza conoscere a fondo né la sua personale attività di ricerca in merito al problema dei “dischi volanti”, né padroneggiare il suo pensiero su tale argomento.
Molti conoscono l’interpretazione mitologica del fenomeno di quelli che allora venivano chiamati folkloristicamente “flying saucers”. Jung, all’inizio, era infatti interessato più che alla natura fisica reale o meno di questi oggetti, al mito che ne avrebbe fatto nascere, pubblicando non a caso il libro titolato “Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo”.
Carl Gustav Jung, più che speculare sulla presunta origine extraterrestre degli UFO, si domandava quale potesse essere il significato di questi fenomeni, reali o immaginari che siano, in un momento come quello in cui l’umanità si sentiva minacciata come non mai nella sua storia e aveva bisogno perciò di un mito moderno. Erano infatti gli anni dello sviluppo delle armi atomiche, quando la propaganda maccartista americana e la corsa agli armamenti tra USA e URSS stavano creando un clima esplosivo nell’ambito delle relazioni internazionali. Non a caso scienziati come Einstein ed Oppenheimer, paladini dei movimenti della pace, denunciavano il pericolo di un conflitto nucleare che avrebbe portato all’annientamento dell’umanità. Da citare una curiosa lettera scritta dai due fisici al presidente Truman nel giugno del 1947, poco prima del primo avvistamento ufficiale di un “disco volante” fatto da Kennet Arnold, dove in questo documento scritto a monito del pericolo creato dagli esperimenti atomici, si citava la presenza di “unidentified space craft flying in our atmosphere”, termine mai usato prima e che poi sarebbe divenuto con le opportune semplificazioni quello ufficiale creato dal Capt. dell’USAF, Edward J. Ruppelt nel 1951: U.F.O. Unidentified Flying Object.
Einstein, in proposito, sosteneva: “I Dischi Volanti? La gente ha indiscutibilmente visto qualche cosa”.
Già nel 1955 Jung scriveva sulla rivista britannica Flying Saucer Review, che la mole di lavoro da lui svolta tramite analisi di testimonianze, lo portava alla convinzione che non “era solo rumore di fondo”. E più arditamente quasi con rammarico: “Dopotutto uno deve quasi rimpiangere che gli ufo sembrano essere reali”.
Ma proprio il 1958 è l’anno della collaborazione con la APRO Aerial Phenomena Research Organization organizzazione ufologica statunitense, una delle prime a livello mondiale a studiare scientificamente il fenomeno UFO e dove infatti risultava inserito come loro consulente nel loro bollettino ufficiale. Jung ha pubblicato un rapporto di cui diede notizia l’Associated Press e stampato il 30 luglio 1958 sul New York Herald Tribune dove si legge:
“Il dottor Carl Jung, psicologo svizzero, afferma in un rapporto pubblicato ieri che gli oggetti volanti non identificati sono reali e mostrano segnali di guida intelligenti, probabilmente ad opera di piloti quasi-umani. Secondo lo studioso, il fenomeno è molto più che una semplice suggestione. Una spiegazione puramente psicologica è esclusa. Il dottor Jung, che ha cominciato il suo studio sugli UFO nel 1944, ha diffuso la sua dichiarazione attraverso l’UFO-Filter Centre dell’Aerial Phenomena Research Association (A.P.R.O.)“.
Sempre il 1958 è quello delle famose interviste del 30 luglio 1958 sul Washington Post “Flying Objects Real, Psychiatrist Insist” e sul New York H.T., dove senza mezzi termini affermava: “Dr. Jung says ‘Saucers’ Exist; Bars Psychological Explanations”.
Tale intervista venne poi ripresa sulla rivista italiana l’EUROPEO del 30 agosto dello stesso anno dal titolo “Io continuo a credere nei dischi volanti”, suscitando chiaramente molte polemiche nel mondo scientifico. Tale clamore lo suscita ancora adesso, se pensiamo che il suo pensiero viene in parte distorto quando non viene realmente esplicitato in completezza, citando solo la fase di approccio iniziale al fenomeno, quella del mito e non quella più importante dell’accettazione della realtà del fenomeno inteso come reale. Suscita ancora più stupore se tali affermazioni vengono ancora oggi fatte da prestigiosi accademici come recentemente è accaduto sulle pagine web di una nota associazione culturale a proposito di un articolo sulla “Vita nello Spazio”. Eppure l’ “Ignorantia legis non excusat” e lo studio delle fonti dovrebbero valere per tutti gli argomenti.
di Vladimiro Bibolotti
Carl Gustav Jung, il celebre psicanalista svizzero allievo di Sigmund Freud, viene spesso citato a proposito del fenomeno degli UFO. Luminare della psichiatria, grande scienziato, i suoi studi sugli oggetti volanti non identificati vengono usati ancora oggi, per contestare tale realtà, citando il “Mito moderno” senza conoscere a fondo né la sua personale attività di ricerca in merito al problema dei “dischi volanti”, né padroneggiare il suo pensiero su tale argomento.
Molti conoscono l’interpretazione mitologica del fenomeno di quelli che allora venivano chiamati folkloristicamente “flying saucers”. Jung, all’inizio, era infatti interessato più che alla natura fisica reale o meno di questi oggetti, al mito che ne avrebbe fatto nascere, pubblicando non a caso il libro titolato “Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo”.
