Visualizzazione post con etichetta perceval. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta perceval. Mostra tutti i post

sabato 22 giugno 2013

Brevi riflessioni sulla follia di Perceval

di Vito Foschi

Nel racconto di Chrétien de Troyes, all’inizio dell’avventura, il giovane Perceval è all’oscuro di tutto, vive in uno stato quasi selvaggio accudito dalla madre e dai servitori. È giovane, sta per entrare nell’età adulta ma è come se non fosse ancora nato, addirittura non viene chiamato con il suo nome… è il puro Folle. Puro perché non contaminato dal mondo, è vissuto nella foresta ed è come se avesse continuato a vivere nel grembo materno, folle perché ignorando totalmente le regole del vivere in società il suo comportamento ai più sembra dettato da follia. Nei primi passi del romanzo abbondano gli appellativi folle, stolto, giovane selvatico. Ma nonostante la Follia o proprio grazie ad essa decide di seguire la Luce, la luce portata nel suo mondo dal bagliore delle armature dei cavalieri che egli non a caso crede angeli.

Qui mi sovviene l’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam che indica nella Follia il motore della storia, per cui nascono e muoiono imperi, città, si formano famiglie, si intraprendono viaggi, attività economiche, ecc. Il saggio, prudente qual è, rimane in casa senza gettarsi in avventure e si accontenta del suo stato e non sogna. Il Folle sogna e qui mi sovviene Lwarence D’Arabia e il suo aforisma sugli uomini che sognano. Recito a memoria. “Esistono due tipi di uomini quelli che sognano quando dormono e quelli che lo fanno ad occhi aperti. Di queste specie di uomini la seconda è la più pericolosa perché lotta per realizzare i suoi sogni”. Non sono le parole esatte, ma il senso è quello. Perceval è della specie che sogna ad occhi aperti. Vede i cavalieri e decide di diventarlo, si arma e parte senza indugiare oltre abbandonando la madre che muore di crepacuore. La vede a terra, ma non si ferma, non indugia, sferza il cavallo e corre via lontano. Un comportamento non propriamente saggio. E quando vede le tre gocce di sangue sulla neve fresca e rimane lì imbalsamato nel dolce ricordo di Biancofiore, che cosa fa se non sognare ad occhi aperti? Addirittura non si accorge dei molti cavalieri che vengono ad interrogarlo su chi era e cosa voleva, che irritati lo caricano e vengono abbattuti puntualmente da Perceval che combatte come in sogno. Una volta “sveglio” raggiunge la corte di Re Artù e chiede del siniscalco Key, con cui aveva una contesa e gli dicono che è stato proprio lui ad abbatterlo e ferirlo ad un braccio. Non si era accorto di niente, il nostro sognatore. Nel saggio di Erasmo esaminata la follia di tutta l’attività umana si giunge alla conclusione che l’unica “follia giusta” è quella in Cristo, quella dei Santi, dei Martiri, ma anche del semplice credente che in Cristo solo può trovare risposta alla follia della vita. Questa è l’idea di Erasmo, che riprende in maniera satirica il concetto di follia come massima saggezza espresso da San Paolo nella lettera ai Corinzi, non a caso citato nell’Elogio, che nonostante la sua sostanziale ortodossia, verrà tacciato di eresia, probabilmente per il suo sarcasmo sui teologi cervellotici, le critiche alla chiesa e al potere costituito, anche se il suo intento era solo di ironizzare sulla società terrena per mettere in evidenza la Verità ultraterrena. E il buon Perceval cosa fa verso la fine del romanzo incompiuto di Chrétien? Dopo aver vissuto cinque anni lontano dalla chiesa, e quindi lontano dallo spirito, vivendo mille avventure senza ritrovare il Graal incoccia in una processione di Venerdì Santo e uno dei presenti lo rimprovera del suo andare armato. Perceval stupito chiede che giorno sia e, ottenuta la risposta sente la necessità di fare penitenza e gli viene indicato un eremita e lui ci se reca prontamente. Qui riceve la sua iniziazione spirituale, ma non ci soffermeremo su questo, ma sul fatto che il Puro Folle ritorna a Dio, la sua follia nel mondo si tramuta in follia in Cristo. Dopo cinque anni di avventure, di follia umana, scopre ciò che è veramente importante la Follia del Cristo che si fece uomo per riscattare i peccati degli uomini e Perceval capito ciò è pronto a riconquistare il Graal ed essere il Folle in Cristo capace dell’estremo sacrificio per mondare il mondo dal peccato e risorgere alla vita eterna.

