L’amnesia del presente
L’uomo ha la strana tendenza a dimenticare e non è
un'esclusiva dei nostri avi come si potrebbe pensare, anzi si può dire che
questo processo nella nostra epoca “scientifica” stia subendo un’accelerazione.
La continua produzione di nuovi saperi costringe l’uomo ad una continua
rincorsa del presente dimenticando tutto quello che ha imparato per poter
essere “al passo con il tempo”. Ma fra le tante cose che si dimenticano non ci
sarà qualcosa di utile? Ma poi, tutta la rincorsa ad essere aggiornati coi
tempi è veramente importante? Non sarebbe necessaria una rielaborazione critica
di tutta la messe di informazioni prodotta per discernere l’utilità o meno? Mi
interessa veramente sapere come funziona l’ultimo modello di telefonino che non
comprerò mai, perché ora non ho i soldi e fra un mese quando li avrò, sarà già
uscito il modello successivo? O ancora, perché affannarsi con gli aggiornamenti
del sistema operativo del computer o del programma di videoscrittura, giusto
per non fare nomi, quando per il mio uso corrente quello che ho, è già ottimo?
E il risultato qual è? Che perderò tempo a leggere il nuovo manuale del
programma di videoscrittura, invece che a leggere il tal libro che mi serve per
scrivere un articolo. Questo a livello individuale, mente a livello collettivo
si avrà una distruzione sistematica del sapere che diventa veramente “passato”!
Si vendono manuali sulle nuove versioni dei programmi a scapito di opere che
meriterebbero di essere lette con una graduale sostituzione dei libri buoni con
i libri cattivi utilizzando una metafora economica sulla moneta che recita che
la moneta cattiva scaccia quella buona. Con una differenza: la moneta buona
viene tesaurizzata, mentre i buoni libri finiscono al macero.
I nostri progenitori avevano una cultura orale che si
trasmetteva da padre in figlio. Questo ci fa pensare che fosse una cultura che
tendesse a dimenticare se stessa. Ma ne siamo proprio sicuri? Gilgamesh non
esiste tuttora? E i Veda? E i miti egizi? Quelli greci o romani? E perfino
quelli celtici sono sopravvissuti alla sistematica persecuzione dei druidi da
parte degli antichi romani!
In passato il mito riusciva a passare indenne attraverso le
generazioni, forse modificandosi ma mantenendo intatto il nucleo centrale. Oggi
tutto questo non esiste. Esistono le varie soap-opera, telenovelas, telefims che dopo successi
strepitosi svaniscono come neve al solito come se non fossero mai esistiti. Chi
si ricorda più di programmi degli inizi degli anni ottanta? Del nome di attori
che all’epoca sembravano tenere il mondo in una mano?
Certo delle perdite ci sono state, ma purtroppo ci saranno
sempre. Anche nel nostro mondo industrializzato in cui scienza e tecnica sono
padrone c’è una spiccata tendenza ad obliare il passato. Quante opere del
cinema mute sono andate perse? E quante si sono riuscite a salvare solo con
costosi restauri? Per fare un esempio nel campo artistico, ma questo succede ed
è ancora più grave perché implica i suoi stessi processi di produzione, nella
scienza. Abbiamo accennato alla parentesi medievale in cui il sapere umano ha
subito una distruzione sistematica e questo è sicuramente successo in passato
in altre civiltà. Basti pensare che ancora non si è grado di capire come sono
state costruite opere megalitiche con la semplice forza umana e animale.
L’amnesia
programmata della scienza: il processo scientifico si basa sulla distruzione
del saper precedente ed alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte
La
scienza è un continuo processo di affinamento della conoscenza e questo implica
la necessità di cancellare gli errori del passato per far spazio agli ultimi risultati
ritenuti più corretti. «L’oblio è costitutivo della scienza. Impossibile per
lei conservare la memoria di tutti i suoi errori, la traccia di tutte le sue
erranze. La pretesa di dire il vero costringe a dimenticare il falso». Dal
libro di Lévy-Leblond.
Banalmente
la teoria eliocentrica ha cancellato la teoria tolemaica ormai dimenticata.
Questo processo è giusto e necessario, ma comporta dei rischi. Abbiamo visto
come in passato la scienza è dovuta ritornare sui suoi passi per riscoprire ciò
che si sapeva secoli prima, ma questo accade tutt’ora. È insito nell’attività
scientifica la distruzione delle vecchie ricerche per far posto alle nuove. Ma
in tutto questo scarto non ci sarà qualcosa che meritava di essere salvato?