Carl Gustav Jung, più che speculare sulla presunta origine extraterrestre degli UFO, si domandava quale potesse essere il significato di questi fenomeni, reali o immaginari che siano, in un momento come quello in cui l’umanità si sentiva minacciata come non mai nella sua storia e aveva bisogno perciò di un mito moderno. Erano infatti gli anni dello sviluppo delle armi atomiche, quando la propaganda maccartista americana e la corsa agli armamenti tra USA e URSS stavano creando un clima esplosivo nell’ambito delle relazioni internazionali. Non a caso scienziati come Einstein ed Oppenheimer, paladini dei movimenti della pace, denunciavano il pericolo di un conflitto nucleare che avrebbe portato all’annientamento dell’umanità. Da citare una curiosa lettera scritta dai due fisici al presidente Truman nel giugno del 1947, poco prima del primo avvistamento ufficiale di un “disco volante” fatto da Kennet Arnold, dove in questo documento scritto a monito del pericolo creato dagli esperimenti atomici, si citava la presenza di “unidentified space craft flying in our atmosphere”, termine mai usato prima e che poi sarebbe divenuto con le opportune semplificazioni quello ufficiale creato dal Capt. dell’USAF, Edward J. Ruppelt nel 1951: U.F.O. Unidentified Flying Object.
Einstein, in proposito, sosteneva: “I Dischi Volanti? La gente ha indiscutibilmente visto qualche cosa”.
Già nel 1955 Jung scriveva sulla rivista britannica Flying Saucer Review, che la mole di lavoro da lui svolta tramite analisi di testimonianze, lo portava alla convinzione che non “era solo rumore di fondo”. E più arditamente quasi con rammarico: “Dopotutto uno deve quasi rimpiangere che gli ufo sembrano essere reali”.
Ma proprio il 1958 è l’anno della collaborazione con la APRO Aerial Phenomena Research Organization organizzazione ufologica statunitense, una delle prime a livello mondiale a studiare scientificamente il fenomeno UFO e dove infatti risultava inserito come loro consulente nel loro bollettino ufficiale. Jung ha pubblicato un rapporto di cui diede notizia l’Associated Press e stampato il 30 luglio 1958 sul New York Herald Tribune dove si legge:
“Il dottor Carl Jung, psicologo svizzero, afferma in un rapporto pubblicato ieri che gli oggetti volanti non identificati sono reali e mostrano segnali di guida intelligenti, probabilmente ad opera di piloti quasi-umani. Secondo lo studioso, il fenomeno è molto più che una semplice suggestione. Una spiegazione puramente psicologica è esclusa. Il dottor Jung, che ha cominciato il suo studio sugli UFO nel 1944, ha diffuso la sua dichiarazione attraverso l’UFO-Filter Centre dell’Aerial Phenomena Research Association (A.P.R.O.)“.
Sempre il 1958 è quello delle famose interviste del 30 luglio 1958 sul Washington Post “Flying Objects Real, Psychiatrist Insist” e sul New York H.T., dove senza mezzi termini affermava: “Dr. Jung says ‘Saucers’ Exist; Bars Psychological Explanations”.
Tale intervista venne poi ripresa sulla rivista italiana l’EUROPEO del 30 agosto dello stesso anno dal titolo “Io continuo a credere nei dischi volanti”, suscitando chiaramente molte polemiche nel mondo scientifico. Tale clamore lo suscita ancora adesso, se pensiamo che il suo pensiero viene in parte distorto quando non viene realmente esplicitato in completezza, citando solo la fase di approccio iniziale al fenomeno, quella del mito e non quella più importante dell’accettazione della realtà del fenomeno inteso come reale. Suscita ancora più stupore se tali affermazioni vengono ancora oggi fatte da prestigiosi accademici come recentemente è accaduto sulle pagine web di una nota associazione culturale a proposito di un articolo sulla “Vita nello Spazio”. Eppure l’ “Ignorantia legis non excusat” e lo studio delle fonti dovrebbero valere per tutti gli argomenti.
mercoledì 29 novembre 2017
Il castello dei Superiori Incogniti
in collaborazione con l'autore Michele Leone
tratto da: http://micheleleone.it/il-castello-dei-superiori-incogniti/
In un luogo misterioso la serratura del portone dei Superiori Incogniti
Occupandomi di Società Segrete, Philosophia Occulta ed Hermetica, mi capita di viaggiare o di incontrare una variegata umanità: dal ciarlatano all’inquietante detentore di oscure conoscenze con tutte le sfumature di luce di tenebre che vi possono essere nel mezzo.
Molto di quanto è legato a circoli iniziatici è per molteplici motivazioni legato al silenzio e al mistero (qui trovate due brevi video sul silenzio 1) Mauna: il silenzio 2) Apuleio e il silenzio) e non tutto si può raccontare.
Oggi, ci fermeremo sulla soglia di un edificio, la cui serratura è, per chi ha occhi per vedere, l’indizio o la conferma di essere innanzi al maniero dei Superiori Incogniti.