Naturalmente questa è l’interpretazione cristiana del racconto di Chrétien, ma non è la sola possibile dato che nel cristianesimo persistono reminiscenze di antichi culti e l’evidente presenza nel racconto di elementi celtici posta in luce da molti studiosi.

venerdì 24 maggio 2013

Perceval, Re e Sacerdote


In Perceval è ravvisabile l’eterna figura del Re Pontefice, guida politica e spirituale dalla cui salute dipende il benessere del regno

di Vito Foschi

Introduzione


Nel Perceval, il romanzo di Chétien de Troyes, si racconta di come il giovane Perceval da selvaggio ed incolto si trasformi in un perfetto cavaliere affrontando varie avventure, tra cui alcune di natura fantastica. Ma dietro questo percorso è possibile scorgere una vera e propria iniziazione. Ad esempio l’avventura nel castello del Graal non trova facilmente spiegazione come semplice favola e molti autori hanno rilevato i riferimenti mitici sia celtici sia alla tradizione dei Re Taumaturghi. Come abbiamo scritto in altri lavori Perceval riceve due iniziazioni, la prima alla cavalleria profana o terrena ricevuta dal gentiluomo Gorneman di Gorhaut, e la seconda alla cavalleria spirituale o celeste dallo Zio Eremita che gli trasmette una preghiera segreta. Questo particolare non è facilmente riconducibile a un contesto cristiano o semplicemente favolistico. Rappresenta la trasmissione di un sapere iniziatico, segreto, che si trasmette da maestro ad allievo.
L’opera di Chrétien manca della fine, non si capisce se per volontà dell’artista o meno ed il suo successo è in parte dovuto alle diverse continuazioni scritte da altri autori. Il romanzo ha, inoltre, la particolarità si essere quasi diviso in due parti di cui una dedicata ad un altro protagonista: Galvano. Si può ben dire che si tratti di una opera molto particolare e nonostante o forse proprio per questo di ampia diffusione.

Il Castello del Graal


Perceval raggiunge il castello del Graal ma non ponendo la domanda su cosa sia ciò che vede fallisce la prova e si allontana non riuscendo a capire cosa sia successo. Il tutto gli viene spiegato da una sua cugina con una specie di interrogatorio. Anche qui le tracce di un rituale con delle domande prefissate e le risposte dell’adepto che non sa. E d’altronde cosa potrebbe sapere Perceval se è ancora un semplice cavaliere? Quando raggiunge il castello del Graal è stato appena iniziato cavaliere da Gorneman ed ha liberato Biancofiore dai suoi nemici. Quindi ha fatto solo esperienza di guerra e di cortesia e questa non è sufficiente a conquistare il Graal.
Nel racconto di Chrétien bisogna rivelare la presenza di uno schema: tentativo, fallimento, nuovo tentativo, successo. La prima volta che Perceval incontra una donna, la dama dell’Orgoglioso della Landa, segue i consigli della madre e combina un guaio. Non era ancora pronto. Incontra Gorneman che oltre ad insegnargli le regole della cavalleria gli insegna le regole della cortesia. E così la seconda volta con Biancofiore, essendo ormai un uomo e un gentiluomo riesce a conquistarla. Si noti lo schema: tentativo e fallimento con la dama dell’Orgoglioso, nuovo tentativo e successo con Biancofiore. Così succede con le donne, ma così appare lo schema della ricerca del Graal, solo che lo schema non si completa, perché il romanzo si interrompe. Il primo tentativo col Graal fallisce, perché l'eroe ha avuto solo l'iniziazione alla cavalleria terrestre e ciò non è sufficiente per recuperare il Graal. Sono i primi due passi dello schema. Verso la fine del romanzo, come accennato prima, riceve l'iniziazione Spirituale ed è pronto per ritentare l'impresa. Purtroppo il racconto si interrompe, ma si può ipotizzare con una certa sicurezza una conclusione positiva.