Sono molteplici gli esempi di ricerche non proseguite perché le necessità o le
mode del momento, perché anche nella scienza esistono le mode, hanno spostato
l’attenzione su altri settori e poi sono state riprese decenni dopo. Questo
potrebbe sembrare un problema da poco, ma oggi la produzione scientifica è su
una scala molto vasta e lo scarto è a sua volta su una scala altrettanto vasta.
Non esistono più i pochi studiosi che si conoscevano tutti quanti e che si
incontravano in qualche congresso mondiale, ormai a livello mondiale possiamo
parlare di milioni di persone impegnate nella ricerca. Basti pensare al
moltiplicarsi delle università italiane e della conseguente moltiplicazione dei
professori, che volenti o nolenti per esigenze di sopravvivenza devono produrre
o almeno dimostrare di fare ricerca pubblicando articoli su apposite riviste.
Anzi, il loro avanzamento di carriera è anche ancorato al numero di articoli
pubblicati con tutte le conseguenze del caso sull’inflazione produttiva di
articoli. Alcuni vengono scritti solo per allungare un curriculum senza
contenere nulla di interessante sul piano scientifico.
L’accumularsi
di tutta questa produzione pone problemi di spazio alle biblioteche che tendono
ad accumulare in modo disordinato le riviste scientifiche, strumento principe
dell’attività scientifica, e recuperare ricerche del passato è a volte quasi
impossibile. Oltre a questo problema logistico, esiste il ben più grave
problema culturale, che chi ha condotto studi specialistici, trova difficoltà a
prendere in mano nuovi saperi in branche completamente nuove: di fatto è
impreparato! Il lavoro scientifico si basa su una specie di allenamento fatto
di letture di articoli di settore, nel padroneggiare certi procedimenti
matematici e determinati strumenti, se tutto questo manca è come ritrovarsi a
leggere un libro in un’altra lingua. Si è grado di leggere, cioè si hanno le
conoscenze scientifiche di base, ma non si conosce la lingua cioè gli strumenti
specifici di quella particolare materia. Non è un lavoro da poco. Ne ho fatto
esperienza personale con la mia tesi. Ho dovuto passare mesi per familiarizzare
con l’argomento e padroneggiare un programma di simulazione matematica per
poter incominciare a lavorarci. Immaginate la difficoltà a riprendere studi di
decenni fa, che trattano di teorie completamente diverse e dimenticate. Ancora
Lévy-Leblond:
«…i meccanismi di
rimozione e occultamento, costitutivi del funzionamento della ricerca,
conducano ormai a degli effetti perversi o, se non altro, controproducenti. […]
Il fatto è che l’eliminazione delle foglie morte della scienza, il rigetto dei
suoi rifiuti opera ormai sulla stessa scala industriale della sua produzione.
[…] Più precisamente, come esser certi che, in quelli che consideriamo oggi
lavori secondari o senza sbocchi, abbozzi o doppioni, non giacciono, invisibili
nel contesto attuale, un punto di vista, un metodo, un risultato ricchi di
implicazioni future?».
Ecco
alcuni esempi di scoperte dimenticate e poi ritrovate.
La
malattia dell’olmo che ha portato alla distruzione di milioni di piante è stata
affrontata coi metodi della biologia moderna senza alcun risultato, mentre
nell’ottocento si sapeva come affrontarla. Ci si era dimenticati degli studi
condotti dal 1843 al 1859 di un certo Eugène Robert che permisero all’epoca di
fermare l’epidemia! Vi riporto una frase dell’articolo di Didier Fleury che ha
riscoperto il metodo:«Avendo a disposizione mezzi di indagine di una potenza
senza uguali nel passato, la biologia ha tendenza a vedere questioni nuove
laddove di fatto c’è ben poco di nuovo!»(3)
Per
anni si è pensato che lo stomaco non potesse ospitare batteri patogeni cronici
non riuscendo a capire l’origine dell’ulcera gastrica. Invece da pochi anni si
è “scoperto” che la causa è proprio un batterio, l’Helicobacter pilori. Di
fatto si sono trascurate osservazioni di un secolo fa che affermavano la
presenza di batteri nello stomaco.
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