Superiori Incogniti è il nome con cui essi sono più conosciuti, ma da indizi in dipinti e disegni del rinascimento, da alcune opere non sempre a stampa e da pochissime conversazioni da bocca ad orecchio si può scoprire che i Superiori Incogniti non sono soli, o meglio, esiste anche un altro modo per leggere la sigla S.I.: Servitori Incogniti. Certo, soprattutto oggi è più cool per usare un termine di moda parlare di Superiori Incogniti, la stessa parola superiore evoca potere e fantasticherie varie, ma lo scopo della conoscenza, il senso del vedere il Mondo Universo sotto la vera luce è quello di servire l’umanità come ben sanno quanti hanno praticato la vera Philosophia o sono stati vicini ad un Maestro illuminato.
Torniamo alla nostra serratura, l’immagine la vedete nel post, notiamo subito che è inscritta all’interno di quattro gemme o diamanti, chi è avvezzo al gioco, in particolar modo al gioco dei Tarocchi (sì, i tarocchi sono un gioco) avrà immediatamente associato l’immagine in cui è inscritta la serratura al quattro di quadri, non a caso il seme di quadri in inglese è chiamato gems o diamonds. Abbiamo, quindi, dei primi indizi, a) il numero 4 b) i diamanti o i quadri c) un collegamento con l’arte divinatoria dei tarocchi. Ognuno di questi indizi, per chi è in grado di leggerli, dà delle forti indicazioni di tipo esoterico ed è possibile la lettura degli stessi a vari livelli. Se poi si presumesse anche la lettura divinatoria allora avremmo la possibilità di leggere in altri ulteriori significati la carta quattro del seme di quadri, che non è uno degli arcani maggiori. Questa carta è una carta dal significato ambiguo e dalle possibili molteplici letture, tra le altre una di tipo materialistico ed una di tipo spirituale.
Se ci concentriamo solo sulla serratura e mettiamo da parte le punzonature che potrebbero evocare altre due gemme e quindi trasformare la nostra carta in un sei, o raffigurare due croci, è più che evidente che ci vogliono due chiavi per aprire questo portone, una a forma di S ed una a forma di I: Superiori Incogniti. In questo caso è più probabile che sia Servitori Incogniti, ma, quello che più conta è aver fatto un piccolo viaggio nel mistero e aver visto come ogni dettaglio può diventare un argomento di conversazione, come ogni indizio può aprire la strada al magico e all’ignoto. Il rischio di prendere fischi per fiaschi è elevatissimo e come diceva Vico (se non ricordo male) chi cerca quello che non deve trova quello che non vuole.
Quello di oggi è stato un divertissement, a voi scegliere quanta fantasia e quanta realtà nelle mie parole…
Gioia – Salute – Prosperità
tratto da: http://micheleleone.it/il-castello-dei-superiori-incogniti/
In un luogo misterioso la serratura del portone dei Superiori Incogniti
Occupandomi di Società Segrete, Philosophia Occulta ed Hermetica, mi capita di viaggiare o di incontrare una variegata umanità: dal ciarlatano all’inquietante detentore di oscure conoscenze con tutte le sfumature di luce di tenebre che vi possono essere nel mezzo.
Molto di quanto è legato a circoli iniziatici è per molteplici motivazioni legato al silenzio e al mistero (qui trovate due brevi video sul silenzio 1) Mauna: il silenzio 2) Apuleio e il silenzio) e non tutto si può raccontare.
Oggi, ci fermeremo sulla soglia di un edificio, la cui serratura è, per chi ha occhi per vedere, l’indizio o la conferma di essere innanzi al maniero dei Superiori Incogniti.
Superiori Incogniti è il nome con cui essi sono più conosciuti, ma da indizi in dipinti e disegni del rinascimento, da alcune opere non sempre a stampa e da pochissime conversazioni da bocca ad orecchio si può scoprire che i Superiori Incogniti non sono soli, o meglio, esiste anche un altro modo per leggere la sigla S.I.: Servitori Incogniti. Certo, soprattutto oggi è più cool per usare un termine di moda parlare di Superiori Incogniti, la stessa parola superiore evoca potere e fantasticherie varie, ma lo scopo della conoscenza, il senso del vedere il Mondo Universo sotto la vera luce è quello di servire l’umanità come ben sanno quanti hanno praticato la vera Philosophia o sono stati vicini ad un Maestro illuminato.
Torniamo alla nostra serratura, l’immagine la vedete nel post, notiamo subito che è inscritta all’interno di quattro gemme o diamanti, chi è avvezzo al gioco, in particolar modo al gioco dei Tarocchi (sì, i tarocchi sono un gioco) avrà immediatamente associato l’immagine in cui è inscritta la serratura al quattro di quadri, non a caso il seme di quadri in inglese è chiamato gems o diamonds. Abbiamo, quindi, dei primi indizi, a) il numero 4 b) i diamanti o i quadri c) un collegamento con l’arte divinatoria dei tarocchi. Ognuno di questi indizi, per chi è in grado di leggerli, dà delle forti indicazioni di tipo esoterico ed è possibile la lettura degli stessi a vari livelli. Se poi si presumesse anche la lettura divinatoria allora avremmo la possibilità di leggere in altri ulteriori significati la carta quattro del seme di quadri, che non è uno degli arcani maggiori. Questa carta è una carta dal significato ambiguo e dalle possibili molteplici letture, tra le altre una di tipo materialistico ed una di tipo spirituale.