Un romanzo di formazione?


Alcuni autori hanno considerato l’opera solo come un romanzo di formazione con intenti didascalici senza vederne gli aspetti mitologici, ma anche questa interpretazione non fa che rafforzare l’ipotesi della conquista del Graal da parte di Perceval. Se il protagonista deve imparare certe cose per poter superare le prove della vita, si intuisce che alla fine del racconto dopo aver imparato ciò che serve ritroverà il castello del Graal e porrà la domanda e libererà il Re Magagnato dal suo dolore.
Quando Perceval raggiunge il castello del Graal la prima volta, è cavaliere ed ha appena lasciato il castello di Biancofiore, ha ricevuto l’iniziazione alla cavalleria terrena ed è ancora un semplice guerriero. È anche maturato da adolescente a uomo conoscendo l’amore terreno. Qui finirebbe il romanzo se si trattasse solo di un romanzo di formazione, come se in una società tradizionale possa aver senso parlare di formazione, o di passaggio dall’adolescenza all’età adulta senza un cerimonia iniziatica. Gli insegnamenti terreni non sono sufficienti a conquistare il Graal.

L’investitura del re sacerdote


Nella visita al castello del Graal, il Re Pescatore dona a Perceval una spada dicendogli che è fatta per lui. Ora il simbolo della spada è molto chiaro, oltre a simboleggiare le virtù guerriere rappresenta la Giustizia e la Regalità.  In Matteo 10, 34 “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada”. La spada è simbolo della giustizia e Gesù vuole intendere di essere venuto a portare la Giustizia, tra gli altri significati. Nel momento in cui riceve la spada viene riconosciuta a Perceval la sua qualità di guerriero e riceve l’investitura di re. Naturalmente il Graal è un dono spirituale e non può essere posseduto da un semplice re guerriero. Dopo questo episodio Perceval affronta varie avventure, ma si tiene lontano dalla chiesa: è un cavaliere in cerca di avventure. Un venerdì santo incontra una processione e viene rimproverato da uno degli astanti di andare in giro armato in tale giorno. Perceval non sa di che giorni si tratti, lo chiede e quando lo apprende sente la necessità di fare penitenza e saputo della presenza lì vicino di un eremita ci si avvia. Qui apprende che l’eremita è suo zio da parte di madre e i misteri del Graal. Il Graal serve l’ostia al padre del Re Pescatore che da 12 anni si nutre solo di quella. Infine l’Eremita gli insegna una preghiera segreta che «conteneva molti nomi del signore Iddio, i più potenti, che nessuna bocca umana deve pronunciare se non per paura della morte»; preghiera segreta, che rappresenta il filo ininterrotto della tradizione che lega i rappresentati nelle varie generazioni: riceve una definitiva iniziazione. In quest’ultima si può scorgere una iniziazione sacerdotale, e non a caso a impartire l’insegnamento è lo zio materno di Perceval. Ci piace ricordare la tradizione ebraica per cui la discendenza è da parte di madre ed erano i membri della tribù dei leviti a poter accedere alle cariche sacerdotali.

Il costruttore di ponti


Perceval è re sacerdote o per meglio dire re pontefice. Il Pontifex è letteralmente un «costruttore di ponti», qui inteso simbolicamente quale mediatore fra il nostro mondo e i mondi superiori. In effetti quando Perceval incontra la prima volta il Re Pescatore è alla ricerca di un guado dove attraversare un fiume; il Re è in barca intento a pescare e gli indica la strada, funzione di pontefice, per raggiungere il Castello del Graal dove avrebbe alloggiato quella notte per poi ripartire. Il Castello è un regno non terreno ed il Re Pescatore funge da intermediario fra il mondo terreno e il mondo superiore. Infatti il Castello appare a Perceval ad un tratto, quando disperava di trovarlo pensando di essere stato burlato dal pescatore, e nonostante lo abbia visitato, non sarà più in grado di ritornarvi a dimostrazione che la sua ubicazione non è di questo mondo.
Ricevuta l’iniziazione spirituale o sacerdotale, Perceval è in grado di liberare il Re Magagnato dal suo male o meglio di succedergli al trono e di essere lui il nuovo Re Pescatore che farà rifiorire la terra. Qui si intravede l’ombra di antichi rituali legati ai culti di fertilità e alla successione di un sovrano o di un capo che svolge funzioni sia guerriere che religiose.
La funzione di Perceval è restauratrice, ovvero di riportare ordine in una situazione degenerata. In Perceval riconosciamo la figura dell’eroe nel senso tradizionale del termine come spiegato da Julius Evola nel suo “Il mistero del Graal”. L’eroe a differenza dell’uomo primordiale completo in sé, deve riconquistare la sua pienezza perché non è per “natura” completo. Da “Il Mistero del Graal”: “Secondo Esiodo la «generazione degli eroi» fu creata da Zeus, cioè dal principio olimpico, con la possibilità di riconquistare lo stato primordiale e dar quindi vita a un nuovo ciclo «aureo»”.



Compito dell’«eroe» è quindi quella di far rinascere una nuova età dell’oro. In effetti nell’avventura di Perceval, osserviamo una situazione di disordine in cui è caduta la società umana a causa dell’infermità del Re Pescatore. Possiamo pensare che la malattia del Re Pescatore si ripercuota sul mondo perché come è raccontato da altri testi del ciclo arturiano, sia Merlino che Artù sono traditi da una donna, da intendersi anche qui in senso simbolico, generando il caos nel regno.
Accenniamo al fatto che nelle tre figure del re Pescatore, di Merlino e d’Artù possiamo vedere le “tre funzioni supreme” indicate da Guénon nel Re del mondo: “…il capo supremo dell’Agarttha porta il titolo Brahâtmâ (sarebbe più corretto scrivere Brahmâtmâ), «supporto delle anime nello spirito di Dio»; i suoi coadiutori sono il Mahâtmâ, «rappresentante dell’Anima universale» e il Mahângâ, «simbolo di tutta l’organizzazione materiale del Cosmo»: questa è la divisione gerarchica che le dottrine occidentali rappresentato mediante il ternario «spirito, anima e corpo»”.
Ora, Perceval secondo lo schema da noi individuato, guarisce il Re Pescatore e gli succede instaurando un nuovo regno e quindi una nuova era di pace e prosperità che potrebbe essere considerata come il ritorno all’età dell’oro primordiale.


Re Pescatore


L’aggettivo pescatore associato a re non è casuale e non riguarda semplicemente il passatempo del re malato ma ha un chiaro significato simbolico. Il Re Pescatore per eccellenza è Gesù, re perché discendente dalla stirpe davidica e pescatore perché pescatore d’anime. Nel vangelo sono ben noti i passi in cui dice a Pietro di gettare le reti (Luca 5, 4) e quando gli dice di lasciare le reti che lo avrebbe fatto pescatore di uomini (Luca 5, 10). Qui, è da citare il cosiddetto anello piscatorio indossato dal Papa che ha l’effige di Pietro che pesca con la rete. In questo oggetto è racchiusa una doppia simbologia regale e sacerdotale. L’anello sta spesso a denotare la nobiltà di chi lo indossa, mentre l’effige di S. Pietro che getta le reti è un esplicito simbolo della funzione sacerdotale della chiesa. Dobbiamo qui citare la diffusione nel medioevo di una leggenda di origine araba che racconta di come Re Salomone possedesse un anello magico capace di scacciare i demoni e perdendolo lo ritrovi dentro un pesce che aveva appena pescato e da cui l’appellativo re pescatore. Sottolineiamo l’esistenza di una leggenda simile che ha come protagonista Alessandro Magno, anch’egli simbolo di quella regalità sacerdotale, perché in un certo qual modo ne ha incarnato i principi nella storia.
A completamento dell’esame della simbologia, ricordiamo che il simbolo dei primi cristiani era il pesce dall’acronimo greco che indicava il nome di Gesù ed a volte erano chiamati loro stessi pesciolini perché, come i pesci erano scampati alla punizione divina del diluvio universale, così, essi grazie alla loro fede in Cristo avrebbero superati indenni il Giudizio Universale. Inoltre il pesce era un simbolo frequente dell’iconografia cristiana a ricordare il miracolo dei pani e dei pesci e da qui, spesso associato al banchetto dell’Ultima Cena.