Se ci concentriamo solo sulla serratura e mettiamo da parte le punzonature che potrebbero evocare altre due gemme e quindi trasformare la nostra carta in un sei, o raffigurare due croci, è più che evidente che ci vogliono due chiavi per aprire questo portone, una a forma di S ed una a forma di I: Superiori Incogniti. In questo caso è più probabile che sia Servitori Incogniti, ma, quello che più conta è aver fatto un piccolo viaggio nel mistero e aver visto come ogni dettaglio può diventare un argomento di conversazione, come ogni indizio può aprire la strada al magico e all’ignoto. Il rischio di prendere fischi per fiaschi è elevatissimo e come diceva Vico (se non ricordo male) chi cerca quello che non deve trova quello che non vuole.
Quello di oggi è stato un divertissement, a voi scegliere quanta fantasia e quanta realtà nelle mie parole…
Gioia – Salute – Prosperità
sabato 25 novembre 2017
"Gli alieni esistono: lo dice la matematica"
tratto da "il Giornale" del 29/09/2017
L'astronoma italiana che studia le onde gravitazionali: "Altre vite? È statistica..."
di Marco Lombardo
L'esplorazione dello spazio di Lina Tomasella è partita dal sottosuolo: «In effetti la prima passione è stata la biologia e facevo la speleologa nelle grotte di Veneto e Friuli.
La bio-speleologa esattamente». Adesso è passata dall'altra parte dei misteri dell'esistenza: è ricercatrice presso l'Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova, nonché coordinatrice e responsabile delle attività dell'osservatorio di Asiago, quello che ha i più grandi telescopi ottici d'Italia. In più è nel Gruppo Italiano Gravita, che si occupa degli studi sulle onde gravitazionali, nei quali il nostro Paese ha raggiunto i risultati raccontati giusto due giorni fa. Grazie allo strumento Virgo, a Cascine.
E dunque, cosa scopriremo ancora adesso?
«Beh, chi può dirlo. Negli ultimi anni le scoperte aumentano. E così anche i misteri».
Come si comincia a fare l'astronoma?
«Essendo appassionati di scienze, naturalmente. Io in realtà sapevo di voler fare la ricercatrice e ho partecipato anche alla prima edizione del concorso per i giovani scienziati d'Europa, nel 1989. L'ho vinto con uno studio sulla tossicità dei coloranti».
E lo spazio che c'entra?
«Tutto c'entra con lo spazio. Diciamo che un dottorato un Astrofisica ha cambiato la mia strada».
Negli ultimi tempi le notizie in arrivo dall'universo si sono moltiplicate...
«Certo, è perché abbiamo ancora più conoscenze. Poi ci sono segnali spaziali che ancora non riusciamo a capire, ed è per quello che sogniamo che arrivino da qualche civiltà extraterreste».
Però?
«Però prima di tutto uno scienziato deve studiare e catalogare; e col tempo si riescono a capire cose incomprensibili. Prendiamo come esempio le pulsar, oggetti densi che ruotano velocemente. All'inizio non si sapeva come fossero: funzionano come un faro, il segnale arriva con periodo rotazione. Facile pensare che possa essere un messaggio da un'altra specie. Poi però sono stati fatti i calcoli, e...».
Lo spazio è matematica?
«Sicuramente: quello è il motore. Anzi: è il linguaggio con cui l'universo si esprime. Esistono delle costanti che ormai sono conosciute. E ci aiutano a capire ciò che sembra imperscrutabile».
Per esempio?
«La struttura dell'universo è a spugna, con vuoti e filamenti che contengono le galassie. Tutto rispecchia le condizioni iniziali della sua formazione e le successive evoluzioni. Il Big Bang ha insomma dato le regole base, il resto è equazione».
Ora sappiamo anche che esistono pianeti abitabili.
«Dal 1995 ad oggi, quando è stato scoperto il primo, le tecniche si sono raffinate. Presto, grazie ai nuovi telescopi, potremo studiare anche la loro atmosfera».
Lo spazio è matematica: ma è anche filosofia?
«Noi siamo scienziati, le interpretazione personali non lo sono. Noi studiamo e arriviamo a un punto. Per dire: ciò che era prima del Bing Bang non è scienza perché i modelli matematici in questo caso possono dare risposte, ma non certezze».
Sì, ma l'astronomo si fa delle domande?
«Ma certo: la curiosità è il motore della nostra professione. Scienza e religione sono cose separate. Però arrivi un punto in cui qualche domanda te la fai, anche se il nostro compito è dare risposte attraverso i dati».
E la domanda resta sempre la stessa.
«Se c'è vita nell'universo? Certo, è una questione statistica: con così tanto spazio e così tanti soli, ci sono tantissimi pianeti. La difficoltà dalle difficoltà di comunicazione vista la distanza e dal rapporto spazio-tempo. E curvare l'universo per trovare scorciatoie per ora è pura fantasia».
Quindi, gli alieni...?
«Esistono. Lo dice la matematica».
L'astronoma italiana che studia le onde gravitazionali: "Altre vite? È statistica..."
di Marco Lombardo
L'esplorazione dello spazio di Lina Tomasella è partita dal sottosuolo: «In effetti la prima passione è stata la biologia e facevo la speleologa nelle grotte di Veneto e Friuli.
La bio-speleologa esattamente». Adesso è passata dall'altra parte dei misteri dell'esistenza: è ricercatrice presso l'Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova, nonché coordinatrice e responsabile delle attività dell'osservatorio di Asiago, quello che ha i più grandi telescopi ottici d'Italia. In più è nel Gruppo Italiano Gravita, che si occupa degli studi sulle onde gravitazionali, nei quali il nostro Paese ha raggiunto i risultati raccontati giusto due giorni fa. Grazie allo strumento Virgo, a Cascine.
E dunque, cosa scopriremo ancora adesso?
«Beh, chi può dirlo. Negli ultimi anni le scoperte aumentano. E così anche i misteri».
Come si comincia a fare l'astronoma?
«Essendo appassionati di scienze, naturalmente. Io in realtà sapevo di voler fare la ricercatrice e ho partecipato anche alla prima edizione del concorso per i giovani scienziati d'Europa, nel 1989. L'ho vinto con uno studio sulla tossicità dei coloranti».
E lo spazio che c'entra?
«Tutto c'entra con lo spazio. Diciamo che un dottorato un Astrofisica ha cambiato la mia strada».
Negli ultimi tempi le notizie in arrivo dall'universo si sono moltiplicate...
«Certo, è perché abbiamo ancora più conoscenze. Poi ci sono segnali spaziali che ancora non riusciamo a capire, ed è per quello che sogniamo che arrivino da qualche civiltà extraterreste».
Però?
«Però prima di tutto uno scienziato deve studiare e catalogare; e col tempo si riescono a capire cose incomprensibili. Prendiamo come esempio le pulsar, oggetti densi che ruotano velocemente. All'inizio non si sapeva come fossero: funzionano come un faro, il segnale arriva con periodo rotazione. Facile pensare che possa essere un messaggio da un'altra specie. Poi però sono stati fatti i calcoli, e...».
Lo spazio è matematica?
«Sicuramente: quello è il motore. Anzi: è il linguaggio con cui l'universo si esprime. Esistono delle costanti che ormai sono conosciute. E ci aiutano a capire ciò che sembra imperscrutabile».
Per esempio?
«La struttura dell'universo è a spugna, con vuoti e filamenti che contengono le galassie. Tutto rispecchia le condizioni iniziali della sua formazione e le successive evoluzioni. Il Big Bang ha insomma dato le regole base, il resto è equazione».
Ora sappiamo anche che esistono pianeti abitabili.
«Dal 1995 ad oggi, quando è stato scoperto il primo, le tecniche si sono raffinate. Presto, grazie ai nuovi telescopi, potremo studiare anche la loro atmosfera».
Lo spazio è matematica: ma è anche filosofia?
«Noi siamo scienziati, le interpretazione personali non lo sono. Noi studiamo e arriviamo a un punto. Per dire: ciò che era prima del Bing Bang non è scienza perché i modelli matematici in questo caso possono dare risposte, ma non certezze».
Sì, ma l'astronomo si fa delle domande?
«Ma certo: la curiosità è il motore della nostra professione. Scienza e religione sono cose separate. Però arrivi un punto in cui qualche domanda te la fai, anche se il nostro compito è dare risposte attraverso i dati».
E la domanda resta sempre la stessa.
«Se c'è vita nell'universo? Certo, è una questione statistica: con così tanto spazio e così tanti soli, ci sono tantissimi pianeti. La difficoltà dalle difficoltà di comunicazione vista la distanza e dal rapporto spazio-tempo. E curvare l'universo per trovare scorciatoie per ora è pura fantasia».
Quindi, gli alieni...?
«Esistono. Lo dice la matematica».
sabato 18 novembre 2017
Quel gruppo di "maghi" fascisti che voleva influenzare il Duce
tratto da "il Giornale" del 23/09/2017
In questi giorni torna in voga la storia del gruppo di Ur, fondato da Julius Evola e che intendeva recuperare lo spirito pagano del fascismo
di Claudio Cartaldo
Si chiamava il "gruppo di Ur", una sorta di setta convinta di poter entrare nella "testa" del Duce e di condizionare con la "magia" le scelte del governo di Benito Mussolini. E al suo interno c'era anche il famoso scrittore e fonte di ispirazione di molti post fascisti: Julius Evola.
Come scrive La Verità, il nome del gruppo viene da una rivista pubblicata tra il 1927 e il 1928, poi trasformata in Krur. Al suo interno lavoravano moltissimi redattori e collaboratori, anche se i loro scritti erano sempre con pseudonimo. I temi erano soprattutto legati al mondo esoterico, molto apprezzato tra chi credeva in un fascismo pagano, slegato dai rapporti (poi fatti politicamente) con la Chiesa cattolica. In Ur uscivano contributi di meditazione, spiritualità e religione (ovviamente non solo il cristianesimo, ma piuttosto il buddismo e altre religioni orientali). Una spiritualità magica, fatta di una Grande Forza, energie vitali di cui secondo i componenti del gruppo il fascismo si era fatto rappresentante politico e sociale. Quell'Imperialismo pagano di cui scrisse lo stesso Evola.
Come detto, il rapporto con il Vaticano di questo gruppo di "maghi" non era ottimale. E infatti a definirli tali fu Giovanni Battista Montini, che poi diventerà Paolo VI. ne denunciava "l'abuso di parole" e la realizzazione di "aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e superstizione magie". L'esistenza di Ur, però, non impedì a Mussolini di firmare il concordato. Il Duce era capace di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e così fece altalenando la sua indole anticlericale con quella pragmatica di uomo di potere in uno Stato in cui il Vaticano contava (e conta) molto.