Conclusioni


In questo simbolismo sembrano convergere tradizioni precristiane e cristiane, anche se è più corretto dire che ambedue si riferiscono ad un simbolismo tradizionale, esplicitandone ognuna, quella parte che in un dato momento e in un dato luogo, è più congeniale. La presenza di ambedue permette di chiarire meglio i principi sottesi depurandoli dalle incrostazioni delle contingenze storiche.
Non possiamo sapere se l’utilizzo di tale simbolismo da parte di Chrétien sia stato consapevole o meno, anche perché vivendo in un’epoca fortemente intrisa di sacro non poteva non riversare nella sua opera la simbologia cristiana. Sicuramente i riferimenti cristiani hanno permesso a Robert de Boron nelle sua successiva rielaborazione della leggenda del Graal, di rivestirla, con estrema facilità, di abiti cristiani. È da ribadire, però, che una lettura eminentemente cristiana del racconto del Graal non è possibile, stando un sostrato di miti non riconducibile a un alveo cristiano.

giovedì 23 agosto 2012

Chrétien de Troyes

Chrétien de Troyes è autore di romanzi del ciclo arturiano tra cui Perceval o il racconteo del Graal, Tristano e Isotta, Lancilotto o il cavaliere della carretta.
Vi rimandiamo alla voce di Wikipedia su Chrétien de Troyes:


http://it.wikipedia.org/wiki/Chr%C3%A9tien_de_Troyes


martedì 8 maggio 2012

Il Cavaliere Vermiglio

di Vito Foschi

La scelta del colore vermiglio per le armi di Perceval sembra non causale, data la ricchezza simbolica del colore rosso “Ogni elemento ha un suo colore: la terra è azzurra, l’acqua è verde, l’aria gialla, il fuoco rosso; poi vi sono altri colori casuali e commisti, appena riconoscibili. Ma tu bada con cura al colore elementare che predomina, e giudica secondo quello” Paracelso Introduzione In questo articolo ci proponiamo di offrire un’interpretazione simbolica di uno dei primi episodi del Perceval di Chrétien de Troyes, in cui il giovane eroe uccide il Cavaliere Vermiglio e ne prende le armi assumendone il nome. Il racconto Perceval abbandonata la Guasta Foresta dove ha vissuto la sua infanzia si dirige verso la corte di Re Artù con l’intento di diventare cavaliere. Arrivato alla corte di Re Artù ne vede venire fuori il Cavaliere Vermiglio con in mano una coppa d’oro rubata al re. Il cavaliere cerca di parlare a Perceval, ma questi inebriato dell’idea di diventare cavaliere non lo ascolta e procede nel castello presentandosi nella sala del banchetto in sella al cavallo. Non ha ancora imparato le regole minime del vivere civile. Qui chiede brutalmente di essere fatto cavaliere e Keu, il siniscalco, lo apostrofa dicendogli che se vuole le armi le andasse a chiedere al Cavaliere Vermiglio. Lo sciocco mette in atto la folle idea e si reca dal cavaliere con cui ha una colluttazione, non un vero e proprio duello, e lo ammazza con un giavellotto. Ne indossa le armi e per il resto del racconto di Chrétien, sarà il Cavaliere Vermiglio. La regalità Il colore Vermiglio non è casuale, il rosso o meglio il colore porpora, è sempre stato legato alla dignità regale e ne è simbolo. Non a caso i cardinali indossano una tunica di colore rosso, che non solo ricorda il sangue dei martiri della chiesa, ma anche la loro regalità, tant’è vero che vengono chiamati principi della chiesa. In passato lo stesso Papa indossava abiti di colore rosso, poi abbandonati per il bianco a cominciare da Papa San Pio V, che provenendo dall’ordine domenicano volle indossare la bianca divisa dell’ordine anche da papa, uso poi conservato dai suoi successori. Il Cavaliere Vermiglio che si allontana dalla corte di Re Artù ha in mano un coppa d’oro altro elemento che rimanda alla regalità: l’oro è altro simbolo di re. La coppa ha un suo simbolismo politico perché era uso nell’antica Grecia nel rituale del simposio bere per sigillare gli accordi, usanza presente anche nelle popolazioni germaniche che invasero l’Impero Romano. Il cavaliere ha rubato la coppa al re rovesciandone il contenuto addosso alla regina rivendicando delle terre e sfidando il re a difendere il suo diritto. Il Cavaliere Vermiglio ha la figura dell’usurpatore e rivendica una regalità sfidando Re Artù. Perceval lo sfida e lo uccide assumendone l’identità. Perceval non conosce le regole della cavalleria e ammazza il Cavaliere Vermiglio con un giavellotto in maniera non proprio canonica per un cavaliere. È ancora il ragazzo impetuoso totalmente ignorante delle regole comunitarie. Il fatto di riuscire comunque ad ammazzare il cavaliere in un certo qual modo ne individua una sorta di predestinazione a quel ruolo. Perceval vendica l’affronto fatto al re e indossa le armi dell’usurpatore legittimamente: ha ancora molte cose da imparare, ma da questo punto del racconto in poi sarà l’unico Cavaliere Vermiglio. Perceval tramite un cavaliere della corte restituisce la coppa d’oro al re, ovvero, simbolicamente, restituisce la regalità ad Artù ripristinando l’ordine delle cose. Proseguendo il suo itinerare incontra un gentiluomo che indossa una “veste porporina” e che “per contegno teneva in mano una bacchetta” e con accanto due valletti. Dalla descrizione capiamo che ci troviamo di fronte ad una persona di alto lignaggio. La bacchetta sta a posto dello scettro, altro simbolo regale che qui troviamo associata alla veste porpora ad ulteriore testimonianza del significato regale del colore rosso. Dal gentiluomo, Gorneman di Gorhaut, Perceval riceve gli insegnamenti della cavalleria e della cortesia ed infine viene investito cavaliere con la cerimonia dello sperone. Il simbolismo del colore rosso Il rosso è il colore per eccellenza e si oppone sia al bianco che al nero che sono considerati nella loro accezione di luce e tenebra e con cui ha formato una triade simbolica nel medioevo. Il simbolo del colore rosso come tutti i simboli ha valenze sia positive