In questi giorni torna in voga la storia del gruppo di Ur, fondato da Julius Evola e che intendeva recuperare lo spirito pagano del fascismo
di Claudio Cartaldo
Si chiamava il "gruppo di Ur", una sorta di setta convinta di poter entrare nella "testa" del Duce e di condizionare con la "magia" le scelte del governo di Benito Mussolini. E al suo interno c'era anche il famoso scrittore e fonte di ispirazione di molti post fascisti: Julius Evola.
Come scrive La Verità, il nome del gruppo viene da una rivista pubblicata tra il 1927 e il 1928, poi trasformata in Krur. Al suo interno lavoravano moltissimi redattori e collaboratori, anche se i loro scritti erano sempre con pseudonimo. I temi erano soprattutto legati al mondo esoterico, molto apprezzato tra chi credeva in un fascismo pagano, slegato dai rapporti (poi fatti politicamente) con la Chiesa cattolica. In Ur uscivano contributi di meditazione, spiritualità e religione (ovviamente non solo il cristianesimo, ma piuttosto il buddismo e altre religioni orientali). Una spiritualità magica, fatta di una Grande Forza, energie vitali di cui secondo i componenti del gruppo il fascismo si era fatto rappresentante politico e sociale. Quell'Imperialismo pagano di cui scrisse lo stesso Evola.
Come detto, il rapporto con il Vaticano di questo gruppo di "maghi" non era ottimale. E infatti a definirli tali fu Giovanni Battista Montini, che poi diventerà Paolo VI. ne denunciava "l'abuso di parole" e la realizzazione di "aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e superstizione magie". L'esistenza di Ur, però, non impedì a Mussolini di firmare il concordato. Il Duce era capace di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e così fece altalenando la sua indole anticlericale con quella pragmatica di uomo di potere in uno Stato in cui il Vaticano contava (e conta) molto.
mercoledì 15 novembre 2017
Oursler e Rol Torino svela la sua anima "Paranormal"
tratto da Il Giornale del 2 novembre 2017
Al Lingotto in mostra oggetti della collezione "oscura" dell'artista americano. E opere che dialogano con un mito dell'occulto
di Luca Beatrice
Torino prova a risollevarsi dalla «serie di sfortunati eventi» che da mesi la perseguitano riaprendo le porte, come ogni novembre, all`arte contemporanea.
Tutto intorno ad Artissima, la fiera più all`avanguardia d`Italia all`edizione numero 24 che apre oggi fino a domenica all`Oval del Lingotto, con un nuovo direttore, Ilaria Bonacossa, una significativa crescita del numero di gallerie - segno di buona salute, speriamo - sezioni dedicate al disegno e all`arte italiana. Il rito prosegue come ogni anno in città con vecchie e nuove esibizioni collaterali, le gallerie aperte il sabato notte e la musica di Club to Club, musei e fondazioni che festeggiano l`esordio monstre delle Ogr e tanto altro ancora.
Ma poiché sono in molti a pensare che sotto la Mole ci sia bisogno di un esorcismo o almeno di qualche fenomeno di magia per frenare malasorte e decadenza, con quelle coincidenze diaboliche che solo una città storicamente dotata di un`anima nera, la Pinacoteca Agnelli cala l`asso di un`accoppiata sorprendente all`interno della ricerca sul collezionismo marginale e più strano. L`artista americano Tony Oursler incontra il sensitivo torinese Gustavo Rol in una mostra dal titolo inequivocabile, Paranormal, fino al 25 febbraio 2018.
Oursler, nato nel 1957, è conosciuto in tutto il mondo per i suoi lavori multimediali, suggestive e inquietanti videoinstallazioni, complessi interventi nello spazio realizzati utilizzando sofisticate tecnologie. Fin dagli anni `70 ha disegnato tanto, trattando temi particolarmente introspettivi come i sogni, la morte, la religione, i fantasmi, le allucinazioni e le esperienze psichiche. Annota le malattie quotidiane, cattura segreti, studia l`influenza delle droghe artificiali, atte ad alterare l`equilibrio individuale e il potere dell`informazione con un surplus di immagini che rischia di riproiettare l`uomo in uno stato di aggressività primitiva e ferina. Si conosce meno la sua passione per il collezionismo di oggetti legati all`occulto e al mistero: raccoglie compulsivamente foto di fantasmi, testi illustrati di pseudo scienza, strumenti e oggetti paramedici. Questa ossessione origina dalla famiglia, poiché suo nonno Charles Fulton Oursler scrisse nel 1949 La più grande storia mai raccontata, diventata poi un film, e frequentò Arthur Conan Doyle, il «papà» di Sherlock Holmes, con cui discusse spesso di fenomeni che razionalmente non trovano spiegazione.
Niente affatto casuale, dunque, l`incontro con Gustavo Rol, un autentico mito per la Torino affascinata dall`occultismo e dal paranormale, a cominciare proprio dalla famiglia Agnelli - l`Avvocato lo considerava un mentore. E non solo, lo interpellarono Walt Disney, John Kennedy, la regina Elisabetta e Federico Fellini. Nato nel 1903 e scomparso nel 1994, Gustavo Rol proveniva dalla ricca borghesia sabauda. Laureato in giurisprudenza, lavorò in banca, capitano degli alpini durante la Seconda guerra mondiale, approfondì gli studi spirituali e parapsicologici mantenendo sempre un profilo basso e riservato. Collezionista d`arte, pittore di stampo tradizionale, le testimonianze descrivono Rol come un uomo incredibile, fuori dal tempo, forse dotato di poteri di telepatia, chiaroveggenza, telecinesi, levitazione e quant`altro. Non tutti, ovviamente, d`accordo: i suoi numerosi estimatori, per esempio Dino Buzzati, lo consideravano un guru, scettici e detrattori ne parlavano come di un illusionista e di un prestigiatore.
La sua figura piena di sfaccettature è ora oggetto di studio da parte di un artista che, come lui, si immerge spesso in un mondo oscuro e irrazionale. Lo spazio della Pinacoteca Agnelli si trasforma così in un forziere magico che ci riporta per incanto alla Torino di oltre mezzo secolo fa. Era un`altra città, certo, eppure molto del suo carattere difficile le resta appiccicato addosso.
Al Lingotto in mostra oggetti della collezione "oscura" dell'artista americano. E opere che dialogano con un mito dell'occulto
di Luca Beatrice
Torino prova a risollevarsi dalla «serie di sfortunati eventi» che da mesi la perseguitano riaprendo le porte, come ogni novembre, all`arte contemporanea.
Tutto intorno ad Artissima, la fiera più all`avanguardia d`Italia all`edizione numero 24 che apre oggi fino a domenica all`Oval del Lingotto, con un nuovo direttore, Ilaria Bonacossa, una significativa crescita del numero di gallerie - segno di buona salute, speriamo - sezioni dedicate al disegno e all`arte italiana. Il rito prosegue come ogni anno in città con vecchie e nuove esibizioni collaterali, le gallerie aperte il sabato notte e la musica di Club to Club, musei e fondazioni che festeggiano l`esordio monstre delle Ogr e tanto altro ancora.
Ma poiché sono in molti a pensare che sotto la Mole ci sia bisogno di un esorcismo o almeno di qualche fenomeno di magia per frenare malasorte e decadenza, con quelle coincidenze diaboliche che solo una città storicamente dotata di un`anima nera, la Pinacoteca Agnelli cala l`asso di un`accoppiata sorprendente all`interno della ricerca sul collezionismo marginale e più strano. L`artista americano Tony Oursler incontra il sensitivo torinese Gustavo Rol in una mostra dal titolo inequivocabile, Paranormal, fino al 25 febbraio 2018.
Oursler, nato nel 1957, è conosciuto in tutto il mondo per i suoi lavori multimediali, suggestive e inquietanti videoinstallazioni, complessi interventi nello spazio realizzati utilizzando sofisticate tecnologie. Fin dagli anni `70 ha disegnato tanto, trattando temi particolarmente introspettivi come i sogni, la morte, la religione, i fantasmi, le allucinazioni e le esperienze psichiche. Annota le malattie quotidiane, cattura segreti, studia l`influenza delle droghe artificiali, atte ad alterare l`equilibrio individuale e il potere dell`informazione con un surplus di immagini che rischia di riproiettare l`uomo in uno stato di aggressività primitiva e ferina. Si conosce meno la sua passione per il collezionismo di oggetti legati all`occulto e al mistero: raccoglie compulsivamente foto di fantasmi, testi illustrati di pseudo scienza, strumenti e oggetti paramedici. Questa ossessione origina dalla famiglia, poiché suo nonno Charles Fulton Oursler scrisse nel 1949 La più grande storia mai raccontata, diventata poi un film, e frequentò Arthur Conan Doyle, il «papà» di Sherlock Holmes, con cui discusse spesso di fenomeni che razionalmente non trovano spiegazione.
Niente affatto casuale, dunque, l`incontro con Gustavo Rol, un autentico mito per la Torino affascinata dall`occultismo e dal paranormale, a cominciare proprio dalla famiglia Agnelli - l`Avvocato lo considerava un mentore. E non solo, lo interpellarono Walt Disney, John Kennedy, la regina Elisabetta e Federico Fellini. Nato nel 1903 e scomparso nel 1994, Gustavo Rol proveniva dalla ricca borghesia sabauda. Laureato in giurisprudenza, lavorò in banca, capitano degli alpini durante la Seconda guerra mondiale, approfondì gli studi spirituali e parapsicologici mantenendo sempre un profilo basso e riservato. Collezionista d`arte, pittore di stampo tradizionale, le testimonianze descrivono Rol come un uomo incredibile, fuori dal tempo, forse dotato di poteri di telepatia, chiaroveggenza, telecinesi, levitazione e quant`altro. Non tutti, ovviamente, d`accordo: i suoi numerosi estimatori, per esempio Dino Buzzati, lo consideravano un guru, scettici e detrattori ne parlavano come di un illusionista e di un prestigiatore.
La sua figura piena di sfaccettature è ora oggetto di studio da parte di un artista che, come lui, si immerge spesso in un mondo oscuro e irrazionale. Lo spazio della Pinacoteca Agnelli si trasforma così in un forziere magico che ci riporta per incanto alla Torino di oltre mezzo secolo fa. Era un`altra città, certo, eppure molto del suo carattere difficile le resta appiccicato addosso.
venerdì 10 novembre 2017
L'iniziato. Un viaggio alla ricerca della verità nascosta negli antichi misteri
Un libro magico, insieme profondamente personale e universale: la sua lettura vi guiderà verso la Via della vostra realizzazione spirituale.