che negative. Da un lato il rosso è il colore dell’amore, sia terreno che spirituale, basti pensare al Sacro Cuore di Gesù, della passione, dell’attività, delle emozioni, del sentimento, dell’espansività, della vivacità, del sangue inteso come vita, dall’altro è il colore dell’ira, della violenza, dell’aggressività, dello spargimento di sangue. Nelle avventure di Perceval si hanno tutti questi aspetti, però con un preciso ordine che va dal negativo al positivo. All’inizio il giovane è impetuoso, coraggioso non conosce le regole né della cavalleria né della cortesia o comunque del vivere civile e quindi possiede i caratteri negativi del colore rosso. Uccide il Cavaliere Vermiglio in modo, come già detto, non ortodossa. Quando, invece, ha appreso le regole della cavalleria da Gorneman i suoi duelli saranno meno cruenti, e spesso risparmierà la vita degli sconfitti e soprattutto i duelli avranno lo scopo di sanare le ingiustizie. Lo spargimento di sangue si è trasformato nel sangue della vita. Il rosso è il colore dell’amore e Perceval dimostra di possederlo sia nell’amore filiale che lo lega alla madre, nonostante l’avventatezza della sua partenza quando vedendola cadere non la soccorre e va via, sia come amante appassionato della bella Biancofiore che libera dai suoi nemici riportando la pace nel regno. Anche in questa occasione si evidenzia la funzione di ripristinare l’ordine, tipica dell’eroe. Verso la fine del racconto Perceval incontra lo zio Eremita che lo inizia alla cavalleria celeste e qui l’eroe subisce un’ulteriore evoluzione e l’amore terreno che ha provato per Biancofiore si sublima nell’Amore celeste per Dio. Anche qui il simbolismo del colore rosso subisce un’evoluzione dagli aspetti più terreni a quelli più spirituali: dal rosso dell’amore terreno al rosso dell’Amore divino. La guerra Altri significati che assume il colore rosso sono quelli legati al fatto di essere il colore del fuoco e quindi può rappresentare il fuoco, il calore, l’energia e la luce. E visto che durante la luce del giorno si svolge l’azione umana va a rappresentare anche l’azione in genere. Il bianco è il colore che rappresenta per eccellenza la luce, ma non va a simboleggiare l’azione, perché legato all’idea della luce naturale del sole non controllata dall’uomo, al contrario della luce del fuoco che quindi meglio rappresenta la volontà dell’uomo ad agire. È curioso notare che nell’immagine del Sacro Cuore di Gesù ritroviamo i simboli dei raggi per suggerire la luce e le fiamme per suggerire il calore, significati del colore rosso con cui è colorato il cuore. Il colore rosso simboleggia l’azione dell’attacco e della conquista ed è complementare al verde che rappresenta il colore della conservazione e della difesa. Perceval oltre ad avere funzione regale ha anche una funzione di conquista o meglio di riconquistare uno stato edenico per il regno di Artù. L’affronto del Cavaliere Vermiglio originario nei confronti di re Artù va inteso nel senso di un indebolimento dell’autorità, ben diversa dal potere, del re, situazione che Perceval deve sanare. Il dio Marte La simbologia del rosso nel suo aspetto negativo, come già detto, è legata alla violenza e allo spargimento di sangue legandola al mito di Marte, il dio della guerra. La scelta di identificare il pianeta Marte con l’omonimo dio è dettato dal colore prevalente del pianeta che è il rosso dovuto agli ossidi di ferro prevalenti sulla sua superficie. Un altro motivo che lega il rosso alla guerra è il rosso fuoco del metallo nella fornace. Un simbolo del dio Marte è il giavellotto, arma usata da Perceval nella sua infanzia nella Guasta Foresta per cacciare e poi utilizzata per uccidere il Cavaliere Vermiglio di cui assume nome e funzioni. In questa ottica Perceval può essere considerato un eroe solare con le funzioni tipiche dell’eroe di sanare le ingiustizie instaurando una nuova era di pace, come meglio spiegato nel nostro lavoro “Perceval re sacerdote”. Simbolismo alchemico e conclusioni Un breve cenno lo dedichiamo al simbolismo alchemico. Il colore rosso oltre a costituire una delle fasi del processo alchemico, la rubedo, rappresenta lo zolfo, e insieme al colore bianco, che simboleggia il mercurio, forma una coppia di opposti la cui unione viene denominata nozze alchemiche. Perceval, il Cavaliere Vermiglio, si unisce a Biancofiore: rosso e bianco, i due opposti che si uniscono. Il testo di Chrétien de Troyes nella sua apparente linearità, presenta in realtà una ricca e variegata simbologia che svelata apre scenari complessi ed inediti.