Nello spirito ermetico, l’iniziato è colui che «brucia» alla ricerca delle conoscenze e intuizioni più elevate, è un viaggiatore che cammina verso quella visione del mondo spirituale celata dietro il velo del mondo materiale.
L’autobiografia di Mark Hedsel, raccolta e annotata dall’amico David Ovason, vi immergerà non solo nella storia particolare di colui che è divenuto un grande Maestro, custode degli Antichi Misteri, ma anche nella storia dell’evoluzione interiore dell’uomo stesso.
Il cammino che seguì Marx Hedsel è tradizionalmente conosciuto come la «Via del Matto», la via del viaggiatore solitario, di colui che conserva sempre la propria identità e raramente si impegna nel giuramento di mantenere il silenzio, se questo lo vincola a una scuola specifica. La Via del Matto è una via difficile, perché è come camminare in equilibrio su una corda tesa: facilmente si può inciampare e cadere nella comune follia. È una via fatta di scienza sottile, di strano sapere. È «la via che non è via», «la via che non può essere nominata». Dire che il Matto errante è sulla Via equivale a dire che percorre la strada dell’esperienza.
Con il dono di una scrittura penetrante − che «risveglia» e insieme istruisce «chi ha occhi per vedere» − e attraverso il disvelamento di simboli e misteri, Marx Hedsel vi condurrà in un viaggio dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Egitto alla Grecia, e attraverso il Medio Oriente verso l’India e il Nepal, rispondendo alle domande più profonde che sgorgano dal cuore, soltanto dal cuore, di chi si mette in cammino.
L’autobiografia di Mark Hedsel, raccolta e annotata dall’amico David Ovason, vi immergerà non solo nella storia particolare di colui che è divenuto un grande Maestro, custode degli Antichi Misteri, ma anche nella storia dell’evoluzione interiore dell’uomo stesso.
Il cammino che seguì Marx Hedsel è tradizionalmente conosciuto come la «Via del Matto», la via del viaggiatore solitario, di colui che conserva sempre la propria identità e raramente si impegna nel giuramento di mantenere il silenzio, se questo lo vincola a una scuola specifica. La Via del Matto è una via difficile, perché è come camminare in equilibrio su una corda tesa: facilmente si può inciampare e cadere nella comune follia. È una via fatta di scienza sottile, di strano sapere. È «la via che non è via», «la via che non può essere nominata». Dire che il Matto errante è sulla Via equivale a dire che percorre la strada dell’esperienza.
Con il dono di una scrittura penetrante − che «risveglia» e insieme istruisce «chi ha occhi per vedere» − e attraverso il disvelamento di simboli e misteri, Marx Hedsel vi condurrà in un viaggio dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Egitto alla Grecia, e attraverso il Medio Oriente verso l’India e il Nepal, rispondendo alle domande più profonde che sgorgano dal cuore, soltanto dal cuore, di chi si mette in cammino.
martedì 7 novembre 2017
Il Garda racconta
Giovedì 9 novembre a Moniga del Garda, in sala consiliare, dalle 20,30 una serata dedicata a leggende e tradizioni su San Martino, santo patrono della città gardesana, assieme alla scrittrice Simona Cremonini.
sabato 4 novembre 2017
"ALIENI E U.F.O.: INCONTRI SPECIALI"
Sabato 18 Novembre 2017 e.v. alle ore 21,15 presso i locali del Centro Studi e Ricerche C.T.A. 102 - Via Don Minzoni 39, Bellinzago Novarese (NO) - nell’ambito delle serate dedicate ai “Misteri Antichi e Moderni”, la nostra Associazione ha il piacere di invitarvi ad un’interesantissima conferenza in compagnia di ELVIO FIORENTINI che parlerà sul tema:
"ALIENI E U.F.O.: INCONTRI SPECIALI"
Contatti, contattisti ed eventi di dialogo interplanetario. Cosa c’è di reale in tutto questo? Quali sono i meccanismi psicologici che si innescano nelle persone che affermano di aver goduto di incontri al di là dell’umano? Di tutto questo parleremo, in questa straordinaria serata, con Elvio Fiorentini, rappresentante del C.U.N (Centro Ufologico Nazionale).
Un’evento quindi davvero stimolante ed imperdibile a cui siete tutti invitati!
La partecipazione a questo evento è soggetto a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.
Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.
"ALIENI E U.F.O.: INCONTRI SPECIALI"
Contatti, contattisti ed eventi di dialogo interplanetario. Cosa c’è di reale in tutto questo? Quali sono i meccanismi psicologici che si innescano nelle persone che affermano di aver goduto di incontri al di là dell’umano? Di tutto questo parleremo, in questa straordinaria serata, con Elvio Fiorentini, rappresentante del C.U.N (Centro Ufologico Nazionale).
Un’evento quindi davvero stimolante ed imperdibile a cui siete tutti invitati!
La partecipazione a questo evento è soggetto a Tesseramento A.S.I. ed è obbligatoria la prenotazione da effettuarsi chiamando il numero 3803149775 o scrivendo a: cta102@cta102.it
Si precisa inoltre che la sola adesione all’evento effettuata su Facebook non è considerata una prenotazione valida.
Per i nostri Associati che volessero seguire la conferenza a distanza sarà naturalmente disponibile il collegamento in streaming video.
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